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Autore: alwendil    30/06/2014    4 recensioni
Mentre il loro popolo dimentica lentamente, e il Quenya diventa poco più di un accento, una parola inserita in una frase per trasmettere un concetto che il Sindarin non può allo stesso modo, poco più di una nozione che i bambini imparano nei libri di storia… mentre tutto questo accade, è confortante sentire la sua lingua parlata da qualcuno che ama… sapere che c’è qualcun altro oltre a lui che ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Fingon, Maedhros
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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NB: Alwendil  non è un’ autrice italiana, pertanto la seguente fan fiction è stata tradotta e postata da me, Ghevurah, con il suo consenso. Per leggere la storia in lingua originale (inglese) cliccate qui
Tradurrò all’autrice gli eventuali commenti alla storia e lo stesso farò con le sue risposte, prima di postarle qui su EFP.


Disclaimer: questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. Personaggi, luoghi e avvenimenti appartengono a J. R. R. Tolkien e a chi ne possiede i diritti, nessuna violazione di copyright è pertanto intesa.




NOTE DELL’AUTRICE: una storia brave che ho scritto di getto dopo aver letto il post di fieldofheathers sulla messa al bando del Quenya.



 








 
Lingua Madre












Si chiamano l’un l’altro “Maedhros” e “Fingon” solo in pubblico. Non sembra mai giusto… nomi alieni, una lingua aliena adottata per convenienza e poi per coercizione. Maedhros si adegua in fretta, ma non gli piace. Gli piace ancora meno quando non ha più scelta. Eppure non c’è nulla che possa fare. Fingon è quello che si lamenta davvero al riguardo.

“Odio chiamarti così. E odio sentire te chiamarmi così. Odio dover tradurre tutto quello che dici nella mia testa…”

“Mi dispiace…”

“È solo che…” Fingon stringe la mano dell’amico con forza “… non dovrei rielaborare nulla per capirti. Mi manca com’era semplice un tempo. Mi manchi tu.”

Ha senso, in qualche modo…  non sono più le stesse persone che erano nel Valinor. Nient’altro dovrebbe essere lo stesso.

Ma in privato parlano Quenya. La lingua che hanno imparato dalle loro madri, che hanno cantato in tempi felici, la lingua che parlavano quando si sono incontrati la prima volta… E si chiamano con i nomi che hanno ricevuto dai loro genitori, che si sono dati l’uno l’altro. È semplice, farli rotolare dal pensiero alla lingua… sussurro, pianto, riso, gemito. Il Quenya è diventato il linguaggio dei loro cuori: questo è il modo in cui Findekáno vede la cosa. Maitimo ride all’idea, ma… è confortante. Mentre il loro popolo dimentica lentamente, e il Quenya diventa poco più di un accento, una parola inserita in una frase per trasmettere un concetto che il Sindarin non può allo stesso modo, poco più di una nozione che i bambini imparano nei libri di storia… mentre tutto questo accade, è confortante sentire la sua lingua parlata da qualcuno che ama… sapere che c’è qualcun altro oltre a lui che ricorda.

Questa è la cosa peggiore, quando Findek-

… quando Fingon se ne va.

(No. In realtà non è affatto la cosa peggiore.)

(La cosa peggiore è che la persona che ha amato, la persona che lo ha amato a propria volta, in qualche modo, dopo tutto, la più gentile, la più coraggiosa, la più dolce… l’unica persona che conoscesse a meritare più di questo… la cosa peggiore è che ha sofferto. Solo. Combattendo per lui. E ora se n’è andato.)

Quando lo ha trovato, il corpo distrutto e il viso coperto di polvere e sangue secco, non ha saputo trattenersi. Ha urlato, singhiozzato, pianto nella loro lingua madre, ma non c’è stata alcuna risposta…

Dopo, non parla più Quenya. Neanche Maglor lo fa. Gli altri suoi fratelli sono morti, e non c’è nessun altro… non è rimasto nessun altro a chiamarlo con il nome datogli da sua madre, nessun’altro che ricordi com’ erano, da dove vengono, nessun altro che ricordi Tirion, che ricordi le loro canzoni, le loro storie, le loro parole

È facile perdere se stesso, così. Nulla lo connette alla persona che era. Tutti quelli che avrebbero potuto vincolarlo al passato sono morti, o dispersi, o sono a loro volta troppo persi per aiutarlo a ricordare.

Elrond gli chiede della sua lingua madre, una volta. 

“È tutto nei tuoi libri di storia, va’ a vedere lì.”

“È così asciutto, però. Non posso immaginare come qualcuno possa veramente… parlarlo.”

“Beh, non ne avrai una dimostrazione da me. Ora prosegui la lettura. Ti restano soli pochi minuti prima che Maglor inizi a cenare.” 

(È più facile chiamarlo “Maglor” che “Makalaurë”. Per distinguere il fratellino che suonava e danzava, dal guerriero, dall’assassino, da colui che ora chiama “fratello”. Non c’è nulla di diverso fra loro, in realtà… ma lui ha bisogno di credere il contrario.)

Non vuole. Non può. Non più. Ricorda Findekáno dirgli di come il Quenya fosse diventato il linguaggio del cuore, e il cuore di Maedhros era squarciato quando-

Non c’è nessuno. Nessuno con cui voglia ancora avere questo. Nessuno da cui voglia farsi ricordare il se stesso d’un tempo… è più facile in questo modo. È più facile bruciare e massacrare se non ricorda chi che era prima di imparare come fare.

Così ha dimenticato.



 
   
 
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