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Autore: Sheylen    29/06/2014    1 recensioni
Dal testo: "Da quando ero diventato un libero professionista, svincolato dallo stupido regime di Capitol City, ormai caduto, la vita aveva assunto una nota di astratta serenità. Dopo tanti anni di guerre e patimenti, Panem iniziava a risorgere dalle ceneri. Sembrava di vivere in un sogno a occhi aperti, dove il mondo rincominciava a girare per il verso giusto."
What if raccontata attraverso gli occhi di Cinna, sopravvissuto alla guerra contro Capitol City
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cinna, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
 
‹‹ Se nasce coi capelli scuri, Cinna gli farà da padrino. ›› iniziò solenne Katniss ‹‹ Se saranno biondi, il ruolo spetterà a Haymitch ››.
Guardai il vecchio Mentore gonfiare il petto orgogliosamente per qualche istante, per poi comprendere effettivamente le parole della donna.
‹‹ Io dovrei fare da "coso" a un marmocchio che spara vomito e cacca ovunque? Gli ormoni ti danno alla testa, dolcezza. ›› rispose arricciando il naso al pensiero, cercando subito la sua fidata bottiglia.
‹‹ Haymitch, anche tu sei stato un bambino ›› ribatté stancamente Peeta. Aveva delle profonde occhiaie scure, nemmeno fosse stato lui quello alle porte del travaglio.
A sua discolpa si poteva però dire che erano già passate diciotto ore da quando Katniss aveva annunciato la “rottura delle acque”. Grazie a un rapido giro di chiamate, ci eravamo tutti precipitati nell’ospedale centrale, attendendo la nascita del secondogenito di Katniss e Peeta, ma il futuro neonato non dava segno di voler venire alla luce.
Nel frattempo, i vari presenti si erano radunati intorno al lettino dove un’impaziente Katniss cercava di ingannare il tempo.
‹‹ Sai perfettamente che non ti affiderei mai mio figlio. ›› precisò la donna ‹‹ Non ci tengo a vederlo diventare alcolizzato prima dei quindici anni. Se la genetica rispetta le sue regole, la possibilità che vincano gli alleli recessivi biondi di Peeta è infima.  Solo che il signor Mellark ci teneva a inserirti nella lista dei possibili padrini, giusto per cortesia. ››
‹‹ Grazie per la puntualizzazione ›› commentarono all’unisono i due diretti interessati.
Io mi limitavo a osservare sorridente l’evoluzione della situazione. Da quando ero diventato un libero professionista, svincolato dallo stupido regime di Capitol City, ormai caduto, la vita aveva assunto una nota di astratta serenità. Dopo tanti anni di guerre e patimenti, Panem iniziava a risorgere dalle ceneri. Sembrava di vivere in un sogno a occhi aperti, dove il mondo rincominciava a girare per il verso giusto. Soprattutto quel giorno, dove la piccola Primrose Mellark avrebbe finalmente conosciuto il suo fratellino.
‹‹ Anche io posso fare il padrino? ›› domandò la piccola, alzando la manina come all’asilo.
‹‹ No Prim, tu hai già l’importantissimo compito di fare la sorella maggiore. ›› rispose dolcemente Katniss. Quando parlava con la figlia sembrava quasi diventare un’altra persona, tanto le si addolcivano lo sguardo e la voce.
‹‹ E se non so fare la sorella maggiore? Non mi volete più bene? ›› chiese timidamente Prim, guardando con timore i genitori.
‹‹ Non scherzare, cucciola. Sarai la migliore sorella maggiore del mondo, e noi ti vorremo sempre bene. ›› la rassicurò Peeta, gli occhi stanchi illuminati da una tenera scintilla di amore.
Non avevo mai visto una famiglia così felice.
Ma anche i sogni prima o poi finiscono.
 


 
 ♦ ♦ ♦ ♦ ♦
 

 
 
Anche i sogni prima o poi finiscono.
 
 
 
‹‹ Perché mia moglie è ancora là dentro? ›› domanda esasperato Peeta.
Il dottore davanti a noi tiene in mano una spessa cartella piena di esami e tabelle.
‹‹ La signora Mellark è entrata in travaglio, ma c’è stata una piccola complicazione… ››
La parola “complicazione” mi fa scattare. L’ultima volta che l’ho sentita, la persona che mi era più cara al mondo è morta sotto i ferri.
‹‹ Di cosa si tratta? ›› chiedo subito.
L’uomo si toglie gli occhiali, lucidando le lenti con il bordo del camice. Attende troppo tempo prima di rispondere alla mia domanda.
‹‹ Al momento la diagnosi è riservata, non c’è motivo di preoccuparsi. Con permesso. ›› dichiara, rientrando in sala parto.
Torno a sedermi sopra le scomode sedie del corridoio. Peeta cammina silenzioso davanti al vetro che ci separa da Katniss.
Siamo rimasti solo io e lui: Haymitch si sente russare beatamente dalla sala d’aspetto, mentre la madre di Katniss ha accompagnato a casa la piccola Prim.
‹‹ Non le succederà nulla: è una donna forte. ›› sussurro, rivolto più a me stesso che a Peeta.
Lui si ferma un secondo, poi chiude gli occhi e risponde: ‹‹ Lo so ››.
Annuisco, asciugandomi il sudore delle mani sulle ginocchia. Non sopporto essere così teso, non essere lucido vuol dire non controllare i propri pensieri. E non posso concedermi il lusso di pensare ad Angie, non ora.
I secondi diventano minuti, i minuti ore.
Poi le urla di Katniss ci riportano alla realtà.
In meno di un secondo Peeta si fionda dentro alla sala, superando i due dottori di guardia. Lo seguo senza esitare, fermandomi però sulla porta. Dopo qualche istante, un’ostetrica solleva trionfante un neonato insanguinato.
Sorrido entusiasta al piccolo Rye. Sono stato io a suggerire il suo nome, per quello mi sono conquistato la candidatura come padrino. La tensione che mi attanagliava inizia a sciogliersi, mentre un’infermiera si precipita a pulire il piccolo. Poi, invece di mostrarlo ai due genitori, lo posa in un carrellino e si dirige rapidamente verso di me. La guardo confuso mentre mi supera ed esce dalla sala parto, camminando a passo svelto.
In quel momento mi rendo conto che nessun dottore ha abbandonato il lettino d’ospedale.
Il viso di Katniss è paonazzo, il lenzuolo che la ricopre è completamente insanguinato. La sua mano è stretta a quella di Peeta, mentre cerca il fiato per parlare.
Un nodo mi avvolge la gola. La tensione è tornata, questa volta più intensa di prima.
Intorno a me le voci agitate dei dottori parlano usando termini scientifici confusi, indistinguibili attraverso le mascherine igieniche.
Riesco a coglierne solo due: “emorragia interna”.
Cado in una sorta di trance, i suoni che mi circondano si ovattano e gli angoli del campo visivo di oscurano. Tutto quello che vedo è il viso di Katniss diventare sempre più pallido, i suoi occhi lucidi spegnersi, la sua mano stretta a quella di Peeta cadere.
E improvvisamente, la Ragazza di fuoco non è più.
 
 
♦ ♦ ♦ ♦ ♦
 

Mi manca il respiro. Eppure non appena cerco l'aria, i polmoni sembrano rifiutarla, come un lusso che non si possono più permettere. Sento la testa girare per la carenza di ossigeno, mi aggrappo alla sedia nel corridoio. Può un semplice pezzo di legno sostenermi? No, fisicamente sono in piedi, ma mi sento rannicchiato a terra, schiacciato dal peso della realtà.
Katniss Everdeen, la Ragazza di fuoco, vincitrice dei 74° Hunger Games, paladina della rivolta contro Capitol City, è spirata dopo aver partorito.
In un istante tutti i ricordi che ho di lei mi passano davanti. Quanto è passato dall'ultima volta che mi ha sorriso? Due ore? Se è passato così poco, perché ne avverto già terribilmente la nostalgia?
Sento gli addominali che si contraggono inutilmente, cercano invano di spostare il peso che si aggrava sul mio petto. Ricordo l'ultima volta che ho provato questa sensazione: ero in piedi sotto al mio salice, davanti alla lapide che porta inciso il nome di Angie. Mi sono aggrappato a quella lastra fredda, sentendomi però sprofondare.
Inconsciamente, mi porto una mano al cuore. Mi sembrava che il suo battito fosse stato soffocato dalla pressione che mi attanaglia, ma ora che lo sento sotto il palmo sembra pulsare con così tanta forza da voler scappare dal mio petto.
Sono confuso, non riesco a mettere a fuoco le persone che mi stanno intorno. C'è solo il vuoto che mi schiaccia.
Chiudo gli occhi, è come vivere un lungo dèjà vu. Ho già provato tutto questo, eppure non riesco a controllarlo. Quando Angie morì, il dolore continuò per mesi, senza dar segno di affievolirsi. Ora quel dolore è raddoppiato, e non sono sicuro di saperlo reggere.
Sono spaventato, sotto shock, non riesco a indirizzare i miei pensieri verso concetti sereni. So che nessun bozzetto mi strapperebbe al vuoto, resterei fermo a osservare il foglio stringendo la matita inutilmente. Nessuno dei rami del salice, accarezzandomi, riuscirebbe a scalfire il peso sul mio petto.
Il mio dolore mi spaventa. Perché sto rivivendo la morte di Angèlie? Perché per un attimo ho rivisto il suo viso mentre Katniss moriva?
Mi prendo la testa tra le mani. Da molto lontano sento le grida di disperazione di Peeta, ma in qualche modo sono insensibile alla sua disperazione. Non penso alla madre di Katniss, che dovrà seppellire per la seconda volta una figlia, o alla piccola Prim che non abbraccerà più la sua mamma. Penso solo agli occhi di Katniss che si chiudono per sempre.
E improvvisamente è tutto chiaro: vedevo in lei una sorta di reincarnazione della mia Angie. Riconoscevo in lei la sua grinta, la sua testardaggine, a volte persino la sua dolcezza. E per la seconda volta, tutto ciò che amavo e tuttora amo mi è stato strappato via.
Ma Katniss non è mai stata Angèlie. Anche se avevano alcune cose in comune, loro appartenevano a due mondi diversi, entrambi ormai scomparsi.
Riconosco nella furia straziata di Peeta quella che avevo provato anche io. Allora è vero che la storia si ripete, e che anche i sogni prima o poi finiscono.
Il mio cuore è ancora gonfio di tristezza e amarezza quando vedo l’infermiera di prima passare davanti a me con il carrellino. Mi alzo e corro verso di lei, sorretto da non so quale forza.
Lei rallenta e mi lascia avvicinare al bambino, che dorme tranquillo, ignaro della disgrazia appena avvenuta. Mi fermo a osservare quel faccino sereno, chiedendomi quanto sarà evidente la somiglianza con sua madre una volta cresciuto. Senza comprenderne il perché, sento che potrà essere felice insieme a suo padre e sua sorella. E anche se non fisicamente, so che Katniss non lo lascerà mai solo, come in fondo Angie non ha mai lasciato solo me.
Mentre una tiepida sensazione positiva mi abbraccia, quasi per caso alzo lo sguardo sui capelli del neonato. Sono neri come l’inchiostro.
Sorrido, sento le guance deviare il corso delle lacrime: ‹‹ Tua madre l’ha avuta vinta un’ultima volta, Rye. ››

 


*microfono prego*
Salve a tutti! Questo episodio è basato sul "What if?" che prevede la non-morte di Cinna per mano dei soldati di Capitol City. Ambientato poco meno di dieci anni dopo dalla fine di "Il canto della rivolta", è stato scritto grazie alla "situazione" scelta nel contest 1 su 24 ce la fa! di ManuFury, che imponeva che il protagonista, nel mio caso Cinna, assistesse alla morte di una persona che conosceva. Tutti i personaggi, tranne quello di Angèlie, sono frutto dell'invenzione di Suzanne Collins. Per conoscere meglio Angèlie, potete leggere questo capitolo:Quelle cose belle che...
Hope you enjoy! :)
  
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