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Autore: FrancescaPotter    30/06/2014    1 recensioni
Dal primo capitolo:"C'era una persona della quale la legge le impediva di innamorarsi. Una sola persona sulla faccia della terra e, ovviamente, Emma Carstairs si era innamorata proprio di quella persona. Si trattava del suo migliore amico, Julian Blackthorn. "
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Carstairs, James Carstairs, Julian Blackthorn, Theresa Gray, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE DELL'AUTRICE:

avevo iniziato questa fanfiction qualche mese fa, poi, causa scuola e problemi vari, l'avevo abbandonata solamente al primo capitolo. Ora però l'ispirazione è tornata e cos' anche io. Ho bene in mente la piega che voglio dare agli eventi, quindi... I'm back. Vi avverto che è meglio che abbiate già letto Cit of Heavenly Fire... non ci sono spoiler. Ad esempio, la storia del ballo annuale me la sono inventata di sana pianta, però potrebbero esserci dei leggeri riferimenti al finale di TMI, quindi se non volete rovinarvi assolutamente niente, è meglio che prima leggiate il libro.

Detto questo: uomo avvisato, mezzo salvato.

Spero vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate nelle recensioni che apprezzo tantissimo e, se amate Harry Potter (in particolare di Malandrini) potete dare un occhio alla mia altra long su James e Lily “I will be your hope”

Grazie a tutti,

a presto,

Francesca

 

Una folata di vento riscosse Emma dai suoi pensieri.

La ragazza si rese conto di essere ancora in spiaggia ad osservare l'orizzonte, dove il sole era appena tramontato.

«Emma! Ecco dov'eri, ti ho cercata dappertutto.»

Alla fine l'aveva trovata. Non poteva nascondersi per troppo tempo da lui, perché Julian in un modo o nell'altro l'avrebbe trovata. Di sicuro l'essere Parabatai aiutava molto, ma c'era qualcosa di più. Lui era speciale: riusciva a capirla anche con un semplice sguardo, con un semplice gesto o movimento del corpo; era come se fosse dentro di lei, come se fossero una cosa sola e nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Julian nel suo cuore.

«Ciao.» Lo salutò con il sorriso che le si disegnava spontaneamente sul viso ogni volta che lo vedeva. Nella luce rossastra i suoi capelli avevano assunto una tonalità più chiara e Emma avrebbe voluto scostarglieli di lato, ma si trattenne. Era senza maglietta e indossava un paio di larghi pantaloni neri da allenamento, e Emma si prese un momento per osservare la linea che saliva dalla sua vita disegnando gli addominali scolpiti. Nonostante vivesse a Los Angeles, Julian non era il tipico ragazzo californiano che le ragazze sperano di incontrare durante le vacanze di primavera. Aveva la pelle chiara e capelli ricci color cioccolato che gli ricadevano sugli occhi; certo, amava il surf, ma la sua grande passione era la pittura. Passava intere giornate a dipingere con acquerelli, tempere, pastelli a cera o anche solamente con una matita. A volte le mostrava le sue opere e le chiedeva dei pareri, altre, invece, non le permetteva di vederle. Emma si chiedeva spesso il perché, ma lui le rispondeva che erano troppo “personali” e che, se mai gliele avesse mostrate, poi avrebbe dovuto ucciderla.

«Che fine hai fatto? Mi sono dovuto allenare con Tiberius che non la smetteva di lanciarmi coltelli addosso, Livvy che lo difendeva ogni volta, e Dru che piangeva perché non le prestavo attenzione. Raziel, non vedo l'ora che Jem e Tessa ritornino da Idris.»

Da quando la loro precedente allenatrice era morta durante la presa dell'Istituto da parte di Sebastian e dei suoi Shadowhunters oscuri, era stato Jem Carstairs ad occuparsi del loro allenamento, che ora però si trovava a Idris per una riunione del Conclave, quindi erano stati Emma e Julian a prendersi la responsabilità di allenare i più piccoli.

«Hai ragione, scusami. Avevo bisogno di tempo per pensare.» Emma si era completamente dimenticata dell'allenamento, ed era profondamente dispiaciuta di averlo lasciato solo a gestire tre ragazzini vivaci come i suoi fratelli minori.

«Pensare a cosa?» Chiese tranquillamente lui sedendosi sulla sabbia, mentre le tirava piano la mano per invitarla a raggiungerlo per terra. Emma si lasciò trascinare sul suolo e raccolse le gambe stringendole al petto. Il suo braccio destro sfiorava quello di Julian, e nei punti in cui la loro pelle era a contatto, la ragazza riusciva a sentire il calore rassicurante del corpo del suo parabatai.

«Niente in particolare.» Mentì prontamente evitando il suo sguardo. «Guardami.» Le disse, ma lei continuò a mantenere gli occhi puntati contro il mare che aveva assunto una bellissima sfumatura rosso chiaro.

«Emma.» La chiamò con tono divertito. «Emma, guardami.»

Ubbidì, e quando immerse gli occhi nei suoi il suo cuore mancò un battito per poi accelerare improvvisamente. Aveva sempre amato quella sfumatura di verde-azzurro che caratterizzava gli occhi dei Blackthorn, e aveva sempre desiderato che anche i suoi occhi fossero di quel colore, ma in quel momento, mentre Julian la fissava così intensamente da togliere il fiato, iniziò ad odiarli. Sì, li odiava. Profondamente.

Era terribile essere innamorata dell'unica persona che sapeva non avrebbe mai potuto ricambiare i suoi sentimenti, e, da quando lo aveva ammesso a se stessa, la situazione era peggiorata drasticamente, perché ora Emma sapeva dare un nome alle strane sensazioni che provava.

Continuava a ripetersi che probabilmente quello non era amore, e che era solamente un grandissimo affetto verso il suo migliore amico, nonché Parabatai. Perché non poteva essere innamorata di lui. La legge lo proibiva, quindi doveva farselo passare, autoconvincendosi che prima o poi si sarebbe innamorata di qualcun altro e che quello che provava per Julian era paragonabile all'affetto che si ha per un fratello. Dopotutto lei era figlia unica, quindi non poteva saperlo...

«Lo stai rifacendo...»

«Cosa?» Chiese stupita.

«C'è qualcosa che ti turba, lo sento... qui dentro.» E si toccò la runa che lei stessa gli aveva disegnato sulla clavicola.

Sorrise a quel ricordo e cercò di rassicurarlo. «Non preoccuparti, va tutto bene. Sono solo un po' stanca.»

«Okay.»

Ecco un'altra cosa che amava di lui: non invadeva i suoi spazi, mai.

«Che ne dici di ritornare all'Istituto?» Propose. «Muoio di fame, e si mangia l'arrosto stasera.»

«Tu odi l'arrosto.» Gli ricordò lei.

«Oh...» Sì bloccò lui mentre si alzava. «Hai ragione, ma credo che lo mangerò comunque. Sai come si dice, o mangi la minestra...» Le pose una mano per aiutarla a tirarsi in piedi e lei la accettò volentieri. Julian era l'unica persona dalla quale accettasse qualsiasi tipo di aiuto.

«O salti dalla finestra?» Concluse il proverbio.

«Esatto.»

«Andiamo, allora.» Rise lei. Il suo Julian la metteva sempre di buon umore, e anche quella sera non fu diverso.

Giunti all'Istituto, i due ragazzi andarono a fare una doccia calda e a cena Emma riusciva a sentire la tensione tra Tiberius e Julian. Il primo teneva il muso al fratello maggiore, e lei percepiva quanto a Julian dispiacesse che il fratellino lo trattasse così. Gli mise una mano sulla gamba e gli scrisse con il dito “Stai bene?”. Lui le rispose disegnando sul palmo della sua mano un “Non preoccuparti.”

Quando erano bambini, questo era il loro modo di comunicare segretamente per non farsi sentire dai genitori e, con il passare del tempo, lo avevano mantenuto anche per parlare normalmente.

«Quando ritorneranno Jem e Tessa?» Chiese Dru a zio Arthur.

«Domani, tesoro.»

La bambina sentiva molto la mancanza di Tessa, che per lei era quasi come una mamma, e sorrise felice alla notizia del suo imminente ritorno. Anche Emma era molto affezionata ai due: Jem era il parente più vicino che le fosse rimasto e, con il tempo, aveva iniziato a chiamarlo 'zio Jem'.

«Arriveranno anche i Whitelaw con i due figli.»

«Cloe e Joshua? Per l'Angelo, odio quei due.»

«Tiberius, per favore. Comportati in modo educato.»

«Chi sono?» Chiese Emma non ricordandoli.

«Sono i gemelli figli di Bernadette e Andrew Wihitelaw. Hanno diciotto anni e una volta mi sono azzuffato con Joshua.» Disse tranquillamente Tiberius come se fosse la cosa più normale dell'universo essersi azzuffato con un ragazzo molto più grande di lui.

«Aspetta, ti sei azzuffato con Joshua?» Chiese Julian a bocca aperta. «Perché?»

«Perché sua sorella aveva insultato il vestito di Livvy.»

«E perché non hai picchiato lei, allora?» Chiese Emma ragionevolmente.

«Perché non si picchiano le ragazze.» Disse semplicemente lui.

«Ma se sono Shadowhunters puoi picchiarle eccome, Tiberius!» Si agitò lei. «Scommetto che Cloe -è così che si chiama, vero?- sarebbe stata in grado di difendersi tanto quanto il fratello, se non meglio!»

Calma” le scrisse sulla gamba Julian.

Tiberius, dal canto suo, scrollò le spalle e tornò a mangiare le sue carote con estrema concentrazione.

«Come mai non ricordo nessun Whitelaw?» Chiese Emma confusa. Anche quando i suoi genitori erano ancora in vita, passavano sempre il tempo con i Blackthorn, quindi non capiva come fosse possibile che non li conoscesse.

«Eri alle Hawaii con Jem e Tessa. I Withelaw sono venuti qui per il ballo annuale e si sono fermati per una settimana perché l'Istituto di Mosca aveva dei problemi a causa della neve.» Le spiegò il suo parabatai.

«Ah, è vero, quell'anno me lo sono persa. Gestiscono l'Istituto di Mosca, quindi...»

«Già...»

«E cosa pensi di loro?» Gli chiese abbassando il tono di voce.

Sono okay.” La risposta arrivò sul suo avambraccio. Sono okay significava che non gli piacevano poi così tanto, Emma ormai lo conosceva. Julian era sempre gentile e fantastico con tutti, il suo opposto, in pratica. Se una persona non gli stava a genio, la evitava educatamente, invece di infastidirla con sarcasmo o batterla spudoratamente in una sessione di combattimento come faceva invece Emma.

«Come mai vengono qui?» Domandò preoccupata Livvy. «Per quanto tempo si fermeranno? Oh no, non mi piacciono per niente.»

«Livvy, non preoccuparti.» La rassicurò suo fratello gemello. «Se ti infastidiranno in qualsiasi modo, tu vienimelo a dire, che li sistemo io.»

«Basta, voi due. Mi aspetto che vi comportiate tutti in modo educato e che accogliate i nostri ospiti con il calore che si meritano. Sono passati anni da quell'episodio, e sono sicuro che Cloe e Joshua siano cresciuti, così come voi, ragazzi.» Li apostrofò zio Arthur. «Comunque, verranno qui perché ultimamente è stata registrata un'intensissima attività demoniaca nella zona e abbiamo bisogno di tutto l'aiuto necessario. Inoltre i Whitelaw erano stufi marci del freddo perenne di Mosca. Si fermeranno fino a data da determinare.»

«Oh, no...» Borbottò triste Livvy affondando il viso nel bicchiere d'acqua. «Spero solo che non prenderanno ancora in giro il mio vestito al ballo di quest'anno.»

«No, Livvy tesoro,» replicò paziente lo zio. «Sono sicuro che non dirà niente nessuno.»

Dalla guerra combattuta contro Sebastian Morgenstern, il 22 di Dicembre, si organizzava una grande festa in uno degli Istituti più prestigiosi. Lo scorso anno era toccato a Londra, quell'anno sarebbe stato il turno di Los Angeles.

Emma odiava quel ballo; odiava doversi mettere un vestito, scarpe scomode e doversi sistemare i capelli, e, per di più, odiava dover sorridere ed essere affabile con tutti gli Shadowhunters che andavano da lei o per presentarsi o per scambiare qualche parola sulla tragica morte dei suoi genitori. Odiava l'alta società, ecco. Julian, invece, sembrava nel suo elemento. Distribuiva sorrisi e risposte pertinenti a tutti e sembrava perfettamente a suo agio. Emma, però, sapeva che non sopportava quella festa tanto quanto lei, l'unica differenza era che lui sapeva nasconderlo molto bene.

Notando il suo nervosismo, Julian le sussurrò «Non ci pensare adesso, mancano ancora due mesi al ballo.»

Aveva ragione, non aveva senso preoccuparsi in quel momento, a Dicembre ci avrebbe pensato.

 

 

Quella sera non riusciva a dormire.

Era andata a letto con una strana sensazione all'altezza del petto e con il pensiero fisso di Julian. Seriamente, doveva darci un taglio.

Tirò indietro le coperte e si alzò stizzita e per incamminarsi verso la grande terrazza all'ultimo piano che dava sull'Oceano. Li c'era una veranda per proteggersi dal sole durante le ore più calde e alcune sdraio e poltroncine di pelle bianca. Emma si svaccò su una di esse e, scossa da una brivido di freddo, rimpianse di non aver portato una felpa con sé.

Era Ottobre inoltrato ormai, e nonostante di giorno il clima fosse ancora abbastanza caldo, con il calar della sera si abbassavano notevolmente le temperature.

«Brutti sogni?» Chiese una voce familiare alle sue spalle.

«Niente di particolare.» Rispose senza nemmeno voltarsi. «Non riuscivo semplicemente a dormire.»

Julian prese una sdraio e la avvicinò alla poltrona sulla quale Emma era rannicchiata e vi si lasciò cadere sopra con un tonfo. «Lo sai che puoi dirmi ogni cosa, vero?»

Era quello che aveva sempre creduto anche lei, ma ciò che la tormentava... no, quello non poteva dirglielo e basta. Non poteva opprimerlo con quel terribile fardello, perché sicuramente lui non avrebbe ricambiato i suoi sentimenti e probabilmente avrebbe provato pena per lei, e Emma non voleva che Julian si sentisse in colpa per essere così dannatamente fantastico. Meritava di essere sereno e felice, e se per assicurarsi che lo fosse, Emma avesse dovuto tenersi dentro quei sentimenti per il resto della sua vita, lo avrebbe fatto.

«Lo so.» Gli rispose con un sorriso forzato. «Ti preoccupi troppo, Julian.» Continuò, dandogli una pacca sul braccio.

«Emma.» L'intensità con la quale pronunciò il suo nome la stupì parecchio. «Quando vorrai parlarne, io sarò qui. Solo... credo di sapere cosa c'é che non va.»

Che cosa? Lo sapeva? Lo intuiva? Non era possibile. Si era impegnata così tanto per celare quello che provava, e lui lo aveva capito comunque... incredibile! E ora cosa avrebbe fatto? Sicuramente lui non avrebbe più voluto avere niente a che fare con lei, il loro rapporto sarebbe cambiato e non poteva permetterlo.

«Julian, mi dispiace così tanto. Non l'ho deciso io, é solo che... »

«Ehi, é normale. So che é presto per pensarci, ma penso che il dolore non passerà mai. Anche io ci penso sempre.»

«Ehm... cosa?» Chiese Emma stupita.

«Parlo della morte dei tuoi genitori. Tra qualche mese cadrà l'anniversario, e anche il ballo, e so che odi particolarmente quel periodo dell'anno... quindi ho pensato che fosse quello che ti turba in questi giorni.»

Oh, Raziel, ti ringrazio! Pensò Emma.

«Sí, hai ragione. É quello. Inoltre non sto facendo progressi nel trovare i loro assassini.» Cercò di cambiare discorso. «Sembrava che quella pista dataci dai lupi mannari fosse buona, e invece si è rivelato un malinteso.»

«Non demordere. Ce la faremo, te lo prometto. Non importa se siamo solo io e te, io e te é abbastanza.» Allungò una mano verso la sua e la strinse forte. Emma non riusciva ad esprimere quanto si sentisse fortunata ad averlo al suo fianco. Se lo avesse perso, non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei.

«Hai ragione, io e te va benissimo, ma a volte un po' di aiuto da parte del Conclave non farebbe male.»

Quando i genitori di Emma erano morti il Conclave non aveva voluto condurre indagini approfondite riguardo il loro assassinio. Diedero tutti per scontato che fossero stati uccisi dai seguaci di Sebastian, ma Emma sapeva che non era vero. Ai tempi si era ripromessa che si sarebbe allenata con zelo fino a quando non fosse stata pronta per andare a cercarli, coloro che le avevano portato via i genitori, e avere cosí la sua vendetta. L'anno precedente, quando aveva iniziato le ricerche, il Conclave si era rifiutato di darle qualsiasi tipo di aiuto, avendo da tempo archiviato il caso. L'unico disposto ad darle una mano era stato Julian.

«Guarda il lato positivo: meno siamo, meno attiriamo l'attenzione.» L'umore di Emma era ben lontano dal migliorare, ma comunque apprezzò il tentativo.

«Ehi, ma hai le mani congelate.» Sembrò rendersi conto improvvisamente. Le avvolse piano tra le sue e ci soffiò sopra per riscaldarle.

«Tieni, prendi, o diventerai un ghiacciolo.» Le disse porgendole la sua felpa con un sorriso.

«Cosí tu diventerai un ghiacciolo però.» Gli fece notare lei.

Julian ci pensò su un po', poi decise di tenere la felpa. «Facciamo così, allora. Alzati.»

Emma ubbidì con una scrollata di spalle senza fare troppe domande. Julian si sedette sulla poltrona e poi la prese in braccio, circondandola con le sue braccia per scaldarla.

«Cosí va bene?» Le sussurrò all'orecchio.

Emma si rilassò e si accoccolò meglio su di lui, appoggiandosi al suo petto.

«Cosí va benissimo.»

E si addormentò.

 

 

 

  
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