Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi
Ricorda la storia  |       
Autore: Dotta Ignoranza    29/06/2014    13 recensioni
"... loro mi avrebbero capito e avrebbero capito dove sarebbe arrivato il mio amore, il mio eterno e dolce amore.
Eppure solo lo scrosciare di padelle d'acciaio, solo le urla, gli strilli di questo amaro limbo. C'era qualcosa dietro a quelle mani graffiate, dietro ai loro grugni di porci, dietro agli schiaffi insolenti, sapevo che c'era qualcosa di profondo e indefinibile. Forse ero io quel qualcosa."

L'oscuro limbo in cui molte donne furono imprigionate durante l'epoca più buia della psichiatria; in questo frammento di storia umana, ci troviamo nel regno di sua maestà la Regina Vittoria. Lunga vita alla Regina e al suo regno di marcio splendore! Ora lasciatevi smarrire nella tana del Bianconiglio.
----------------------------
{Storia partecipante al contest "L'EPOCA VITTORIANA E I SUOI SEGRETI" de "LA CREME DE LA CREME DI EFP"}
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa storia partecipa al Contest “L'epoca vittoriana e i suoi segreti”, indetto dal gruppo su facebook La crème de la crème di EFP.
Ciò che segue sarebbe in realtà una One Short, ma per vezzo personale, che spero capirete al termine della lettura, ho preferito suddividerla in due capitoli.

Buona lettura.

 

 

Il seme ingravidante, avrei potuto sussurrare queste parole nelle orecchie degli abiti bianchi intorno a me. Carte di quadri, picche e fiori. Loro, loro mi avrebbero capito e avrebbero capito dove sarebbe arrivato il mio amore, il mio eterno e dolce amore.
Eppure solo lo scrosciare di padelle d'acciaio, solo le urla, gli strilli di questo amaro limbo. C'era qualcosa dietro a quelle mani graffiate, dietro ai loro grugni di porci, dietro agli schiaffi insolenti, sapevo che c'era qualcosa di profondo e indefinibile. Forse ero io quel qualcosa.
Marcio seme ingravidante. Divenni quello che avevo stretto al grembo gonfio, quello che era entrato nel morbo del mio animo, pregavo Iddio, pregavo la Vergine Maria, il Gesù Nazzareno, pregavo che il mio peccato originario fosse immerso nell'acqua della redenzione e della vita.
Oh Padre.
Padre mio stringetemi, urlavo, Padre mio vi prego avvolgetemi fra petali e corolle di spine!
Solo una voce mi colse dal basso delle mie urla salmastre, quella voce mi diceva soltanto «Alice, è tardi, Alice è tardi, è tardi. Marianna, Marianissima è morta. Alice è tardi.»
I fiumi di dolore sbocciavano dai miei occhi esangui. Ogni volta, ogni volta che quella voce si scemava fra le ossa spigolose delle mi cosce.

 

Chiudevi gli occhi e allora ti lasciavi andare a un pianto straziato, piangevi dibattendo la testa sulla rete macerata dal tuo stesso vomito maturo. Arrivavano puntuali. Nemmeno pulivano i tuoi capelli, issavano il corpo morto e strisciavano la tua carcassa ciondoloni verso la stanza imbandita di culle in ceramica, loro ti amavano, ti amavano come solo un padre stomacato dal proprio seme potrebbe amare. Cadevi, molle cadevi in quella vasca di gelido terrore.
Urlavi, semplicemente divorata dal ghiaccio assalitore.
«Non si tranquillizza sta puttana. Che facciamo?»
«Non è il caso di mollarle l'ennesimo pugno o il Dottore Hatter...»
«O il dottore cosa?»
Eccolo! E' tornato! Riprenditi mia anima, riprenditi mia cara amata, riprenditi! E' tornato il Salvatore dei giudei.
«Niente, signore, niente. La paziente 8 non reagisce al trattamento idrico, il vostro collega ha suggerito questa mattina di attuare la procedura Rush.»
Gli orifizi nasali del dottore canuto si allargarono paurosi, gli occhi parvero brillare dietro a quegli specchi di vetro sottile. Un grugno di malfamato disgusto.
«No, non servirebbe a molto. L'altra volta non ha funzionato, dubito che avremmo risultati consistenti inducendola alla morte. -Ti prese la testa da dietro la nuca, e reclinandotela lateralmente osservò i segni lividi lungo le tue tempie. Gli occhi scivolarono lungo la tua veste bianca umida di gelida tortura, lasciava intravisti i segni di un orrore consumatosi dalle tue dita. - Riportatela nella sua stanza e stringete meglio le cinghie intorno alla vita, questi lividi non sono così maldestri come i vostri.» Concluse quel camice dalle piume macchiate di vermiglio dolore. Concluse strisciando lontano da te. Lontano dalla tua sofferenza e dai tuoi lamenti.
Ti issarono fra le braccia del cordoglio e sbattendoti sulle piastrelle vergognose di sudicio, venisti strascinata lungo la navata di quei corridoi, giù, sempre più giù, nella gola di quel Sanatorio d'igiene mentale. I matti sono ripudiati da un Dio che non li vuole, ma c'è sempre qualcuno pronto ad abbracciarli, farne delle loro grida un canto angelico e il sorriso pio. Fra quelle mura di strazi continuavo ad amarti mentre ancora venivi strascinata giù. Giù, verso il ventre di Giuda e giù verso la tua prigione d'ovatta.
Le loro dita strinsero quelle cinghie di cuoio, i tuoi seni urlarono soffocati da così tanta violenza e alla fine, bagnata, piangente, battesti la fronte nell'angolo estremo di quella stanza, mentre la porta dalle sbarre di illusioni sbatté dietro di te.
Un sussurro lontano ti rivolsi apprensivo «Vuoi che ti canti la nostra filastrocca, Alice?»


«Marianna, si chiamerà Marianna vero mio Sole?» Dissi ondeggiando la testa fra i fili d'erba in fiore, il Sole sbadigliò stanco dietro al suo viso sereno, era così bello, così felice fra quelle mani inguantate di pelle bianca, e le carezze gentili sulle mie vesti morbide. Uno spiccio di mela raggiunse il bocciolo delle mie labbra. La lama di quello spicchio di luna d'argento stretta fra le sue mani, donò ancora una volta, per la seconda volta ai miei denti il secondo spiccio.
«Vi è piaciuta molto questo racconto che vi ho fatto in dono, mia bambolina.» Rispose prendendo il dorso della mia mancina, la copertina appena appena violata del libro letto e riletto in quei pomeriggi cadde fa di noi, diminuendo la distanza fra Alice e il suo bianconiglio. Nascosi gli occhi dietro al polso alzato, timida, pudica e rossa porpora sulle guance lasciando che sfiorasse con quelle due pennellate morbide nere poste al di sotto del suo bel naso raffinato; sempre mi faceva quel breve e dolce solletico portandomi a ridere cristallina, delicata fra il profumo delle ginestre e gli occhi suoi d'argilla. I capelli miei furono intrecciati sul quel manto fresco, lui sempre, mio dolce coniglio a vegliarmi.
«Se fossero due?» Dita ricamate da pizzo e merletti scivolarono fra le onde profumate dei suoi capelli nocciola «chiameremo la seconda Mariannissima.» Scoppiò il suo riso in fiumi e mi sentii dissolvere, pioggia fra quelle nuvole marzoline.
Il Sole ormai aveva calato le sue palpebre su di noi, eppure la luce schiariva il nostro amore, il nostro bello e morbido amore, il nostro solo amore; cosa poteva mai aver oscurato il Sole se c'era così tanto amore da illuminare i nostri sorrisi?
Dei passi, dei passi di stivali e la gelida voce di una famigliare venuta, lo sguardo del mio bel bianconiglio si allontanò dalle lancette che erano divenute il mio sorriso senza tempo, i suoi occhi perirono sulla figura solenne irta su di noi.
«Cosa ci fate voi qui?» Sibilò la neve in Primavera.
Il mio cavaliere dalle orecchie pelose e la coda di cotone affrontò quella presenza che impediva al mio sguardo di levarsi nel suo stesso gelo, le mani delicate del coniglio strinsero quel torace respingendo la sua terrificante presenza.
Mandalo via. Mandalo via. Scusatemi altezza, non lo faremo più. Mandalo via, Sole mio, mandalo via.
Un battito.
Le pupille videro. Per la prima volta in tutta la loro assonnata esistenza, le mie pupille sbocciarono e videro il vero dietro al Paese delle Meraviglie.
Sangue fu solo.
La Regina!
La Regina urlò! Urlò disprezzo, la sua lama imbrattata di vermiglio orrore, lo stesso che sul petto del mio amato bianconiglio si allungava senza timore.
La Regina. La Regina lo aveva strappato via dal petto quel nostro amore, batteva vivo e lei grondava del medesimo terrore, gocciolando crudeltà di sangue dal proprio sterno e la lama di vendetta a me calò funesta.
Nulla valsero le urla mie soffocate, il Dio, il Padre e il Figlio avevano abbandonato la voce che urlante, straziata da così tanto abbandono avvertirono il parto, l'aborto prematuro del nuovo messia, della creatura celeste concepita nell'amore, nata e morta per Amore. Morì ad Amore, la Regina me la uccise sventrandomi il grembo pieno d'amore.
Eterno amore.
Marianna è morta. È tardi Alice, Marianna è morta.
È morta.

È morta.

È tardi, Alice.

 

«Sedatela, presto! Sta di nuovo cercando di sbrindellare i punti di sutura nella pancia! Ormai alcune dita sono dentro! Cazzo fate presto!»
«Cosa succede qui? Vi avevo detto di stringerle più forte quelle cinghie, stupidi coglioni! Tenetele la testa!
Bene, pare essersi calmata, asciugate tutto questo sangue e -pausa, l'ansimo del cordoglio- portate mia sorella Victoria nella sale chirurgica. È giunto il momento.»

  
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi / Vai alla pagina dell'autore: Dotta Ignoranza