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Autore: Hermione Weasley    30/06/2014    6 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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WARNING: menzioni di stupro (accennato, mai descritto), situazioni minore/adulto.



9


So they dug your grave
And the masquerade
Will come calling out
At the mess you made

(Imagine Dragons – Demons)

 

Il respiro pesante dell'uomo dietro la tela, era l'unico rumore udibile. La luce filtrava dalla grande finestra aperta, illuminandole i capelli, sciolti sulle spalle, di mille riflessi. Una massa di fuoco in netto contrasto con il pallore della schiena scoperta. Sei come sangue sulla neve, le avevano detto una volta, lo spettacolo incontaminato della natura, deturpato da una traccia di morte. O di vita. Dipendeva dai punti di vista..

Era stata istruita a rimanere seduta ed immobile su un piccolo sgabello, un drappo rosso a coprirle le gambe e parte dei seni.

Quando il suo supervisore alla Red Room, Alexander, l'aveva prelevata per una questione urgente, tutto si era aspettata tranne che quello. Avevano viaggiato per svariate ore alla volta di una villa apparentemente dispersa nel niente. Non aveva idea di dove si trovassero. Aveva aspettato diligentemente che Alexander le presentasse un obbiettivo, una missione, ma tutto ciò che aveva ricevuto erano direttive in merito ad un quadro: un regalo di compleanno per il diciottesimo compleanno di Maksim, il primogenito del fratello maggiore del suo supervisore, Boris.

Non si era mai interrogata sulle condizioni economiche dei suoi capi: supponeva fossero benestanti. Niente avrebbe potuto prepararla a tanta opulenza, a tutta quell'eleganza caricata di pessimi presentimenti.

La porta della camera da letto, a cui dava le spalle, si era silenziosamente aperta e richiusa. Contò i diversi passi di due uomini: riconobbe l'incedere di Alexander accompagnato – suppose – dal fratello. Dovevano essersi fermati poco distanti dal pittore all'opera.

Avevi ragione, Sasha, l'adorerà,” parlavano sommessamente, ma non tanto da impedirle di sentirli.

Il quadro era veramente necessario?”

Necessario? No. Ma voglio che Maksim abbia un ricordo permanente di questo giorno.”

Cosa dovrebbe rappresentare, comunque?”

L'innocenza.”

Alexander si era messo a ridere.

 

*

 

Infossata in una morbida poltrona di velluto, Natasha osservava pigramente il dipinto che avrebbe dovuto ritrarla. I bagliori del camino acceso gli conferivano un'aria più inquietante che innocente: sembrava che le fiamme minacciassero di inghiottirlo da un momento all'altro, di ricongiungersi al fuoco dei suoi capelli.

Prese un sorso della pregiata vodka che Boris le aveva versato prima di allontanarsi per una telefonata urgente. Sarebbe tornato da un momento all'altro. Maksim, il figlio ormai quasi trentenne, le sedeva di fronte, sul divano di pelle: da quando era entrato, non aveva smesso di fissarla neanche per un istante. Non era cambiato molto dall'ultima volta che l'aveva visto: alto, magro, debole e crudele.

“Non sei più tanto innocente adesso, ah?” Le rivolse un sorriso sghembo, alludendo al quadro che incombeva su di loro. Il lato destro del suo viso sussultava a più riprese per colpa di un tic nervoso.

No, non lo sono mai stata, è diverso. Natasha si limitò a guardarlo, senza proferir parola.

“Mio padre non dovrebbe fidarsi di te... sei stata con quegli americani fino ad ora. Chi ci dice che tu non stia mentendo?” La velenosa cortesia che aveva esibito solo qualche secondo prima si era volatilizzata dal suo viso. I suoi occhi, neri come quelli di Boris, improvvisamente incattiviti.

“Nessuno,” rispose tranquillamente.

“Nessuno,” Maksim si mise a ridere, una risata viscida e insopportabile. “Solo perché l'hai salvato da quel porco ucraino, non significa che tu possa avanzare una qualche pretesa.”

Gli eventi della festa le avevano confermato che lo SHIELD non era l'unico nemico del magnate russo. C'erano altri interessi in ballo, altre forze in gioco.

“Non pretendo niente.”

“Sai cosa penso?” Si sporse leggermente in avanti, inumidendosi le labbra con la punta della lingua. “Penso che tu sia una schifosa traditrice. E quando mio padre se ne accorgerà, tu e quel tuo lurido tirapiedi farete una brutta, bruttissima fine. Me ne assicurerò personalmente.”

L'arrivo di Boris la sollevò dell'onere di glorificare i deliri di onnipotenza del giovane con una risposta.

“Scusatemi,” l'uomo riprese il suo posto su una grossa poltrona di cuoio. “Gli affari non dormono mai.”

“Di che dobbiamo parlare, comunque?” Il ragazzo era scattato in piedi, cominciava a spazientirsi.

“Non essere scortese, Maksim,” il rimprovero del padre fu pacato e diretto. “Natalia ci stava raccontando cosa le è successo in questi dieci anni.”

“Perché dovremmo crederle? E' una puttana traditrice!”

“Siediti e sta' zitto.”

Lo sguardo rabbioso del figlio sembrò saettare da una parte all'altra dello studio, alla disperata ricerca di una valvola di sfogo qualsiasi. Rosso in volto, inghiottì la frustrazione e si rimise seduto, rigido ed immobile. Solo quando la situazione parve essersi placata, Boris si decise a tornare su di lei, invitandola silenziosamente ad andare avanti.

“E' stato l'agente Barton a portarmi allo SHIELD.”

“Mio fratello sarà contento di sapere a chi dobbiamo la tua dipartita.”

“Se lo zio Sasha fosse qui all -”

“Maksim,” la voce imperiosa di Boris lo costrinse nuovamente a tacere.

“Quando mi sono ritrovata alla loro base, ho capito che fuggire non sarebbe stato possibile,” si strinse nelle spalle, sfoggiando un'apatica sicurezza. “Avrei potuto accanirmi contro di loro, oppure lasciare che provassero ad inserirmi nel sistema.”

“Una scelta saggia,” convenne l'uomo.

Natasha annuì. “Potevo restare chiusa in una cella fino al resto dei miei giorni, o tenere un basso profilo. Aspettare, far credere di essere una di loro, spingerli a fidarsi di me.”

“Sembra che tu ci sia riuscita egregiamente,” Maksim sottolineò sarcasticamente.

“Quando ho saputo di questa missione, ho capito che era arrivato il momento di ritornare a casa.”

“Ci sei mancata,” Boris allungò una mano fino a sfiorarle la sua. “Il progetto Red Room non è più stato lo stesso senza di te. Mio fratello si ostinava a non accettarlo, ma eri tu la migliore.”

I fratelli Shostakov – era riuscita a dar loro un cognome solo in quegli ultimi giorni – erano tra i maggiori finanziatori di quella segretissima ed oscurata sezione dei servizi di spionaggio russi. Boris, in particolar modo, poteva dirsi un uomo dagli interessi piuttosto eclettici: musica, arte, cucina, sfruttamento dell'energia, strategie politiche, amicizie internazionali. Alexander – Sasha – non aveva nessuna delle doti del fratello. La sua connaturata idiozia, l'aveva piuttosto portato a svolgere mansioni più pratiche ed immediate, come il diretto controllo delle reclute. La Red Room, per lui, era stata come un parco giochi. Aveva carta bianca: manipolazione, addestramento, sfruttamento. Non c'era alcun limite al suo potere decisionale finché non avesse messo in serio pericolo l'integrità delle armi che il progetto coltivava tanto accuratamente. Perderla doveva essere stato un duro colpo: non solo era stata la migliore, ma lo era ancora. Indiscutibilmente.

“Non puoi seriamente fidarti di lei!” Maksim aveva ripreso a muoversi nervosamente sul divano

“Non abbiamo motivo di dubitare,” Boris aveva stretto i pugni, le nocche bianchissime.

“E' una traditrice, ecco co -”

“Sono tutte programmate per autodistruggersi in caso di inevitabile compromissione,” l'uomo aveva alzato la voce, sovrastando quella del figlio, imponente e spaventoso. “Quando non c'è alcuna via d'uscita, la soluzione è il suicidio.” Natasha, immobile ed impassibile, si era vista indicare. “E' ancora qui perché la sua missione non è mai finita, ma si è riadattata nel tempo. O hai forse intenzione di dubitare del lavoro di una vita, Maksim?”

Il giovane era impallidito, uno strato di sudore a velargli la fronte. Rimasero in silenzio a lungo, solo lo scoppiettare del fuoco nel camino a riempirlo.

“Falle uccidere l'americano,” il ragazzo aveva parlato di nuovo.

“Voglio parlarci, prima,” Natasha si era rivolta direttamente a Boris. “Voglio che sappia come sono andate veramente le cose...”

“Sta cercando di guadagnare tempo, è ovvio!”

“... dopodiché, potrete fare di lui ciò che più vi aggrada.”

“Non ha neanche il coraggio di ammazzarlo, quel cane!”

“Se mi offrissi di ucciderlo, mi accuseresti di un atto di grazia,” si era voltata bruscamente verso il ragazzo, interpellandolo per la prima volta. “Occupatene tu. Oppure aspettate che Alexander ci abbia raggiunti e lasciate che sia lui a farlo. Non è la mia vendetta, è la vostra.”

Riprese a sorseggiare la sua vodka con aria disinteressata, due paia di occhi neri concentrati su di lei.

“Fatelo soffrire.”

 

*

 

Il doloroso pulsare delle tempie fu la prima cosa che riuscì a registrare. La vista riprese a tornargli poco a poco, ma gli ci volle comunque un'eternità per mettere a fuoco lo spazio in cui era relegato. Tre anonime pareti grigie, una porta di ferro sulla quarta, una telecamera in un angolo del soffitto. L'odore dell'umidità gli riempi le narici assieme a quello del sangue secco.

Cazzo.

Deglutì a vuoto, la gola fastidiosamente arida e una gran voglia di bere.

L'espandersi progressivo del dolore ad ogni parte del suo corpo, man mano che si risvegliava, gli suggerì che dovevano averlo pestato dopo... qualsiasi cosa fosse successa in quel salone.

Mentre si accorgeva di essere legato mani e piedi ad una sedia metallica, il pensiero corse immediatamente a Natasha. Una sofferenza tutt'altro che fisica accompagnò il ricordo della sera precedente: la festa, Shostakov, il caveau inesistente, la sua partner ricoperta di sangue da capo a piedi ad annunciargli che era finalmente tornata a casa. Gli aveva puntato una pistola contro e aveva fatto fuoco... o almeno credeva. Si passò rapidamente e sommariamente in rassegna: un'estesa bruciatura gli ricopriva la porzione di pelle appena sotto la spalla destra. Nessun foro di proiettile da nessuna parte. Pistola elettrica, realizzò.

Fu costretto ad ignorare anche il più piccolo briciolo di speranza che quella scoperta rischiava di portare con sé: Natasha poteva non averlo ucciso, ma la situazione era comunque tutt'altro che rosea. Per quale motivo gli si era rivoltata contro in quel modo? Se la missione era già andata a puttane mentre lui stava cercando il caveau, non avrebbero potuto tentare la fuga? Senza dimenticare quell'orribile presentimento che l'aveva tormentato per tutta la sera, prima ancora che le cose si compromettessero fino a quel punto. Ricordava la familiarità che le aveva letto sul viso quando avevano fatto il loro ingresso nel salone della villa: non solo Natasha ci era già stata, ma probabilmente conosceva anche Shostakov.

Possibile che avesse pianificato il tradimento tanto accuratamente? Di tradire lo SHIELD. Si chiese se non ci fosse qualche complicato gioco politico dietro tutto ciò; dopotutto Phil li aveva messi in guardia: il magnate russo aveva un aggancio ai vertici più alti dell'organizzazione.

Natasha non è al vertice e non può influenzare la nomina di un cazzo di nessuno.

Una cosa positiva c'era: un'anima pia l'aveva privato di tutti i suoi vestiti, fatta eccezione per i boxer. Probabilmente un modo per intimidirlo, renderlo più vulnerabile: contro ogni buon senso, Clint fu più che sollevato di essersi sbarazzato di quel dannato completo elegante da pinguino con gravi problemi deambulatori.

Tentò di muovere braccia e gambe con scarso successo: non c'era niente in quella stanza che gli avrebbe permesso di liberarsi. Sono fottuto.

Passi in avvicinamento dall'esterno catalizzarono la sua attenzione. Appunto. Lo scattare della serratura e il cigolio dei cardini anticiparono l'apparizione di Natasha. Un uomo, che Clint riconobbe come uno dei domestici di Shostakov, l'accompagnava.

“Lasciaci soli,” la donna gli si era rivolta in russo. Qualunque fosse la sua mansione specifica – se carceriere o lavapiatti – non sembrava sentirsi in dovere di mettere in discussione le richieste di Natasha. La porta venne richiusa pesantemente.

“Finalmente soli,” sentenziò meno sarcasticamente del previsto, inorridendo al modo in cui la voce gli era uscita di bocca.

“Finalmente soli,” gli fece eco.

Cercò avidamente nei suoi occhi un segno, un qualsiasi segno che potesse confermargli che Natasha era ancora dalla sua, che le sue azioni non erano altro che parte di una complessa manovra per farli uscire di lì (più o meno) sani e salvi.

Ma lo sguardo della ragazza era gelido come la sera precedente: una impenetrabile barriera di ghiaccio. Gli riusciva impossibile conciliare quell'immagine con la Natasha che aveva tutto sommato imparato a conoscere in quegli ultimi mesi. Accanitamente riservata e discreta, gelosa dei propri segreti e delle proprie debolezze, eppure capace di improvvise e brusche... gentilezze. Quella non era la sua Natasha.

“Dovrei farti qualche domanda sullo SHIELD,” dopo quel lungo silenzio, fu lei a parlare per prima, “ma credo che sarebbe uno spreco di tempo.” Si era appoggiata alla parete e lo osservava, vuota.

“Non ti darei un bel niente,” convenne, costringendosi a sostenere il suo sguardo, di interpretare il suo tono, la sua postura, le sue parole. Shostakov l'aveva mandata a fare il lavoro sporco?

“Lo so,” ribadì sovrappensiero, “non sono neanche sicura che tu sappia effettivamente qualcosa.”

“Era una specie di insulto?” Adesso era confuso.

“Più di dieci anni di lavoro allo SHIELD e sei ancora al sesto livello,” fece schioccare la lingua. “Ho impiegato un solo anno per eguagliare i tuoi miseri sforzi.”

Non l'avrebbe mai confessato a nessuno, probabilmente neanche a se stesso, ma le sue parole erano andate dritte al punto, lo ferirono.

“L'ambizione non è nel mio DNA.”

“E' questa la tua scusa?” Sembrava divertita da quella tentata giustificazione. “Non è la mancanza di ambizione, quanto piuttosto la tua cronica paura di fallire.”

“Ouch,” gli sfuggiva il senso di quel confronto. Cos'aveva intenzione di fare? Criticare aspramente le sue scelte di vita?

“Sei un codardo,” l'accusò placidamente. “Un ipocrita.”

“Non pago neanche le bollette in tempo, se vuoi aggiungerlo alla lista.”

“Hai sempre troppa paura che la gente ti veda per quello che sei veramente,” si era scostata dalla parete, aveva preso a girargli attorno. “Credi che non l'abbia capito, Barton? Il modo in cui ti tieni vicine solo le persone che hanno visto il tuo lato peggiore...”

Per quanto si stesse sforzando di ignorarla, quella considerazione gli era risuonata fastidiosamente vera. Il pensiero corse rapidamente al suo primo incontro con Coulson, alle condizioni pietose in cui versava la sua vita in quel particolare periodo, alla vena autodistruttiva che l'aveva posseduto per così tanto tempo. Aveva il terrore che qualcun altro potesse vederlo in quello stato: le persone che erano state parte della sua esistenza, l'avevano anche abbandonata una alla volta e decisamente per molto meno. Ma non lui, non Phil.

“Ti dispiace arrivare al punto?” Guardò altrove, incapace di sostenere il suo sguardo.

Deglutì dolorosamente, avvertendo la presenza della donna alle sue spalle. La sua voce, ruvida e fredda, gli risuonò nell'orecchio, facendolo rabbrividire.

“Il punto è che quando hai creduto di salvarmi, non hai fatto altro che prolungare la tua agonia,” sussurrò, sfiorandogli il collo con la punta delle dita. “Sei stato egoista... pensavi di cambiare la vita ad una povera ragazzina indifesa, quando in realtà volevi solo salvare te stesso.”

Gli girò lentamente attorno, fronteggiandolo. Allungò le mani, poggiandogliele sulle braccia immobilizzate ai braccioli della sedia.

“La tua coscienza non avrebbe mai retto il colpo,” le sue unghie presero ad affondare in modo calibrato nella sua pelle. “Non sei un assassino e non sei una spia. Sei solo un buffone,” aveva abbassato la voce fino a ridurla ad un bisbiglio inudibile. “Un vigliacco.”

Clint trattenne il respiro: il cuore gli martellava furiosamente in petto, il viso della donna tanto vicino da riuscire a sfiorare il suo.

“Vuoi sapere cosa penso? Penso che la distanza che metti tra te e le tue vittime non sia nient'altro che codardia. Uccidere una persona con le tue stessi mani... può essere così intimo. Personale,” lo marchiò con otto lunghi solchi rossi, “hai paura che ti piaccia. Hai paura che diventi una droga.”

“Natasha -”

Natalia.”

“Tasha...” si ostinò, “questa non sei tu. Credi che non ti abbia vista? Credi che non ti conosca neanche un po'?” Se la donna era veramente passata alle file nemiche, supplicarla non avrebbe potuto peggiorare la situazione. Se invece c'era ancora la possibilità che si trattasse di una messinscena – eventualità che una consistente parte di lui non osava scartare – assecondarla sarebbe stata la cosa più giusta da fare.

“No che non mi conosci,” piegò il capo di lato, aggrappandosi alle corde che gli legavano le braccia, “la verità non è mai sempre la stessa cosa per tutti.” Un fastidioso formicolio gli risalì fino alle spalle, come se la circolazione gli si stesse riattivando a pieno ritmo. “E io nemmeno.”

“Non hai fatto altro che recitare... fino ad ora,” esalò, i muscoli contratti per la tensione.

“Recitare è la mia specialità, Barton. Sei stato solamente troppo stupido per rendertene conto.”

Si rimise dritta, riprendendo a girargli attorno come un animale pronto a scagliarsi sulla sua preda, ormai in trappola. Clint avvertì le sue mani sulla schiena, sulle spalle e poi giù a riscendergli lungo il petto. Gli soffiò delicatamente nell'orecchio, sfiorandogli il collo con la punta del naso, saggiando la consistenza della pelle delicata con le labbra, prima di morderlo fino a segnarlo. Nonostante il contesto, e a dispetto di ogni buon senso, non poté fare a meno di sentirsi su di giri.

“Ti dirò la verità, Clint Barton,” bisbigliò, pronunciando le parole in modo strano, “mi piace uccidere. L'odore e il sapore del sangue, la sua consistenza. Guardare la vita che scivola via dagli occhi di una persona, mi fa sentire onnipotente. Un dio.”

Gli aveva cinto il collo con un braccio: lo costrinse a torcere il capo verso di lei, ancora appostata alle sue spalle. Clint si accorse che aveva gli occhi chiusi, come presa da chissà che maniacale delirio.

“Non mi potrò godere la tua dipartita,” mormorò, “c'è qualcun altro che vuole punirti. Sarà qui a momenti,” aveva pronunciato quelle parole con particolare enfasi. “Ti farà gridare e ti farà supplicare e io... io mi godrò finalmente lo spettacolo. Conta fino a trenta.”

Lo stomaco gli si contorse rabbiosamente, eccitato dalla troppa vicinanza, dalla pessima reazione che la sua voce gli scatenava e insieme preoccupato per il pericolo imminente. Natasha aveva trattenuto il respiro, afferrandogli il viso con entrambe le mani prima di impossessarsi ferocemente delle sue labbra. Lo baciò con furia, esplorando impazientemente la sua bocca con la lingua, quasi stesse cercando qualcosa. Il contatto l'aveva fatto avvampare: Clint non aveva potuto far altro che assecondarla. Si sarebbe anche abbandonato a quell'ultimo, estremo piacere che la vita aveva deciso di concedergli, se non si fosse accorto di qualcosa di piccolo e solido a premergli contro una guancia. Le dita di lei fecero scivolare qualcosa nel suo orecchio: gli sembrò di riconoscere la leggera pressione – familiare e appena percepibile – delle trasmittenti in dotazione allo SHIELD.

La donna si scostò bruscamente, sfuggendo prontamente al suo sguardo. La sua pelle sembrava bruciare laddove quella di lei l'aveva toccata solo un attimo prima. Si limitò a guardarla mentre richiamava l'attenzione della guardia appostata fuori dalla cella. Quando la porta si fu richiusa alle sue spalle, un tonfo sordo seguì alla definitiva uscita di scena della donna. Lo scattare della pesante serratura metallica non arrivò mai.

Si accorse che i legacci che lo avevano saldamente tenuto fermo alla sedia, si erano allentati.

La trasmittente nell'orecchio.

La consistenza di un chip di memoria sotto la lingua.

Natasha gli stava concedendo una via di fuga.

Contò fino a trenta.

 

*

 

La deflagrazione della minuscola carica di esplosivo decretò anche il blackout dell'impianto elettrico dell'intera villa. Natasha controllò l'orologio che aveva al polso: secondo i suoi calcoli ci sarebbero voluti almeno cinque minuti prima che il generatore secondario entrasse in azione, riattivando – oltre alle luci – il sistema di telecamere di sicurezza che costellavano ogni angolo di quell'inferno di legno, cemento, tappeti pregiati e dipinti ad olio di dubbio gusto. Richiuse il pannello che proteggeva il quadro dei comandi, scavalcando i corpi privi di sensi delle guardie che si era premurata di mettere fuoriuso. Per essere uno dei finanziatori della Red Room, Shostakov non sembrava prendere molto sul serio la sicurezza dei suoi sporchi segreti: non aveva avuto grosse difficoltà a liberarsi di quelle scocciature, preoccupandosi piuttosto di requisirne le armi.

Il percorso dal livello sotterraneo della villa – in cui Clint era stato relegato – al piano terra fu rapido e privo di intoppi. Dalle cucine al salotto al salone principale, atterrò e uccise con estrema precisione, tutti gli uomini di Shostakov che le si pararono davanti. In pochi ebbero il tempo di accorgersi di cosa stesse succedendo, delle armi che Natasha impugnava in ciascuna mano, prima di essere rispediti al creatore per direttissima.

Si era solennemente ripromessa che nessuno, nessuno sarebbe uscito vivo da quella villa. Non se avesse potuto evitarlo e a prescindere da quanto le sarebbe costato.

Stava per guadagnare le scale per il piano superiore, più che decisa ad affrontare Boris e quella pessima scusa di un essere umano che era suo figlio, quando una voce terribilmente familiare la costrinse a voltarsi.

Alexander Shostakov, ex-supervisore della Red Room, la stava fissando da una manciata di metri di distanza. I capelli ingrigiti prima del tempo, indossava un completo elegante di una taglia troppo grande, una grossa cicatrice in rilievo a segnargli il collo.

Natashka,” aveva cominciato a chiamarla così dall'orribile mattina in cui aveva ritrovato Nadja appesa al soffitto. Era il nomignolo che la bambina le aveva affibbiato sin dal suo arrivo: Alexander non si era fatto sfuggire l'occasione di tormentarla con quel ricordo.

“Alexander,” si voltò completamente verso di lui, irrigidendosi progressivamente man mano che la consapevolezza di trovarsi di fronte ad uno dei suoi aguzzini si faceva strada dentro di lei.

“Sei cresciuta.” L'uomo si muoveva guardingo, studiandola distrattamente. Non le ci volle molto per intuire e contare le armi di cui era in possesso.

“Mi piacerebbe poter dire lo stesso di te.”

“Io sono invecchiato, bambina,” rise sgradevolmente. “La delusione nel non vederti ritornare a casa è stata... cocente.”

“E' per quello che hanno tentato di sgozzarti come il maiale che sei?” Alluse alla cicatrice, facendolo impallidire mentre si portava una mano alla gola. Aveva fatto centro.

“Tu... non sei niente senza di noi.”

Niente ti assicura che non uscirai vivo di qui, Sasha.”

“Noi ti abbiamo creata.”

“Su questo hai ragione,” gli puntò la pistola contro, limitandosi a tenerlo sotto tiro. “Dovresti essere più che orgoglioso di trovare la morte per mano mia.”

“Sei solo una stupida cagna traditrice.”

“Cagna e traditrice, forse, ma stupida...” scosse il capo, rivolgendogli un lento, subdolo sorriso, “vi siete assicurati che non potessi esserlo. Mai.”

“Ti saresti dovuta uccidere.”

“Qualcuno me l'ha impedito.”

“Lo SHIELD?”

“Lo SHIELD non c'entra niente.”

“Chi allora?”

“Solo qualcuno a cui importava.”

Lo sparo rimbombò fino al soffitto.


 
****************


Non potevo tenere in piedi la finzione troppo a lungo (e sono felice che abbiamo tutti grande fiducia nella nostra Natasha <3), MA la missione non è ancora finita e di certo neppure i guai. Per le spiegazioni del perché e percome tocca aspettare :P Neanche l'incursione in territorio dark (per Natasha) rimarrà relegata a questo capitolo (anzi, mi ci divertirò pure troppo). L'unica puntualizzazione che faccio è che Sasha, in russo, è il diminutivo di Alexander (nel caso non si fosse capito troppo bene).
Siamo tra l'altro al giro di boa ;_; la storia avrà 18 capitoli e siamo esattamente a metà *sigh sob*
Ringraziamenti di rito ad Eliiii perché sì olueis forever e di nuovi a chi legge e commenta :') means a lot! <3

E prima di passare & chiudere, momento di pubblicità occulta. Se volete farvi un paio di risate (o piangere dall'orrore, questo non dobbiamo dirlo noi XD), vi consiglio di leggere l'ultima delirante boiata concepita dalle menti malate della socia Sheep01 e della sottoscritta *cough cough*

Once Upon a... Motherfucker

Boh, io ve l'ho detto! :P

Per tutto il resto, alla prossima!
S.

 
  
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