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Autore: nuvolArcobaleno    29/06/2014    0 recensioni
Ho cercato di raccontare una situazione che, per quanto assurda, sia o sembri verosimile. Situazione che vede coinvolti una ragazza e un ragazzo... e un calippo.
P.S. sono presenti toscanismi, come "i mia" anziché "i miei" indicando i genitori.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era il giorno meno adatto ad uscire: pioveva, benché fosse ormai metà giugno, e l’aria era afosa e pesante.

Ma mi era stato fatto un invito che non avevo potuto rifiutare. Così adesso ero in viaggio, a piedi, senza ombrello poiché il temporale era arrivato all’improvviso, ed eccitata e fremente.

Il ragazzo che mi aveva invitato a passare il pomeriggio a casa sua era un mio compagno di classe. Questo, tutti gli anni, veniva rimandato ad inglese, così, finalmente, quest’anno si era deciso ad accettare il mio aiuto. Io, quindi, andavo due volte a settimana da lui e insieme facevamo i compiti di inglese per casa e gli rispiegavo cosa si era fatto a scuola.

Ma la scuola ormai era finita.

E lui era passato senza debiti.

E mi aveva invitato quel pomeriggio per, come aveva detto lui, “festeggiare il suo successo”... Un 6 ad inglese.

Ora, non è che non volessi andare perché trovavo una simile scusa stupida o credessi che si sarebbe potuto impegnare molto di più, cose vere tra le altre; il fatto è che non ero proprio nel periodo più propizio per andare a casa di un ragazzo carino, qualsiasi fosse la scusa.

Per intenderci, ero nel momento che Clear Blue definirebbe “il più migliorissimo assai”, ma che io, non essendo nelle condizioni di dover usare tale strumento (diciott’anni e single), definivo “il peggiore che si possa immaginare per stare in casa da soli con un figo pazzesco”.

 

Tremavo, un po’  per gli ormoni e un po’ per il freddo improvviso, mentre suonavo il campanello, ma mi rincuoravo dicendomi ripetutamente:

«Vabbé dai, in fin dei conti ci sono anche i suoi genitori in casa... «

Non avevo fatto in tempo a concepire quel pensiero che la porta si spalancò e mi trovai davanti lui. Tutto sorridente.

E senza maglietta.

  • Ehi ciao! Scusa se ti ho aperto così conciato, ma se avessi aspettato che mi cambiassi ti saresti ammollata... anche se, effettivamente, sei già a buon punto. - disse squadrandomi con occhio divertito.
  • Perché sei...? 
  • Oh, giusto! Ehm... mi sono rovesciato addosso la coca aprendola. Mi vado a cambiare un attimo e torno. Tu aspettami pure in salotto. 

Aveva brillantemente anticipato la mia domanda, così, per non mostrare che la mia domanda era proprio quella, chiesi:

  • Perché sei venuto ad aprirmi te? Se dovevi cambiarti poteva aprire tua madre o... 
  • Oh no, i mia non ci sono oggi. Sono entrambi a lavoro e torneranno per le otto, o forse dopo. 

Erano mesi che entravo in quella casa ormai, e tutte le volte ci chiudevamo i camera sua per studiare. Ma i suoi genitori erano sempre a casa. Invece adesso eravamo completamente soli e non mi ero portata dietro alcun libro di alcun genere.

Eravamo soltanto noi due.

Se fossi stata più sciocca o più piccola o semplicemente più stupida avrei detto che ero “preda delle mie emozioni”. Purtroppo non ero nessuna delle tre cose e la prima cosa che mi venne in mente furono le pagine del libro di scienze sull’apparato endocrino e quello riproduttore, e tutti quegli odiosi ormoni che circolavano per loro necessità per il corpo, modificandone i comportamenti e le reazioni.

Subito dopo pensai:

«Non c’è bisogno che ti cambi maglia, per me vai benissimo così.«

Fortunatamente non lo espressi a voce alta. Mi limitai soltanto ad un:

  • Okkey, ma fai in fretta. 

 

Speravo intensamente di apparire calma e rilassata, mentre dentro mi sentivo trepidante ed inquieta. A volte, in momenti simili, mi capitava spesso di chiedermi come facessero gli uomini a vivere tutti i giorni della loro vita di adulti in un simile stato d’animo; ma adesso non ne avevo proprio il tempo, ero troppo stressata.

Lui tornò dopo un paio di minuti indossando una maglia bianca piuttosto attillata.

  • Non mi pare di averti mai visto con quella, è nuova? - mi lodai interiormente per il tono calmo e sicuro che ero riuscita a tenere. 
  • No, in realtà ce l’ho da un po’, ma non me la metto mai... 
  • Trovo invece che ti stia bene! 

L’espressione più adatta sarebbe stata: «Quella maglia ti sta da Dio!«.

In particolare gli metteva in risalto il busto ben scolpito e le spalle e i pettorali grandi e massicci. Inoltre faceva risaltare la sua carnagione.

Forse non era proprio un granché di viso, ma io sono di parte e vi dico che era molto bello. Aveva occhi marroni e capelli castani, come tutti quelli che conoscevo della sua famiglia, tuttavia più scuri di tutti gli altri. I suo occhi erano penetranti e color mogano, marrone scuro tendente al nero, ma pur sempre marroni. I capelli erano mossi e corti, tagliati in un modo strano, non alla moda, ma che tuttavia gli donavano tantissimo, di un castano poco più scuro dei miei. Ma tutt’altro colore ed effetto aveva la sua pelle. A seconda di come mi sentivo la definivo color ‘ambra’ o color ‘miele’. In quel momento era ambrosia e niente di più dolce avrei potuto assaggiare oltre quella.

  • Grazie. - aveva un bellissimo sorriso.

Si sedette accanto a me e mi versò la Coca Cola in un bicchiere, raccontandomi come si era macchiato, alcuni minuti prima, di quella bevanda zuccherosa e appiccicosa.

La conversazione passò sulla scuola e lui propose un brindisi al suo primo anno senza debiti dalle medie e uno a me, che gli avevo permesso di arrivare fin lì.

  • O andiamo, io non ho fatto granché, mica ti ho dato aiuto nei compiti in classe! 
  • E’ stato il primo anno che ho fatto tutti i compiti senza bigliettini! E lo devo solo a te, che mi hai preparato tutti i giorni prima dei compiti! 
  • Non essere ridicolo... Ti ho aiutato solo nel secondo quadrimestre. 
  • Non ho affatto intenzione di essere ridicolo. Penso davvero che senza di te non ce l’avrei fatta! Cin cin! 
  • Beh, allora.. Cin cin! 

Conversammo per più di un’ora e mezzo degli argomenti più disparati, legati da connessioni improbabili e nel mentre ridevamo come pazzi.

  • Ah ah ah! Oddio! Com’è che siamo arrivati a parlare di questo? - riuscii a dire dopo che mi sentii soffocare per le troppe risa.
  • Non me lo ricordo! Parlavamo di scuola e poi boh! 
  • Hi hi hi! No, non farmi ricominciare di nuovo! 
  • Forse la coca ci ha istupiditi, che dici? 
  • Nah! Io credo che fossimo già stupidi prima e la coca abbia solo fatto liberare la follia. 
  • Forse io ero stupido anche prima, ma te di sicuro no! Trovo tu sia molto intelligente. 
  • Suvvia, io sono solo secchiona: studio tutto il giorno e poi ripeto. 
  • No, non è vero. Tutte le volte che accedevo a internet ti trovavo online da qualche parte mentre facevi altro e più di una volta mi hai confidato di esserti ritrovata a fare i compiti a notte fonda. Questo non è un comportamento da secchioni. 
  • Forse mi prendevi sempre nei momenti sbagliati. Non credi che sia una ragazza studiosa? 
  • Affatto. Dico solo che non sei secchiona, ma intelligente. 

Penso di essere arrossita a quel punto perché la conversazione si bloccò per un tempo incalcolabile. Infine lui ruppe il silenzio chiedendomi:

  • Facciamo merenda con un gelato? Credo di avere qualcosa in freezer. 
  • Okkey. Che abbiamo di buono? 

Al che lui ci pensò un attimo, quindi si alzò e si diresse in cucina. E cominciò ad elencare.

  • Allora... abbiamo coni al cioccolato, mini coni Bofrost, stecchi assortiti Coop, qualche sorbetto... Uh, Magnum al caramello! ... 

Stavo ancora decidendo in silenzio quando dalla cucina arrivò un’altra frase:

  • Sennò c’è il Calippo... 

 

Non se a voi è mai venuto in mente, ma per una mente perversa come la mia era inevitabile che prima o poi avrei fatto una classificazione dei tipi di gelato per ambiguità. E al momento descritto l’avevo già fatta.

Per ultimi ,al quinto posto, stanno le coppette gelato che, se il gelato in sé contiene già doppi sensi, quelle non gli aggiungono niente. Al quarto posto gli stecchi, da cui vanno distinti i Magnum, che a parer mio sono più vicini ai terzi che ai loro simili. Per terzi i coni gelato, per l’ovvio motivo che per mangiarli si leccano e poi per la loro forma. Al secondo posto i ghiaccioli, anche se non catalogati comunemente come gelati, ovviamente perché si succhiano. 

Voi tutti potrete anche essere in disaccordo con me e la mia classifica, ma non potete negare che al primo posto, indiscussamente e universalmente riconosciuto, ci stia il Calippo. Sempre.

Adesso, dopo questa insolita aggiunta, avrei dovuto farmi una serie di domande sulla circostanza, di cui le più giuste sarebbero state «Perché un adolescente single e figlio unico compra il calippo?« oppure, semplicemente, «Come?«. A quel punto, inoltre, avrei dovuto dire «No, penso che prenderò il Magnum...« che è il mio gelato preferito.

Avrei potuto dire tutto. Tutto. Tranne ciò che effettivamente dissi:

  • Il Calippo è buono, che gusti hai? 

Avrei potuto chiedere tutto, tranne quello.

Seguì un intervallo interminabile dove regnava il silenzio assoluto. Dalla cucina non proveniva più alcun rumore. Io, in salotto, mi maledicevo mentalmente. Me, la mia stupida bocca, la mia stupida mente pervertita e i miei stramaledetti ormoni!  

Fui quindi riscossa dai miei pensieri da un tran tran sospetto, che mi avvertì della ripresa attività di ricerca dalla cucina.

  • C-c’è al... limone... e poi... alla... coca... al cio-cioccolato... poi... poi... cocco, fragola... banana... 

Credo che fu il tono tremolante e quasi risentito con cui pronunciò “banana” che mi fece alzare dal divano per raggiungerlo in cucina; inoltre credevo che il Calippo lo facessero solamente al limone e alla coca e volevo chiedergli dove aveva trovato una varietà così vasta.

Stavo giusto entrando in cucina per porgli il quesito, che mi fermai a mezzo sulla soglia, la bocca aperta e il braccio proteso. In cucina non c’era nessuno. Il freezer era chiuso.

 

Mi guardai attorno perplessa. 

Il mio sguardo fu catturato dalla luce accesa che filtrava dal fondo del corridoio. Era quella di camera sua.

La mia curiosità si trasformò il paura, la mia eccitazione in terrore. 

Mi avvicinai pian piano. Mi aspettavo il peggio senza nemmeno sapere bene in cosa consistesse. 

Entrai e mi fermai sull’uscio.

Lui era dentro, accucciato a terra mi dava le spalle, la testa e un braccio sparivano sotto il letto; accanto a lui una serie di piccoli cosi quadrati.

Rimasi lì in silenzio, ad aspettare.

Finalmente sbucò da sotto il letto tutto esultante e si mise in ginocchio, il braccio col tesoro ritrovato alzato in segno di trionfo.

  • Ce n’è anche uno ai frutti tropicali! - esclamò, tentando di nascondere la gioia del ritrovamento del preservativo perduto.

Improvvisamente tutta la paura e il terrore di un attimo prima svanirono nel nulla. Mi ritrovai invece molto arrabbiata. Incrociai le braccia al petto ed assunsi l’espressione più dura e grave che mi riuscisse assumere. Poi esclamai con voce calma e contenuta:

  • Sai, comincio a credere che l’idea del gelato non sia stata un granché geniale. 

Lo vidi pietrificarsi come sotto un incantesimo, non riuscì a muoversi che dopo qualche attimo, allora si voltò, molto lentamente e si mise a fissarmi con occhi vacui e inespressivi. La sua faccia era una maschera di terrore.

Provò evidentemente a dire qualcosa, ma riuscì solo a boccheggiare come un pesce. Così presi io l’iniziativa:

  • Allora, hai un freezer sotto il letto, hai scambiato il tuo letto con un freezer o avevi piani particolari per la serata? 

Non riuscì nemmeno a staccarmi gli occhi di dosso, ed io ressi il suo sguardo, si mise solo a sedere sul letto e cominciò a balbettare parole indistinte.

  • No ecco...io...beh...ecco...vedi...io...te...non...insomma...ehm... - e continuò così per un po’ finché non si fermò di scatto ed esclamò, pieno d’angoscia:
  • Merda! - quindi si mise le mani nei capelli e affondò la faccia tre le ginocchia.

Inizialmente pensai persino di avere pietà di lui, ma fu un attimo. Ero decisa ad essere spietata fino in fondo, o almeno finché non mi avesse convinto che non ce ne fosse stato bisogno. La cosa cominciava a farsi divertente.

Ripresi sui miei passi, con l’intenzione di estorcergli la verità.

  • Ebbene? 

Rialzò leggermente la testa fino ad incrociare il mio sguardo.

  • Hai qualcosa da dire in tua difesa? 

Quindi annuì; prese un bel respiro; e cominciò:

- No, non ho niente; non ho scuse. Il mio obiettivo, ti giuro, non era questo. Avevo organizzato la serata per ringraziarti e soltanto per ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me quest’anno, in più l’hai fatto gratis e questo non è cosa di poco conto.

Sono tre anni che aspetto di riuscire a passare senza debiti, non sono mai stato una cima nemmeno alle medie in inglese. Poi però ho realizzato quello che mi hai detto l’ultima volta che ci siamo visti, prima del compito finale assurdo di fine programma: “Se finalmente riesci a passare senza debiti, questa è l’ultima volta che ci vediamo!”. Ho fatto di tutto per fallire quel compito, ma mi hanno passato comunque. Quando ho incontrato la prof gli ho chiesto com’era possibile, e lei mi rispose che l’ultimo compito l’aveva contato solo a chi l’aveva fatto bene. Così decisi che almeno un’ultima volta dovevo vederti. Per... ringraziarti, come ho già detto. In più, se la serata fosse andata bene, ti avrei chiesto di restare a cena e magari saremmo usciti la sera... Sì, è vero volevo provarci con te, ma non in quel senso che credi! Non sono un maniaco, puoi credermi!

L’idea malsana del “calippo” mi è venuta in mente ieri, quando ho scoperto che entrambi i mia non ci sarebbero stati questo pomeriggio. Non c’era un piano... era più una scommessa con me stesso: “Se accetta, le regalo un preservativo alla frutta.” Non li ho comprati apposta: sono lo scherzo dei diciott’anni dei miei amici; me li hanno dati a parte, perciò non lo sapeva nessun altro. 

Non c’era altro, giuro! 

Detto ciò aspettò che rispondessi, ma io continuai a fissarlo decisa, quindi concluse rassegnato:

  • Lo capisco se vuoi andartene e... non vuoi più vedermi. Non ti biasimo. 

Quindi distolse lo sguardo e lo fissò sul pavimento. Una mano passava tra i capelli, l’altra reggeva sempre il preservativo, appoggiata sul ginocchio.

 

Una qualsiasi ragazza a modo, sono sicura, si sarebbe girata e sarebbe uscita senza mai voltarsi e senza mai ritornare. Ma una ragazza a modo non sarebbe mai arrivata nemmeno a quel punto.

«Ho fatto trenta« pensai «posso fare trentuno.«

Perciò abbandonai la tecnica dell’incazzata e rilassai il volto e le membra. Mi avvicinai, raccolsi il resto del bottino da terra e mi sedetti accanto a lui sul letto.

Chi ero io per giudicarlo colpevole? E di cosa poi?

  • Certo che te ne hanno regalati un bel po’. Sono... due, sei... dodici. Due per ogni gusto più... - gli presi l’ultimo dalla mano. Lui si voltò quasi stupito.
  • Più uno solo ai frutti tropicali. Tredici... Cos’è, aveva un gemello anche questo, ma l’hai già usato? 

Mi stava sempre guardando stravolto, gli occhi lucidi. Fece debolmente segno di no con la testa. Continuai.

  • Sono tantini tredici preservativi. I tuoi amici credono che tu faccia molto sesso? 
  • No, - disse flebilmente, - sono soltanto dei pervertiti... 
  • Beh, devono considerare anche te tale, altrimenti non te li avrebbero regalati tutti questi. Ma non mi è sembrato che tu fossi così pervertito, le volte che sono venuta qui.
  • C-cerco di contenermi... 
  • Sì... - stetti ad aggeggiare ancora un po’ con il profilattico tropicale.
  • ...Anch’io. - ammisi alla fine, sorridendo.

Adesso sembrava molto confuso e perplesso, di sicuro la mia era l’ultima reazione che si aspettasse. I suoi occhi erano proprio belli.

Tornai al tropicale.

  • “Frutti tropicali”... secondo te ha lo stesso sapore del succo ai frutti tropicali? 
  • Non mi sono mai posto il problema: io, sai, devo solo indossarlo. 
  • Non ti è mai venuto in mente che un giorno potresti essere dal lato opposto di questo? - sventolando il preservativo.
  • No. Sono etero. 
  • E come fai ad esserne sicuro? Non credo tu abbia mai provato. 
  • Sono abbastanza sicuro. E poi neanche te hai mai baciato una ragazza, o sbaglio? 
  • Uhm... Touché! 

Quindi scoppiammo in una fragorosa risata e la conversazione continuò tranquilla su quel versante. Mi raccontò della festa a sorpresa che gli avevano fatto i sui amici, di come aveva dovuto ingegnarsi per non far scoprire lo strano bottino ai suoi. Ci scambiammo opinioni un po’ su tutto, parlando ora insieme ora a turno. Passammo tranquillamente a parlare di argomenti privati, anche se non troppo privati. Quindi mi sfidò a fare una partita ad un gioco di guerra e zombie. Stavamo sempre gareggiando quando suonarono le sette di sera.

  • E’ meglio che vada, mi aspettano per cena... 
  • Ma non abbiamo finito, stai vincendo tu, devo riprendermi! 
  • Avrai un’altra volta la tua rivincita. 
  • Perché non resti a cena qui? 
  • Aehm... No. 
  • Giusto, me lo merito. 
  • Però possiamo uscire qualche altro giorno. Ci sentiamo? 
  • O-okey! 

Mi alzai e presi il profilattico al tropicale.

  • Questo lo prendo io. Me ne spetta uno no? 

Quindi uscii, senza nemmeno dargli un bacio.

«Meglio,« pensai mentre ero in strada, «così ce ne sarà uno in più per la prossima volta.«

 

Tornai a casa a passo lento, guardando ammirata il paesaggio che accennava appena l’avvento del tramonto.

Sorrisi per tutto il tragitto ed andai a letto felice.

   
 
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