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Autore: La Setta Aster    27/06/2014    1 recensioni
Vi è mai capitato, scrutando il cielo, di sentire dentro di voi la sensazione che altri occhi come i vostri siano puntati al firmamento in cerca di risposte? E se vi è capitato, avete provato a parlare con le stelle? Aster, una ragazza aliena di Neo Cydonia, e James, un giovane terrestre come voi, a distanza di anni luce hanno in comune un cuore sempre in fuga dal mondo, in direzione dell'universo.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il fastidioso rumore della sveglia urtò le orecchie di James, che sapeva di non poterla zittire per tornare a dormire. Fra lamenti e sbuffi esasperati, il ragazzo finalmente si alzò, si vestì, fece colazione, lavò i denti, indossò il suo cappello da cowboy in cuoio, corse verso l’autobus che l’avrebbe portato fino al Viale dei Tigli, a Gallarate, dove stava il suo liceo classico Giovanni Pascoli. Appena entrato, le solite persone iniziarono a ridacchiare facendo la solita battuta “è entrato il vaccaro”. Il tipico ragazzino ben vestito, profumato e imboccato dai genitori si avvicinò a James. “sai, forse dovresti smettere di indossare quel cappello, altrimenti la testa potrebbe andare a fuoco e farti bocciare altre sei volte!”. Altre risate. Incassa, James, resisti ed incassa! “oh, non piangere” continuavano “te li sei voluti tu gli insulti: se vai in giro con un cappello da cowboy non puoi pretendere che la gente non ti prenda per il culo” era proprio ciò che James stava aspettando. “quindi” disse lui “tu mi stai dicendo che è colpa mia se vengo sfottuto a morte, che è colpa mia perché indosso un cappello come questo” si levò il copricapo, poi riprese a parlare “ricordi quel prete che disse che la colpa delle ragazze vittime di stupro era solo loro, perché indossavano vestiti che ispiravano malizia? Ecco, tu sei fatto della stessa pasta, hai fatto lo stesso ragionamento, devi esserne fiero”

L’avversario ridacchiò “e tu devi essere fiero di esserti fatto bocciare due volte”

Codardo. “codardo, quando sei in difficoltà perché le mie parole ti hanno messo al muro fai sempre riferimento a quello, sei patetico”

“le tue parole mi hanno messo al muro?” sghignazzò, per poi scoppiare in una risata forzata, isterica. Poi, si voltò, e si allontanò.

Quale gusto ci prova a recar dolore agli altri? Non capisco. Jim Andò a sedersi, e prese il suo telefonino, al quale collegò un paio di cuffiette, e chiuse gli occhi per ascoltare Sound of Silence, canzone folk satura di significato, del duo Simon & Garfunkel. Subito di seguito, i Black Sabbath presero il sopravvento. L’odio per la razza umana lo pervadeva come un gelo profondo, denti di ghiaccio gli attanagliavano il cuore, massacrandolo. Si sentiva tradito dalla sua gente, che un tempo amava, come amava le persone, prima di conoscerne il loro volto malvagio. Per questo preferiva isolarsi, essere emarginato, insultato, ma con un motivo per lottare. Il sabato la sua rabbia trovava sfogo nelle canzoni che componeva con il suo gruppo: il pomeriggio c’erano le prove, la sera si suonava in qualche locale, a volte. Quando cantava, James gridava contro la società, non importa quale fosse il testo o il genere. Non suonavano quasi mai heavy metal, si mantenevano sul rock, blues e folk, ma quello gli bastava per urlare. James osservava il mondo e tentava di dare un suono a ciò che vedeva. Presto avrebbero avuto successo. Oppure mai; la società non voleva sentirsi dire che il mondo andava male, che bisognava rimboccarsi le maniche per salvarlo, la società voleva dimenticarsi di tutto dietro ad una fallace risata. Se qualcuno tentava di illuminare la verità dinnanzi agli occhi dei ciechi, questi lo prendevano per pazzo. Era più comodo e facile credere che andasse tutto bene. Mentre ascoltava Child in Time gli correvano davanti agli occhi della mente visioni di morte, disperazione, distruzione. Erano immagini atroci, che accompagnate dal maniacale assolo e il testo apocalittico, lo commuovevano, arrossandogli gli occhi. Creava sempre immagini, interi cortometraggi dedicati alla canzone che ascoltava, per accompagnare le note. Mentre si perdeva in quei momenti si sentiva più che mai solo. Tutte le persone intorno a lui non esistevano, erano vermi che strisciavano verso il baratro, e lui sapeva di essere stato colpito in pieno come detrito dalla marea. Provava ribrezzo, guardando i suoi compagni di classe che perdevano tempo senza mai dedicarsi alle persone, al mondo. Preferivano insultare il modo di vestire, la provenienza di una persona, le sue scelte. Una giustificazione per dire a se stessi di avere ragione nel compiere il male di qualcuno la trovavano sempre. Ma James si sentiva superiore a tutto quello. Sapeva che lui e i suoi amici erano diversi da quella incomprensibile massa informe di fango che si spandeva nelle strade. Questo non è il mio pianeta. Non è la mia vita. Voleva parlare alla Terra con la musica, ma troppo pochi potevano sentire. Agli umani piace essere sordi, ciechi, muti, agli umani piace il proprio male, anche se non capisco ancora perché. Finita anche quella canzone – ormai mancava poco al suono della campana – iniziò a tradimento una musica che gli fece tornare il buonumore, e James si dimenticò dell’odio in favore dell’unico vero amore della sua vita, l’unico corrisposto: l’amore per i viaggi. Busindre Reel portò la sua fantasia in luoghi lontani, su isole dalle bianche spiagge calde, con palme ricurve su un mare cristallino. Vedeva un sole dal colore arroventato che s’andava a tuffare nelle chiare e fresche acque. Questo aleggiava nella sua mente, anche se probabilmente Hevia non pensava a quelle immagini, scrivendo quella musica. Nel frattempo, erano arrivati i suoi amici: Paolo, un autentico ‘gigante buono’, Giovanni, un ragazzetto magrolino ed occhialuto, e una coppia di ragazze, Monica e Abigail; Monica era una ragazza piacente, con un paio di occhiali spessi che non guastava la sua bellezza quasi infantile e dolce, sebbene in pochi fossero in grado di notarla, offuscati come sono tutti dalla tv. Ella si era creata un suo mondo nei libri che scriveva, un po’ come faceva James con le canzoni che scriveva e componeva con la chitarra. Il ragazzo, tempo addietro, aveva confessato a Monica di essersi innamorato di lei, ma questa aveva occhi solo per un’altra femmina: Abigail, sosia dell’attrice Natalie Portman, attratta da Monica per la sua propensione al distaccamento dalla realtà. Ora, le due ragazze godevano una relazione felice ed appassionata, con rarissimi litigi. Altri amici attendevano con ansia la sera di quel sabato, per potersi trovare tutti insieme in una serata nel giardino della casa di uno di loro. Mentre in classe si salutavano, fra loro si instaurava un senso di sicurezza, come se il loro affetto potesse creare una barriera difensiva che li proteggesse dal mondo.

*

Aster fu ridestata dalla sveglia squillata dalla sfera che ancora fluttuava al suo fianco. Ben conscia di essere in ritardo, corse verso casa, si fiondò in camera sua per vestirsi, e senza nemmeno fare colazione, prese il primo trasporto che riuscì a trovare per la scuola di volo dello spazioporto di Argo. In poco tempo arrivò alle soglie dell’ elegante edificio puntellato di raffinate torri luccicanti e acuminate che svettavano verso il cielo come spine dal terreno, dalle quali partivano centinaia di navette, trasporti, astronavi e altri velivoli che portavano nel proprio abitacolo un istruttore e un novellino, che sperava di non andarsi a schiantare. Quel giorno, il novellino era Aster. Corse verso l’ascensore gravitazionale che l’avrebbe lanciata al piano della sua navetta, dove l’istruttore la stava già aspettando sotto un arco argenteo, oltre al quale una piattaforma che estendeva verso l’esterno come una linguaccia.

“speriamo che tu non sia in ritardo anche nel frenare in caso di prossima collisione” scherzò l’uomo, paziente e gentile come pochi altri riuscivano ad essere, in quel tripudio di isteria che era il ‘pianeta paradiso’. Pianeta paradiso… pensò Aster lo è solo per i turisti. Ma in fondo anche a me piace, è casa mia, e so di vivere in un posto meraviglioso, vivo in mezzo al verde, con molti campi liberi intorno a me; che c’è chi invece vive in sobborghi di sporcizia e malavita. Ma ciò non mi distoglie dal mio sogno di viaggiare per lo spazio.

“mi scusi, prometto che oggi la guida sarà liscia e rilassante!”

“ ‘liscia e rilassante’ non erano forse gli aggettivi che hai utilizzato prima della guida di settimana scorsa, quando per poco non ti schiantavi sul monte Perseo?” rispose l’altro, con ironia. Aster tacque, un po’ imbarazzata. Entrò nell’abitacolo, che altro non era che una sfera di energia riflettente, solida e che resisteva ad ogni urto, tranne che al fuoco dei laser. Alla vista pareva fatta di vetro intagliato con forme geometriche, ma non era certo altrettanto fragile. Quel materiale, alla base della costruzione galattica, si chiamava hyle, e preso in diverse combinazioni chimiche assumeva diversi colori, diversi stadi, diverse caratteristiche, insomma. Il resto della nave poteva essere un rivestimento di carrozzeria con svariate forme. Il velivolo che avrebbe dovuto pilotare Aster era a ferro di cavallo, costruito con quella che l’umano intravisto in sogno la sera prima avrebbe chiamato ‘materia esotica’, cioè una materia sconosciuta sulla terra, color grigio argentato, chiaro di giorno, molto scuro di notte, flessibile ma solido. Era anch’esso un derivato del hyle. Andò al posto di guida, mentre il suo istruttore si posizionò poco sopra di lei, leggermente spostato indietro, su un sedile che gli permetteva di sdraiarsi comodo. La ragazza posò le ginocchia sugli appositi cuscinetti, mentre i suoi piedi, puntandosi, spingevano due pedali posti sotto i sedili. Era, dunque, in posizione inginocchiata, leggermente protesa in avanti, e il sedile sul quale sedeva fluttuava, di modo tale che la navetta seguisse i movimenti del pilota. Le mani, invece, erano libere di muoversi agilmente sui terminali; questi ultimi, comparvero non appena furono interpellati dalla pilota. Erano ologrammi che inviavano al cervello segnali elettrici, ed essi suggerivano ai neuroni responsabili del tatto che ciò che le mani stavano toccando era solido, sebbene in realtà altro non fosse che un ologramma. Come ultima cosa, indossò un visore simile a dei grossi occhiali luminosi. Poteva vedere anche dietro di se e ai suoi lati, ma con immagini ridotte in confronto allo spazio lasciato per la visuale di fronte. Aster li detestava, e sapeva bene che le sarebbero stati utili solo a scuola di volo, giacché nessuno li usava anche dopo aver superato l’esame. Il velivolo viaggiava con l’Energia Cosmica, un tipo di energia eterna, rinnovabile, pulita e molto potente, che è presente in ogni essere vivente e in ogni spazio fra essi, ciò che non ne è toccato o non è Energia Cosmica è nulla. Essa veniva incanalata nei generatori EC dai Sacerdoti del Terzo Occhio, anziani di ogni specie che meditando e intonando il suono armonico che richiamava e concentrava l’Energia Cosmica – sulla Terra sarebbe stato un La maggiore a 432hz –  riuscivano a plasmarla, per poi metterli al servizio della galassia.   

“bene, Aster, puoi partire”.

Quando il suo istruttore pronunciò quella frase, Aster, sovrappensiero, accelerò talmente improvvisamente che prima di avere la situazione sotto controllo s’intrufolò in una rotta aerostradale, rischiando un pericoloso incidente. La sua prontezza di riflessi fu maggiormente pronta a dominare la situazione piuttosto che a prevenirla. Evitò tutte le altre navi e, meglio ancora, aggiustò la rotta e si mise delicatamente in coda. Dopo un attimo di panico, l’istruttore si mise le mani tra i capelli argentati.

“Aster, non penso che questo vada a tuo favore, sai? Se vuoi posso chiedere se entrare all’improvviso in un’aerostrada possa essere considerato un atto di eroismo”

“chiedo scusa. Ero sovrappensiero”

“non te lo puoi permettere, mentre sei in volo. L’aria è ricolma di pericoli, tanto quanto il terreno lo è per i tuoi umani. Devi stare più attenta, ragazza”

Il suo istruttore non era mai aggressivo con lei, sapeva che non era il tipo di persone che necessita un duro addestramento, ma solo di sentirsi dire dove e come sbagliava in maniera civile. Aster sentiva già troppe parole acide. Le bastò uscire dalla navetta e mettersi sulla strada – a piedi – per la sede d’insegnamento dell’arte musicale. La zona nella quale stavano i due istituti nei quali Aster era abituata andare tutti i giorni da ormai qualche mese, si trovavano nella Zona di Insegnamento e Libera Istruzione, luogo dove risiedevano tutte le sedi dove veniva praticato l’insegnamento di qualsivoglia disciplina. Era il quartiere didattico di Neo Cydonia. Nonostante si dicesse ‘Libera Istruzione’, Aster non era mai stata libera di inseguire davvero i suoi sogni; “non ti porteranno mai da nessuna parte, finirai a fare la guardia ai carcerati, e questo solo grazie al lavoro che faceva tuo padre” le diceva sua madre, facendola sentire oppressa come da un muro d’acqua che la sovrastava e annegava. Tornando al sentiero di raffinati sassi bianchi ben posizionati e levigati che stava percorrendo Aster; usciva da uno degli edifici un gruppo di suoi coetanei, che le si avvicinarono, decisi a seguirla.

“abbiamo visto dalle vetrate la tua manovra da manuale, Aster” disse uno di loro.

“eri distratta, per caso?” disse un altro.

“oh, stavi forse pensando a uno dei tuoi umani? Nudo, magari, e ti divertivi su un suo ologramma, eh?” attaccò una ragazza di quel gruppo.

“sei così ossessionata da loro, forse perché sei una cavernicola come loro… sì, devi essere davvero intelligente se vuoi essere come loro”

A questo punto, Aster perse le staffe, e si voltò. “tu non hai nemmeno idea di chi o cosa siano gli umani, sono io quella che ha passato la sua giovane vita fino ad ora a sognarli. E se tu avessi un minimo di cultura a riguardo, invece di sputare sentenze dall’abisso della tua ignoranza, sapresti che sono in grado di fare grandi cose, di creare meraviglie e di provare sentimenti che esseri infidi e perfidi come te non potranno mai provare! Ah, a proposito, tu che tanto biasimi gli umani per la loro fragilità d’animo, nel loro cedere troppo facilmente all’odio, sappi che sei la prima a renderti fragile nel tuo cedere all’odio nei miei confronti. Fossi in te andrei a casa a sotterrarmi dalla vergogna”

Nessun’altra risposta arrivò dalle labbra velenose di quei giovani; solo insulti senza senso. Ma Aster non ci faceva più caso: aveva vinto. Persone come loro si vedono sempre come stereotipi della cattiveria in svariati film e racconti umani. Ma se sono consci di essere stereotipi negativi, perché perseverano nel loro errore? Fra se e se pensò che forse erano stati i filosofi umani ad ispirarla nell’arte della retorica, arte che da sempre coltivava con successo.
Presto giunse alla sua destinazione, e seguì con molto interesse la lezione sulla musica. Ma purtroppo non sarebbe mai bastato: per poter progredire di livello istruttivo ed accedere a nuove facoltà, nuovi istituti, avrebbe dovuto ottenere valutazioni positive in ognuna delle precedenti, non solo quelle che le interessavano. Era un sistema molto semplice, quella scolastico, ma insensato, nel pensiero di Aster. Lei aveva un’idea di scuola e didattica tutta sua, decisamente rivoluzionaria. Tant’è che lei non aveva alcuna voglia di sprecare il suo tempo, il suo cuore e la sua fantasia in lezione che non le interessavano minimamente. Tanto me ne scorderò appena passati i test, possono starne sicuri! Non sarei mai utile alla società galattica in questo modo, quindi insegnarmi ciò che io non voglio imparare è pressoché inutile. Dentro di lei una voce tenue le diceva che stava sbagliando, che non si può pensare di vivere facendo solo ciò che piace, che la galassia non gira in quel modo. Aster sapeva di essere ancora una ragazzina ingenua, ma rifiutava quel pensiero. Perché? Si chiedeva Perché la gente non può vivere di ciò gli piace? Sembra scontato che sogni siano per i ragazzini e le ragazzine sciocchi come me. Ma io so quello che voglio, e anche se sto sbagliando voglio sbagliare con tutta me stessa, che bruci ‘fare la cosa giusta’, se devo vivere in una maniera che non mi piace! Non finirò come una donna di mezza età che tira a campare, che lavora solo per portare a casa il pane, io voglio andare a letto col sorriso stampato, da adesso fino alla vecchiaia, per la miseria! Sulla strada di casa, osservò sopra di lei la Luna Bianca, schiaffeggiata dalla forte luce del sole. La luna rimaneva sempre più o meno nella stessa posizione, ruotando insieme al pianeta, e fino al tramonto il sole la illuminava, prima di nascondersi alle sue spalle. Aster pensò che era triste guardare un corpo celeste così dolce e sapere che era un rifugio per criminali e malavitosi: la Luna Bianca, o Galata, era la grande prigione nella quale venivano rinchiusi i detenuti del pianeta. Vi era un’immensa struttura sotterranea, un vero e proprio mondo sotto la superficie lunare, nel quale i carcerati venivano scaraventati; non vi erano sbarre se non i portelloni degli ascensori che portavano nuovi detenuti in prigione, ed erano strettamente sorvegliati. Qualunque cosa, qualunque mondo emarginato ci fosse stato sotto Luna Bianca, era giurisdizione dei detenuti stessi. La ragazza si immaginava sempre quei luoghi a metà fra la Los Angeles di Blade Runner e la New York di 1999: Fuga da New York, due dei film terrestri che aveva visionato più volte, sempre con grande passione. Aster, quando era una bambina, vedeva la grande Luna Bianca sopra la sua testa occupare una buona parte del cielo, e le sembrava meravigliosa, così illuminata dalla luce del sole, da sembrare un’immensa sfera di marmo eburneo. Quando scoprì cosa fosse in realtà, sotto quel manto candido, ebbe paura che i criminali potessero caderle addosso. La paura passò con l’età, e anche la convinzione che quel luogo fosse malvagio. Un amico di suo padre, una persona che sapeva sempre far ridere Aster, e di ritorno da ogni viaggio intergalattico le portava un oggetto esotico, che ora arricchiva la collezione della ragazza, quella persona così allegra era fra i condannati all’ergastolo in quell’incubo; le accuse erano contrabbando e omicidio di un medico che pretendeva una cifra smisurata per le medicine senza le quali la moglie dell’uomo sarebbe sicuramente morta. Lo fece. Dopo aver folgorato il medico, rubò tutte le scorte di medicinali che aveva, e, avendone tenute per se una parte relativamente piccola, iniziò un vero e proprio contrabbando di infusi di erbe e fiori che su Neo Cydonia non crescevano nemmeno. Ripensando a quell’episodio, Aster si rese conto di quanto, in realtà, nessun crimine è compiuto con la volontà di fare del male, se non quello di un pazzo: ogni crimine è compiuto per fare il proprio bene, o quello di una persona cara. Chi ruba, di norma, è chi ha bisogno di soldi; chi uccide, di norma, lo fa per ira, per gelosia, per disperazione, e in ogni momento chi compie il misfatto è convinto di poter migliorare la propria condizione tramite esso.

In mezzo a millemila pensieri e fantasie, in mezzo alle mute parole della madre di Aster, che la rimproverava dicendole di dover mettere più impegno nella propria istruzione e asserendo che suo padre sarebbe deluso, in mezzo alla luce del sole che percorreva l’arco solare, fino a sparire dietro alla Luna Bianca, la giornata di Aster si concluse. Guardava dal soffitto trasparente della sua camera la luce grigio-rosata del sole che si nascondeva dietro al biancore della luna più grande. Una lieve curva si intravvedeva oltre l’orizzonte: era Kuma, la luna che ondeggiava da un tropico fino al polo sud, creando così le grandi maree degli oceani sub equatoriali, e di conseguenza animali che avevano trovato maggiore sicurezza negli abissi più profondi.

Presto ci sarebbe stato il Flogos Kron, un periodo ti tempo che preannuncia la notte nel quale il sole supera la Luna Bianca e ricompare come barlume di luce arroventata, un nastro di seta infuocata, nascosta da una parte da Kuma, dall’altra da Galata, quasi come se il sole volesse a tutti i costi illuminare Neo Cydonia, ma non riuscisse mai a passare. Nella zona temperata, poco più in alto del tropico nord, vi erano alcuni periodi in cui Kuma spariva del tutto, e la Luna Bianca si scostava leggermente, ma mai abbastanza da consentire al sole di regalare a Neo Cydonia un tramonto completo, che permeasse tutto ciò che gli occhi potessero vedere. Aster amava immaginare come potrebbe essere un tramonto come quelli visti nei film terrestri, però sul suo pianeta; la luce rossa accecante pervade ogni cosa, rende cremisi i campi, le valli, i monti, e luccica sulle torri dello spazioporto e delle sedi d’istruzione nel quartiere didattico. Ma sapeva che un giorno avrebbe almeno visto la Terra e i suoi colori, e i suoi tramonti, e i suoi abitanti.

La notte prese il sopravvento, e con lei spuntò finalmente la stella che Aster ormai chiamava Terra. Tornò a puntarla come con un laser. Sentì ancora che l’amico alieno stava guardando il cielo, come la sera prima.

Amico mio, dimmi: anche da te le persone sembrano nate per odiare ed essere odiate?

Sai, stavo giusto pensando la stessa cosa, è tutto il giorno che mi frulla per la testa. È incredibile che dovunque la questione si ripeta! Io e te abitiamo ad anni luce di distanza, eppure pensiamo le stesse cose della società!

Anche tu sei un sognatore che combatte tutti i giorni contro tutto e contro tutti?

Anche tu sei una superstite, che sopravvive giorno per giorno solo perdendosi in mondi che nemmeno esistono?

Siamo davvero simili, io e te.

Sì, lo siamo. Ora perdonami, devo dormire. Buonanotte, amica mia.

Buonanotte, alieno.

*

Era la seconda notte che James sentiva quella voce, e già gli appariva naturale. Era come se quella conversazione andasse avanti da sempre, oppure come fossero due chiacchiere con una vecchia amica, una persona che lo conosce bene, e lo capisce. L’ora era troppo tarda perché Jim proseguisse coi suoi pensieri, e il sonno lo sconfisse.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Questo capitolo vuole mostrare com'è la vita quotidiana dei nostri due protagonisti, James sulla Terra, Aster su Neo Cydonia. Permane quella disperata voglia di fuggire lontano, che tanto era cara alla musica e al cinema degli anni '60 e '70. Qui mi sono anche cimentato nelle descrizioni del pianeta alieno, dalle strutture come lo spazioporto di Argo, ai particolari del paesaggio naturale, come le due lune. Spero veramente vi piaccia il mio modo di immaginare l'universo e i suoi infiniti mondi. 
_Hanck, La Setta Krypteia
 
  
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