Non so da dove mi sia uscita
questa cosa. Non di certo
dalla mia esperienza, perché non ho mai vissuto una cosa
simile, ma volevo
scrivere qualcosa che simboleggiasse la disillusione di questa ragazza.
Non mi
piace molto, avrei potuto fare di meglio. Il finale non è un
vero e proprio
finale, ma così l’ho immaginato.
A
guardare le
stelle si resta delusi
A
guardare le stelle si resta delusi. Le persone alzano
gli occhi verso le stelle in cerca di speranze e di sogni, ma le stelle
non
sono altro che una reazione chimica e non hanno sogni dentro il loro
essere.
A guardare le stelle si resta delusi.
Per questo io non le guardo mai, ma stasera le guardo. Le guardo
perché non
posso restare delusa, questa volta. Le guardo perché non ho
più nulla da
perdere e non cerco neanche una speranza.
Le guardo perché è l’unica cosa che
posso fare, ora.
Poche
ore prima...
“Sei
incantevole”
Edmund, il mio migliore amico e il mio coinquilino, mi sorride
appoggiato alla
porta del bagno con una finta aria da bello e impossibile. Il mio cuore
manca
un battito e fa una capriola all’indietro con doppio salto
della morte e io
resto per un secondo senza fiato.
“Ehi, Emily! Tutto bene?” Edmund mi scuote per le
spalle e il suo viso è molto
vicino al mio, il che non aiuta il mio cuore a riprendersi dal mancato
battito.
I suoi occhi verdi sono troppo vicini perché io posso
evitare di perdermi
dentro e non mi riscuoto dalla trance fino a quando Edmund non si china
e
avvicina le sue labbra alle mie, ma non mi bacia.
“Edmund!” Torno in me e lo allontano in fretta,
arrossendo. Lui sorride e alza
le spalle come a scusarsi. Avrei tanto voluto rimanere così,
con il suo volto
davanti al mio e le sue labbra troppo vicine alle mie, ma
l’ho dovuto
allontanare perché è quello che si aspetta da me.
Io e lui siamo migliori amici
da quando avevamo sei anni e abbiamo condiviso tutto. I brutti e i bei
voti, le
belle e le brutte esperienze e ora anche l’appartamento. Lui
aveva detto che
avrebbe affittato una casa e sapendo che sarei andata anche io al
College, mi
aveva invitata a vivere con lui.
Solo perché sei la mia migliore
amica
– aveva detto, con un sorriso scherzoso – Se
fossi stata un’altra ragazza non l’avrei fatto.
E’ pericoloso vivere a contatto
con una ragazza che prova qualcosa per te. Invece so che tu non
proverai nulla
per me.
E non poteva immaginare che io ero già innamorata
di lui.
Ho accettato. Che altro potevo fare? Dirgli che provavo qualcosa per
lui?
Sarebbe stato imbarazzante.
“Sei stupenda” dice Edmund, riportandomi alla
realtà, con un bel sorriso sul
suo meraviglioso volto e guardandomi. Mi guardo allo specchio.
Indosso un vestito bianco che mi arriva al ginocchio, con dei fiori
neri e una
cintura in vita. I miei piedi sono costretti in sandali neri dal tacco
così
alto che penso di poter cadere solo spostando il piede di soli 1, 2 cm.
Ho raccolto i capelli neri e mossi in uno chignon finto disordinato
– che, nel
mio caso, è vero disordinato, visto che non sono capace di
fare uno chignon
normale – e ho truccato leggermente i miei occhi neri. Non mi
sento
particolarmente bella. Non sono proprio un’acciuga, ma
neanche una balena,
eppure non mi piaccio. Edmund dice che io sono giusta, né
una 40, né una 48.
Infatti sono una 44. Ma non mi piaccio ugualmente.
“Dici?” Chiedo al mio migliore amico, con
un’espressione scettica. “Sono
orribile”
“Non dire sciocchezze!” Lui storce il naso e mi
sorride. “Sei fantastica. Chi è
il fortunato?”
Il fortunato che esce con me? Il ragazzo più fico di questo
pianeta.
Ok, non diciamo sciocchezze.
Il ragazzo con cui esco stasera è Logan, un ragazzo
piuttosto anonimo che ho
incontrato in un bar e che mi ha chiesto di uscire. Io gli ho detto di
sì,
giusto per dimenticare un po’ Edmund.
“Logan. Si chiama Logan” mormoro, tornando a
guardare il mio riflesso. Metto un
po’ di rossetto rosso Chanel e sorrido al mio amico.
“Uhm...mi racconterai tutto” Edmund sorride e io
rimango folgorata dal suo
sorriso da pubblicità del dentifricio.
“Tu cosa fai stasera?” chiedo, mentre prendo la mia
borsetta e arranco sui miei
tacchi per raggiungere la porta. Il mio amico mi guarda divertito.
“Resto a casa. Non ho voglia di uscire” risponde,
sorridendomi, poi si china su
di me e mi bacia sulla fronte, mentre io rimango raggelata al mio
posto. “Tu
divertiti”
“Non so a che ora torno...”
“Ti aspetto per domani mattina!” Edmund sorride e
chiude la porta. Io scendo le
scale e mi avvio verso il luogo dell’appuntamento.
Io
e Logan ci dovevamo incontrare fuori al bar dove ci
siamo incontrati alle otto e mezza. Io sono arrivata alle otto e un
quarto e
ora sono quasi le nove, ma di Logan non c’è
traccia. L’unica parvenza di vita,
qua fuori, era una macchina nera ed elegante, ultimo modello uscito
dalla
concessionaria, che si è fermata davanti a me e il
conduttore mi ha chiesto
quanto prendevo per un’ora.
Io l’ho fulminato con lo sguardo e ho smesso di giocherellare
con il manico
della borsetta.
“Non sono una prostituta” ho detto, storcendo il
naso e lui se n’è fuggito.
Io sono rimasta a guardare la macchina e ho controllato ancora una
volta
l’orologio. Erano le nove meno un quarto.
Ora sto chiamando Logan, ma ha il telefono staccato. Il tempo di posare
il mio
telefono nella borsetta, che mi è arrivato un messaggio.
Elisabeth,
mi dispiace, ma non posso venire. Un mio amico si è fatto
male ed è finito
all’ospedale. Possiamo fare un altro giorno?
Non
so se sentirmi più offesa per il fatto che abbia
persino dimenticato che mi chiamo Emily o più stupida per
essermi messa in
ghingheri ed essere ridotta a tornare a casa qualche ora in meno del
previsto.
Chiamo un taxi, ma quello non si ferma. Come se non bastasse, inizia a
piovere.
Nessun taxi si ferma.
C’è una sola cosa che posso fare: chiamare Edmund.
Compongo in fretta
il numero del suo
cellulare e mi risponde al secondo squillo.
“Emily?” mi chiede preoccupato. Io singhiozzo al
telefono. Ecco, piango. A
volte sono fin troppo emotiva e mi odio. “Ehi, tesoro. Cosa
succede?”
“Logan mi ha bidonata” dico, asciugandomi le
lacrime con il polso. “E mi ha
chiamata Elisabeth. E non trovo un taxi. E piove, perdiana!”
Mi riparo sotto ad un balcone e mi stringo nella mia giacchetta nera
che mi
sono portata, mentre Edmund sospira al telefono.
“Ti vengo a prendere. Dove sei?”
Gli do l’indirizzo e lui chiude la conversazione.
Sono
qui sotto da mezz’ora e Edmund ancora non è
arrivato. Rabbrividisco. Piove ancora e io sento freddo. Mi stringo
nella
giacca, ma è troppo leggera e non ne ottengo nulla, solo un
altro brivido di
freddo. Mi asciugo l’ennesima lacrima e guardo la strada.
Neanche una macchina.
Squilla il telefono e io rispondo.
“Emily? Sto arrivando” dice Edmund al telefono, con
voce atona.
“Grazie” mormoro e sento che lui sospira,
rassegnato.
“Figurati” mormora e poi attacca. Io mi stringo
nella giacca ed esco in strada,
dove c’è una macchina che mi aspetta. La raggiungo
in fretta ed entro dal lato
del passeggero.
“Ciao” dico. Edmund mi saluta con un gesto della
mano e non dice altro.
Lo guardo. Sembra arrabbiato.
“Scusa” mormoro, allacciandomi la cintura Lui mi
guarda e poggia la sua mano
sulla mia ed io rabbrividisco, non più per il freddo, ora.
“Tutto bene?” chiede, stringendo forte la mia mano.
Io annuisco e lui mi
sorride. “Ok, andiamo a casa”
Ma quando arriviamo sotto casa, la pioggia è talmente fitta
che rinunciamo a
salire e aspettiamo in macchina che spiova.
“Come mai Logan non è venuto?” chiede
Edmund, guardandomi con un sopracciglio
inarcato. Io scuoto la testa e chiudo gli occhi, appoggiandomi al
sediolino e
bagnandolo completamente.
“Ha detto che un amico è finito in
ospedale” rispondo, asciugandomi le ultime
lacrime. Lui si sporge un po’, si slaccia la cintura e mi
abbraccia,
infischiandosene dei miei vestiti bagnati.
“E’ uno stupido, Emily” mi sussurra
all’orecchio, accarezzandomi la schiena.
Io, inevitabilmente, piango. Mi stringo a lui da sopra il freno a mano
e poggio
la mia testa sulla sua spalla. “Non sa quello che si perde.
Sei fantastica”
Singhiozzo ancora, un po’ per la rabbia un po’ per
la vicinanza di Edmund,
anche se so benissimo che non posso aspirare di più di un
abbraccio o un bacio
sulla fronte.
“Grazie” dico, smettendo di piangere e scostandomi
da Edmund. Il suo volto è
vicino al mio, le sue labbra si muovono ma non ascolto quello che
dicono. I
suoi occhi verdi mi fissano preoccupati, ma io chiudo gli occhi e poso
un bacio
nell’angolo della sua bocca, poi sposto le mie labbra sulle
sue e lo bacio. Lo
bacio. Bacio Edmund. Lui rimane rigido.
“Emily...” mormora lui, mentre io mi allontano da
lui, chiedendomi cosa abbia
fatto. “Io...”
“Ha smesso. Andiamo” dico, uscendo in fretta dalla
macchina. Ma non ha smesso
un bel niente e, appena mi ritrovo fuori, vengo investita da una
quantità
terribilmente incredibile di acqua che quasi annego.
Prendo le chiavi, ma tra la pioggia e le lacrime non riesco ad aprire
il
portone. Edmund, dietro di me, prende le chiavi dalle mie e apre il
portone. Lo
guardo attraversare l’atrio e dirigersi verso
l’ascensore in fretta, con la
camicia bagnata di pioggia e i capelli pieni d’acqua. Io
salgo a piedi e ci
ritroviamo sul pianerottolo. Mi apre la porta e io corro in camera mia.
Mi tolgo i vestiti bagnati e li ammucchio in un angolo, poi indosso il
mio
pigiama. Sciolgo lo chignon in cui avevo raccolto i capelli e li
strizzo, ma
non penso neanche lontanamente di asciugarli.
Mi siedo al davanzale della finestra e scosto un po’ la
tenda, per guardare il
cielo.
A
guardare le stelle si resta delusi. Le persone alzano gli occhi verso
le stelle
in cerca di speranze e di sogni, ma le stelle non sono altro che una
reazione
chimica e non hanno sogni dentro il loro essere.
A guardare le stelle si resta delusi.
Per questo io non le guardo mai, ma stasera le guardo. Le guardo
perché non
posso restare delusa, questa volta. Le guardo perché non ho
più nulla da
perdere e non cerco neanche una speranza.
Le guardo perché è l’unica cosa che
posso fare, ora.
“Emily?”
Guardo la porta. Edmund è lì. Indossa ancora i
vestiti bagnati ed è più bello
del solito, ma gli occhi mi si offuscano immediatamente e mi
impediscono di
guardarlo.
“Tutto bene?”
Scuoto la testa e torno a guardare fuori dalla finestra, singhiozzando.
Edmund
mi mette una mano sulla spalla e, chinandosi, mi posa un bacio sulla
tempia. Io
rabbrividisco e lui si scosta da me e si siede sul davanzale accanto a
me.
“Mi dispiace”
Io torno a guardare lui e metto su un’espressione di ghiaccio.
“E di che?” chiedo, con voce tagliente. Lui si alza
e mi abbraccia. Appoggio la
testa sul suo addome e chiudo gli occhi, ma sento che
c’è qualcosa che non va.
Non diciamo nient’altro. Ad un certo punto lui si scosta da
me e mi tira dal
davanzale. Mi porta in camera sua e mi fa sedere sul suo letto, poi
tira fuori
un asciugamano e mi strizza i capelli. Prende una spazzola e me li
pettina,
anche se sono solo un cespuglio di rovi. Io mi lascio cadere sul letto
senza
neanche coprirmi e Edmund scivola accanto a me e mi abbraccia. Io
poggio la
testa sul suo petto, ancora bagnato e lui mi stringe forte a
sé. Poi mi posa un
bacio sulla fronte e ci addormentiamo così.
Apro
gli occhi e scosto Edmund da me, prima di alzarmi
dal letto e affacciarmi al balcone per guardare le stelle. Le lacrime
riaffiorano
agli occhi, ma io non le verso. Rimango con le braccia poggiate sulla
ringhiera
e gli occhi puntati al cielo.
E’ inutile guardare le stelle, si rimane delusi.
Sento un rumore dietro di me ed Edmund mi abbraccia, posandomi un bacio
sulla
guancia.
“Siamo ancora amici?”
Rido.
Non so perché lo faccio. Forse per scaricare la tensione.
“No”
Una sillaba.
“Te ne vai?”
Il suo tono è deluso. Punta i suoi occhi verso il cielo e
tira su col naso.
“Sì”
Chiudo gli occhi e le stelle scompaiono.
“Mi mancherai. Ti voglio bene”
Scuoto la testa e mi allontano da lui.
“Io ti amo. Per questo devo andarmene”
Apro gli occhi e lo guardo. I suoi occhi sono puntati verso le stelle.
Anche io
le guardo.
Ma a guardarle si resta solo delusi.