Storie originali > Introspettivo
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Autore: KeyLimner    01/07/2014    0 recensioni
"Non c'è niente di più terribile che sentire le parole finire, quando non finisce affatto ciò che esse dovrebbero esprimere.
Le sento affievolirsi sempre più, mentre invece la mia angoscia cresce... cresce... Posso percepirla ribollirmi sotto la pelle come pece rovente, che mi lambisce le viscere con tocco insinuante al di sotto del sottile velo della cute. I suoi occhi demoniaci mi guardano dai recessi del mio animo con aria famelica. Non aspettano che il momento giusto per divorarmi.
Le pareti mi serrano fino a soffocarmi. A tratti le vedo chiudersi su di me, rompere la loro rigida geometria per venirmi incontro come per risucchiarmi nella loro struttura, trasformando anche il mio corpo in un agglomerato di intonaco secco.
Ma più di tutto mi opprime la tua immagine.
Potresti stringermi, abbracciarmi. Potresti darmi il tuo calore, come hai già fatto mille volte. Ma so... lo so quando le tue braccia mi abbandonano e resto sola, chiusa in una stanza che mi divora... so che quel calore non era che il mio stesso tepore che fuggiva, mentre tu me lo rubavi per restituirmi solo un freddo glaciale..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Damon si trascinò lungo il corridoio esausto.
Le borse lo tiravano verso terra con una forza tale da farlo dubitare delle proprie capacità di arrivare fino alla camera. Avrebbe potuto perfino passare la notte lì, nel corridoio, sdraiato sotto l'accappatoio verde che portava sempre con sé (gli era capitato di dormirci sotto ed aveva constatato che era caldo come una coperta, sicché lo preferiva sempre - nonostante fosse così ingombrante - a quei comodi accappatoi da viaggio che si ficcano in valigia con tanta semplicità, per via di quella sua seconda utilissima funzione).
L'inserviente continuava a blaterare con tono stridulo qualcosa circa l'orario della colazione, il cambio delle lenzuola... Dio! Ma non deglutiva, ogni tanto?
Ma ecco che erano finalmente arrivati davanti alla sua porta.
«Sì... sì... grazie mille. Se mi serve qualcosa non esiterò a chiamarla, ok? Allora buonanotte anche a lei».
E prima ancora che la poveretta avesse modo di rispondere (aveva già spalancato come un forno quella sua maledetta boccaccia) si infilò nella stanza e chiuse rapidamente la porta.
Quando fu dentro, tirò un lungo, esasperato sospiro di sollievo.
Finalmente libero, pensò. Libero da quella piattola dell'inserviente. Dal viavai continuo di gente che anche nei giorni di festa - soprattutto nei giorni di festa - inonda le strade sommergendo ogni passante come una mandria imbufalita. Dal personale orribilmente cordiale e sorridente dell'aereo. Quanto appaiono falsi quei sorrisi! Pare che siano stati scolpiti in serie da enormi blocchi di identico gesso, inseriti in finte gengive di silicone e solo successivamente sistemati all'interno della cavità orale delle hostess che fanno avanti e indietro per lo stretto corridoio del velivolo con il loro carrello di salatini striminziti, succhi di frutta e biscotti rinsecchiti. "Come, signore? Un bicchiere d'acqua? Sono tre euro e settantacinque, grazie". E con quello stesso sorriso smagliante, la bionda di turno ficca i tuoi tre euro e settantacinque nel suo carrellino e ti porge una bottiglietta con una quantità d'acqua appena sufficiente a riempire un ditale.
Damon aveva sempre odiato gli aerei.
Non perché lo spaventasse volare - anche se, se si soffermava a pensarci, l'idea di trovarsi in una scatoletta di metallo sospesa a più di trecento metri da terra non lo rendeva particolarmente tranquillo... malgrado le ragionevoli osservazioni di tutti circa la sicurezza degli aerei...  "il mezzo di trasporto più sicuro del mondo"... Ecco, forse in effetti era proprio questo a infastidirlo: quell'ossessione per la sicurezza, gli interminabili rituali di controlli minuziosi su ogni cosa… sulle valigie, sui vestiti, sulle scarpe (gli era capitato addirittura che lo costringessero a passare scalzo sotto il metal detector perché gli stivali avrebbero potuto avere delle parti in metallo... un accorgimento del tutto inutile, dal momento che continuava a suonare sempre perché si dimenticava puntualmente - forse in una sorta di orgogliosa e inconsapevole ribellione - di sfilarsi l'orecchino, o il bracciale, o l'anellino a forma di serpente)... a momenti ti controllavano pure le mutande. Per lui invece la magia di un viaggio stava in parte anche in quella specie di tensione latente… in quel piacevole sottofondo costituito dal rischio sempre presente che sul veicolo si nascondesse un terrorista pronto a dare fuoco alla sua riserva di esplosivi... che qualcuno gli soffiasse la valigia sotto il naso se si assopiva per un istante.
Quindi, in definitiva... sì, all'ambiente falso e asettico degli aerei preferiva il treno. Il treno e la sua pigra lentezza. Il treno e la sua concretezza… la sua vicinanza al suolo, dal quale era separato solo da pochi centimetri di rotaie contro cui sfregava stridendo mentre sfrecciava senza fretta verso la sua meta. Per di più, le ore passate a fare la fila per il check-in, per imbarcare i bagagli, per salire sul pulmino che porta alla pista di lancio... ad ascoltare l'interminabile pappardella del tizio venuto a snocciolare una sequela di norme di sicurezza in quattordici lingue (come se qualcuno vi prestasse ascolto... e soprattutto come se mettersi la mascherina per l'ossigeno o il giubbino gonfiabile avrebbe potuto salvarlo da un eventuale disastro aereo)... lo irritavano molto di più di dieci o anche quindici ore in più sul sedile di un treno, in cui perlomeno poteva guardare il paesaggio e perdersi in riflessioni sul senso dell'esistenza ascoltando la musica dall'iPod, o chiacchierare con un compagno di viaggio... o con uno sconosciuto seduto vicino - se si aveva la fortuna di trovarne uno socievole.
Gettò le valigie a casaccio in un angolo, e lo stesso fece con le scarpe. Dedicò alla camera solo una breve occhiata - il tempo di registrare uno per uno gli elementi del mobilio che avrebbero potuto tornargli utili; tanto le camere d'albergo sono tutte uguali. Poi si lasciò ricadere su una poltrona imbottita. Lasciò che i nervi si distendessero, adattandosi alle morbide pieghe del tessuto, e che le ossa irrigidite scricchiolassero.
Quando si fu un po' riavuto, agguantò un paio degli asciugamani bianchi che aveva individuato sul comò di mogano e andò in bagno. Sapeva bene che il prezzo del suo alloggio era calcolato in modo tale che, qualunque cifra sarebbero stati obbligati a spendere per via delle sue esigenze, avrebbero comunque avuto da guadagnarci. Pertanto - naturalmente - si premurò di lasciare tutte le luci accese per consumare più energia possibile, e aprì il getto della doccia alla massima intensità per farla riscaldare.
Nel frattempo, si guardò nel grande specchio lucido. Aveva un aspetto terribile.
Fece un lungo bagno rigenerante per riprendersi, usando un'abbondante quantità di bagnoschiuma. Quando uscì con il suo accappatoio verde addosso, si sentì una persona nuova. Gli asciugamani che aveva portato in bagno rimasero intatti dove li aveva lasciati, abbandonati sulla tavoletta del water. Magari più tardi li avrebbe imbrattati in qualche modo giusto per il gusto di farlo.
Si asciugò rapidamente, poi lanciò un’occhiata alla sua valigia, considerando per un attimo l'idea di prendere un paio di mutande e il pigiama. Alla fine mandò tutto al diavolo e s'infilò sotto le coperte nudo come un verme, troppo stanco per fare alcunché, anche per lasciare l'accappatoio in un luogo diverso dal comodino a lato del letto.
Si addormentò subito.
  
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