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Autore: frankieroruinedmylife_    30/06/2014    2 recensioni
E’ estate. La scuola è finita ed io tengo stretto un pezzo di carta tra le mani. Quel pezzo di carta che avevo custodito gelosamente per due interi e lunghissimi mesi.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frank Iero
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ssssalve, eccomi qui, di nuovo. Ho pubblicato una fanfic un po' di tempo fa che non ho mai finito. E non è la prima volta che non ne finisco una.. La differenza è che evito quasi sempre di pubblicarle. Ma questa è una One Shot. Quindi inizia e si conclude da sola, no? c: Questa volta, però, non tratterò della Frerard, non volevo qualcosa di dettagliato in cui impegnarmi seriamente. Volevo scrivere e basta. E in quel momento avevo voglia di scrivere di me. Ma penso che questa storiella rispecchi non solo il mio desiderio, ma un po' quello di tutte voi. Ammetto che è una cosina banale e non ho idea di quante visualizzazioni potrà fare. Due, tre? Ma se volete solo condividere un piccolo sogno con me, leggendo anche solo per il piacere di leggere e nulla di più, ve lo consiglio. Bando alle ciance, è molto corto, ma incisivo (almeno credo >u<). Spero vi piaccia. Bye tesorini c:




 

Era una fresca giornata di primavera e le vacanze erano ormai alle porte. Si prospettavano lunghi giorni di ozio, musica e cibo a volontà. Anche se, la musica ed il cibo a volontà erano sempre stati presenti, in ogni mia giornata, che fosse stato inverno o estate. Stava di fatto che, avere il pensiero fisso nella mente di quelle prospettive, mi rendeva assai lieta. Il sole, tiepido tra le nuvole, illuminava le strade. Osservai l’ora sul mio cellulare. Si stava facendo tardi, dovevo rientrare. Così, infilate le cuffiette nelle orecchie, mi avviai per la strada di casa, dondolando la testa a ritmo di metal e punk-rock. Camminavo, lo sguardo basso, le labbra che mimavano le parole della canzone corrente, il venticello pomeridiano che mi accarezzava i capelli e le braccia scoperte. Camminavo, il volume al massimo, i clacson delle macchine, manifesti attacchi d’ira causati dalla mia disattenzione quando attraversavo la strada. Camminavo, sorridevo. Camminavo. D’improvviso mi scontrai con qualcuno. Spalla contro spalla. Piede su piede. Emisi un versaccio ed alzai lo sguardo verso la persona che avevo colpito. La fronte aggrottata, il sole proprio sopra ai miei occhi mi impediva di distinguere perfettamente la figura davanti a me.

-Oh, perdonami, ero distratto!

Pian piano la figura si fece più nitida e, di fronte, un ragazzo, probabilmente un uomo, teneva le mani distese, completamente tatuate, ed un’espressione dispiaciuta si estendeva sul suo viso. Portava dei baffi radi, un pizzetto ed una barba incolta gli accarezzava tutto il mento. Capelli tagliati corti, degli occhiali da sole che si tenevano sul naso, un paio di tatuaggi anche sul collo. La figura era nitida ormai, ma non potevo fare a meno di serbare la fronte aggrottata. Non potevo crederci, non potevo credere che proprio davanti ai miei occhi, proprio lì, in quelle strade sconosciute di Roma, d’Italia, c’era l’autore della canzone che stavo ascoltando in quel momento. Proprio in quel momento. Proprio davanti a me. Non seppi come reagire, ero immobile, il battito cardiaco accelerava e rallentava senza pace, sarei potuta svenire. L’altro cercò di svegliarmi da quella fase di trans, ma sembrava quasi impossibile. Un’istante, un momento, un secondo ed emisi un urlo, l’urlo più forte, più potente che avessi mai potuto emettere. Il cuore accelerava, rallentava, ed io cominciai a saltare di gioia. Gli occhi erano lucidi. Frettolosamente cercavo un pezzo di carta ed una penna dalla borsa. Il cuore, bum bum. Avevo bisogno di un ricordo, un ricordo di quegli istanti, quei momenti, quei secondi. La musica continuava a pulsare nelle mie orecchie. Sprizzavo sgomento, agitazione, da tutti i pori. Mi mancava l’aria. Davvero, sarei potuta svenire. L’uomo davanti a me intuì la mia richiesta, nel mentre gli porgevo con la mano tremante un pezzo di carta stropicciato ed una penna biro nera, consumata per metà. Sorrise. Sorrise perché ero così ridicola, non riuscivo a dire una parola, tremavo. Bum bum.

-Come ti chiami?- mi chiese.

-B..B-be..Beatrice..- riuscii a balbettare con grande fatica.

L’altro scrisse qualcosa sul pezzo di carta. Mi riconsegnò tutto quanto.

Silenzio. Pausa. Io immobile, tremante nella mia immobilità. Lui sorridente, gli occhiali che lentamente gli scivolavano, lasciando intravedere i suoi occhi color nocciola. Occhi grandi, come un cucciolo. Ancora silenzio. Poi lui ruppe il ghiaccio. -Gradirei che non facessi parola con nessuno di avermi visto. Sono qui per una missione ‘segreta’-. Lo disse con tono scherzoso, ma davvero non ne avrei fatto parola a nessuno di quell’incontro. Volevo custodirlo nel cuore, tenerlo stretto, come se fosse stato soltanto mio. Annuii goffamente. Lui sorrise ancora. Mi pizzicò una guancia e mi salutò. Sparì, alle mie spalle, nel mentre la musica nelle cuffiette si acquietava. Non ebbi il coraggio di voltarmi ed osservarlo disperdersi in lontananza. Avevo sempre immaginato per lui un’andatura impacciata. Non volevo scoprire se la mia immaginazione fosse davvero azzeccata. 

E’ estate. La scuola è finita ed io tengo stretto un pezzo di carta tra le mani. Quel pezzo di carta che avevo custodito gelosamente per due interi e lunghissimi mesi. Fa caldo ed io, stesa sul letto, lo contemplo, me lo rigiro tra le mani e continuo a leggere quella frase. “A Beatrice, che mi sembra un po’ imbarazzata, da Frank”. Smile. La rileggo. Mi soffermo ancora sullo smile. Sorrido. A volte ho il dubbio che quell’incontro non ci sia mai stato nella realtà, solo nella mia fantasia. Ma poi appoggio il pezzo di carta sul mio petto, il cuore accelera e rallenta senza pace. E mi sembra di rivivere quel momento. Non ne ho mai parlato con nessuno e mi sta bene così. Mi sta bene così perché lo voglio tutto per me. Mi sta bene così, davvero.

  
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