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Autore: Queen of Superficial    01/07/2014    0 recensioni
“Cos'ha quella panchina che non va?” chiese incerta l'Oracolo, trovando la forza di sollevare la tazza e dare un sorso a quel liquido già imbevibile quando gliel'avevano portato caldo.
Un lieve, inatteso sorriso sferzò il volto dell'Imperatrice.
“Stavo per dirti che è un altare di ricordi, ma mi sono resa conto che non è vero.”
L'Oracolo la fissò dal profondo dei suoi occhi scuri con una punta di curiosità.
“E' una sostanza più densa, più viscosa del ricordo... Mi verrebbe da chiamarli desideri, ma non sono neanche questo. Né sogni, né aspettative. Lì c'è una maigrafia.”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel mondo io vi mando,
come pecore in mezzo ai lupi.

 

 

L'angolazione del sole gettava ombre lunghe sulla panchina davanti al National Theatre; l'Imperatrice la fissava afona, persa in una nebbia di pensieri densi. Una voce la riscosse dal torpore: “Cosa stavi dicendo?”
Con la velocità di un lampo, puntò due occhi attenti sull'Oracolo, seduta di fronte a lei al tavolino del bar; tra di loro, un posacenere di ceramica e due tazze di caffè ormai freddo.
“Stavo dicendo”, disse, recuperando a fatica il filo di un qualunque discorso, “Che io ero questa. Ero abituata a combattere i lupi. E poi d'un tratto, quasi senza preavviso, i lupi sono spariti. E quel che è rimasto ero io, una sterminatrice di lupi in mezzo alle pecore.”
“Può essere destabilizzante, per persone come noi, la normalità.”
Alzarono insieme lo sguardo sulle nuvole che sfilavano indecise al di là delle cupole delle cattedrali di Blackfriars, ma l'Imperatrice stornò presto di nuovo gli occhi sul punto che prima fissava con tanta pesante intensità.
“Cos'ha quella panchina che non va?” chiese incerta l'Oracolo, trovando la forza di sollevare la tazza e dare un sorso a quel liquido già imbevibile quando gliel'avevano portato caldo.
Un lieve, inatteso sorriso sferzò il volto dell'Imperatrice.
“Stavo per dirti che è un altare di ricordi, ma mi sono resa conto che non è vero.”
L'Oracolo la fissò dal profondo dei suoi occhi scuri con una punta di curiosità.
“E' una sostanza più densa, più viscosa del ricordo... Mi verrebbe da chiamarli desideri, ma non sono neanche questo. Né sogni, né aspettative. Lì c'è una maigrafia.”
“Una che?”
“Una maigrafia. Come una biografia, ma più complessa: fatta non di cose che sono accadute, ma di cose che sarebbero accadute, se avessero potuto. Mi spiego?”
“Parzialmente.”
Un fulmine sferzò il relativo sereno di Londra, andandosi ad abbattere da qualche parte al di là dell'orizzonte, in campagne misteriose che nessuno si era dato la pena di esplorare.
“Troveremo il modo, vedrai.”
L'Imperatrice osservò l'Oracolo da sopra alla tazza, mentre un ciclista sfrecciava così vicino al loro tavolo da far svolazzare la tovaglia.
“Per fare cosa?”
“Per convertire i mai in qualcosa di più accettabile.”
“Magari, in poi.”, azzardò l'Incantatrice.
L'Oracolo fece un gesto curioso con una mano inanellata di corallo.
“I poi sono peggio dei mai. Almeno i mai ti danno un lasso di tempo preciso, per quanto vasto, per abituarti alla miseria.”
L'Imperatrice sarebbe sempre stata più piccola dell'Oracolo, e non solo per una questione anagrafica: era proprio più bambina, se la cosa può avere un senso. Per questo era lei, delle due, l'Infanta Imperatrice. Indicò l'anello dell'amica.
“Ora che ci penso, corallo è l'anagramma di oracolo.”
“No, corallo è l'anagramma di orlacolo. C'è una 'l' di troppo.”
“C'è anche una 'o' di troppo. Per dare orlacolo, la parola dovrebbe essere ocorallo. O coralloo.”
“Allora, per stare tranquilli, diciamo che io sono un orlacolo con un anello di coralloo.”
L'Imperatrice scoppiò a ridere.
“Magari si potesse fare così con tutto.”
“Così come?”
Si strinse nelle spalle.
“Piegare la realtà.”
Studiò il profilo dell'Oracolo che analizzava la panchina; aveva sempre pensato che lei avesse la bellezza un po' solenne di un cammeo, ma non glielo disse. Non quella volta.
Ruppe un silenzio che minacciava di diventare un sottinteso: “Allora, ti sposi.”
L'Oracolo si voltò a guardarla, sorridendo pacata sotto gli occhiali da sole: “Se qualcuno deve sposare il mio fidanzato tanto vale che sia io, ho pensato.”
L'altra sbuffò, divertita: “Da quali divinità nordiche dell'emicrania hai detto che discendi?”
L'anello di corallo si posò protettivo sopra le sue dita, e disse: “Non è colpa tua, sai. Gli uomini non sopportano che tu sia più intelligente di loro.”
“Gli uomini non sopportano quasi niente.”
“Uno consente agli altri di essere debole o manchevole quando non lo è. Quando lo è, invece, non sopporta il confronto. Neanche al negativo. Tanto vale concorrere per il podio, pure se in palio c'è la medaglia per il più coglione.”
“Ma non era 'mal comune mezzo gaudio', Oracolo?”
“Appunto. Male altrui, inutile rottura di palle. Male proprio, amare lacrime private. La vita è un mestiere solipsistico, tuttalpiù possiamo tentare di far convergere le solitudini davanti a una bottiglia di vino.”
L'Imperatrice la guardò con affetto: “Ho sempre pensato che, in fondo, per quanto ci considerassimo sempre i buoni della situazione, in realtà siamo degli adorabili stronzi. Molto più tagliati per fare i cattivi.”
L'Oracolo diede un sorso noncurante al caffè: “L'intelligenza messa a servizio del male è comunque più accettabile della demenza messa a servizio del qualunquismo. Della prima, almeno, soffrono solo le vittime.”
“Non si possono evitare i danni collaterali.”
“E comunque, saremo anche intelligenti e votati per talento al male, ma non siamo i cattivi.”
“Può anche darsi. In ogni caso, non sono d'accordo: l'intelligenza applicata al bene richiede uno sforzo sovrumano, di gran lunga superiore a quello che si fa per votarla al male.”
“Oltretutto staremmo bene, vestiti da supervillains.”
“Ti ricordo Malefica.”
“Me la ricordo da me.”
Una studiava la riva del Tamigi e l'altra il pavé, ma tornarono presto a guardarsi.
“Perché soffriamo tanto spesso, Oracolo?”
“Perché conosciamo le leggi del mondo, mia cara. E non sappiamo fare finta di non conoscerle.”
“Dovremmo evitare di salutarle, quando le incrociamo per strada.”
“Esatto. Dovremmo proprio voltargli la faccia e cambiare marciapiede.”
“Ma quelle non hanno contorni, e dunque non le possiamo evitare.”
“No.”
“E allora che si fa?”
L'Oracolo poggiò una manciata di sterline sul tavolo e le fermò con un brutto portatovaglioli, poi si alzò recuperando la borsa: “Si combattono i lupi, finché ci sono.”
L'Imperatrice, invece, indugiò qualche secondo a riflettere.
“E dopo?”
“E dopo... ma tu non dovevi dare Etnolinguistica?”
“Sì, ma...”
“Ecco. E vai a studiare, va'.”
L'Imperatrice le gettò uno sguardo interdetto; voleva risposte, ma l'Oracolo non ritenne di darle ulteriori spiegazioni di carattere etologico. Piuttosto, le passò delicatamente una mano tra i capelli.
“Guarda. Hai non so che foglia in testa. Non vorrai incontrare l'uomo della tua vita sembrando un folletto dei boschi?”
Finalmente, si alzò anche l'altra: “Quale uomo della mia vita?”
“Non so, uno che ne sappia quanto ne sai tu di letteratura rinascimentale. Che balli coi lupi, più che ammazzarli. Che ti faccia le domande giuste al momento giusto e che ti dia poche risposte, ma buone. Che condivida i tuoi gusti musicali, inclusi quei bizzarri picchi di musica dance revival che ti vengono ogni tanto. Uno che capisca Philip Seymour Hoffman. Che magari non sia più primadonna di te. Che non ti appoggi il mestolo sul piano cottura quando cucina, che abbia un certo criterio nel fare le cose e un certo occhio per gli spazi. Che ti voglia il bene che ti voglio io. D'altra parte, mi rendo conto che La bella e la bestia è una fiaba.”
“Non ricordo che la bestia fosse un fan di Philip Seymour Hoffman.”, osservò l'Imperatrice mentre si incamminavano verso St. Paul's, gettando un'occhiata acuta alla vetrina di una libreria.
“Non erano lupi, quelli che combattevi.”
“E che erano?”
“Cose tormentate senza volto, senza futuro, senza speranza. Tu sei sempre piaciuta ai lupi, e i lupi sono sempre piaciuti a te. Riconoscevano il tuo odore.”
“Cartier de lune?”
“E bagnoschiuma Avéne.”
“E olio vellutante della BioNike.”
“Sì, ma non è questo il punto. Il punto è: abbi cura del tuo cervello. Difendilo. Tutto quello che apprezzi di te dipende da lui.”
“A volte temo di essere un po' troppo solitaria.”
“Te l'ho detto: è il mondo, che è solitario. E comunque, non erano lupi.”
“Perché insisti tanto sul fatto che non erano lupi?”
“Perché il lupo sei tu, Imperatrice. Un altissimo, lucido e intelligente lupo bianco con un singolare gusto per l'arredamento d'interni.”
“Sei un lupo anche tu, sai?”
“Certo che lo so. Siamo amiche per questo.”
Il sole non cala, a Londra, perché non sorge; non sorge a meno che tu non abbia la lungimiranza di andare a cercare l'alba sul punto più alto di St John's Wood. Per fare una cosa del genere, uno dovrebbe conoscere l'Imperatrice: è lei che di solito va per parchi e cimiteri ad orari impossibili del giorno e della notte. Stavano tornando in qualche posto le due facce della medaglia de La Storia Infinita, quel pomeriggio in bilico tra la pioggia e il sereno. Quale posto, poi, non ci fu mai dato saperlo; l'eco dei loro discorsi rimase un po' a impregnare i mattoni delle costruzioni che costeggiavano la riva sud del Tamigi. Passando davanti al Globe, un'aria diversa inondò l'inusitato silenzio rotto soltanto dal rumore dell'acqua del fiume in costante fluire; l'Imperatrice si voltò, chiamata dalle pareti di quel teatro, come sempre. L'Oracolo la scrutò per un secondo, giusto un secondo: “Hai davvero pensato di fare qualcos'altro, nella vita?”, chiese, indicando l'edificio con un gesto vago.
Gli occhi dell'Imperatrice correvano tra le fessure della facciata del Globe come se ne conoscessero talmente bene la geografia da essere responsabili del suo trovarsi lì, in quel momento.
“Sì, l'ho davvero pensato.”
Qualcuno passò e si voltò a guardarle, ma loro non ci badarono.
“No comment, Imperatrice.”, disse infine l'Oracolo, incamminandosi verso il ponte seguita dall'amica, “No comment.”

 

O, me! O, vita! Per queste domande sempre ricorrenti, per la folla infinita di infedeli, per le città piene di sciocchi, per il mio continuo rimproverarmi (poiché chi è più sciocco di me e più infedele?), per gli occhi invano assetati di luce, per gli oggetti perfidi, per la lotta sempre rinnovata, per gli scarsi risultati di tutti, per le sordide folle che vedo attorno a me avanzare con fatica, per gli anni inutili e vuoti di coloro che rimangono, con il resto di me avvinghiato, la domanda, O, me! Così triste, così ricorrente - cosa c'è di buono in tutto questo? O, me! O vita!

[risposta] Che tu sei qui - che la vita esiste, e l'identità, che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuire con un verso.
(Walt Whitman)

 





 

   
 
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