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Autore: orsettojonny    01/07/2014    1 recensioni
i fatti narrati sono realmente accaduti raccontati da Emidio Narciso che si immedesima nel protagonista Tullio pilota dell'esercito italiano che ha vissuto e combattuto la seconda guerra mondiale.
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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IL CAVALIERE

DELL'ARIA

 

EMIDIO NARCISO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stefano Montautti continuava a scrivere ai suoi, oltre della condizione della sua salute, parlava del suo amico Tullio perché per lui Gualandi era già un sincero amico. Raccontava loro, non solo l'audacia, la correttezza e il rispetto del ragazzo, ma anche i divertimenti, le bravate e perfino l'attrazione che Tullio riversava sulle donne. Allora Katia, oltre di raccattare le lettere di Stefano, diventava anche gelosa. Si rifugiava nelle braccia di Licia: “ Tata! Tutte le donne vogliono Tullio, come può accorgersi me ? Qualcuna me lo porterà via.”

Lucia la tranquillizzava.

“ Calmati bambina mia, sappi che Tullio non si vende facilmente. Lui è un grand'uomo, se il destino decide che sarà tuo, lo sarà.”

Tullio, come Stefano, scriveva a casa. E anche lui, con i suoi, descriveva Stefano Montautti, come un idolo leale e sincero.

Informava loro anche della composizione della nobile famiglia Montautti: due genitori rispettabili, una bambina con le treccine d'oro e gli occhi azzurri, sua sorella e la tata Lucia.

Olga già sembrava di conoscere tutti, Katia come una nipotina che lei ancora non aveva, ma ci sperava, prima o poi, ma delle figlie glie le avrebbe regalate. Tullio sapeva tanto delineare come tante fotografie e

Olga la vedeva.

I giorni passavano e gli esami si avvicinavano. Si, la scuola dei trentotto allievi Montautti, era agli sgoccioli se le lezioni erano state diradate, il tenente non trascurava le ripetizioni, lui li voleva tutti promossi. Così, con l'accordo di tutti, avevano improvvisato una specie di preesami per prevalersi la sicurezza messa alla prova dei suoi allievi. Come addestramento era già sicuro, ma nell'interrogatorio potevano essere in inganno. Sapeva come reagiva la commissione.

Cosi formavano un gruppetto di cinque persone, a Stefano toccava spesso di essere in quattro perché loro erano trentotto allievi più il tenente che formavano trentanove, sette gruppetti da cinque componevano trentacinque ma nell'ottavo ne rimanevano quattro. Stefano, come uno di loro, dava la precedenza alla scelta dei gruppi. Questi saltavano avanti per scegliersi Qualandi perché con Tullio si sentivano sicuri e il tenente li lasciava fare.

Un gruppo di cinque facevano da commissione e gli altri d'allievi compreso Stefano. Dopo l'interrogatorio cambiava turno così dall'interlocutore passava all'interrogato. Se qualcuno faceva una domanda sconcia o fuori programma, il difensore del gruppo protestava: “ obbiezione vostro onore questa è una domanda fuori programma.” Allora la commissione rispondeva: “ obbiezione accolta” e Stefano si divertiva.

Gli esami delle navi scuole di teoria e addestramento, incominciarono dopo la metà di novembre 1939.Sette scuole erano per gli aspiranti piloti primo e secondo corso, ma tre di queste, compresa quella Montautti, erano esami di idoneità per avere il brevetto di volo civile perché per quello militare lo avevano avuto da quando si erano congedati, come lo aveva avuto Tullio Gualandi. Questi erano già piloti militarmente, promossi o bocciati, per lo Stato erano sempre piloti. Ma tutti ci tenevano ad avere il brevetto civile.

 

<< ESAMI BREVETTO civile >>

L'ordine di presentazione agli esami veniva scritto sull'albo dell'ordine del giorno nell'ufficio del comando dell'aeronautica.

Lunedì 11 dicembre 1939 alle ore 8 toccava alla scuola Montautti di trentotto allievi. Così lessero il tenente e Gualandi alcuni giorni prima. Erano tanti gli aspiranti di altre scuole, ma quel giorno toccava a loro.

Si presentarono tutti puntuali, preceduti dal tenente Montautti.

Come al solito, i membri della commissione, erano severi e rigidi e Tullio ne sapeva qualcosa. Quello era il quarto esame da superare, ma si era preparato come tutte le altre volte. Anche li venivano chiamati per ordine alfabetico. I membri della commissione torchiavano quei poveri ragazzi senza pietà, facendo domande a sbalzo e anche fuori programma. Molti non rispondevano, ma loro insistevano senza badare alle proteste del tenente ingegnere Stefano Montautti, seduto alla cattedra insieme a loro.

Questi provavano a metterli in difficoltà sperando di tendergli la trappola.

Allora Tullio, come il tenente, mordeva il freno per la rabbia. Gualandi ebbe la sensazione di intervenire e gridare: – OBIEZIONE!!-- Ma non si azzardò, rischiava di essere sospeso dagli esami e lui ci teneva a superarli.

Tuttavia, chi più e chi meno, tutti se la cavavano discretamente, aggrappandosi alla speranza, ma ancora non era finito, si dovevano misurare con la prova della pratica di volo.

Venne anche il turno di Gualandi.

I quattro ufficiali della commissione, lo guardavano con arroganza spietata. Forse avevano letto negli occhi dell'aspirante la stessa sfida e la sicurezza di chi ne sa molto. Tullio rimase serio, ma Stefano gli sorrise.

Un membro con il grado di capitano, arrogante come gli altri, disse:

“ Suggerisci tu stesso il comportamento di un pilota quando si mette in volo.”

“ Fin qui è facile ” pensò Tullio.

“ Chissà cosa mi riserveranno dopo? ”

Così volle colorare quella risposta il più possibile.

“ Per prima cosa il pilota deve rendersi conto di essere sempre una parte dell'apparecchio, fin da quando si allaccia la cintura di sicurezza. Da quel momento in poi, indipendentemente, dalla posizione assunta dall'aereo, aziona i comandi arbitrariamente. Ecco che il pilota si affeziona all'aereo con cui vola. Dopo bisogna bene: accarezzarlo come un fedele cucciolo, dividere con esso la gioia di volare e il rischio, solcare l'orizzonte e sfidare le tempeste.

Si, amarlo anche, ma spronarlo come un cavallo quando deve superare un ostacolo. Dopo di ciò abbracciargli un ala dopo l'atterraggio, come si abbraccia il collo di un cavallo. L'aereo con cui voliamo è una macchina, ma per il suo pilata ha anche un cuore. ”

“ Bene, ” interruppe un altro membro della commissione, anche lui ufficiale ma con il grado da maggiore. Guardò Gualandi con uno sguardo paterno, a differenza degli altri che lo guardavano in cagnesco.

“ Dimmi ora ” chiese il maggiore anche lui pilota.

“ di quale materia è composta una ganascia del freno di un aereo? ”

Tullio sorrise.

Stefano diventò serio e stava per opporsi, ma Gualandi rispose prima che il tenente reagisse.

“ Questo è fuori programma per un pilota. Vi potrà rispondere un tecnico, un meccanico oppure un ingegnere, non è una domanda inclusa per un esame di idoneità per un brevetto civile. Tuttavia, perché non venga elencata con altre domande, vi risponderò con parole povere. La ganascia di un freno è composta con una lega tra antimonio, argento e ghisa. Se poi volete sapere il peso specifico, dovrei guardare nel mio promemoria. ”

“ Non importa ” convenne il maggiore.

“ Allora dimmi, quanti gradi ci sono di variazione, tra la posizione dell'elica per il decollo e quella per l'alta velocità? ”

“ Dodici gradi signore. ” Rispose Tullio gagliardo.

L'ufficialo lo richiamò.

“ Anche questa è una domanda fuori programma, però hai risposto lo stesso. Quante cose sai ancora fuori programma? ”

Non ne ho idea finché non mi si chieda. Tutti noi provenienti dalla scuola Montautti, sappiamo rispondere alle domande in e fuori programma. Dalle lezioni impostaci dal nostro istruttore, tenente Montautti, non possiamo non rispondere sul codice dell'aria perché le sappiamo tutte e non possiamo sbagliare perché il signor tenente non ce lo permetterebbe. ”

“ Se cosi fosse ” aggiunse il maggiore. “ Non c'è più bisogno di continuare con gli orali, visto che siamo a metà circa della scuola, ammenochè tu mi garantisci che gli altri sappiano rispondere come te. ”

“ Io sono mediocre tra noi aspiranti. Ci sono quelli che ne sanno come me e quelli più di me.

Se non vi basta la mia parola potete sempre chiederlo a nostro istruttore il signor tenente Montautti ” insistette Gualandi.

“ Allora prepariamoci per il volo di prova. Tenente Montautti, se non ti dispiace, vorrei cominciare proprio da questo, secondo lui, mediocre fra gli altri allievi ” propose l'ufficiale della commissione.

“ Fate pure, a me va bene, uno vale l'altro ” rispose il tenente.

“ E' proprio quello che desideravo ” pensò Stefano. Sono sicuro che Gualandi farà vedere loro i sorci verdi.

Stefano aveva insegnato l'arte del volo a molti aspiranti fanatici dell'aria, ma Gualandiera diverso da tutti gli altri. Lui aveva un settimo senso, dato che del sesto senso ne parlavano tanti, era quasi diventato comune, ma il tenente sapeva che, in Tullio, esisteva, anche se non poteva metterlo su un tavolo per misurarlo e pesarlo. Lui lo possedeva, lo aveva già al tempo in cui aveva decollato con il primo aereo, ed era convinto che lo avesse anche Tullio.

Non era soltanto la passione, la cui si inseriva nell'anima di tanti piloti. La passione sola è un fattore negativo in un gioco dove la virtù era indispensabile come la capacità di distinguere la destra dalla sinistra. Non era soltanto l'audacia. Troppi piloti, quando partecipavano durante l'addestramento, erano intrepidi.

No! C'era qualcos'altro nel settimo senso, qualcosa che non aveva mai saputo definire con parole soddisfacenti, una sosta di condizione di energia con la quale Gualandi era entrato nel processo del volo. C'entrava solo la concentrazione. Stefano lo seguiva sempre a qualche passo di distanza mentre lui ispezionva l'aereo e si accorgeva se un fulmine avesse colpito la pista a poca distanza da lui, non sarebbe bastato a deconcentrarlo mentre controllava con gli occhi e con le dita l'elica in cerca d'incrinatura, come se in qualche modo sentisse con la pelle gli eventuali difetti del metallo.

Il tenente era sicuro di Gualandi su tutti i punti: ispezione, decollo, volo ed atterraggio.

Un ufficiale della commissione il più giovane, con il grado di tenente volle fare il secondo al posto di Montautti. Forse per sfidarlo.

A Tullio non interessava chi fosse al posto dell'istruttore. Lui doveva dimostrare di essere idoneo per il brevetto civile.

Il tenente della commissione Gualandi raggiunsero il veicolo scuola.

“ Se me lo permettete io non aggancio il paracaduto, ma voi fate a modo vostro, senza badare a me. ” Propose Tullio.

“ E' fuori regola, ma voglio fare uno strappo alla regola, va bene, però adesso mi devi dimostrare la tua capacità: hai fatto lo spiritoso in teoria, però non sai che la grammatica è differente dalla pratica? Se hai in mente una nuova manovra a tuo modo, falla pure e fammi vedere di che cosa sei capace ” abbaiò l'ufficiale.

Adesso è il momento per abbassare l'orgoglio a questo fanatico inesperto del volo: se guerra vuoi guerra avrai. Tullio lo pensò ma non lo disse rispose solo.

“ Dite davvero che posso farlo a mio modo senza pentirvene? ”

Lui fece una smorfia con una risata beffarda.

“ Giovanotto con chi credi di parlare? Non te l'ha detto mai nessuno che hai la lingua troppo lunga? Stai ignorando le mie capacità, credi di parlare con un dilettante come tutti voi? Se non lo sai io sono il cadetto dell'aria, perciò sono stato scelto per far parte della commissione e misurare la vostra arroganza; e ora fammi vedere la tua spiritosa abilità. ”

Tullio, allora raccolse tutte le sue precisioni, studiò il cruscotto e i movimenti tecnici. Mise in moto il velivolo e decollò. Aveva già seguito mille rovesciate nella sua mente, mentre portava l'aereo a tremila metri di quota, era era un'altitudine assolutamente sicura per eseguire la manovra da lui inventata. Sapeva che le manovre acrobatiche di precisione rendevano più affidabile il pilota. Cautamente Tullio guidò l'apparecchio in picchiata, come attaccare un duello aereo in un conflitto. Spinse la manetta fino al massimo per ottenere tutta la potenza. Centoventicinque cavalli instancabili erano al suo comando, e galoppavano alla più leggera pressione della sua mano. Tornò a fare la manovra ideata da lui stesso. Sapeva che il tenente Montautti lo stava guardando, sapeva anche della sua

disapprovazione, ammonendolo di non farlo più, ma Tullio fece orecchie da mercante, doveva dimostrare la sua capacità, perché....?

Perché era stato sfidato da quell'ufficiale al suo fianco.

Tenne il velivolo nell'arco del cerchio; e quando raggiunse la posizione parziale, capovolse l'aereo testa e coda per tre volte, tenendo, quasi per dispetto, la fusoliera a pancia in su per alcuni secondi.

Allora il tenente al suo fianco, studiò tutti i movimenti tecnici di quel ragazzo spericolato. Rimase incantato dal modo con in cui si muoveva e di usare i comandi da vero professionista dell'aria.

Quando Gualandi si rimise in quota normalmente, voltò lo sguardo verso il compagno di navigazione superiore. Notò che era pallido. Si meravigliò: -un pilota non dovrebbe mai cambiare colore al viso quando si vola- allora gli chiese: “ vi sentite poco bene, signor tenente? Posso anche rallentare la manovra oppure atterrare se ritenete che la lezione è finita. ” Lui non rispose, scosse solo la testa negativamente. Allora Tullio per completare, fece altre due rovesciate e giù in picchiata, si ritrovò a poche decine di metri dal suolo e poi come una freccia risalì in quota. Compostamente ridusse la velocità e l'altitudine, preparandosi per atterrare. Si fermò proprio al terminale nel punto in cui aveva decollato, meravigliandosi di se stesso. Lui scese energicamente e giulivo, mentre il tenente della commissione faceva fatica ad alzarsi.

Tullio, gentilmente, gli tese la mano per aiutarlo a scendere, ma lui per orgoglio, rifiutò. Allora, quasi di corsa raggiunse il banco della commissione, facendo un saluto militare scattante.

Si aspettava un rimprovero del suo tenente e un commento fra la commissione, ma nessuno parlò e tutti risposero al saluto.

Il maggiore gli si fece incontro, lo guardò incuriosito, gli mise una mano sulla spalla e disse solo: “ Sei veramente bravo. ”

Non disse altro, ma scrisse qualcosa su un foglio e poi tutti guardarono il tenente che volle fare il secondo, mentre arrivava barcollando come un ubriaco.

Tullio si allontanò dalla commissione e andò nei pressi dell'hangar dove c'erano altri suoi compagni i quali erano già stati interrogati. Questi lo circondarono dandogli pacche sulle spalle.

“ Sei stato un fenomeno, hai annientato tutti quei fanatici della commissione specialmente quel tenente vanitoso, quando è sceso dall'aereo sembrava disfatto. Adesso ti devi aspettare una bella mangiata di faccia dal nostro tenente. Ma noi ti ammiriamo perché sei il migliore, anche se il tenente Montautti protesta. Evviva!...” Gridarono tutti in coro, mentre arrivarono gli altri, per l'attesa della prova di volo.

Erano quasi le tredici quando finirono le prove di volo.

Stefano con uno sguardo altero, nascondendo un sorrisetto, raggiunse i suoi allievi insieme ad altri due ufficiali. Tullio, preparandosi a ricevere una sgridata, lo affrontò per primo.

Fece il dovuto saluto e dichiarò: “ Scusatemi signor tenente, se ho violato ancora una volta la legge dell'aria. So che voi non lo ammettete, mi sento incosciente e fanatico, ma l'ho dovuto fare perché sono stato sfidato e non ho potuto vincere la mia reazione. Vi prometto di non farlo più. ”

Gli altri due ufficiali, amici di Montautti, entrambi gli batterono una pacca sulla spalla, ma Stefano sorrise. “ Bravo Gualandi, hai messo in difficoltà quei quattro cani bastardi, sconvolgendoli con la tua astuzia e capacità. Dopo la tua prova acrobatica si sono convinti che tutti i miei allievi sono capaci di volare e tutti siete promossi con il brevetto civile. Non sono stati pignoli nelle prove dopo di te, acceleravano i voli, approvando uno dopo l'altro. ”

Tutti i trentotto allievi della scuola Montautti sorrisero allegri e contenti, ma il più contento era Stefano, tenente Montautti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sabato 16 dicembre 1939 alle ore nove, tutti gli allievi del complesso delle scuole piloti di Tripoli furono radunati in piazza Della VITTORIA nel cuore della città di TRIPOLI, a due isolati del palazzo del Governatore,

dove era piazzato il cannone che ogni giorno a mezzogiorno sparava un colpo a salve per ricordare ai passanti, in tutta la città, di fare il saluto fascista in direzione del boato.

Le squadre della scuola aeronautica in questione erano tutti schierati in ordine e pronti a manifestare la parata dietro ai loro insegnanti. Non dovettero attendere molto perché fra loro si aprì un varco per lasciar passare un nucleo di ufficiali superiori. Questi si diressero in una estremità della piazza dove era stato costruito una specie di palco come un podio.

Un ufficiale con il grado di colonnello più anziano, salì per primo sul palco, seguito dagli altri ufficiali. Prese un microfono e annunciò a tutti gli allievi.

“ Ragazzi, sono qui per parlarvi al posto del governatore: Sua eccellenza Italo Balbo, non può essere presente per impegni gerarchici, ha mandato me. Anch'io come voi, sono un pilota, anzi lo ero. Quando pilotavo io, gli aerei viaggiavano poco più veloci di una gallina, ma adesso volano più forte di un aquila. E se la tecnologia si aggiorna presto fabbricano dei velivoli che superano la barriera del suono. Io no, ma siete proprio voi a guidarli. Allora siete sulla gloria dell'aria perché: sfidate le tempeste, perforate l'orizzonte e arrivate prima del tuono! ”

Poi fece una pausa guardando tutti. Dopo rincalzò.

“ La scuola Montautti venga qui vicino a me. ”

Lo disse come un ordine secco con la favella ostile, nonostante la sua età.

Stefano radunò i suoi trentotto allievi e si precipitò vicino al palco.

L'anziano colonnello oratore ordinò.

“ Tenente, ingegnere Montautti sali su questo podio insieme, ( si interruppe prese un foglio che gli porgeva un altro ufficiale. Inforcò gli occhiali con due lente spessi, lesse e poi rincarò. ) Sali su con noi insieme al tuo allievo Gualandi Tullio. ”

Stefano non se lo fece ripetere, prese per una mano Tullio e insieme a lui, lo trascinò sul podio, entrambi fecero il dovuto saluto.

Il colonnello oratore non rispose al saluto e neanche strinse loro la mano, ma si mise in mezzo e con tutte due le mani circondò le loro spalle, alzandosi sulla punta dei piedi per arrivarci, poi continuò il dialogo.

“ Tenente Montautti, in tutta la storia dell'aeronautica, per secoli, non si è mai avverato un fenomeno simile: La scuola Montautti con trentotto allievi già piloti militarmente prima di sostenere un esame di idoneità per il brevetto civile, sono stati tutti lodevolmente promossi. Questi già valido del brevetto militare senza pretese di studio. Mentre per i trentotto promossi con il brevetto civile, ogni pilota, per ritirare il detto brevetto, dovrà essere in possesso di un titolo di studio: laurea o un diploma qualsiasi. Coloro che sono sprovvisti possono richiederlo in Patria, dalla città o dalla scuola in cui è stato promosso.

Quando si presentano con il detto titolo di studio riceveranno tempestivamente una copia del brevetto civile. Tutti i brevetti sono depositati negli uffici del Quartier Generale della regg. Aeronautica dal 2 gennaio al 30 giugno 1940. dopodiché vengono trasferiti a Roma al Ministero dello Stato Maggiore reggimento Aeronautica, li vengono archiviati, ma il Ministero terrà validi i brevetti, non ritirati, a tempo indeterminato. I debuttanti possono ritirarli anche dopo essere stati congedati da civili, ma sempre con un titolo di studio. Tanto finché questi sono in servizio militare, non hanno bisogno di tale brevetto perché sono già piloti e la nostra Patria ne ha bisogno! ”

Poi dichiarò, togliendo le mani sulle spalle di Stefano e Tullio, fece voltare loro di fronte a lui.

“ Tenente Montautti, sei il migliore istruttore, tutti i tuoi allievi sono bravi, ma questo ragazzo: Gualandi Tullio ha dimostrato delle prove da vero provetto e lo Stato Maggiore della regg. Aeronautica ha voluto esaminare il suo libretto personale: Gualandi Tullio classe 1915, durante il militare della ferma permanente è stato promosso su tutte le voci dell'aria, teoria e addestramento da un vero pilota: caccia, esibizione, ricognizione, bombardiere e collaudatore. Questo provetto è stato riconosciuto una vera cima d'avviatore delle tre scuole: di Trieste 1936, quella di Viterbo dello stesso anno e da quella di Laurana agosto1937.

Qui a Tripoli la commissione lo ha messo su un piedistallo per avere assistito a una esibizione acrobatica mai registrata nella storia dell'aeronautica. Lo stato Maggiore della regg. Aeronautica. Decora con L'Aquila d'Oro il tenente istruttore Montautti ingegnere signor Stefano per aver saputo portare i trentotto allievi al livello dei cadetti dell'aria. E decora con L'Aquila d'Oro anche il provetto Gualandi Tullio per aver dimostrato di dominare l'aria e vincere in duello.

Io in nome di Sua Eccellenza ITALO BALBO: Maresciallo dell'aria, quadrunvio della Rivoluzione Fascista e Governatore della LIBBIA ,vi decoro con L'Aquila D'oro di cui siete entrambi degni. ”

L'anziano colonnello prese in un cofanetto che gli porse un altro ufficiale, le due Aquile d'Oro e nastrini, appuntò una sul petto di Stefano e una sul petto di Tullio. Mentre la tromba squillò l'attenti.

Tutti si posero sull'attenti compreso Montautti e Gualandi.

Il diede riposo a voce e poi rincarò.

“ Gli eroi di terra e di mare si premiano con Medaglia d'oro ma gli avviatori vengono decorati con L'Aquila d'Oro. ”

Come ogni fine parata, la musica esibì Giovinezza e tutti si rimisero sull'attenti, poi la stessa tromba suonò rompete le righe. Tutti si sparpagliarono e se ne andarono, ma i trentotto piloti della scuola Montautti, rimasero li finché non scesero dal podio il loro maestro e Gualandi. Il tenente mise da parte le formalità della disciplina, abbracciò per primo Gualandi e poi, uno per uno, tutti i suoi allievi già piloti, ma anche questi vollero abbracciare Tullio, con l'invidia dei componenti delle altre scuole.

Dopodiché loro lasciarono la piazza Della Vittoria. Tullio rimaneva serio e calmo accettando la sconfitta. Lui sapeva anche perdere, quando non si poteva vincere. Non poteva avere il brevetto civile perché non possedeva un titolo di studio, ma pilota lo era e con P maiuscola. “ Al diavolo! ” Si disse, “ verrà pure il tempo da studiare. Lo farò e completerò il mio pallino di desiderio. ”

Tullio così ragionò, ma chi mordeva il freno era Stefano e si sentì a disagio per quel ragazzo così nobile.

“ Non ci arrenderemo ” disse il tenente. “ Troveremo qualcuno che ti dia delle poche lezioni perché per te non ne servono molte, conosco la tua audacia e la tua intelligenza. Con pochi mesi te la caverai, a giugno ci presenteremo agli esami di stato e sarai promosso, per te non è difficile, basta un diploma qualsiasi e ritireremo il brevetto.

Poiché la scuola è finita, a me verrà assegnato una squadriglia. Tu sarai il mio secondo pilota ed entrerai nella mia squadriglia. Inoltrerò subito una domanda al Ministero della Regg. Aeronautica prima che ti accalappiano gli altri perché tutti faranno la gara per averti e io non voglio separarmi da te. Per adesso non c'è bisogno del brevetto civile, basta solo volare, ma insieme.

Stefano si incontrò con un tenente dell'artiglieria, anche lui richiamato, era un professore in letteratura dell'università di Milano. Si erano conosciuti alla mensa ufficiali. Gli parlò del suo allievo, questo non conosceva Gualandi ma sapeva di lui quando fu decorato con l'Aquila d'oro come Stefano.

“ Mi farò in quattro per fargli ottenere un diploma a giugno prossimo, ” dichiarò al tenente.

Non solo lui volle dare lezioni a Gualandi, ma mobilitò altri due suoi amici: uno insegnante di scuole elementari e l'altro professore di matematica per mettere sotto pressione Tullio. Iniziarono con una lezione ciascuno tutti i giorni, e Gualandi, per far contento Stefano, accettava tutto

quello che gli ufficiali proponevano.

Tullio era contento, non solo per il suo vantaggio per ritirare quel desiderato brevetto, ma anche per vedere il suo tenente allegro e gioioso, sembrava che fosse lui a reclamare quel documento più che il suo secondo

pilota. Mentre Montautti di brevetti non ne aveva bisogno, anzi di brevetti ne aveva da vendere, aveva quello militare, quello civile e il brevetto da istruttore.

Tullio però si sentiva debitore difronte a tutti gli ufficiali benefattori.

Sapeva che il merito era solo del tenente Montautti, ma la sua modestia e onestà lo spingeva a ricambiare tutto quello che le era possibile.

Un giorno a fine lezione, Tullio si ritrovò con tutti e quattro gli ufficiali perché Stefano era arrivato proprio a fine lezione forse per controllare la reazione di Gualandi, ma fu contento per quello che gli chiarirono i tre colleghi, in quanto al progresso del ragazzo. Tullio approfittando dell'occasione azzardò.

“ Voi fate tanto per me, mentre io non posso fare niente per voi, almeno datemi la possibilità di una ricompensa per non essere accusato di avarizia.”

“ La più bella ricompensa che puoi farci è che a giugno prossimo hai un brevetto da pilota civile, ” sparò Stefano.

“ E quando torneremo a casa ci auto-invitiamo per trascorrere una lunga vacanza in casa tua, vitto e alloggio, tutto a sbafo, Stefano dice che hai una casa in campagna, ariosa e abbondante di cucina casalinga, certamente farai fatica a mandarci via, ” si intromisero gli altri tre insegnanti.

“ Non so se ne sono degno, ma sarà un grande onore, oltre che per me, ma di più per i mie genitori, ” confermò Tullio.

“ Meglio prenotarci adesso per il prossimo soggiorno in casa tua ” rincarò il tenente Montautti.

Il giorno dopo misero sotto pressione Tullio allo studio di grammatica, prima uno poi l'altro. Stefano ogni tanto assisteva alle lezioni. Quello era un periodo di riposo perché la scuola Montautti era finita e trentaquattro dei suoi allievi erano già stati monopolizzati da diversi comandi di storni per formare squadriglie in diversi punti della Libia come difesa Settoriale. Perché la promozione dei trentotto allievi della scuola decorata con l'Aquila d'Oro Montautti, la notizia si sparse a macchia d'olio, non solo in Libia ma anche in patria con la velocità della luce. Gualandi fu il primo ad essere richiesto, ma il tenente Montautti non lo mollò perché anche a lui fu assegnato una squadriglia, destinazione ignota a tempo indeterminato. Così

ebbe la precedenza di scegliersi quattro piloti, così Stefano scelse tullio e altri tre dei migliori.

Molti di loro forse furono mandati in Italia e lo sperarono anche Stefano e Tullio, ma il loro sogno non si avverò.

Intanto rimanevano a Tripoli in attesa dell'ordine.

Gli insegnanti spronavano Tullio allo studio e lui ce la metteva tutta, insieme sceglievano il titolo del diploma. Ragioneria era anche facile per un corso lampo, ma si doveva presentare agli esami con una lingua estera oltre quella Italiana. Tullio gli fece notare che se la cavava discretamente con il latino e greco. Loro gli risposero: “ queste sono materie di studio e non di lingue. ”

Ripiegarono per un diploma da insegnante di scuola elementare, come uno di loro.

Partirono al galoppo per raggiungere il trimestre iniziato da l'ottobre scorso. Tullio spesso rinunciava a uscire per divertirsi, ma anche i due insegnanti lo imitarono e lui si vergognava perché qualche volta anche Stefano e l'altro ufficiale di matematica gli facevano compagnia.

“ Per prendere il diploma da insegnante, io ho sacrificato quindici anni di divertimenti da giovane, mentre a pensarci bene, tu risolvi la questione in quindici giorni, dal modo come progredisci, ” dichiarò il più vivace insegnante.

“ Tombola! ” Si intromise l'altro.

“ Presenteremo una domanda al Ministero della Pubblica istruzione e chiediamo un esame spicciolato, perché per un pilota tutto viene ammesso, ma dentro questo anno. ”

Tutti sorrisero anche Gualandi.

Natale era vicino. Si convinsero di festeggiarlo a Tripoli.

Tanto Stefano come Tullio, non trascuravano la corrispondenza con le loro

famiglie. Come Stefano scriveva loro di Tullio, così Tullio scriveva ai suoi del tenente Montautti Stefano e informò loro della promozione degli esami per il brevetto civile e la decorazione dell'aquila d'Oro insieme al tenente, ma la delusione di non avere un titolo di studio per riceverlo.

Giorgio Gualandi rispose a suo figlio: “ Impara l'arte e mettila da parte. Quello che hai meritato e conquistato legalmente è tutto tuo perché è farina del tuo sacco. Nessuna forza suprema te lo può togliere: quello che è tuo è tuo. Il Vangelo dice: Dai a Cesare quello che è di Cesare e dai a Dio quello che è di Dio. ”

Stefano invece scriveva più allungo parlando di tutto, ma si dilungava molto sull'amico Tullio, lo innalzava su un piedistallo.

Raccontò la tesi della prova di volo, facendo meravigliare il complesso della commissione e la fifa del secondo al posto di Stefano.

Tutta la famiglia Montautti stimavano Tullio, secondo la descrizione di Stefano era nobile e loro già gli volevano bene come glie ne voleva Stefano. Anche a loro dispiaceva il trattenuto brevetto civile per mancanza del diploma di Tullio, ma non si preoccuparono, sapevano che lui, esperto com'era, presto avrebbe risolto il problema.

La più addolorata era Katia. Gli avrebbe ceduto tutto il suo studio maturato se poteva, ma sapeva che con pochi mesi di lezioni private se la fosse cavata e sarebbe stato promosso per ottenere il brevetto. Lei se lo vedeva bello, imponente con una divisa azzurra, su un aereo carico di passeggeri, affidati alla sua responsabilità. Comandava il suo equipaggio che dipendevano esclusivamente da lui. E le Hostess? Oddio forse si innamorano di lui! E a me ci pensa? Ma si lui vuole bene solo alla sua Katia perché lui è mio come io sono sua.

Così ragionava Katia da bambina di appena undici anni, ma era innamorata di Tullio.

Con tutte queste speranze il desiderio non avvenne purtroppo.

Perché mercoledì dieci gennaio 1940, il dipartimento aeronautica fu trasferito a BIR-GHENEM ( pozzo degli angeli ) così chiamato in italiano.

Questa zona era vicino al confino della Tunisia, colonia francese. Era in pieno deserto Marmarico però in compenso c'era un vasto campo d'aviazione con molte piste di atterraggio e decollo.

Il tenente Montautti fu scelto al comando di una squadriglia con cinque avieri al suo comando.

Lui aveva scelto Gualandi come secondo suo personale più altri due di suo gradimento, ma altri due avieri, per completare la squadriglia, dovette accontentarsi di prendere quelli assegnati dal comando.

Tullio dovette sospendere lo studio per il diploma con dispiacere dei due istruttori già quasi amici nonostante i gradi, ma quello che ne risentì di più fu proprio il tenente Montautti.

Tullio invece accettò il caso con diplomazia. “ Pilota lo sono ” si disse, “ e con il tempo riuscirò ad ottenere anche il mio meritato brevetto civile. ”

poiché erano in attesa dei nuovi velivoli in Libia, sul momento consegnarono alla Ottava squadriglia comandata dal tenente Montautti, un G 19 bimotore, aereo da ricognizione e un caccia biplano fabbricato quasi dieci anni prima con il motore a stella revisionato.

Tanto Stefano come Tullio si guardarono evasivi, si aspettavano almeno un caccia di multi cavalli potenziale. Ma si dovettero accontentare perché erano lontani dall'Italia e la guerra alle porte.

Ettore Montautti, padre di Stefano, rispondeva a suo figlio, dopo essere stato aggiornato da lui tutti i movimenti e l'attività e di avere Tullio come un fedele amico.

“ Anche noi stimiamo Tullio, secondo la tua descrizione, deve essere un ragazzo buono ma soprattutto nobile. Ricordati del saggio proverbio: -Chi trova un amico trova un tesoro. -

Montautti aveva presentato Gualandi al comandante della 7° squadriglia. Gli fu concesso perché in zona erano a corto di ufficiali e graduati. Nei cinque componenti della 7° squadriglia c'era anche un sergente, ma era il meno esperto tanto di tecnica come di pratica, anzi fu lui stesso a rifiutare di fare il secondo e preferì Gualandi. Tutti i giorni si eseguivano manovre di esplorazione e ricognizione. Il campo d'aviazione era vasto, ma la torre di controllo era movibile, poteva spostarsi anche un miglio o due, però la radio era sempre attiva. Un velivolo lo comandava il tenente Montautti e uno Gualandi, il gruppo si divideva: due con Stefano e due con Tullio a volontà di scelta, ma i primi arrivati su l'area di decollo saltavano sull'aereo che pilotava Gualandi, il primo era sempre il sergente. E Stefano rideva. Anche a lui piaceva volare insieme a Tullio, ma doveva rispettare un certo ordine supremo.

Prima della fine di gennaio Gualandi fu mandato a licenza di aspettanza. Stefano, in persona, volle accompagnare Tullio con il bimotore G 19 a Tripoli. All'aeroporto della MellaKa si salutarono, ma il Tenente lo volle abbracciare con meraviglia di Tullio perché anche lui lo stimava ma lo rispettava come un fratello maggiore.

“ Mi mancherai per un mese, però sono contento che tu possa riabbracciare i tuoi, arrivederci e divertiti finché puoi perché qui nel cuore del deserto non possiamo divertirci. ”

Tullio lo ringraziò e gli sorrise mentre saliva a bordo della corriera per raggiungere il porto di Tripoli.

La stessa mattina si imbarcò su un mercantili di media tonnellaggio. Arrivò a Genova al pomeriggio del giovedì 1 febbraio 1940. Quando sbarcò era già buio. Tullio non si fermò a meditare, ma si accinse a raggiungere la stazione ferroviaria. In piena notte salì sul treno e venerdì 2 febbraio 1940,in mattinata arrivò a casa.

Come al solito era sempre Olga ad abbracciarlo per prima e poi il papà allegro e cuorcontento come sempre. Non mancarono a correre le sorelle e i cognati, circondandolo come una giostra e tempestandolo di domande: come era la terra della Libia, il clima e gli abitanti di colore. Tullio accontentò loro raccontandogli quello che potette, le città erano belle, ma il resto era tutto deserto.

Quando si sparse la voce del suo ritorno, il corteo dei suoi amici invasero

casa Gualandi.

Luisa fu una delle prime arrivate, questa volta erano in due.

Si era fidanzata con un ragazzo di Carpi. Luisa glie lo presentò. Tullio non lo conosceva o non si ricordava di averlo conosciuto, ma lui conosceva Tullio. Si strinsero la mano e si unì anche lui alla comitiva.

Era carnevale perciò i festini si susseguirono uno dietro l'altro.

“ Mi fa piacere, Lisa cara che ti sei fidanzata, sono veramente contento e ti auguro un mondo di felicità, sei contenta vero? ” Dichiarò Tullio mentre ballava con Luisa.

“ Sono contenta ” rispose lei.

“ Ma il mondo di felicità che mi stavi augurando lo vivrei solo con te, se tu mi vuoi fare veramente felice sono pronta a rompere con lui ed essere fedele a te. So che devi ripartire, ma io ti aspetterò finché torni e anche per tuta la vita. ”

Così dicendo, Luisa, si strinse a lui schiacciando il suo corpo aderente a Tullio senza badare agli sguardi curiosi e invidiosi delle altre ragazze in comitiva mangiandoselo con gli occhi. Tullio subì senza protestare, l'aderenza di Luisa, ma ancora una volta ebbe pietà per quella ragazza.

“ Luisa cara, non rompere con lui, dai retta qualche volta a quello che ti dice il cuore. Abbiamo fatto un patto e sembra che tu l'abbia accettato, l'amore è una cosa seria io non sono ancora pronto per poter amare. Tu non rinunciare al futuro e al destino, cerchiamo di andare paralleli per le nostre strade, un domani non si sa, se può essere divergente o convergente.

Luisa! Lo sai che io ti voglio tanto bene, mi dispiacerebbe se tu commettessi un errore per causa mia, non potrei perdonarmelo, perché non posso amarti, io non conosco l'amore. Restiamo amici senza impegni, come ci siamo promessi, non guastiamo questa bella serata. ”

Luisa non rispose, annuì solamente, continuando a stringersi.

Era carnevale si ballava, tutte le sere, nelle sale da ballo o nelle feste in famiglie diverse. Il fidanzato di Luisa non poteva partecipare tutte le sere, causa lontananza oppure altri impegni, ma lei non rinunciava alla compagnia di altri amici e andava alle feste ma sempre dove andava Tullio.

“ Mi accompagni a casa? Sono sola il mio ragazzo, questa sera, non è potuto venire, ” chiese Luisa a Tullio a fine festa.

“ Certo che ti accompagno, ” rispose lui.

Luisa invece di salutarlo sull'uscio di casa come sempre, si fece accompagnare in garage con un pretesto qualsiasi e Tullio mangiò subito la foglia, ma non volle approfittare di una ragazza in stato euforico e ubriaca di passione come una drogata.

“ Ti voglio! ” Supplicò Luisa quando raggiunsero l'intimità del luogo dove non potevano spiarli nessuno.

“ Voglio essere tua, adesso subito!

Non mi importa l'amore, la passione, ma ti desidero, voglio diventare donna ma con te! ”

“ No! ” Rispose lui.

“ Non fare i capricci come una bambina. Sono un uomo, non un vigliacco. Adesso sei schiava dell'euforia, ma domani, sono sicuro che lo rimpiangerai e io ne sarei responsabile perché ti voglio bene ma non ti amo. Adesso forse mi condanni o mi odi, ma dopo mi stimerai e mi ringrazierai. Accontentiamoci solo con un bacio come tu lo vuoi, ma niente di più. ”

Luisa neanche allora rispose.

Gli offrì la bocca con le labbra socchiuse e si strinse a lui più forte. Tullio l'accontentò in parte: le lingue si intrecciarono e il bacio si prolungò, dopo accompagnò lei all'uscio di casa, la baciò ancora una volta e quando Luisa, malinconica, chiuse la porta, Tullio se ne andò, soddisfatto sinceramente e pensava alla conclusione eccitante che aveva lasciata incompiuta.

Non era poi privo di sesso, poco prima si era incontrato con una ex studentessa di Modena dai tempi di eccitante danze, allora lei era adolescente, adesso forse già laureata e non sapeva se era fidanzata o addirittura sposata, ma fu lei a cercarlo poi a invitarlo in una camera d'albergo senza mostrare un documento per entrarvi, in cui lei lo aspettava nell'atrio.

Dopo alcune ore lui dovette lasciarla perché aveva promesso di ritrovarsi con gli amici in una festa privata. Si erano conosciuti al tempo della pubertà forse lei aveva qualche anno più di lui, Tullio neanche si ricordava quando lei gli si presentò sorridente prendendolo per un braccio all'improvviso mentre usciva da un bar. In camera d'albergo lei non si sforzò di parlare della sua vita privata, pensava solo a fare l'amore senza interrompere l'amplesso e infine non voleva mollarlo ma poi si convinse e decise di andarsene anche lei, forse qualcuno l'aspettava.

Durante il mese di licenza, Tullio si era incontrato più volte con le vecchie amicizie, si erano accoppiate spesso con lui e Tullio le accontentava. Quelle cercavano solo il piacere del sesso non la passione dell'amore come pretendeva Luisa. Loro si soddisfacevano con lui e poi si dimenticavano. A Tullio gli andava bene poi si dimenticava anche lui.

Stefano scriveva ai suoi relativamente in continuazione e con una lettera informò loro anche della licenza di Tullio, per lui era come un fratello. Ma quella che ne risentì di più fu proprio Katia.

“ Oddio tata, chi sa se Tullio ci viene a salutare. Allora lo vedrò perché già lo conosco. ”

Lucia sorrideva e sapeva che l'amore non ha età, Katia si era innamorata di Tullio, bambina come era e gli voleva bene.

“ Calmati bambina mia. Non credo che Tullio venga da noi perché Stefano non gli ha chiesto nessuna ambasciata e lui non si azzarda a disturbarci, ma un giorno verrà, ti conoscerà e si innamorerà di te, nessuno può cambiare un destino se questo è scritto,” la consolava Lucia.

Un giorno Antonella avvicinò Tullio e gli sussurrò all'orecchio.

“ Se tutto procede bene, ti regalerò un nipotino, così diventerai vecchio perché ti farò zio.” Marco sorrideva perché aveva intuito che sua moglie trasmetteva a suo fratello la bella notizia dell'aspettativa.

Tullio abbracciò sua sorella con trasporto. “ Sono tanto contento anche a diventare vecchio, purché posso avere tanti nipotini e ne sarò fiero. Allora non posso stringerti altrimenti mi becco un calcio dal mio nipotino.”

Tra divertimenti, balli e feste, il mese di licenza di Tullio passò come una volata. Finì i bei giorni di gaiezza come finiscono tutte le cose belle.

Venerdì 4 marzo 1940, Tullio ripartì destinazione Tripolitana. Con lacrime e angoscia dei suoi cari e con il suo cuore infranto, salì sul treno alla stazione di Modena, dopo aver abbracciato le sorelle e i cognati che vollero accompagnarlo dopo il distacco dei genitori.

Il treno lo condusse a Napoli, perché tutte le navigazioni per l'Africa del nord, salpavano solo da Napoli. Pronottò solo una notte in albergo a Napoli.

Martedì 5 marzo 1940 si imbarcò sul transatlantico REX, una nave gigantesca di 55 mila tonnellate di gran lusso. Questa era addebita per trasporto militari e civili. C'erano molte famiglie che emigravano in Libia, cosi detti coloniali dove trovavano case e terreni da sfruttare. Questa era una riforma agraria ideata dal regime fascista e molti espatriavano in cerca del meglio nella vita.

Al crepuscolo dello stesso giorno, il REX salpò dalla panchina del porto di Napoli. Solcò il Mediterraneo, chiamato “ Mare Nostrum”

Venerdì 8 marzo alle ore undici attraccò al porto di Tripoli.

Tullio sbarcò insieme a tanti altri, militari e civili. Ebbe un po' di nostalgia a ritrovarsi in quella città. Ripensò, un po' alle illusioni e alle delusioni, ai piaceri e ai dispiaceri per stare lontano da casa sua. Ma Tripoli era davvero bella.

Andò direttamente al comando dell'aeronautica. Lo mandò in caserma degli avieri, in cui aveva trascorso parecchi mesi, ma erano tutti nuovi arrivati e Tulio non conosceva nessuno. Ma questi sapevano di Gualandi per mezzo del capo cuciniere che lo riconobbe subito, aveva messo in difficoltà i componenti della commissione durante gli esami ed era stato decorato con l'Aquila D'oro a merito dello stato Maggiore della Reg. Aeronautica militare.

Tutti loro dovevano sottoporsi ad un esame, chi allievi e chi aspiranti piloti. Pertanto lo tempestarono di domande e di consigli, quasi per tutta la sera e in parte della notte.

Tullio accontentava loro in parte, con risposte e consigli.

“ Ci vuole: calma, furbizia e decisione, senza badare alla pigrizia che è la viltà del pilota. ”

Tutti speravano che Gualandi rimanesse con loro, ma furono delusi quando Tullio salutò loro e salì, alle ore otto, a bordo di un camion della spesa di vettovaglie per raggiungere BIRGHENEM. La prima persona che vide dei suoi fu proprio il tenente Montautti. Tullio gli fece il saluto militare, ma Stefano lo abbracciò come si abbraccia un fratello. Poi volle sapere un po' tutto: lo stato di salute, l'accoglienza dei suoi all'arrivo, il divertimento di un mese e il rimpianto della partenza.

Gualandi raccontò un po' tutto anche il ballo e le bravate fra i suoi amici.

“ Ma a voi, signor tenente, la licenza non vi tocca? ” Gli chiese. Stefano sorrise.

“ Ci sono già stato, in fine agosto, prima che arrivassi tu, forse un'altra mi toccherà a giugno prossimo, ma ho poca speranza con questi chiari di luna. Intanto ti do una buona notizia: sono arrivati i nuovi aerei e a noi viene assegnato un superbo biplano della sere caproni, ultima, un monomotore biposto con centocinquanta cavalli di potenza, dovrà essere un gioiello.

Siamo in attesa dell'ordine per andare a ritirarlo. ”

A Tullio brillavano gli occhi per la contentezza e poi anche lui si associava al tenente perché anche lui gli si era affezionato.

A Bir- Ghenem, non solo si era trasferito lo storno dell'aeronautica in cui faceva parte la 7° squadriglia Montautti, ma anche una intera divisione tra corazzate, artiglieria, genio e fanteria. Questa zona era il confine con la Tunisia e se ci fosse stato un conflitto loro erano già sul piede di guerra, pronti alla difesa.

Giovedì 16 aprile 1940 Stefano chiamò Gualandi.

“ Domattina io e te andiamo a Tripoli su un camion della spesa, a ritirare il nuovo caccia di cui ti ho parlato, finalmente è arrivato l'ordine. ”

Tullio annuì sorridente perché era più contento di Stefano.

Il giorno dopo salirono a bordo di un camion e tra sbalzi e sterzate, arrivarono al velodromo MELLAKA in tarda mattinata .

L'ufficiale addetto al servizio salutò Montautti con una stretta di mano, già si conoscevano e lo conosceva anche Tullio e con un sorriso gli rispose al saluto. Consegnò al tenente un foglio di prelievo, facendolo firmare in più parti su i registri.

“ Questo ragazzo lo conosco, ma non ricordo quando,” puntualizzò l'ufficiale.

“ Agli esami di idoneità, ” ricordò Stefano.

“ Non ti ricordi che fece paura alla commissione? ”

“ Ha, si, è vero, ancora rivedo la faccia cadaverica dell'ufficiale quando scese dal velivolo, che volle fare il secondo al tuo posto.

Così adesso è il tuo vice? ”

“ Si e sono contento, ” rispose il tenente.

“ Lo puoi essere e forse hai ancora tante cose da imparare da lui. ”

Si restrinsero la mano e poi la tese a Tullio, però prima di stringergliela fece il dovuto saluto.

Sorrise ancora all'ufficiale e poi indicò il posto dove dovevano andare.

Tullio e Stefano entrarono in un gigantesco Hangar in cui c'erano allineate due file di velivoli di tanti tipo: S-79- trimotori, bimotori da ricognizione e

tanti caccia, tutti nuovi di fabbrica. Il meccanico di servizio li accompagnò sotto un imponente caccia Biplano nuovo e brillante, anche le ruote di gomma del carrello erano lucide. Al fianco della fusoliera c'erano stampati due rettangoli: uno con la bandiera tricolore con lo stemma reale sul bianco del centro e l'altro rettangolo, una scritta numerica in lettere cubitali: D-O-4-X.

“ Questo è il vostro caccia signor tenente, ” concluse il meccanico.

Stefano guardò Tullio con un sorriso soddisfatto.

“ Che te ne pare? ” Tullio annuì e sorrise anche lui.

Il caccia era un gioiello e piacque ad entrambi.

Insieme fecero il giro di controllo, una vecchia legge di Tullio di cui il tenente si era abituato anche lui, che prima di salire a bordo, doveva girare attorno all'aereo per ispezionarlo scrupolosamente. Infine salirono a bordo.

Come l'aereo, anche l'abitacolo era nuovo di zecca. Imbottito di raso azzurro, i sedili regolabili in più posizioni, per facilitare al pilota l'andatura e visibilità; due cuffie d'aviatore con inserimenti a tasto di microfoni radioriceventi e radiotrasmittente, il cruscotto, quadro di controllo, era vasto e visibile a differenza dell'aereo scuola. Una mitraglietta incorporata al centro della elica, un motore a stella multicilintrico su cui Tullio notò la grande potenza di 150 cavalli. Manetta e cloche erano lucide come inossidabile, i pedali dello stabilizzatore e quello del timone erano ricoperti di gomma lucida come le ruote del carrello. I pulsanti della mitraglietta erano a portata di mano per ognuno dei piloti. Sei nastri di mille proiettili ciascuno alternati: primo perforante, secondo tracciante e il terzo incendi abile. Anche il serbatoio era pieno di carburante, in fine c'erano due paracaduti in seta color ghiaccio piegati e sistemati in un angolo a disposizione del pilota di agganciarlo prima di decollare, ma quella era una vecchia regola, né Tullio e ne Stefano la rispettavano. Tullio fece una smorfia, il tenente se ne accorse e fece una risata divertita.

“ Lo so che detesti i paracaduti, ma questi sono in dotazione al velivolo e dobbiamo tenerli. Come a te, anche a me danno fastidio i paracaduti però li lasceremo a terra quando decolliamo all'insaputa dei nostri superiori. ”

Prima di avviare il motore, indossarono entrambi le tute d'aviatore e cuffie. Inserirono il pulsante della radiotrasmittente e radioricevente, connettendosi con la torre di controllo. Subito ricevettero l'ordine di decollare.

Il caccia biplano uscì dall'hangar come esce una sposa da casa vestita elegante, truccata, pettinata e imbellettata, per incontrare lo sposo per unirsi in matrimonio all'altare e completare la loro felicità.

Così sembrò a Tullio e forse anche al tenente perché anche lui abbozzò un sorriso rivolto a Gualandi. Il decollo avvenne perfettamente come sempre avveniva tra il tenente e Tullio.

Il caccia si levò dal suolo come una rondine per raggiungere lo spazio in cerca di cibo. La perfezione del decollo e del volo era tutto merito della pratica e la capacità del tenente Montautti. Come lui lo era anche Gualandi pensò Stefano.

Come tanti caccia, il biplano, era attrezzato di due posti. Quello davanti era per il secondo e quello più indietro per il pilota.

I due posti sono comunicanti fra essi tramiti un tramezzo in legno compensato collegato con chiusure praticabile dai due lati, permettendo ai due piloti di scambiarsi i posti in volo, in caso che uno di loro rimaneva ferito durante un duello. In questo caso, si mantiene la stessa quota inserendo la leva di stabilità, si ottiene il pilota automatico.

Questa prova, il tenente la volle fare durante il viaggio di ritorno a Bir Ghenem. Il campo di atterraggio era vasto e pulito, non era asfaltato come tanti campi di aviazione, ma sodo, nonostante la sabbia come tutti i deserti, ma il deserto Marmarico, permetteva ai piloti di atterrare o decollare senza difficoltà. In terra era una superficie come un marmo, perciò si chiama deserto Marmarico.

Per curiosità di Stefano, l'atterraggio lo fece fare a Tullio. Lui il tenente, lo sapeva perché quando Gualandi prendeva per mano un aereo, in arrivo e quando atterrava lo depositava al suolo come un piuma.

-Bisogna battezzarlo, hai in mente un nome? -incitò il tenente.

- Si - rispose Tullio.

- se mi autorizzate, lo chiamerei “ BARRACA ”

- Benissimo! Approvo il tuo gusto e mi piace la tua decisione, lo chiameremo BARRACCA, questo è il suo nome. Domani cercheremo la vernice, lo scriveremo su lo spazio e sotto un'ala. - Tullio non aspettò il tenente, si alzò presto, trovò la vernice incandescente, cercò un pennello e si mise all'opera. Quando arrivò Stefano Tullio aveva già scritto, con lettere cubitali a fianco del rettangolo della bandiera – BARACCA – e un'altra scritta, a lettere gotico, sotto l'ala sinistra, con la stessa vernice.

Il tenente si arrestò con espressione di meraviglia. Gli mise una mano sulla spalla e disse.

  • Non sapevo che, oltre ad essere un bravo pilota, fossi anche un pittore. Qualche volta mi fai confondere, c'è tutto da scoprire in te, quante sorprese ancora mi riservi? -

  • Niente sorprese, è tutto qui quello che so fare, per il resto ignoro tutto, ho voglia di progredire e beneficare per no farmi considerare,-

    rispose Tullio minimizzando e ricambiando il sorriso, mentre rimetteva a posto la vernice e lavava il pennello.

Il giorno dopo cominciarono i travagli del volo. Ma per Stefano e Tullio iniziò il vero desiderio da tanto atteso.

La squadriglia Montautti era sempre in azione. Il tenente manteneva l'ordine agli altri piloti di volare a una certa quota e in un certo spazio descritto, ideato da lui stesso. Ma Stefano9 e Tullio si spingevano molto vicino al confine della Tunisia a bordo del fedele Baracca. Dovevano stare però molto attenti perché Tunisi era una colonia francese e la Francia era già in guerra con la Germania e questa era nostra alleata. Il pericolo c'era avvicinandosi molto alla frontiera.

Era solo un volo di ricognizione tutti i giorni, però se qualcuno era male intenzionato il Baracca sapeva difendersi e non dava mai niente per scontato.

In compenso Gualandi scattava fotografie, un rullino dopo l'altro. Anche rischiando, rilevava zone e luoghi invalicabili.

Quando rientravano alla base, Gualandi consegnava il prodotto fotografico alla tenda in cui si sviluppavano le pellicole.

L'addetto allo sviluppo elogiava sempre Tullio per avere scattato con precisione e senza sfumature di luce, tutti i panorami di chiari obbiettivi.

  • Da civile facevi il fotografo? - gli chiese un giorno.

  • No, mai, qualche volta mi piace quello che può essere difficile, ecco tutto, -

    rispose lui evasivo.

Ma il fu tenente a completare la risposta per Tullio.

  • Non solo è capace di fotografare, ma sa fare tante altre cose che è poi difficile a indovinare le sue scoperte. -

    Gualandi, in collaborazione con il suo tenente, riuscirono ad applicare al Baracca un autoscatto alla macchina fotografica in funzione automatico.

-Perché in caso di un duello in combattimento aereo, il pilota non può distrarsi e scattare le foto. - Consigliò Gualandi. Stefano approvò.

Anche questa era una idea di Tullio e il tenente si meravigliava, ma approvava sempre le proposte del suo vice.

 

 

 

Domenica 12 maggio 1940 alle ore dieci suonò la tromba per l'adunata di tutto il complesso delle truppe, esercito e aeronautica.

Il generale Bergonzola, detto barba elettrica, comandante della seconda divisione fanteria e genio, radunò tutti i militari di terra e cielo collocati in zona Bir- Ghenem.

Le truppe si divisero per corpo schierati in attesa del generale.

Lui arrivò e parlò.

  • Soldati graduati, ufficiali e comandanti!

  • Dobbiamo unirci e fonderci perché l'unione fa la forza e lasse ha bisogno di forza, noi stessi!

  • Il ferro è rovente anzi è incandescente, pertanto teniamoci pronti. Ogni singoli di voi, soldati semplici, ufficiali o superiori, devono essere responsabili della loro capacità.

  • Dobbiamo combattere e comandare, non importa il grado, ma tempestivamente assumere il comando al posto dell'assente. In tempo di operazione un individuo qualsiasi deve essere pronto a comandare e a subire.

  • Uniamoci e restiamo vicini! Perché tutti siamo veri eroi!

  • Non aspetteremo lo squillo d'allarme, ma una lavata alle mani e via al fronte in cui ci aspetta la gloria!

Gualandi e Montautti ascoltarono il discorso del generale, ma se lo creavano per conto loro il regime.

Lunedì 20 maggio 1940 tutta la truppa delle forze situate a Bir Ghenem

fu spostato a Gariàn, un piccolo paese di arabi coltivatori di tabacco, a dieci chilometri circa a nord ovest, più vicino al confine con la Tunisia. Anche li c'era un campo d'aviazione naturale come in tutto il deserto Marmarico, ma molto ristretto per via dei campi coltivati, però si dovettero

accontentare perché solo la settima squadriglia ebbe l'ordine di andare a Gariàn, mentre l'undicesimo stormo, in cui faceva parte Montautti e Gualandi, fu mandato in altre zone. Perciò la squadriglia settima era assolutamente disponibile alla difesa in tale zona e Stefano aveva il pieno comando di decollare e ispezionare d'intorno, senza prendere altri ordini.

Datosi la mancanza degli ufficiali e graduati, poiché li era zona operazione, anche i piloti dovevano prendersi incarico il comando di un pezzo della batteria contraerea. Oltre il comando di una squadriglia, doveva comandare il cosi detto Pezzo.

Il tenente Montautti Stefano accettò di comandare il Terzo Pezzo della settima Batteria. L'ordine venne emanato dallo Stato Maggiore.

Poiché c'era la libertà di scelta, Stefano scelse Gualandi Tullio, come vice comandante; giacché era anche il suo secondo pilota. Poi scelse altri quattordici uomini come servienti.

Stampazzi speciale tiratore di precisione, Bevilacqua autista e puntatore, Giordani azionatore dei riflettori notturni, capace di centrare un aereo fra le colonne nel raggio luminoso senza perderlo di vista. E altri undici uomini, rispettosi, sinceri e disciplinati.

Il così detto pezzo era composto: un cannone calibro 13-27 con rinculo a vomero, una base col timone montato su due robuste ruote, chiamato C- K.

Due mitraglie pesanti posto su un piedistallo mobile e rotabile, chiamato venti millimetri ( mm. 20 ).

Come mezzi di trasporto c'erano: due camion Lanciarò da rimorchiare il cannone e le mitragliatrici e caricare oltre venti uomini, una Campagnola per trasportare il comandante, con tutte ruote motrici e gomme ripiene.

Su i due camion c'erano già istallati due fucili mitragliatori, uno sopra la cabina e l'altro dietro in alto alla cappotta. Un altro fucile mitragliatore sul parabrezza della campagnola.

In artiglieria questo complesso si chiama Pezzo, mentre in corpo di fanteria si chiama Plotone.

Il tenente e Gualandi riunirono i quattordici uomini già consigliato da Tullio, facendo un breve discorso.

  • Credo che anche voi, come me, siete contenti di avere Gualandi per vice comandante. Come già sapete, io ho altri impegni nel volo, oltre voi ho da comandare una squadriglia. Quello che vi sta più vicino è Gualandi e proprio lui vi ha scelti. Di armi e strategie lui ne sa più di tutti noi, se seguirete i suoi consigli e obbedite ai suoi ordini, non sbaglierete mai. Molte volte lui deve venire con me, allora rimarrete soli perciò dovete comportarvi disciplinatamente e onestamente come in nostra presenza. Dobbiamo essere uno per tutti e tutti per uno.

Qui siamo lontani dalle nostre famiglie pertanto vi chiedo di formarne una e una comunità di sedici persone compreso io.

Siamo d'accordo? -

-Si, sii! - Gridarono in coro.

Tullio pensò ancora una volta al suo brevetto di volo civile: ancora un mese poi sarebbe stato trasferito a Roma al ministero della Difesa. -Pazienza - si disse.

Tanto Tullio come Stefano aggiornavano la corrispondenza con le loro famiglie.

Tullio informava i suoi che stava bene in salute e di tutto, era contento di non separarsi più con il suo tenente perché era il suo secondo pilota.

Mentre Stefano si rallegrava di avere Tullio con se e lo elogiava come un fratello, prometteva a katia l'invasione nella casa Gualandi al loro ritorno e soggiornarvi un tempo indeterminato a vista di tutti: i fiori, gli alberi, i prati verdi, con tante bestiole così simpatiche.

Allora Katia si emozionava, rileggeva le lettere e le sequestrava, ritrovandosi tra le braccia del suo eroe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DICHIARAZIONE

 

Della Seconda Guerra

 

MONDIALE

 

 

Lunedì 10 giugno 1940 alle ore 18, L ITALIA dichiarò

 

guerra alla GRAN BRETAGNA e alla FRANCIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La brutta notizia che circolava da tanto tempo, arrivò inaspettatamente proprio quel quel lunedì alle ore 18.

Benito Mussolini, da Palazzo Venezia Roma, fece il imponente discorso al popolo italiano.

Gli auto parlanti della radio strombazzavano per tutta Italia, in Europa e forse in tutto il Mondo. Chi non possedeva un apparecchio Radio si recavano nelle piazze o nei bar oppure attorniavano la Casa del FASCIO. Gli apparecchi Radio sbraitavano in tutti i luoghi: nelle caserme militari, nei luoghi di ritrovo e si anche nei cinema, venivano interrotte le proiezioni.

A Gariàn, l'altoparlante era sistemato sopra la tentopola del comando di divisione e si amplificava su tutto il campo.

Prima di introdursi la voce del Duce, squillò Giovinezza come in tutte le parate prima e dopo.

Tullio e Stefano erano insieme e stavano per separarsi, ma il tenente lo fermò prendendogli un braccio. Insieme ascoltarono, le parole vibranti di Mussolini.

  • Camerati!! E popolo di ITALIA!! E' Arrivata l'ora più adesiata! Sfideremo il nemico, ma Vinceremo!..

Noi siamo quaranta milioni di anime, ma siamo anche quaranta milioni di leoni affamati. Il nostro motta è :

CREDERE- UBBEDIRE-

COMBATTERE- !!!

Ci saranno dure e lunghe battaglie, ma Vinceremo!!..

La vittoria è nel nostro pugno e ITALIA e orgoglio- sa dei suoi figli eroi.

Vinceremo: in terra, in cielo e sul mare perché noi popolo italiano, vogliamo la parità e il trionfo della PATRIA !!! -

 

 

Finito il discorso del Duce, che durò cinquanta minuti, la musica inoltrò l'inno Fascista: “ Giovinezza ” E tutti sull'attenti.

Il tenente Montautti e Gualandi ascoltarono senza mai distrarsi, si scambiarono uno sguardo.

  • Crediamoci, - disse Stefano.

 

Il mattino dopo, martedì undici giugno 1940, il comandante della VII squadriglia, tenente Montautti, ricevette l'ordine di pattugliare in volo la zona sottostante. Stefano diede ordine al resto della sua squadriglia di tenersi in zona su una certa quota, ma lui e l'inseparabile Gualandi Tullio si equipaggiarono in assetto di guerra, salirono a bordo del fedele biplano Baracca e decollarono per una ricognizione lungo il la frontiera tunisina. Se il tenente aveva sistemato il resto della squadriglia, Tullio aveva fatto passare il prezzo, con tutti gli inservienti, nella periferia del paese in parallelogramma a ovest con latitudine 60 gradi. Lui aveva studiato tecnicamente, per sua abitudine, le posizioni dall'ingresso facile degli aerei stranieri o nemici, facilitando l'obbiettivo del suo cannone C.K. E delle venti-millimetri, con meraviglia degli altri tiratori, ma Stefano sorrise e capì subito l'idea di Tullio.

I due spietati piloti non si accontentarono di tenersi in distanza regolare, ma si spinsero oltre il confine tunisino.

  • Stiamo provocando l'avversario – puntualizzò il tenente.

  • Per quanto mi concerne siamo o non siamo in guerra? -

Rispose Tullio.

-Ieri potevano accusarci di reato per invasione del suolo privato, ma oggi no perché la caccia è aperta, se non entriamo noi entrano loro nel nostro territorio. Noi fotografiamo le vedute strategiche. Il nostro compito è solo una ricognizione e non apriremo il fuoco se non siamo costretti. -

-Bravo Gualandi! E' proprio vero, tu sei un vero idealista, la caccia è aperta e noi cacciamo,- concluse Stefano.

In quel frattempo Tullio vide, per primo, due caccia francese andar contro loro, allora consigliò:

-Signor tenente, sarà meglio ripiegare sul nostro sul nostro territorio prima di scontrarci con quei due caccia. -

  • D'accordo, accetto il tuo consiglio, tu hai due occhi perforanti da falco li hai visti per primo. -

Allora si ritirarono sul territorio italiano,, ma i due caccia stranieri non avevano nessuna intenzione di arrendersi, e avanzarono sulla rotta del Baracca.

  • Posso chiedere qual'è la vostra decisione, signor tenente? -

  • La fuga è l'arma più efficace per la difensiva per chi vuole arrendersi,

ma essa è accompagnata dalla viltà, la più scandalosa dell'umanità. Quindi noi non siamo ne vili e neanche paurosi. Siamo sulla nostra terra e ci difendiamo, la caccia aperta e se guerra vogliono, guerra avranno, vero? -

Convenne il tenente.

-Certamente, anch'io la penso così, volevo solo la vostra conferma-

approvò Gualandi.

  • Allora via!.. Diamoci da fare. -

Anche il Baracca sembrava essere d'accordo con i suoi piloti.

Il biplano fronteggiò i due caccia francesi senza rendersi conto della forza impari.

La precisione era un fattore principale in quel rischioso gioco e Tullio lo sapeva, c'erano ancora tanti di quei trucchi di cui entrambi l'avevano studiato insieme, ma se lo tenevano in segreto riserva, pronto a servirsene quando ci volevano.

Con frequenza maggiore Stefano seguì un rettangolo perfetto, come avrebbe fatto sicuramente Gualandi.

Quelle serie di acrobazia, scrupolosamente diabolici, fecero credere agli avversari una fuga di resa.

Ma a questo punto, il Baracca, con una piroetta, riprese quota, facendo distrarre la posizione dei due caccia nemici. Il muso del biplano si alzò rapidamente come un delfino quando saltella per gioco sulla superficie dell'acqua, poi si abbassò con la stessa rapidità, cercando il bersaglio perfetto. Secondo le previsioni di Tullio, il musetto del Baracca era esattamente sotto la fusoliera del caccia francese. Il primo a far fuoco fu l'altro caccia nemico in difesa dell'altro nel bersaglio.

Nel frattempo Gualandi intuì a razzo il segnale del tenente.

Aprì il fuoco anche lui, sventrando il sotto della fusoliera del caccia avversario con una sola raffica, questo immediatamente perse quota portandosi dietro una striscia di fuoco e fumo. Un paracaduto si aprì in distanza e il pilota agganciato, paracadutò sul territorio tunisino mentre il suo velivolo esplodeva a terra con in boato. L'altro caccia nemico, prima di ripiegare, scaricò una raffica di mitraglia contro il baracca.

Anche Tullio rispose al fuoco e lo centrò su un'ala, questo barcollando, batte in ritirata, poi si allontanò danneggiato.

Nonostante la vittoria, Gualandi, continuava a tenere il pollice ancora sul pulsante della mitraglia, quando si accorse che la spalla del tenente sanguinava sotto la tuta da pilota. Allora si allarmò.

  • Signor tenente voi siete ferito! -

  • Si un proiettile mi ha sfiorato la spalla, non sarà una ferita grave però mi fa un male tremendo, credo che non riuscirò a manovrare la cloche per l'atterraggio.-

  • stabilizzate la quota, applicate il pilota automatico e scambiamo i posti, ma prima dovrò medicarvi. - Insistette Tullio.

Aprì il pacchetto di medicazione situato a bordo e lo medicò. La ferita era abbastanza profonda ma il proiettile non c'era più, però se ci fosse stato, Tullio lo avrebbe estratto lo stesso.

Quando Gualandi prese il posto per pilotare si accorse che Stefano era diventato pallido. Era la prima volta che vedeva il suo tenente cambiare colore. Però era sicuro che non si trattava di fifa, perché il tenente stesso detestava la paura.

  • Un vero pilota deve sempre respingere l'angoscia in volo.- Questo era il loro motta, e Tullio lo sapeva. Forse si era spaventato per perdita di sangue che Tullio aveva, tempestivamente, tamponato la ferita.

Gualandi prese il comando del Baracca. Quando si avvicinò alla base, chiamò la torre di controllo mobile, non sempre funzionava, ma quella volta rispose.

Quando la torre di controllo non funzionava doveva atterrare alla ricerca del suolo libero però in quella zona non atterravano altri aerei eccetto gli altri quattro aerei della VII squadriglia comandata dal tenente Montautti e i piloti erano sempre in contatto con il comandante.

Tullio dichiarò: qui biplano -D-O-4-X latitudine sei, bara 15, longitudine verticale, quota 2500 metri, dista Km. 90 circa siamo in fase di atterraggio.

Un ferito a bordo, richiedo un' ambulanza e pista libera! -

  • Ricevuto provvediamo immediatamente altri ordini? - Rispose la torre di controllo.

  • Niente altro, passo e chiudo, - confermò Gualandi.

Il Baracca atterrò delicatamente come una farfalla quando si posa su un fiore. Tullio lo fece di proposito, aveva un ferito a bordo e poi era nel suo stile la precisione d'atterraggio e Stefano ne era orgoglioso.

Sulla pista c'erano non solo l'ambulanza, un mezzo dei vigili del fuoco, ma tutto il personale libero, i piloti della VII squadriglia e i 14 componenti del III Pezzo.

Il mezzo e l'ambulanza non servirono perché il tenente rifiutò di andare all'ospedaletto da campo.

Accettò di farsi medicare in infermeria in presenza di Gualandi.

Poi Tullio stesso scrisse il verbale con lo scontro dei due aerei francesi e l'incursione con essi e consegnò il rullino delle foto con ricche vedute.

Il rapporto della battaglia aerea doveva scriverlo il tenente, ma pregò di stenderlo il suo secondo pilota con la scusa della sua spalla ferita. Stefano lo firmò soltanto.

Mercoledì 12 giugno 1940 tutti i giornali diramarono il primo Bollettino di guerra N°1 e alla sera lo trasmise la radio.

 

 

 

-IL PRIMO DI GUERRA-

BOLLETTINO N°I

DEL QUARTIERE

GENERALE

 

Il 12 giugno 1940 il Quartiere Generale delle forze Armate dirama il seguente Bollettino di guerra N°1 Alle ore 24 del giorno dieci il previsto schieramento delle forze di terra, del mare e dell'aria era ordinatamente

compiuto.

Unità da bombardamento della Reg ... Aeronautica scortate da formazioni di caccia, hanno effettuato alla prime luci dell'alba di ieri e al tramonto, violenti bombardamenti sugli impianti di Malta, con evidenti risultati, rientrando incolumi quindi alle rispettive basi.

Nel frattempo un nostro caccia, con due piloti a bordo decollato dalla base di Garian si è scontrato con due caccia francesi al confine con la Tunisia.

I nostri valorosi piloti hanno accettato il duello anche in parità di forza. Un velivolo francese è stato abbattuto e l'altro danneggiato e messo in fuga. Mentre il nostro caccia biplano è rientrato alla base sano e vittorioso.

Il primo aereo nemico abbattuto dai nostri valorosi. La prima vittoria del primo giorno di guerra!...

 

 

Tutta la truppa di Garian, ufficiali compresi, vollero conoscere i due piloti

della VII squadriglia: il tenente Montautti e il suo secondo pilota Gualandi. Ma i 14 uomini del 3° pezzo della 7° Batteria, contraerea,, vollero farsi ricevere privatamente dai due loro comandanti.

Tanto Stefano come Tullio, acconsentirono abbracciando uno dopo l'altro.

Il primo Bollettino di guerra si sparse in tutta l'Italia, tutti i giornalisti riempivano le prime pagine dei giornali, scrivendo la prima vittoria del primo giorno di guerra: due piloti della 7° squadriglia di Garian, eroicamente, su un solo caccia, avevano affrontato un duello impari con due spietati caccia francesi, battendoli e sconfiggendoli.

La notizia circolava in Italia, in Europa e anche in tutto il Mondo.

Ma i giornali entravano anche nelle case di Montautti e di Gualandi.

Le due famiglie sapevano che i loro figli, Stefano e Tullio, erano entrambi a Garian e solo la 7° squadriglia al comando di Stefano Montautti era li.

Quindi i due piloti vittoriosi erano sicuramente Tullio e Stefano.

I giornalisti non specificavano i nomi dei due piloti d'azione, ma i loro famigliari lo sapevano fondamentalmente .

Quello che ne risentiva di più era Katia. - Oddio, - si diceva.

 

Tullio, oltre ad essere bello ed attraente, è anche un eroe, il mio eroe!

Tanto Ettore Montautti come Giorgio Gualandi scrissero ai loro figli.

Rispondeva Tullio – si siamo stati noi , ma il merito è tutto del tenente Stefano.-

Stefano invece scriveva: -I vittoriosi siamo io e Gualandi, ma l'azione è stata del mio secondo pilota Tullio, per merito suo sono ancora vivo perché il secondo velivolo nemico, dopo aver visto il primo precipitare al suolo in fiamme, si è scagliato contro di noi e forse ci sarebbe riuscito a colpirci, ma Tullio ha subito previsto il pericolo, a lui non manca l'adrenalina nel sangue, quindi prima che l'avversario aprisse il fuoco, lui lo ha centrato annientandolo.

Solo a me, un proiettile mi ha sfiorato la spalla, ma Gualandi, tempestivamente, come un vero medico, mi ha medicato a bordo stesso e senza ricevere ordine ha preso il comando del nostro biplano, di nome Baracca, e siamo rientrati alla base decorosamente.

Le due famiglie non potevano non elogiare i loro due giovani, si meravigliavano, ma non si sorprendevano perché conoscevano entrambi l'audacia dei loro figli.

Il tenente Montautti rifiutò anche il giorno di riposo a causa della ferita alla spalla, ma volle continuare il servizio di ricognizione già programmato dal comando della R. Aeronautica Militare.

Il tenente, con la spalla fasciata, a bordo del Baracca, fungeva da secondo e Gualandi da pilota. Il resto della squadriglia, per ordine del tenente Montautti, dovevano perlustrare l'interno dentro un viaggio limitato da lui stesso.

Ma Stefano e Tullio rischiavano sempre di tracciare i confini della Tunisia e sapevano con esattezza dove sarebbero arrivati, progredendo l'avanzata aerea.

Quel giorno fecero un lungo giro di ricognizione scattando fotografie su fotografie anche in terra straniera. I piloti sempre pronti per affrontare duelli, ma in tutto il loro giro di volo, non incontrarono nessuna sinistra coincidenza.

Gualandi volle ricordare al suo superiore.

-Signor tenente il nostro itinerario di volo sta per finire. Aspetto un vostro ordine per rientrare alla base.-

-Tullio!...- Rispose il tenente.

-Stiamo volando nello spazio, siamo più vicino al regno celeste che alla terra. Qui si eliminano le distanze e le formalità. Lassù siamo tutti uguali: il generale con il soldato, il medico con l'infermiere, l'ingegnere con il meccanico e il pilota con il camionista e via di seguito. Lì esiste veramente il Divino Tribunale e Quello è Giusto davvero come la giustizia in terra che non esiste. Si compera, si vende e si mercanteggia. Il colpevole si compera , si vende e si mercanteggia.

Il colpevole si compera i difensori e viene assolto perché è ricco.

L'innocente viene condannato perché non può pagare. Ripeto, quando siamo in volo abbiamo le ali del nostro Baracca, quindi voliamo anche noi come gli angeli. Loro non dicono signore fra loro e neanche si danno del lei o voi. Loro dicono Signore solo a Dio!

Voglio ricordarti il primo dei comandamenti:

 

IO SONO IL SIGNORE DIO TUO

“ Primo: Non avrai alto DIO fuori che me.”

-Ecco perché in Cielo sono tutti uguali. Ora noi siamo in volo, vuoi crederci o no, siamo come loro.

Io sono Stefano e tu sei Tullio.

Per noi quando siamo sulla superficie terrestra, riprenderemo le nostre formalità, d'accordo?-

Tullio si sorprese di tanta confidenza, ma rispose solo:

  • Si grazie.-

Domenica 16 giugno 1940, il reggimento dell'artiglieria contraerea ebbe l'ordine di partire. Destinazione: Tobruch, dal fronte tripolitani al fronte Cirenaica.

Ma la settima squadriglia aerea doveva spostarsi da Garian a Tripoli con i propri velivoli.

Il tenente Montautti e Gualandi salutarono gli uomini del terzo Pezzo. Dissero loro:

  • Vi raggiungeremo a Tobruch presto. Uno di voi, in buon accordo, assumerà il comando finché vi raggiungeremo noi, ma gli ordini precisi vi saranno emanati direttamente dal comando del reggimento, buon viaggio e arrivederci.-

La 7° squadriglia ricevette l'ordine di recarsi a Tripoli per unirsi con il XI storno.

Montautti e Gualandi, insieme al resto della VII° squadriglia, arrivarono a Tripoli, aeroporto Mellaka, prima delle ore undici dello stesso giorno.

Tutti si domandarono perché il fronte di base Tunisi furono smantellati.

La risposta arrivò poco dopo: la Francia si era arresa e a Parigi entrarono le truppe tedesche. Un'altra vittoria del Asse.

Esattamente il 25 giugno 1940 all'alba i francesi avevano firmato l'armistizio incondizionato con la Germania e l'Asse.

Dopo l'atterraggio i piloti lasciarono il campo d'aviazione, un mezzo dell'aeronautica li condusse in città. Si sistemarono nelle caserme già note a loro per esserci alloggiati alcuni mesi prima.

Tullio e Stefano, al pomeriggio, uscirono e girarono in città. Ebbero un po' di nostalgia. Tripolitana gli ricordava i divertimenti e i loro svaghi. Il tenente promise al suo secondo pilota una serata al nit SUK-L-TRUH.

Ma non fecero in tempo perché, martedì 18 giugno alle ore9, tutti gli avieri, graduati e semplici, dovevano radunarsi in grande uniforme, in Piazza della Vittoria, nel cuore della città di Tripoli: visite e un discorso del generale: Maresciallo dell'Aria e governatore della Libia Italo BALBO.

Nato a Quartesana ( Ferrara ) aprile 1896. sposato con la contessa Elena Florio, nata ad Alessandria giugno 1904.

Tutti si chiedevano ( perché questa parata al governatore? Siamo già in guerra, adesso è tempo di azioni non di sfilate! )

-Lui è un pilota come noi,- commentò un ufficiale.

-E' il nostro capo, forse vuole augurarci di combattere, ma di rientrare tutti salvi alla base.-

Il Maresciallo Dell'Aria, Italo Balbo, arrivò in Piazza Della Vittoria in orario, senza farsi attendere. I piloti: ufficiali, sottufficiali e semplici, erano schierati in ordine di squadriglia.

La tromba squillò l'attenti, un generale dell'aviazione, con uno scattante saluto, presentò la schiera dei piloti al Governatore, lui ricambiò il saluto e la tromba diede il segnale di riposo, dopo un gesto del Maresciallo dell'aria. Lui con una fitta barba e il suo corpo aitante salì sul podio con un movimento atletico e parlò con un discorso chiare e imponente a tutti gli avieri.

 

 

 

 

Diletti miei piloti! ITALIA ha bisogno,

in questo momento, di noi, ma più di tutto

di noi cadetti dell'aria, adesso più che mai!

E noi lo dimostreremo facendo il possibile

del nostro dovere!..

Il vero pilota deve fondersi con il proprio

velivolo di cui vi è stato consegnato:

trattarlo e governarlo come fosse il vostro cavallo.

Comandarlo, si spronarlo, quando è necessario,

ma soprattutto volergli bene!

Il vostro apparecchio vi ricambia con lo stesso

con cui lo trattate. Esso è solo una macchina,

ma per il suo pilota ha anche un cuore!...

Così ho fatto io. Si sono Maresciallo Dell'aria,

non perché mi ci hanno fatto, ma per essere

generale, me lo sono meritato. Con passione,

e si, anche con sacrificio!!..

Anche voi cari mie piloti, potete arrivare,

con la vostra macchina dell'aria, alla vetta

desiderata.

Il cielo vuole essere trattato con rispetto,

l'orizzonte vuole essere comandato e

l'aria dominata.

Questo è il vero Motto! Per essere Cavalieri

Dell'aria!!!!

Ora miei cari piloti una scrollatina di spalle,

una ravviata ai capelli e poi affiancarci al

dovere della

Nostra PATRIA!...

Dopo il discorso del Governatore, tutti, si prepararono in attesa di partenza alle rispettive basi aeree.

Stefano e Tullio sperarono di tornare in Italia, forse in una base del sud, da li partivano i bombardieri scortati da caccia per martellare Malta. Ma non fu cosi, i loro sogni si dispersero come sabbia al vento sul deserto. Invece dovettero raggiungere Tobruch con l'11° stormo e altre squadriglie si sparsero in pieno deserto nei pressi di Giarabub.

Mercoledì 19 giugno 1940 in mattinata, il Baracca, con la VII squadriglia

e gli affezionati piloti, Montautti e Gualandi, atterrò sul campo di aviazione di Tobruch.

Appena fuori dalle piste di atterraggio dell'aeroporto si erano piazzati i quattordici uomini del 3° Pezzo. Così con allegria, si riunirono con i loro comandamenti: il tenente e Tullio.

I ragazzi avevano già montato le tende e anche una per Tullio e Stefano.

Dopo una breve separazione si riunirono tutti i e16, senza contare gli altri uomini della stessa 7° squadriglia.

Il cosi detto aeroporto militare di Tobruch confinava con la riva del mare Mediterraneo. Li si improvvisava una specie di porto per attraccare le navi, però serviva solo per i motoscafi perché l'acqua in quel punto era bassa. Infatti la nave da guerra – INCROCIATORE SAN- GIORGIO italiana, ci aveva provato di attraccare, ma a un miglio dal Molo si era arrenata.

Era rimasta li, completa di equipaggio, per del porto. Questa era attrezzata come tutti gli incrociatori: tante bocce da fuoco di tutti i calibri, scorte di munizioni e viveri di cui veniva rifornito dalle barche più leggere in attesa che il porto venisse scavato per approdare navi di ml tonnellaggio.

Pertanto l'incrociatore rimase per difendere la costa e il porto di Tobruch.

Il tenente Montautti, impegnato al comando della sua squadriglia, non poteva accompagnare sempre Gualandi nei giri di ricognizione. Manteneva

e dava ordini ai piloti di perlustrare la zona e scortare i bombardieri in azione.

Tullio molte volte, doveva pilotare il Baracca da solo, il comando di stormo gli ordinava di scortare i trimotori S 79 per l'incursione su Alessandria d'Egitto e sul canale di Suez. Spesse volte Gualandi si doveva misurare con la contraerea nemica, oltre di affrontare più duelli aereo con i caccia della R.A.F. , doveva anche sfidare la potenza dei GHIBLI che soffiava anche a 120 chilometri all'ora, un ventaccio spregevole spregevole, il quale alzava colline di sabbia sul deserto e faceva alzare la temperatura di molti gradi, non solo, ma oscurava l'orizzonte con una cortina di sabbia da rendere difficile, al pilota, l'atterraggio o il decollo.

A Tullio non interessava pilotare da solo perché il Baracca era più di un compagno. Con tutti i decolli e scorte, lui e il Baracca, rientravano sempre incolumi alla propria base.

Quando Gualandi prendeva per mano un aereo, in arrivo d'atterraggio, lo depositava al suolo come un fragile cristallo e sfidava la pista con qualsiasi condizione meteorologica. Tutto questo, non solo lo vedeva Stefano, ma lo notavano tutti i piloti e perfino i comandanti di altre squadriglie e di stormi; si complimentavano con il tenente Montautti per aver saputo scegliere i provetti nella sua squadriglia.

Gli allarmi di incursioni nemiche si improvvisavano quasi in continuazione, ma le azioni di difesa avvenivano quasi sempre lontano dal 3°Pezzo, con rabbia dei servienti, specialmente Stampazzi e Bevilacqua, i migliori puntatori.

Quando erano assenti i loro comandanti, il tenente e Tullio, essi erano pronti per aprire il fuoco, senza aspettare altri ordini e centravano immancabilmente il bersaglio.

Quel venerdì 28 giugno 1940, fu una giornata calma: ne allarmi e ne ostilità. A sera, dopo il frugale rancio, il tenente disse:

-Meglio riposarci tranquillamente questa notte, perché domani abbiamo un osso duro da spolpare, è in programma una ricognizione a Sud-Est in assetto di guerra. Dobbiamo tenerci svegli e agili, mi dispiace Gualandi, ma forse toccherà proprio a te, e da solo, io dovrò seguire il resto della squadra in circospezione. Puoi scegliere anche un altro caccia a tuo gradimento.-

Tullio rispose: - grazie se posso scegliere prenderò il Baracca, mi trovo a mio agio, con esso non sarò mai solo perché è più di un affezionato compagno.

Adesso stabilisco il turno di guardia, farò la prima ora di mia spettanza e poi mi riposerò anch'io.-

-Benissimo, tu pensi alla guardia del Pezzo e io stabilisco quella della del campo d'aviazione con gli avieri della nostra squadriglia per sorvegliare il raggio intorno ai nostri velivoli,- accordò il tenente.

Prima di salutarsi, Stefano gli dava sempre una pacca sulla spalla e Tullio ricambiava con un saluto militare.

Ma quella sera, poco più della ora 18, entrambi non fecero in tempo a scambiarsi il solito saluto, perché sentirono, con sorpresa, lo squillo d'allarme strillato dalla sirena posta sulla tentopola del comando di gruppo dell'artiglieria contraerea, in cui c'era il Radar.

Montautti e Gualandi si sorpresero e rimasero in ascolto.

Dopo lo strillo acustico della sirena, il microfono cominciò a sbraitare:La contraerea aspetta gli ordini prima di aprire il fuoco e la 7° squadriglia si tenga disponibile, decollerà non appena le verrà segnalato.

Tullio senza aspettare gli ordini di Stefano, invitò i suoi uomini di piazzare l'alzo del cannone in direzione del mare, era sempre quella di rotta di provenienza dei velivoli nemici, ma di non aprire il fuoco se lui stesso non autorizzasse per via radio, il cui apparecchio era sistemato su un camion a loro disposizione.

Intanto il tenente lo invitava, con lui, a raggiungere la pista su cui erano deposti il Baracca e gli altri velivoli della 7° squadriglia.

Il loro pensiero era di saltare a bordo del Baracca e affrontare il duello anche se gli aerei nemici fossero tanti.

Intanto aguzzarono, più che potevano la loro vista. Tullio si arrestò all'improvviso.

  • che c'è?- Si sorprese il tenente.

  • Ascoltate anche voi, ma ho l'impressione che quel rumore non sia un

motore della R.A.F., ma appartiene a un motore della nostra aviazione.-

-Sembra anche a me- approvò Stefano.

-Ma allora perché continua a ripetere l'allarme?-

-Forse il Radar ancora non potrà intercettarlo bene,- osservò Gualandi.

Oltre il 3° Pezzo, tutto il reggimento dell'artiglieria contraerea, era in attesa di combattimento, ma nessuno aprirono il fuoco.

Poi tutti si arrestarono, quasi ipnotizzati di sorpresa, quando sentirono abbaiare le bocche da fuoco dell'Incrociatore San Giorgio, vomitando proiettili di tutti i calibri come improvvisare un fuoco d'artificio in una festa popolare. In pochi secondi, l'aereo volante in questione, crivellò in una fiamma incandescente e una pioggia di piccoli frammenti, come tante fiammelle azzurrognolo, cadevano sul suolo sabbioso fra la spiaggia e l'accampamento.

I portaferiti furono mobilitati e corsero espressamente, ma trovarono solo pezzetti di corpi umani ancora ardenti e parti carbonizzati. Anche la fusoliera e il resto della carcassa del velivolo era irriconoscibile, si notava solo una calotta di alluminio fuso.

Dopo il viavai dei soccorritori, senza poter riconoscere nessun corpo, tornò il silenzio e la quieta.

Forse era stato abbattuto un aereo ignoto. Tutti si domandarono perché quell'allarme all'improvviso, senza risultato?

Ma la risposta arrivò quando era gia buio. Lo stesso altoparlante, posto sulla tenda del comando, annunciò la macabra notizia.

Questa vola non sbraitò come un allarme, ma con voce di rammarico.

-Italiani!!!- Pausa, poi:

-E' stato abbattuto l'aero S. 79 pilotato dal Maresciallo dell'aria Italo Balbo! A bordo con lui, c'erano altri otto ufficiali.

I nomi dei deceduti vi verranno trasmessi appena possibile.

Ecco il primo lutto nazionale con rimpianto di tutti gli italiani!

Abbiamo perso il perno della nostra Aeronautica! I piloti ne risentiranno la mancanza più di tutti, la perdita di Italo Balbo: Maresciallo dell'aria, Quadrunvirato della Rivoluzione Fascista – 28 ottobre 1922,- primato di gare attraverso gli Oceani e Governatore della Libia !!! Domani tutte le Bandiere vengono alzate a mezz'asta.-

la voce dell'altoparlante terminò e si sentì una tromba suonare il silenzio. Forse era lo squillo in memoria dei defunti caduti perché la tromba non si faceva sentire mai in quelle zone d'azione.

Stefano e Tullio rimasero, e insieme con la ciurma del 3° pezzo, ascoltarono la triste notizia e il lamento della voce del microfonista e poi tutti ritornarono al loro posto.

Il silenzio si immerse in tutto il campo, la notte era calma, non si sentivano neanche il guaito dei sciacalli e i sinistri ululati delle iene.

Il cielo era un manto stellato e la luna piena, troneggiava in alto, illuminava il deserto, si specchiava sul mare, colorando le piccole onde, mosse dalla debole brezza, come tante farfalle. Il suo raggio proiettava l'incrociatore San Giorgio: la nave assassina! Imponente con le tante bocche da fuoco omicida!...

Il giorno dopo, 29 giugno 1940, i giornali erano pieni della scomparsa del Governatore. La triste notizia si sparse in tutto il mondo.

I giornalisti si spinsero a criticare: -perché l'Incrociatore San Giorgio aprì il fuoco? Senza sapere la natura dell'obbiettivo? Mentre tutta la formazione contraerea, tenne i cannoni al silenzio?-

La stampa continuò a fare questa domanda per vari giorni, ma non ebbe mai la risposta.

Tutti i piloti del compartimento della Reg. Aeronautica in Libia, furono mobilitati per unirsi alla parata, in onore alla cerimonia del rito funebre, in memoria del Maresciallo Dell'aria Italo Balbo e i suoi compagni di sventura: sette ufficiali e un sottufficiale.

Le salme, che poi erano cenere, sfilarono tra i due cordoni dei piloti in grande uniforme, un picchetto d'onore. La cerimonia si svolse in Piazza della Vittoria, dove qualche giorno prima, il Governatore aveva fatto il discorso ai suoi piloti.

La cassa funebre del Maresciallo dell'Aria era stata posta su un cannone CK della contraerea, trainato da un carro armato M. 13, coperto con la bandiera tricolore italiana e sopra c'era il berretto da parata, con la greca dorata, da generale dall'aviazione.

Subito dietro, seguiva la moglie Elena, contessa Florio giovane, trentasei anni, era bella sotto il velo del suo cappellino e il vestito scuro.

Snella, viso ovale, labbra carnose, e occhi grandi e grigi. I capelli castani per quello che si poteva vedere, sotto il cappellino, raccolti in uno chignom. Sotto il velo scuro ma trasparente, si notava il suo viso afflitto, esuberante affascinante.

-Povera donna!- Pensarono Tullio e Stefano. -E' un peccato dover rimanere vedova così giovane e così attraente!-

Poi seguivano altri parenti e amici dei Balbo e dei conti Florio. Infine si allineavano le altre otto salme, le cui casse funebre erano caricate ognuno su un camion scoperto e coperto con un drappo tricolore.

Mentre in aria volava una squadriglia di cinque caccia con sfilate, varate e acrobazie, per l'onore dei defunti e per difesa del corteo.

La cerimonia durò quasi tre ore, dopo di che i piloti furono invitati a rifocillarsi alla mensa dell'aeronautica militare.

A fine pranzo tutti gli aviatori decollarono per recarsi nei propri reparti di provenienza.

Quando Stefano e Tullio arrivarono, Baracca era in attesa dei suoi piloti, quasi a far loro festa, come un fedele cucciolo, quando vede il padrone per essere stato assente per un tempo determinato: allegro e festoso.

Così, Tullio, se lo immaginava.

-Guidi tu fino Tobruch- disse il tenente a Gualandi.

-Signor si, come volete. Siete forse stanco?-

-No stanco, ma un po' emozionato.-

-Non sarà per caso l'effetto per la sofferenza della vedova del nostro eroe?-

Scherzò Tullio.

Stefano sorrise. -un po' ance per questo. Pensi una donna così giovane e affascinante, rimasta sola.-

-Forse non ci rimarrà per molto tempo. Non è una donna da ignorare, ai nobili non mancano mai la compagnia, ci saranno tanti uomini disposti a consolarla.-

Così scherzando, arrivarono a Tobruch. Il tenente non si era accorto quando Tullio ridusse la velocità e la quota. Chiamò la torre di controllo e, con sorpresa di Stefano, fece il solito perfetto atterraggio.

Prima di tutto raggiunsero i loro uomini del 3° Pezzo. Questi li salutarono

con rispetto e allegria, ma sempre in ordine.

Dopo raggiunsero la tenda e si riposarono. Con la tendenza della cerimonia e il via vai, anche loro erano stanchi. Dormirono fino al mattino, li svegliò Stambazzi con i gavettoni di caffè. Era sempre lui a interessarsi della colazione.

Il nuovo governatore della Libia fu nominato il generale Graziano, reduce della colonia italiana Somalia.

Il tenente Montautti, in quel periodo, fu impegnato con la sua squadriglia, per ricognizione e perlustrare la zona di Tobruch, perché il resto dello storno si era spinto verso Bardia in difesa delle truppe avanzate. Tullio pilotava quasi sempre da solo e tante volte doveva accontentarsi di guidare altri caccia perché il Baracca non era sempre disponibile, il tenente lo usava spesso. Nonostante la linea frontiera di Tobruch era in retrovia, gli aerei della RAF si accanivano a bombardare sempre quella zona. Quando passavano nell'obbiettivo del 3° Pezzo, Stambazzi e Bevilacqua, non ne facevano fuggire uno, li mandavano tutti al Creatore. Ma quando erano lontano dal loro raggio di tiro, toccava alla 7° squadriglia abbatterli.

Neanche a Gualandi sfuggiva l'obbiettivo, ma quando era a bordo del fedele Baracca li distruggeva tutti quelli che sorvolavano il cielo di Tobruch .

Dopo la metà di agosto 1940, la 7° squadriglia e il 3° Pezzo, ricevettero l'ordine di spostarsi, tappe su tappe: da Tobruch a Bardia poi a Sollum alto e basso, sempre avanti, lungo la Cirenaica a Sidi-Elbarani, fino a Marsa- Matruk, su cui si fermò il fronte dell'Asse.

La corrispondenza tra militari e famiglie era sempre aggiornata.

Tanto Tullio come Stefano scrivevano e ricevevano risposte.

La notizia di casa Gualandi che ricevette Tullio era ancora più bella:

Antonella aveva dato alla luce il suo bambino.

Così scrisse a Tullio.

 

 

 

Nonantola 13 settembre 1940

 

Fratellino caro; Domenica 8 settembre alle ore 11 è nato Marcello.

Anche lui è stato il primo il primo ad arrivare nelle olimpiadi di casa Morandi Gualandi.

Lui è bello come te, anche se i suoi occhi sono di suo padre, più azzurri che chiari e i capelli quasi biondi, ma sottili come i tuoi, il suo corpo e snello, atletico come te e il suo sguardo imponente.

Sorride già, sono sicuro che nelle sue vene circola il vero sangue Blu: quello dei Gualandi! Anche lui diventerà un pilota con la P maiuscola.

Forse non sarà decorato come te con L'aquila D'oro, ma pilota lo diventerà, gli si vede nel suo sguardo.

Fratello caro, torna presto cosi lo conosci.

Ti abbracciamo tutti più quello di Marcello.

Un bacione più forte dalla tua

sorella Antonella.

 

 

Tullio lo disse a Stefano.

-Se prima ero il loro giocattolo e il loro bambino, adesso non più perchè un bambino è nato in casa Gualandi. E il tenente si congratulò con la solita pacca sulla spalla di Tullio.

Tullio rispose a sua sorella che lui era più allegro di tutti per avere un nipote come secondo Pilota.

Le disse anche che adesso non era più lui il bambino di Casa Gualandi, ma Marcello, con tanti auguri e abbracci, da Tullio zio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mentre le truppe di terra dell'Asse erano fermi senza ostilità. La formazione Aeronautica aveva molto da fare.

La 7° squadriglia comandata dal Tenente Montautti era la più bersagliata. Insieme al 3° Pezzo era più esposta a Sud-Est. Gli aerei della Raf piombarono di più in quel settore. Molti venivano abbattuti dal 3° Pezzo, ma quando si accorsero che la contraerea in quella zona era fortemente efficace, i piloti inglesi cambiarono rotta.

Allora doveva intervenire la settima squadriglia. Il tenente ordinava ai piloti di tenersi pronti per attaccare quando ricevevano il suo ordine. Mentre lui e Gualandi, a bordo dell'intrepido Baracca, avanzavano finché

no intuivano le intenzioni del velivolo nemico.

Durante i voli di ricognizione, molte volte dovevano affrontare pericolosi duelli aerei con la R.A.F. Martedì 22 ottobre 1940, Stefano e Gualandi, dovettero accettare ben nove duelli con caccia e bimotori della R.A.F. I duelli si svolsero in alta e bassa quota. Il risultato fu: un caccia abbattuto, un bimotore di ricognizione mandato in fiamme e altri due caccia, sempre della R.A.F., danneggiati e l'intera settima squadriglia rientrava alla base incolume.

Tullio ricordò a Stefano il dodicesimo compleanno di Katia, ma erano troppo impegnati con l'impresa tenace del volo.

Tuttavia Stefano riuscì a scrivere due righe anche a Katia, scusandosi per gli auguri in ritardo, ma aggiunse anche che Tullio glielo aveva ricordato, però era in operazioni di guerra da non permettersi a dilungare di scrivere , -ma a guerra finita siamo tutti per te.-

E Katia si tuffava nel sogno d'amore per Tullio. -Oddio! Lui mi pensa e mi ama perchè si ricorda del mio compleanno, anche in combattimento e in volo.-

In quella zona, la corrispondenza, tra famiglie e combattenti, era rallentata, causo il traffico tra il rifornimento e armi al fronte. Tuttavia anche con ritardo, quelle lettere arrivavano.

Il tenete Montautti, prima di decollare, insieme a Gualandi, portava la catenina, con il piccolo Crocifisso d'oro, all'altezza delle sue labbra e lo baciava, poi lo porgeva a Tullio invitandolo a baciarlo anche lui.

Sul Crocifisso c'era inciso: “ IL GIORNO PIU' BELLO DELLA MIA VITA”

-Questa catenina me la regalò mia madre il giorno della mia comunione.

In questi tristi momenti, le nostre mamme ci proteggono, preceduti da Maria, Madre di Gesù. La mia mamma è anche la tua mamma e tutte le mamme del mondo, con il loro pensiero, sono con noi.-

Tullio si meravigliava, ma lo stimava e accettava, come lui di baciare il piccolo Crocifisso. E la fraternità, fra Tullio e Stefano, si moltiplicava.

Secondo il parere del colonnello Marchesini, comandante del 11° Storno, in cui faceva parte la 7° Squadriglia di Montautti.

Il tenente e il suo spericolato secondo pilota Gualandi, si spingevano troppo oltre il confine nemico durante il giro di ricognizione, provocando e irritando l'avversario.

-Ecco perchè vi trovate continuamente i collisione. Non potete, sempre fronteggiare l'avversario e più volte impari forze. Attenzione, la posta è alta: oggi vincete, domani vittoria, ma può anche venire il momento di rimetterci le penne.-

Montautti non si arrendeva tanto facilmente. Faceva capire al suo superiore che c'era la guerra e in guerra bisogna combattere e difendersi e anche sfidare in tempo opportuno.

La disputa fra i due ufficiali continuò fino al mese successivo.

Il tenente disponeva la sua squadriglia fuori pericolo, lasciandola in avanguardia, però lui e Tullio, non badavano agli ammonimenti del colonnello e creavano una strategia a modo loro. Tanto lo sapevano che il loro Baracca era invincibile.

-Questa guerra monotona,- disse un ufficiale pilota comandante di un altra squadriglia del 11° Storno.

-Facciamo qualcosa,- convenne Montautti.

-Ma cosa? Sapete pure che il colonnello Marchesini non approva un'acca ,-

disapprovò un tenente, anche lui al comando di una squadriglia dello stesso Storno 11°.

-Proviamo ad applicare due potenti riflettori su 5 caccia e sorvolare la città di Alessandria d'Egitto, solo per terrorizzare i suoi abitanti,- propose Stefano.

-Ci sto anch'io,- convenne un altro ufficiale pilota.-

-Benissimo, siamo in quattro, ma il quinto? Ne troveremo uno disponibile a rischiare?- Intervenne il promotore che parlò per primo che la guerra era monotona.

-Ce l'ho io uno disponibile,- dichiarò Montautti.

-Non è un ufficiale, ma è più capace di noi e ha un fegato di un leone.-

-Ti riferisci al tuo spericolato secondo pilota, come dice Marchesini?-

-Certo, Gualandi, ma non è uno spericolato, è solo bravo.-

-Chiamalo allora, anche noi, vogliamo sentire il suo parere.

Tullio arrivò di corsa, al richiamo del suo tenente, con uno scattante saluto.

-Vogliamo sorvolare Alessandria d'Egitto con cinque caccia, applicandoci due potenti riflettori su ogni uno, per aggressione, ma per terrorizzare gli abitanti,- dichiarò Stefano.

-Sono molto orgoglioso per essere stato scelto fra i provetti piloti, ma non so se ho l'onore di volare insieme agli esperti ufficiali, un semplice soldato,- rispose Gualandi.

-Non c'è per caso, un pizzico di paura del tuo dire? Chiese uno degli ufficiali. Tullio sorrise e poi puntualizzò.

-Fin quando cominciai a camminare da solo, non ho mai apprezzato la paura e adesso non fa parte della mia vita.-

-Bravo! Questi son i discorsi di un vero pilota,- approvò l'altro tenente.

-Credo che tu sceglieresti il nostro Baracca vero? Aggiunse Stefano.

-Certamente! Se c'è una scelta si.

Vorrei fare una proposta se mi è permesso, ma non siete obbligati ad approvare, se la ritenete sbagliata è come non detto: oltre a due riflettori, aggiungerei anche una sirena in testa al velivolo, con una potenza di suono da coprire tre volte il rombo del motore, per terrorizzare ancor di più il pubblico. Il detto acustico verrebbe attutito all'udito del pilota con una speciale cuffia per ricevere e trasmettere con la squadriglia.

Montautti e gli altri ufficiali si guardarono sbalorditi di ciò che proponeva Gualandi.

-Bravo ragazzo, prenderemo il tuo consiglio come un ordine,- approvarono tutti insieme.

Per una proposta simile dobbiamo dichiarare guerra a Marchesini,- rincarò uno di loro.

-Non c'è bisogno di disturbare il signor Colonnello, basta inviare una richiesta al Comando di Stato Maggiore della Reg. Aeronautica e si risolve la questione, senza fare il passaggio gerarchico.

Il pilota ha più diritto di essere ascoltato al comando, specialmente gli ufficiali Piloti,- sottolineò Gualandi.

-Complimenti,- rispose Stefano.

-Tu una ne fai e cento ne pensi.

Tanto per cambiare fai una proposta dietro l'altra. Vorrei proprio sapere dove attingi tanta sapienza.-

Grazie del complimento, non centra la sapienza. Qualche volta tiro solo a indovinare.-

La richiesta fu spedita e l'approvazione dello Stato Maggiore arrivò tempestivamente al comando del'11° storno. Il colonnello Marchesini si infuriò contro i quattro ufficiali sfrenati, ma soprattutto con lo spericolato, secondo pilota Gualandi. Nonostante tutto, dovette cedere agli ordini superiori.

I quattro caccia e il Baracca, con i loro piloti, furono condotti all'officina di Tripoli per applicare l'impianto di riflettori e sirene acustici. I quattro ufficiali e Tullio, da Tripoli a Marsa-Matruk, tornarono con un S 79, preso in prestito, finché i cinque caccia non fossero pronti. Dopo quattro giorni, il capo officina, dichiarò di ritirare i velivoli in questione, pronti per l'azione.

I cinque piloti raggiunsero Tripoli con lo stesso S 79 e ritirarono i cinque caccia. Fu consigliato ai piloti di provare i velivoli sul campo Mellaka.

Il Baracca sorrise a Tullio dopo la separazione di quattro giorni, così lo immaginò e lui ricambiò il sorriso oltre l'abbraccio a un ala.

I cinque piloti si riunirono per discutere il programma come una coreografia perchè i cinque velivoli dovevano danzare sopra la città.

Il tenente Montautti fu scelto per comandare la diabolica squadriglia. Il collegamento fra piloti e comandante avvenivano tramite cuffie radio trasmittente con frequenza d'onda.

Sabato 16 novembre 1940, alle ore ventitré, la squadriglia entrò sopra Alessandria d'Egitto come cinque razzi piovuti dal cielo.

I riflettori perforavano il buio della notte a una distanza di ottocento metri.

Il bagliore della potente luce fondeva la vista ottica a qualsiasi occhi umani. Le sirene paralizzavano il timpano delle loro orecchie. Era di sabato. Gli inglesi, anche in zona operazione, non rinunciavano al week end.

I cinque caccia in questione sorvolavano la città a bassa quota: sfrecciando, illuminando e ululando. Esplorando le vie, le piazze e sul porto si abbassarono ancora di più.

L'incubo durò diciotto minuti. Il terrore calò sugli abitanti gli svegli furono

terrorizzati e i dormienti furono svegliati e la difesa contraerea non aprì il fuoco, perchè non sapevano se erano fenomeni oppure alieni. Tutti pensarono alla fine del mondo.

Quando la squadriglia rientrò alla base, l'intero corpo D'Armata era sveglio in attesa. I piloti consegnarono centinaia di fotografie scattate durante l'incursione, dandosi pacche sulle spalle, sorridendo.

Domenica diciassette novembre, tutti i giornali parlavano del fenomeno avvenuto durante la notte scorsa.

Non solo la stampa italiana, ma tutti i quotidiani stranieri si prolungavano sullo scritto:

Una sventura piovuta dal Cielo. Un avvertimento della fine del mondo.

Una punizione per chi vuole la guerra.

Il Popolo vuole la pace!...

Anche gli stessi piloti lessero i giornali, dando ragione ai giornalisti.

Per l'aeronautica, l'artiglieria e complessi corazzati, il fronte si fermò a Mars- Matruk. Mentre più avanti c'erano le divisioni di fanteria e genio.

Questi avanzavano costruendo strade o piste sul deserto Marmarico.

Alla fine di novembre 1940 iniziò la vera offensiva del nemico e la difensiva delle truppe dell'Asse.

Le divisioni corazzate entrarono in azione per difendere le truppe appiedate. Ma l'aviazione e la contraerea rimasero fermi, né incursioni né duelli, solo qualche formazione di aerei decollarono per esplorazioni e ricognizione.

La calma finì il pomeriggio di venerdì sei dicembre 1940.

Sabato sette dicembre, dopo il rancio, la tromba squillò il rapporto ufficiale. Di conseguenza quello era un sinistro richiamo, non solo gli ufficiali, ma anche i soldati lo intuirono.

Ecco che poco dopo, il tenente Stefano Montautti, mandò a chiamare Tullio Gualandi nella tenda del comando.

-Domattina la nostra divisione si ritira. Dobbiamo raggiungere la Sabrata per poi unirci alla divisione Brescia che sono in retrovia.

Si stabilisce un fronte di resistenza a Porto Bardia. Il reggimento dell'artiglieria parte per primo e la nostra Batteria contraerea si staccherà dal reggimento e ci fermeremo a Sollum Alto a proteggere il campo d'aviazione e il comando del Corpo D'Armata e quando il campo d'aviazione e il comando del corpo D'Armata e quando il campo d'aviazione sarà smantellato, anche noi raggiungeremo Bardia. Quindi, gli altri Pezzi si uniscono con la divisione, ma il nostro Pezzo deve fare la scorta alle truppe in ritirata. Dovete partire quando l'ultimo soldato si è allontanato un chilometro. Pronto a difendere la ritirata, se qualche velivolo nemico tenta di disturbare la marcia.

Domani all'alba, la nostra divisione è in partenza. Tu adesso raduna i nostri uomini e spiega loro tutto il programma: fai come sempre, due servienti guidano i due mezzi pesanti, mentre tu ti metti al volante della campagnola per facilitarti il controllo della situazione. Equipaggiatevi in assetto di guerra. Fai montare una mitragliatrice venti millimetri sulla campagnola, non si sa mai le sorprese.

A cinquanta chilometri più avanti ci sono altri mezzi corazzati per proteggere la ritirata delle truppe appiedati.

Sono oltre sessantamila uomini, già in marcia verso noi per raggiungere Sollum, facendo rallentare l'avanzata del nemico. Non devo spiegarti altro, devi fare tutto da solo, tu non hai bisogno di altri dettagli. Ci rincontreremo a Sollum Alto, in cui aspetteremo l'ultimo soldato in ritirata per proteggere loro, finché non arrivano a Bardia e preparare la via libera. Ora ti saluto, il tempo stringe e noi ci dobbiamo muovere.-

Tullio rimase, più dispiaciuto che sorpreso, per separarsi da Stefano, ma era in zona di guerra e gli ordini si dovevano accettare.

-Signor tenete siete sicuro che io posso fare tutto? Il compito di un ufficiale, da risolvere un semplice soldato?-

Il tenente sorrise, come al solito, gli diede una pacca sulla spalla e rispose:

-Tullio, nessuno ti conosce meglio di me. Sono sicuro che te la caverai meglio di tutti e più di un ufficiale. Questo l'ho chiesto ai miei superiori. Hanno approvato perché si fidano di me come io mi fido di te. Quanto uno è capace non c'è bisogno di gradi. Adesso in bocca al lupo--

Tullio accettò l'ordine e si mise al lavoro.

La prima cosa riunì i quattordici uomini del 3° Pezzo, dichiarando che il tenente doveva partire senza di loro.

-Dobbiamo fare tutto da soli, seguiremo il compito come ci fosse il nostro tenente.-

-Evviva!... - Manifestò Stambozzi abbracciandolo.

-Sicché comandiamo noi?-

Chiese Bevilacqua.

-Si ma bisogna rispettare gli ordini come ci fosse il tenente- noi lo facciamo! Tu sei il generale e noi i subalterni, perchè i tuoi ordini sono efficienti.-

-Allora dobbiamo brindare, abbiamo ancora una borraccia di brandi, mi dispiacerebbe lasciarla piena con questi chiari di luna.- Rincarò l'altro. Tullio sorrise e poi lui stesso versò il liquore nei gavettini al posto dei bicchieri. Brindate pure, io però non bevo, ma aderisco alla festa, se questa si può chiamare festa.-

Mentre bevevano, l'allegria fu interrotta da un boato, avvertendosi anche un bagliore nel lontano orizzonte.

L'offensiva era incominciata, anche da lontano, ma era iniziata!

-E' l'ora di prepararci,- ordinò Tullio.

Precipitosamente, tutti si misero al lavoro; per prima cosa prepararono i tre mezzi di trasporto: provarono i motori, controllarono l'olio e riempirono di carburante i serbatoi.

Caricarono, armi e munizioni, agganciarono il cannone al traino a un camion e smantellarono il loro accampamento. Quella stessa notte si sistemarono su gli stessi mezzi per riposare.

Domenica otto dicembre 1940, all'alba la divisione era già in partenza.

Il III° Pezzo era pronto per partire. Tutti equipaggiati in assetto di guerra, aspettavano l'ordine di Gualandi. Lui, dopo aver fatto loro altre raccomandazioni, ordinò di seguirlo. Compostamente procedevano a un chilometro di distanza dalla fine della colonna in ritirata.

Avevano trascorso poco più di mezz'ora di marcia, quando sentirono il rumore di un aereo lontano.

Tutti si arrestarono e Tullio diede l'ordine di prendere immediatamente posizione. Tempestivamente, il camion C.K. E una venti millimetri, furono piazzati, prima che i due caccia della RAF spuntassero da sud-est. Questi non fecero caso al piccolo nucleo distaccato dal grosso, essi dovevano raggiungere la massa della truppa per facilitare il bersaglio da mitragliare. I piloti nemici, però, fecero i conti sbagliati. Quei pochi uomini non potevano erigere uno sbarramento difensivo immediato. Mentre con sorpresa, si ritrovarono circondati dentro un cratere come un vulcano in eruzione.

Risultato: un caccia fu colpito in pieno ed esplose in aria, i cui frammenti, con sorpresa, ricaddero sopra il grosso della truppa. L'altro fu abbattuto da una mitragliatrice venti millimetri vicino vicino al C.K.

Tutti si rallegrarono dell'impresa vittoriosa.

Bevilacqua puntualizzò.

-Uno è passato dentro la grattugia del mio cannone, macinandosi, ma l'altro non l'ho più visto.-

-L'altro,- rispose Stambazzi,

-lo abbiamo mandato al creatore.-

-Siete stati tutti bravi e bisogna essere sempre così, ma ora basta i commenti, e muoviamoci, adesso,- intervenne Gualandi.

Per quel giorno non furono più disturbati dall'aviazione nemica.

La prima sosta la fecero a Sollum Basso. Nel breve riposo consumarono una scatoletta di carne congelata e due gallette, distribuitogli dal magazzino mobile insieme a una borraccia d'acqua. Poi, prima del tramonto, tutti arrivarono a Sollum Alto.

Il tenente Montautti aveva appreso la, notizia per via radio, che il 3° Pezzo aveva abbattuto due caccia della Raf. Fu il primo ad andare loro in contro. Lasciò indietro le formalità della disciplina e abbracciò prima Tullio e poi tutti gli altri.

Mentre Gualandi sorrideva, gli altri si affannavano a raccontare al tenente il successo per segno e per punto.

-Siete grandi eroi perchè avete salvato tanti uomini esposti al bersaglio, bravi!- Dichiarò Stefano.

-Forse non ce separeremo più perchè la 7° Batteria rimane qui al terzo Pezzo lo sistemeremo nei pressi del campo d'aviazione per difesa alla tendopoli del comando di tutto il raggruppamento del corpo D'Armata, finché insieme, raggiungeremo Porto Bardia. Il resto delle altre divisioni sono già in marcia verso il nuovo fronte.-

Quella stessa sera, 8 dicembre1940 il giorno dell'Immacolata Concezione Beata Vergine Maria, era festa in tutto il mondo cattolico, ma lì era zona di guerra e tutti dovevano stare allerta per salvarsi la vita e combattere per la Patria.

Gli inservienti del 3° Pezzo si diedero da fare: prima piazzarono il cannone e la venti millimetri. Poi le tende come a Tobruch, ma Gualandi non potette aiutarli perchè fu trattenuto al comando della 7° squadriglia per programmare i voli nei giorni successivi.

A tarda sera lui e Stefano raggiunsero l'accampamento del terzo Pezzo.

I ragazzi avevano sistemato tutto, oltre la loro tenda, anche quella di Gualandi e del tenente, l'unica da dividersela i loro comandanti.

Al mattino facevano a gara a chi potesse arrivare prima in cucina, a prelevare il caffè- latte, con un contenitore di sedici razioni, perchè anche il tenente si univa con loro a bere le bevande e qualche volta anche il rancio perchè la mensa ufficiali funzionava rare volte.

Lunedì 9 dicembre, il tenente e Tullio, salirono a bordo del Baracca e il resto della squadriglia rimase in attesa di ordini, tramite radio-comunicazione.

In quella settimana al Baracca, con i suoi piloti, toccò scortare i bombardieri S 79, per martellare le raffinerie petrolifere di Haifa e le zone bellico di Gaza e Telaviv. Durante i voli però dovette affrontare più volte duelli anche impari, con i velivoli nemici; rientrando sempre incolumi e vittoriosi.

Quando Stefano era impegnato con il resto della 7° Squadriglia, toccava a Tullio da solo pilotare il Baracca.

Prima di atterrare perlustrava la zona sottostante. I nostri si ritiravano e la situazione era deplorevole. Gli inglesi avanzavano, occupando Mars-Matruk e le forze dell'Asse ripiegavano ordinatamente.

Venerdì 13 dicembre 1940, in mattinata, rientrava una pattuglia corazzata di cinque carri armati M13, ( tredici tonnellate ) questi fecero sosta vicino al 3° Pezzo. Tullio parlò con un carrista, per sapere altre notizie dal fronte, oltre le trasmissioni radio. Lui riferì: -Gli inglesi avanzano, ma le nostre truppe cercano di farli rallentare, ritirandosi senza perdite. La fanteria e il genio appiedati, arriveranno qui circa fra tre giorni secondo l'andamento, un piccolo riposo e poi tutti a Porto Bardia, li formeremo un fronte di resistenza e li respingeremo sconfitti.-

Il ragionamento del carrista era molto ottimista, ma quando Tullio lo riferì al tenente, si scambiarono uno sguardi d'intesa.

-Crediamoci- accordò Stefano.

Lunedì sedici dicembre 1940, Tullio si svegliò all'alba. Quella notte era solo nella tenda, perchè il tenente Montautti era stato trasferito in una tenda della sua squadriglia, ordine superiori, di studiare un programma riguardando una ricognizione con cinque caccia.

Tullio già lo sapeva era stato informato dal tenente stesso, ma per Gualandi non c'era lo studio della strategia, lui lo sapeva prima che Stefano aprisse bocca, diversamente dagli altri piloti, con cui Stefano doveva lambiccarsi il cervello per metterli al corrente.

Si alzò. Guardò in aria: il cielo era limpido e la temperatura era tiepida, per

essere dicembre appena giorno. Tullio, conosceva già le condizioni atmosferiche in Africa settentrionale, ogni pilota doveva acquisirne la conoscenza e lui era un pilota. Quelle albe così chiare, annunciavano quasi sempre una prossima tempesta di vento, chiamato Ghibli che arrivava sul deserto con una velocità anche a centocinquanta chilometri all'ora, alzando colline di sabbia e scavarne altrettante. Il suo soffio faceva alzare la temperatura anche nella stagione invernale. Copriva il cielo come una tempesta di nuvole in alta quota. Sopra c'era il sole, ma il suolo era scuro come nuvoloso.

Poveri quei piloti che dovevano perforarlo e Tullio ci si era incontrato più di una volta.

Cosi si disse: -il bel tempo si vede dal mattino.-

La cucina del campo preparava il surrogato-caffè con latte condensato per tutti, ufficiali compresi, per la prima colazione. Stambazzi era sempre il primo ad alzarsi al mattino e prelevare le razioni per tutti, ma quella mattina Tullio lo aveva preceduto. Prese il contenitore e prelevò quindici razioni perchè il tenente, la colazione la fece insieme ad altri ufficiali. Ma gli altri giorni la faceva con Tullio e la ciurma del 3° Pezzo.

Tullio e gli altri, beverone quella bevanda e mangiarono delle gallette.

Finita la prima colazione, se quella si poteva chiamare colazione, si misero a parlare dei pronostici della giornata e il sole si stava alzando, quando una tromba squillò allarme....

 

 

 

MEDAGLIA D'ORO

 

 

La tromba ripeté due volte lo squillo d'allarme.

-Arrivano gli inglesi!..- Scherzò Giordani, tiratore anche lui, che parlava sempre poco.

Lauto parlante, installato sulla tendopoli del comando, annunciò:

-Attenzione!!!!! Una pausa.

La voce si sparse per tutto il campo e tutti si tesero.

Lauto parlante riprese:

-Attenzione!!! Una formazione di bombardieri nemici si dirige verso noi... Il nostro Radar ci segnala....pausa...... Una squadriglia di sette o più bombardieri quadrimotori, potrebbero fare incursione sul nostro settore dove le nostre truppe sono di passaggio verso Bardia. La contro-aerea si tenga pronta e deve aspettare l'ordine prima di aprire il fuoco.-

Mentre tutti ascoltavano la sinistra notizia, un caccia della Raf, sfrecciò all'improvviso sull'aeroporto, scaricando raffiche di mitraglia e poi scappò via in fretta.

-Se fosse entrato nel cercchio del nostro obbiettivo, quel cacci, sarebbe colato a picco, ma macinato, come tanti che si erano misurati col 3° Pezzo-

ringhiò Bevilacqua.

Gualandi incrociò lo sguardo con i suoi uomini. Lesse sui loro occhi, non sfida, ma coraggio eroismo e volontà. Puntò il binocolo in circospezione, vide in valle al deserto, sulla riva del mare, una marea di soldati in ritirata a piedi. Erano davvero sessantamila uomini, come aveva detto il carrista a lui tre giorni prima. Era una conferma perchè questi marciavano verso ovest: stanchi, ma in ordine, divise a brandelli e forse affamati, in direzione di Bardia. Tullio ebbe una stretta al cuore.

-Dobbiamo fare qualcosa,- disse Gualandi.

-Alzeremo il tiro e punteremo le bocche da fuoco a sud-est perchè da la arrivano quei dannati bombardieri e troveranno un facile obbiettivo sopra a quei poveretti in ritirata, causando una carneficina in difesa.-

Tulio proiettò lo sguardo in circostante con la speranza di vedere il tenente, ma non lo vide. Eppure anche lui sentiva l'altoparlante che continuava a sbraitare. Non sapeva cosa fare, anche se i suoi riflessi erano molto sensibili, doveva trovare Stefano, con lui avrebbe sistemato tutto. O la 7° squadriglia, oppure solo con il Baracca, dovevano fermare quei diabolici bombardieri.

-Vado in cerca del tenente- disse Tullio, -forse mi sta aspettando, forse non può venire qui, sarà impegnato a formare la squadriglia per andare incontro a quella formazione omicida e io dovrò insieme a lui. Voi, però, tenetevi pronti e quando ritenete che l'obbiettivo è giusto, aprite il fuoco a volontà, senza aspettare altri ordini, siamo in guerra no? Se il tenente è d'accordo saremo poi noi a fermarli. Ora in bocca al lupo.-

Tullio corse vero l'aeroporto, guardò per lungo e per largo, ma del tenente Montautti, nessuna traccia. Il suo istinto lo spinse ad entrare nel campo d'aviazione per raggiungere le piste di rullaggio.

Quel lunedì 16 dicembre 1940, indimenticabile giornata, il sole era già alto il cielo limpido, ma si avvertiva da lontano l'irruzione dei Ghibli e il tempo passava. Era quasi le ore nove, quando Tullio imboccò la pista numero 9 e proprio allora vide la coda del Baracca. Il tenente doveva essere li attorno, aumentò la corsa, ma rallentò e si rallegrò perchè vide completamente la sagoma del biplano, fu facile per Tullio, lo avrebbe riconosciuto fra mille veicoli uguali. Il Baracca era diverso, ma fu ancora più contento quando notò Stefano aggrappato al portello della cabina. Forse voleva decollare per affrontare la formazione nemica? L'avrebbe fatto da solo? O forse non aveva il tempo per chiamare il secondo pilota? Gualandi si stava facendo queste domande, -non importa- si disse.

-Adesso sono qui con il tenente e con l'impeccabile Baracca e nessuno ci fermerà.-

Allora con tale desiderio, Tullio si avvicinò.

-Signor tenente, sono qui, anch'io voglio venire a dare la caccia a quei maledetti bombardieri, perchè se arrivano fin qui causano un macello a quei poveretti in ritirata, sono un facile bersaglio!-

Ma Stefano non si mosse. (Chi sa perchè c'era forse un guasto al motore? Oppure controllava il carburante e le munizioni? )

Così pensò Gualandi e l'altoparlante continuava a sbraitare perchè la formazione nemica si avvicinava. Ancora con voce decisa, gridò: -signor tenente sono qui!-

Non avendo nessuna risposta,Tullio, fu costretto a scuoterlo. Allora impallidì: Stefano si accasciò fra la sue braccia. Era moribondo il suo tenente! Aveva due fori di proiettili che perforavano dal petto alla schiena. Un grumolo di sangue, ancora caldo, scendeva lungo l'addome alle ginocchia. Tullio se lo ritrovò fra le sue braccia quasi per istinto, senza nessuna forza, così gli sembrò.

In quel frattempo Stefano aprì gli occhi e guardò Tullio con un sorriso e il suo viso descriveva una serenità celestiale.

Voleva dire forse:”vai tu al posto mio?”Così Gualandi intuì e così fece.

Stefano era ancora a contatto con il cuore di Tullio, quando il suo cuore cessò di battere e Tullio percepì l'ultimo battito di quel cuore tanto nobile e tanto sincero! Il tenente lo guadava senza parlare, ma sorridendo, quando emise l'ultimo soffio dell'ultimo respiro. A Tullio gli sembrava un angelo quando l'anima di Stefano passava al Regno Celeste.

Le sue orecchie registrarono il soffio dell'ultimo respiro, nel suo cuore si inserì l'ultimo battito del cuore di Stefano e i suoi occhi riprodussero il sorriso angelico di Stefano. Tutti questi tre sensi si conservarono in Tullio fin quando non li avrebbe trasmessi ai genitori di Stefano, se un domani li avesse incontrati.

-deve essere stato quel maledetto caccia nemico, quando ha sorvolato l'aeroporto! Ha seminato: terrore morte e ha colpito il mio comandante! Protestò Tullio con le lacrime a gli occhi.

“ Stefano!...” Gridò Tullio mentre teneva ancora il tenente fra le sue braccia.

-Ti vendicherò, lo giuro su questo tuo corpo e su questo tuo sangue! Metterò a repentaglio la mia vita come ce l'hai messa tu! Io, con il Baracca andremo a distruggere quei diabolici bombardieri prima che distruggano noi! Non sono solo con il Baracca, perchè se il tuo corpo rimane qui, il tuo spirito è con noi. Farò quello che volevi fare tu, mi terrò ai tuoi ordini, se ti raggiungerò sei stato vendicato.

Voglio essere solo con la morte. Questa è una partita a due che voglio giocare fino in fondo, anche se so che è sempre essa a vincere, questa volta non voglio perdere, ma vincere! Se vincerò salveremo migliaia di uomini, ma più di tutto seguirò il mio atto di vendetta! Perdonami Stefano, il cuore mi scoppia, ma non ho il tempo per rammaricarmi!-

Tullio adagiò il corpo, senza vita, del suo tenente, un po' lontano dal traffico, sotto un rialzo di sabbia mossa dal vento, frugò dentro la carlinga del Baracca, prese una tuta da pilota. Poi Tullio pensò : Stefano, al collo, aveva la catenina d'oro con una crocetta, su cui c'era inciso:

“ IL GIORNO PIU' BELLO DELLA MIA VITA ”

Tullio già lo sapeva, era un regalo della sua mamma, quando fece la prima comunione. Stefano ci teneva, era per lui come una reliquia, prima di decollare baciava la crocetta d'oro e molte volte la faceva baciare anche a Tullio.

Non poteva lasciargliela al collo. La sfilò e la mise al suo collo, promettendosi di riportarla alla mamma di Stefano se un giorno ritornasse in Patria. Sfilò anche il piastrino di riconoscimento che tutti i militari dovevano portare al collo. Volle prendere anche i documenti: il libretto personale e un leggero portafoglio. Volle scambiare anche la giacca di ordinanza: il nastrino, un'aquila d'oro, come la sua, due stellette dorate alle spalline e galloni sulle maniche anche quelli dorati.

Se nell'impresa veniva abbattuto il merito era del tenente Montautti.

Tullio era deciso a vendicarlo, in quel momento si incarnò nel tenente Montautti, era lui a pilotare il Baracca, era Stefano che doveva vincere!..

Lo coprì bene da renderlo quasi invisibile. Si allontanò di tre passi, come fosse vivo, fece il saluto militare e dietrofront.

Il Baracca lo stava aspettando.

Salì a bordo, si fece il segno della Croce da un vero religioso, baciò la crocetta d'oro come faceva il tenente e parlò al Baracca.

-Ora siamo rimasti solo tu e io! Diletto mio baracca! Ora aiutami a vendicare il nostro tenente, non c'è più la mano del nostro comandante, ma se le tue ali sono sempre Brullo, accetta la mia mano da fanciullo!

Andiamo a fermare quegli orsi che vogliono distruggere noi, aiutami, non devono passare. Il tenente è morto, ma solo il corpo, perchè il suo spirito è con noi!

E' lui che ci guida e ci comanda. Con la tua forza e il mio coraggio, otterremo la vittoria, perchè siamo guidati da Stefano! Annientiamo la formazione omicida, se la fermeremo, abbiamo salvato tante persone in balia del loro obbiettivo.-

Ancora uno sguardo dove giaceva il corpo di Stefano e poi Tullio mise in moto. Come sempre, il Baracca, partì al primo giro di chiave. Uno sguardo alla lancetta del manometro del carburante: era a metà serbatoio. E le munizioni? Due nastri da mille proiettili ciascuno. Il resto del complesso del cruscotto era tutto a posto,compreso la pressione dell'olio.

Le munizioni non erano molte, ma poteva andare bene. Non doveva stare li a pensare, il tempo era prezioso e la formazione nemica era in arrivo. Si doveva muovere se voleva mantenere la promessa del giuramento fatto a Stefano morendo.

Indossò la tuta da pilota, il casco d'avviatore, staccando la spina dal contatto della radio trasmittente e ricevente con la torre di controllo, lasciò da parte il paracadute. Proprio allora notò due fori nella giacca del tenente. Erano i due fori fatti dai proiettili sparati da quel diabolico caccia della RAF, quando poco prima era sfrecciato sopra il campo d'aviazione, togliendo a Stefano la vita. Tuttavia non erano tanto visibili.

Con la speranza di alleviare il suo desiderio, Tullio decollò. Gli sembrò che anche il Baracca approvasse il suo desiderio perchè si alzò da terra come una rondine. Allora anche lui sentì uno strano affetto per il tenente e un coraggio impeccabile. Quando il biplano prese quota, la radio, in collegamento con la torre di controllo cominciò a gracchiare, ma Tullio la ignorò.

Passò sopra all'accampamento del 3° Pezzo, era certo che i suoi uomini lo vedessero, rivolse loro uno sguardo come un saluto, poi aumentò la quota.

Puntò la prua del Baracca a sud-est, dove il duello lo attendeva.

Non tardò a vedere la formazione nemica, volando a bassa quota per facilitarsi l'obbiettivo. La prima cosa che fece, inserì la macchina fotografica, poi si avvicinò tanto da poterla contare. Erano: cinque mastodonti bombardieri quadrimotori carichi di bombe come cinque colossali elefanti volanti, più due caccia spietati per loro difesa.

Il morale di Gualandi superava il massimo limite. Doveva sfidare, sette contro uno, la posta in gioco era alta, ma l'importante era: non indugiare nell'atteggiamento psicologico dello scoraggiato. Doveva far valere la sua tecnica. Deciso di allargare i propri orizzonti senza mancanza di espansione e mantenere la promessa di vendetta.

Tullio attaccò.

Il primo caccia della formazione lo sfidò, facendo tante marionette per divertirsi come il gatto con il topo. Tullio lo lasciò fare perchè il Baracca era sulla posizione giusta per attaccare e non abbassò la guardia. A poco a poco abbassò la manetta fino al massimo, per ottenere tutta la potenza necessaria. Centocinquanta cavalli, incorporati nel Baracca, instancabili, erano al suo comando e galoppavano alla più leggera pressione della sua mano. Usò la precisione e il consiglio del suo istruttore. Ecco in quel momento si trovò difronte al facile bersaglio.

La prima raffica della mitraglia del Baracca, partì e colpì in pieno il caccia con il vanitoso pilota della RAF. Tullio avvertì una striscia di fumo e fuoco, mentre il velivolo precipitava in mare.

Il duello aereo si svolgeva sul mare Mediterraneo, a circa un miglio della costa Cirenaica. Tutti a Sollum-Alto potevano godersi il sinistro spettacolo, con o senza cannocchiali. Erano arrivati molto vicini al bersaglio quei dannati bombardieri se Tullio non fosse intervenuto in tempo.

La prima vittoria, della pericolosa impresa, rialzò ancora di più il morale a Gualandi.

La mia meta era, distruggere totalmente, la formazione nemica, costi quel che costi.

L'altro caccia accorse in difesa, quando il primo era stato abbattuto. Allora l'itera squadriglia deviò rotta, formando un vortice dalla sinistra alla destra. Tullio pensò di tornare in dietro, ma il Baracca non glie lo permise. Allora Tullio risentì la voce del tenente: “ la fuga è l'arma più efficace della difensiva, ma è accompagnata dalla viltà. Noi non siamo ne vili e ne paurosi. Siamo sulla nostra terra e la difenderemo! Signor si si disse. Farò come vuoi comandante. ”

Tullio parlava con Stefano come fosse con lui. Lo sentiva e rispondeva al suo comandante.

Il fattore primario della vittoria, in quel rischioso gioco era la precisione. La necessità era: di trovarsi al posto giusto e al momento giusto. Si ricordò e fece come faceva Stefano. Con maggior frequenza, seguì un rettangolo perfetto. La stessa serie, diabolica, scrupolosa, facendo credere all'avversario, una fuga di resa. Fece una picchiata a 90° gradi, ma con una piroetta, il Baracca rialzò il muso e si rimise in quota. Quasi a non credere ai suoi occhi, Tullio si ritrovò con un vero e facile bersaglio: la pancia di un colosso bombardiere, era davanti alla bocca della sua mitraglia. Meravigliandosi, come per istinto, partì una rapida raffica. Il mastodontico esplose in aria creando una barriera di fuoco e fumo, frammenti di schegge e lamiere incandescenti svolazzavano nell'aria e il Baracca si ritrovò come dentro a un cratere vulcanico. Tuttavia se la cavò discretamente per uscirne fuori. Ma questa volta Gualandi si trovò al di sopra della formazione. Una voce imperiosa impartiva gli ordini e lui aderì: -ricordati di stare sempre sotto la fusoliera dell'avversario; una rapida acrobazia e riprendi il tuo posto.-

Stambazzi e gli altri guardarono in aria quando videro il Baracca in volo sopra il 3° Pezzo. Alzarono le braccia per salutare i loro comandanti, ma non sapevano che a bordo del velivolo c'era solo Tullio. Sapevano già la decisione di loro e conoscevano il loro coraggio. Ma quando videro il primo caccia della RAF in fiamme gridò: -E uno!-

Abbracciando Bevilacqua. Richiamati dal suo grido, due ufficiali si avvicinarono, mentre guardavano anche loro il duello impassibili.

-Dove sono i vostri comandanti? Se dovete aprire il fuoco di sbarramento da chi prendete l'ordine? Eccoli lassù i nostri comandanti.- Indicando, con la mano aperta, il Baracca in azione. -Se dobbiamo aprire il fuoco l'ordine lo abbiamo già avuto da loro, ma non ce ne bisogno, fra poco tempo quegli aquiloni colano a picco come ha fatto quello, affondando tutti in mare.-

“ E' due!! ” Gridò ancora Stambazzi, facendo sorprendere i due ufficiali.

Deciso Tullio, riprese il suo posto di combattimento, come per ordine ricevuto. Gli altri quattro bombardieri erano tutti davanti al Baracca, ma uno solo era vittima del suo mirino. La mitraglia del Baracca abbaiò e un altro colosso crollò, questo raggiunse il primo, seguito da una coda di fuoco facendo bollire un cerchio di acqua marina.

Erano rimasti in volo ancora tre bombardieri, accaniti per raggiungere l'obbiettivo, senza contare il caccia, rimasto per loro difesa.

Gualandi raccolse tutto il suo coraggio. Richiamò i trucchi e la sua astuzia, imparata da Stefano. Non poteva ritirarsi, non era un vile e lui lo sapeva e poi non aveva compiuto la sua vendetta. Se quei tre bombardieri raggiungevano la zona sopra a quei poveri soldati in ritirata, la carneficina era sicura, ma era abbastanza solo uno con quel tonnellaggio di esplosivo che aveva in corpo, per distruggere tutto. “ Dovrò studiare altri tranelli ” si disse Tullio. Conosceva una trappola, se ci fosse riuscito avrebbe fatto piazza pulita. Provò la manovra, però i piloti della RAF non ci cascarono perchè si accorsero del trucco e tesero loro la trappola al Baracca.

Quando Tullio ricompose l'orientamento, intuì di essere stato chiuso dalla formazione nemica nel cerchio del vortice.

L'unica via d'uscita era in direzione dell'unico caccia rimasto, ma questo era in vantaggio. Appena avesse trovatosi una breccia, il caccia avrebbe aperto il fuoco. Quindi la scappatoia era difficile.

Il primo pensiero di Gualandi fu: buttarsi addosso ai bombardieri, si sarebbe sacrificato lui e il Baracca distruggendosi, un altro bombardiere o due, con il suo sacrificio, venivano abbattuti, si disse: “ non ho scelta.”

Ma poi ci ripensò.

Tanti usavano il sesto senso, ora quasi comune, ma il settimo senso? Forse non lo sapeva nessuno e neanche i piloti della RAF.

Solo lui e Stefano ne avevano parlato una volta. Decise che doveva attuarlo!

Ne a destra ne a manca e né sotto c'era una via d'uscita. Si ricordò della Divina Commedia e lo chiese a Dante: -INFERNO-

Salimmo su, el primo e io

secondo, tanto c'i' vidi

delle cose belle che porta

'uciel, per un pertugio

tondo;

e quindi uscimmo a

riveder le stelle ”

Ecco che il Baracca alzò il muso in alto e come un missile sbucò in aria, uscendo dal cerchio ristretto dai velivoli nemici. Affrettò longitudine e coda a occidente.

Liberatosi dall'assedio, il Baracca riprese posizione. Adoperò ancora il settimo senso. Tullio vide davvero cose belle e colse l'occasione: ecco il vero obbiettivo per prendere due piccioni con una fava.

La mitraglia del Baracca tornò ad abbaiare e altri due colossi furono sventrati. I due bombardieri persero quota con due colonne di fuoco, a una certa distanza si urtarono: uno esplose e l'altro affondò nel mare Mediterraneo esplodendo sotto il fondo del mare, alzando in aria una colonna di acqua e detriti come un getto della coda di una balena quando gioca sull'Oceano.

Erano rimasti solo un caccia e un bombardiere della omicida formazione nemica. Anche quelli dovevano raggiungere gli altri al Creatore per pareggiare i conti , questa era l'idea dell'eroe.

Quando Tullio riacquistò l'orientamento, i due velivoli superstiti si erano dati alla fuga.

Baracca scattò all'inseguimento, ma i due fuggiaschi si erano allontanati troppo per poterli raggiungere. Mentre battevano in ritirata, il bombardiere

si portò sulla riva e sul deserto scaricò tutte le bombe che aveva in corpo, le quali erano destinate a cadere sulle truppe italiane in ritirata. Mentre cadevano sul deserto, alzando una cortina di fumo e polvere sulla terra di nessuno, dove neanche gli sciacalli potevano colpire perchè in quella ora il suolo era un vero deserto.

Tutti i piloti in genere devono tenere in mente l'autonomia del velivolo e il tempo di volo.

Tullio si ricordò solo dopo il glorioso duello. Se la battaglia avesse continuato, il Baracca sarebbe precipitato anche senza essere colpito, ma solo per mancanza di carburante.

Tutto questo succede solo quando il pilota in questione è distratto oppure incosciente.

Tullio si diede dell'incosciente. Stava chiedendo troppo al potente Baracca. Guardava sempre sul planimetrico dell'altitudine, sulla cloche ed altri strumenti di bordo, ma mai sulla lancetta del manometro del carburante, ora altre di segnare a zero, segnava anche la riserva, lampeggiando la lucina rossa. Automaticamente si accinse a perlustrare tutto il cruscotto e i congegni di bordo. Si accorse che anche le munizioni erano quasi finite.

Una misteriosa voce si inserì nel suo cervello; la sentiva:

“ Basta ora! Hai già realizzato la tua vendetta, hai concluso il tuo desiderio. Torna indietro e riconduci il Baracca alla base. ”

Tullio si vergognò della sua insaziabile impresa.

Riprese quota ed attaccò la radio trasmittente alla cuffia. Spinse il pulsante e subito intercettò la torre di controllo del campo aereo di Sollum Alto.

Erano trascorsi quaranta minuti di duro duello impari, dal decollo alla fine della battaglia aerea.

La torre di controllo rispose, ma non lasciò parlare il pilota.

-Siete ferito? Volete un'ambulanza?-

-No!- Rispose Gualandi.

Ma il microfonista continuò.

-Il vostro caccia è danneggiato?-

-No!- Ringhiò ancora Tullio.

E' una cosa incredibile! Tutti noi, da qui, abbiamo assistito alla vostra vittoria battaglia impari, uno contro sette. Il vostro triplano saettava intorno a quei mostri volanti come un giocattolo, si infilava nella mischia e via: ogni tanto, uno precipitava in mare, un altro esplodeva in aria e voi, con il vostro caccia, danzavate fra essi, colpendone uno o due, nello stesso tempo, infine avete fatto piazza pulita. Anche essi avevano le armi è impossibile che non vi abbia colpito nessun proiettile.- Così commentava il microfonista. Ma Tullio lo zittì con un brusco ordine.

Basta con le chiacchiere! Non perdiamoci in pettegolezzi. Sono a corto di carburante e a zero di munizioni. Datemi il piano di atterraggio e le condizioni meteorologiche.

Qui caccia biplano -D.O.4.X, quota a m. 1600, dista km. 80 circa, passo-

Allora la torre di controllo rispose con voce vulnerabile e con un senso di timidezza per essersi spinto troppo a parlare.

-Qui Torre di controllo, vi chiedo scusa. A voi caccia D.O.4.X, ecco i dati: Latitudine 0011, Longitudine 9 barra 4, Pista ovest 3. attenzione : si prevede venti in arrivo con velocità centochilometri orari, ma ancora lontano, da Sud-Ovest, visibilità contemporanea a occhio nudo, un miglio circa. Portarsi a quota ridotta e a distanza breve, ripeto: Pista 3. buona fortuna, passo.-

-Ricevuto, grazie, passo e chiudo- rispose il pilota.

L'atterraggio fu facile sebbene i Ghibli ancora dovevano arrivare, ma Tullio preferiva atterrare sulla pista nove per seppellire con riguardo, il suo tenente. Purtroppo tutte le piste erano occupate da velivoli in sosta.

Anche la pista 9. Solo la tre era libera. Infatti era così perchè il giorno prima Stefano gli aveva detto che il campo aereo di Sollum Alto, doveva essere smantellato, solo la settima squadriglia rimaneva come difesa. Gli altri velivoli venivano trasportati a Tripoli.

-Dopo anche noi conduciamo la nostra squadriglia all'aeroporto della MellaKa e rivediamo la città di Tripoli.- Così gli disse Stefano, sempre sorridendo, ma quel desiderio si polverizzò.

Tullio pensò: appena a terra consegnerò il rullino delle foto, stenderò il rapporto e di corsa raggiungerò la pista nove. Non ho tanto coraggio, ma il corpo del mio tenente dovrà essere seppellito con tutti gli onori. Sarò solo io a fare gli onori, ma poi tutto lo Stato Maggiore sentirà la perdita del grande eroe, Tenente Montautti signor Stefano, ingegnere meccanico, premiato e decorato con L'Aquila D'Oro istruttore della Reg. Aeronautica e provetto avviatore!

Avvistò subito, fra le altre, la pista 3, solo quella era libera, su cui atterrò.

Quando aprì il portello del Baracca per scendere, si accorse che non era solo: una ronda di, due soldati e un sergente erano in attesa vicino ad una campagnola uguale a quella del 3° Pezzo con la quale lui ci viaggiava, da solo o con il tenente. Alla vista del pilota, questi scattarono sull'attenti facendo il presentar m. il sottufficiale fece pied'arm, sempre sull'attenti, con un saluto disse:

-Signor tenente ci dovete seguire al comando, ordine di sua eccellenza generale Decale comandante la divisione.- Tullio pensò: ( gli ordini sono da rispettare.)

Il suo desiderio per la sepoltura del tenente morto, si volatilizzò.

La ronda era responsabile e lui doveva seguirli. Sfilò il rullino di pellicola già esaurito, si liberò della tuta e cuffia da pilota, rivolse ancora uno sguardo d'ammirazione all'affettuoso Baracca e abbracciò una sua ala.

In quel frattempo arrivò l'autobotte di carburante. L'autista saltò dal mezzo, gridando:

-Signor tenente! Sono come San Tommaso, se non tocco non credo! Siete veramente vivo o uno spirito? Tutti abbiamo assistito l'impari duello aereo. Novantanove su cento credono che siete solo un fantasma, ma io vi voglio toccare e poi riferirò ai quattro venti che siete in carne e ossa e non uno spirito.

Adesso riempirò il serbatoio di carburante di questo folletto volante, ma anche su questo non vedo un graffio e dovrò riferire.

Dentro oggi il campo d'aviazione deve essere smantellato. Tutti questi apparecchi devono essere trasferiti a Tripoli. Questi aerei sono ancora qui perchè i piloti scarseggiano. Fanno un viaggio e poi tornano con un trimotore in gruppo. Tanti piloti si dichiarano o malati o stanchi, ma qui il campo deve essere sgomberato.

Forse anche voi , signor tenente, ci dovete aiutare, diciamo, dopo esservi riposato. Congratulazione signor tenente e che Iddio vi benedica.-

L'autista fece il saluto poi si accinse a riempire il serbatoio del Baracca.

Tullio, fece un sorriso, rispose al saluto, guardò ancora con passione il Baracca e poi saltò sulla campagnola.

Il sergente e gli altri due soldati, erano rimasti sull'attenti con gli occhi sbarrati. Si ricomposero quando Tullio salì sul mezzo.

Poi salirono anche loro, il sergente azzardò: -signor tenente anche noi

abbiamo assistito alla battaglia aerea e anche noi credevamo un fantasma in voi, mentre siete concreto e sensibile.-

Tullio rivolse loro un sorriso di conferma e poi disse:

-Andiamo a raggiungere il comando, prima che ci investa quel ventaccio che sta arrivando come un furioso uragano.-

Era molto vicina la tenda del comando, prima di scrivere il rapporto fu abbracciato da quattro ufficiali che Tullio non conosceva. Questi si affannavano a tempestarlo di domande, ma lui non ebbe il tempo di rispondere perchè loro,uno dopo l'altro, commentavano. Tullio li lasciò dire perchè nessuno di loro era dell'aviazione, un sottotenente della sanità, due del genio e uno della fanteria, tutti con il grado di tenente.

Continuarono a chiedere mentre fuori era arrivato il vento veloce Ghibli facendo scuotere la tenda.

-Stentiamo a crederci dell'impresa eroica che hai svolto: hai salvato la pelle, oltre la nostra, a sessantamila uomini in ritirata.

Scorte di viveri, munizioni e gli aerei? Questa e merito di una medaglia d'oro.-

-Lo Stato Maggiore lo premia proprio con Medaglia D'oro, ma il colonnello Beltrami ha il compito di annunciarlo.-

Dichiarò il generale Decale entrando all'improvviso nella tenda del comando, mentre gli altri ufficiali parlavano dell'impresa e di medaglia d'oro.

Poi si rivolse a Tullio.

-Congratulazione tenente, non sono degno di tenderti la mano, ma voglio stringertela per assicurarmi che non sei un fantasma come circola la voce in giro.

Dopo una stretta di mano a Tullio e una pacca sulla spalla, il generale gli fece un saluto e uscì fuori insieme agli altri ufficiali e anche loro rivolsero il saluto a Tullio come aveva fatto il generale, invece era lui che lo doveva fare al generale.

In quel momento il vento infuriava, forse più di cento chilometri a l'ora, ma il generale, seguito dai quattro ufficiali, non badarono alla tempesta ventosa.

Tullio rimase solo e sconvolto per l'improvvisata del generale, non ebbe il tempo, ne di parlare e ne di rispondere al saluto, ma rabbrividì a sentire il generale parlare della medaglia D'oro. Con la medaglia D'oro si premia solo i morti.

Allora si disse “ Stefano è morto e il merito del premio è suo. ”

Così gli rivolse una preghiera:

-Requiem eternar dona eis Domine, et Lux perpetua Lùceat eis Requièscant in pace. Amen-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il vento si stava calmando quando entrò il colonnello Beltrami signor Ferruccio, comandante del gruppo Artiglieria, in cui faceva parte la settima Batteria e il terzo Pezzo. Tullio lo aveva visto qualche volta di sfuggita, ma non ci aveva mai parlato . Lo aveva caratterizzato, severo e imponente come tanti comandanti di gruppo. Pensò al maggiore Lanzi a Laurana, vantandosi per il suo orgoglio e la sua innata stima. Ma Beltrami, a Tullio gli sembrò, non come lo aveva caratterizzato, ma socievolee addirittura vulnerabile. Forse perchè, Tullio, in quel momento, era un ufficiale.

Due soldati loseguirono, uno con una gavettapiena di minestra calda, l'altro portava una spece di cesto, con dentro una pagnotta di pane fresco e una boraccia di acqua da bere. Tullio era quasi a digiuno, solo al mattino aveva bevuto un mezzo gavettino di caffè- latte e una galletta insieme ai suoi compagni del terzo Pezzo.

Il colonnello Beltrami, gentilmente lo invitò a mangiare, sedendosi al suo fianco. Tullio aveva fame e fece onore alla mensa, mangiò tutto.

Il comandante si ritenne soddisfatto avendolo visto mangiare e poteva averne di fame. Si rallegrò e dichiarò.

-Tenente Montautti, sono dispiaciuto, ma ho appena ricevuto l'ordine di trattenerti agli arresti.-

Gualandi non commentò, depositò il cinturone e la pistola poi si ritirò nella tenda degli arresti, alzata proprio per gli arresti degli ufficiali.

Cinturoni e pistole, erano tutti uguali, tanto quelli dei piloti, come quelli degli ufficiali piloti, di ordinanza. Tullio si ricordò proprio in quel momento che portava la giacca di Stefano, con gradi e galloni dorati, a parte l'Aquila D'Oro era uguale alla sua.

Pensò come fare a disfarsi della divisa in questione. Poteva rischiare una condanna severa per abuso di gradi superiori. Ma poi ripensò che aveva i documenti e il piastrino di riconoscimento: tenente Montautti signor Stefano. Cosi decise di rischiare. Qualsiasi decisione dello Stato Maggiore, il merito era del tenente Montautti.

Mentre rifletteva con questi pensieri, sentiva il colonnello Beltrami che sbraitava al telefono come volesse litigare, Tullio sentiva la voce, ma non capiva le parole perchè lui era nella tenda degli arresti ufficiali, adiacente alla tenda del comando.

Quel lunedì indimenticabile, del 16 dicembre 1940, il Ghibli era cessato, il sole era al tramonto. A ovest si notava una striscia dorata fra il deserto e il cielo, quando Tullio ricevette la macabra notizia. Era seduto alla branda da campo, quando entrò il colonnello nella tenda degli arresti ufficiali. Gli si avvicinò depresso e mortificato, come un bambino, per farsi perdonare, dopo compiuto una marachella. In quel momento aveva perso tutto il potere del comando, era rimasto privo di motivazione come un albero in balia della tempesta. La sua voce era appena percettibile.

-Montautti ho appena ricevuto due ordini: il primo, Lo Stato Maggiore della Reg. Aeronautica, ti premia con la Medaglia D'oro per aver sconfitto una potente formazione nemica con un duello impari e hai salvato un esercito di uomini e armi. Il secondo ordine è: la Corte Marziale ti condanna con la fucilazione al petto, con tutti gli onori militari, per aver decollato con un aereo dello Stato senza ricevere ordini supremi.

Ma perchè proprio a me tocca annunciarti la rammarica notizia?

Ascoltami tenente! Io non ho famiglia, sono trentanni che sono al servizio militare. Non conosco affetto paterno, ma è la prima volta che mi metto nei panni dei tuoi genitori. Solo adesso ho compreso che anche un duro orso come me può avere un cuore. Tuo padre in questi drammatico momento, non c'è, allora lasci che lo sostituisca, perchè solo ora ho scoperto sull'ingiustizia, forse, ha mia insaputa, anche io ci ho marciato, ma adesso basta!

Se questa maledetta guerra finirà, io sarò il primo a lasciare la carriera militare sebbene mi lascino vivo.-

Il colonnello si ritrovò fra le braccia di Tullio e piangeva davvero.

-Credimi Montautti, questa è la prima volta che piango! Forse nemmeno da bambino ho pianto come adesso. Figliolo se esiste un Paradiso a te non

viene negato, tutto questo la legge fasulla, non lo sa e l'ingiustizia trionfa sull'innocente.-

Così tocco a Tullio confortare il suo superiore che rimaneva abbracciato a lui

-Signor colonnello l'ho fatto di mia spontanea volontà e ci sono riuscito, non solo, ma sarei disposto a farlo ancora una volta. E' questo è il prezzo che dovrò pagare, per aver fatto il mio dovere.

Nella flagellazione di Gesù il vangelo dice: “ Perdona loro Padre perchè non sanno quello che fanno ”

Il colonnello sbarrò gli occhi come si guarda un Alieno. Fece dietrofront, fece un saluto militare prima di uscire e disse:

-Buona notte tenente Montautti, eroe dell'aria!-

Tullio rimase li frastornato tra il proprio pensiero e il discorso del comandante. Provò ad addormentarsi, benché fosse stanco e scosso, non ci riuscì.

Era il momento giusto di parlare con il suo tenente:

-Stefano! Secondo quando mi dicevi da vivo, tu dovresti essere già nel Tribunale Divino. La scritta che si legge in alto -La legge è uguale per tutti- Quella si che è vera perchè solo su esiste la giustizia.

Ci sarà: il Pubblico Ministero, il Giudice, i giurati e non può mancare La Beata Vergine Maria, la nostra Madre Celeste. E' Lei che ci difende. Con la sua Misericordia e la Gloria dell'Assunzione in Cielo, per cancellare i nostri peccati. Infine il verdetto.

Ci saranno gli assolti e i condannati.

Qui in terra si dice che tutti i caduti in battaglia, senza processo, vanno direttamente in Paradiso. Tanto tu come, come quei piloti, da me battuti, vi tocca un posto nel Regno Divino.

Io, fra qualche ora ti raggiungerò, ma non credo che la mia anima raggiunge un posto in cui siete voi. Io non morirò combattendo, ma morirò di sparato, condannato dai vivi. Il mio processo si è concluso qui, in Terra, questo tribunale mi condanna per aver violato la disciplina. E il Divino Tribunale cosa farà della mia anima? Forse mi condannerà anche Esso per la mia colpa di vendetta? Ma ho dovuto farlo e lo rifarei ancora. Stefano ho giurato sul tuo sangue e ti ho vendicato, non solo, ma ho salvato anche tanta gente! Io non morrò da eroe ma di sparato!!!

Stefano! Tu mi vuoi bene, come te ne voglio io, ti prego, non condannarmi almeno “ TU ” abbi pietà di me e Pace alla Tua Anima!!-

Tullio dopo il soliloquio con il tenente e l'esame di coscienza, si sentì essente da colpa e privo di peccati, come essere stato assolto da un confessore, si addormentò.

Si annunciava l'alba, martedì 17 dicembre 1940, quando Tullio fu svegliato da due soldati, uno portava un gavettino di caffè-latte, e l'altro un rasoio con lametta da barba, e una spazzola.

-Buongiorno signor tenente, mentre voi prendete il caffè che è caldo, noi spazzoliamo la divisa e poi vi aiuteremo a disfare la barba. Rilasciato e riposato, Tullio prese il caffè. Si lasciò aiutare a disfare la barba e a vestirsi.

Subito dopo entrò il colonnello Beltrami, comandante del gruppo artiglieria, che la sera prima gli aveva comunicato la triste notizia.

I due soldati scattarono sull'attenti, fecero il saluto e uscirono dalla tenda.

Tullio ricambiò il saluto e uscirono dalla tenda. Tullio ricambiò il saluto, ma il colonnello non ci badò, aveva in mano il suo cinturone e la pistola lui stesso volle allacciargli il cinturone e poi tornò ad abbracciarlo ancora.

La giornata, come avevano previsto la sera prima, era splendida.

Tullio ripensò all'abbraccio del colonnello Sissi quando si congedò; quello fu u abbraccio di di allegria perchè finiva la naia e tornava fra i suoi, ma l'abbraccio del colonnello Beltrami era di lasciare la vita e raggiungere i morti.

L'alba si annunciò con una striscia dorata a est, quando arrivò il camion carico del plotone di esecuzione, comandato dal capitano Marini Augusto.

Il colonnello Beltrami prese sottobraccio Tullio e lo accompagnò fuori dalla tenda.

Tullio Gualandi, ora incarnato tenente Montautti, era pronto al suplizio dell'esecuzione.

Uscì dalla tenda rilasciato e sorridente, voleva morire sorridente come Stefano.

Il trombettiere fece tre squilli di tromba, in onore della Medaglia D'oro, come quando arriva il re.

Tutta la guarnigione, rimasta a Sollum-Alto, era presente, per assistere e fare onore alla Medaglia d'oro. Ufficiali, sottufficiali, graduati e soldati semplici, erano li, compresi gli addetti alla sanità.

Dopo i tre squilli di tromba, il colonnello Beltrami ordinò presentarm.

Il plotone di esecuzione fu il primo a presentare le armi, compresi gli altri con i fucili, mentre il capitano Marini e tutti gli altri ufficiali, rigidi sull'attenti, eseguirono lo scattante saluto militare alla Medaglia D'Oro.

La tromba suonò il silenzio come nelle camerate e subito il segnale di riposo.

Tullio ora tenente Montautti, si mosse e, sempre sorridendo, andò da solo al posto dell'esecuzione.

Baciò la crocetta d'oro di Stefano che aveva al collo e disse con il pensiero: “Stefano, l'ora e fuggita, io muoio di sparato, aspettami all'ingresso del Divino Tribunale.”

Guardò il capitano Marini e disse:

“ Sono pronto ”

Un cappellano militare, con il grado di tenente, chiese:

“ Medaglia d'oro, eroe tenente Montautti, hai un desiderio da esprimere? ”

“ Si ” rispose l'eroe.

“ Viva L'aeronautica e abbassa L'ingiustizia. ”

Poi rimase in silenzio e seguì l'atto dell'attesa.

Tutti si aspettavano che dicesse come tutti gli eroi! “VIVA L'ITALIA.”

Ma lui non lo disse.

Il capitano, comandante del plotone, ordinò ancora present'arm, fece uno scattante saluto alla Medaglia d'oro e poi, spallarm.

Il plotone erano tutti con i fucili, calcio alla spalla, in attesa di puntare.

Il capitano, rivolto verso il condannato ordinò: “ PUNTA.. ”

Non finì la parola perchè il cielo si squarciò, un lampo accecante, poi un boato e la terra tremò.

Un proiettile di grosso calibro esplose su l'area dell'esecuzione.

Una grande scheggia tagliò il capitano, dall'anca destra alla spalla sinistra con uno squarcio diagonale, diviso in due parti, il plotone fu decimato e altri uomini furono travolti. Subito, dopo un secondo, un'altra granata cadde a poca distanza. Il colonnello Beltrami gridò: -Si salvi chi può.-

Ma proprio in quell'istante, una scheggia gli tagliò la gamba sinistra, un palmo sotto il ginocchio.

I proiettili piovevano uno dopo l'altro.

Tullio, poiché non era morto, ne fucilato dal plotone d'esecuzione e ne colpito dalle schegge che continuavano a svolazzare, si precipitò a soccorrere il colonnello. Lo alzò peso come un bambino, lo trasportò dentro una buca, fatta precedentemente da un'altra granata. Sapeva che dove cadeva un proiettile di un cannone, non ce ne cadeva un altro finché il puntatore non cambiasse posizione di tiro. Poiché anche lui era artigliere, oltre ad essere pilota e questo lo sapeva.

Il colonnello gli mise le braccia al collo e si aggrappò come a una scialuppa di salvataggio in un naufragio e svenne, ma Tullio non lo mollò, gli strappò la cravatta dal collo, la legò attorno alla gamba ferita, con tutta la forza che aveva, per arrestare l'emorragia. Con il suo rimorso di pentimento dovette schiaffeggiare il colonnello per farlo rinvenire. Si guardò e si toccò da per tutto: era ancora intero. La tempesta delle granate continuò, senza tregua, per quindici minuti e a Tullio sembrarono quindici ore. Poi si diradarono spostandosi a ovest, infine cessò il fuoco.

Tullio cercò di mettere ordine nelle sue idee, doveva fare qualcosa. Ancora una volta poteva essere utile all'umanità finché era vivo. La polvere del bombardamento si stava diradando, anche con occhi pieni di sabbia, la visibilità era buona.

Proprio allora Tullio avvistò una corazzata inglese, si era avvicinata alla costa e i suoi cannoni vomitarono fuoco contro Sallum-Alto.

Si guardò con circospezione. Pochi erano i vivi, molti i feriti e gli altri tutti morti. Al suolo giacevano: cadaveri, mezzi cadaveri, arti umani, pezzi di cranio, frammenti di cervello e pozze di sangue.

Si caricò il colonnello ferito sulle spalle, raggiunse una coppia di portaferiti con una barella, depositò su questa il suo fardello e ordinò di portarlo all'ospedaletto provvisorio. Strappò a un porta ferito morto la fascia bianca con la croce rossa, la infilò nel suo braccio e si unì all'opera di soccorso. Tutti i vivi e auto sufficienti, ufficiali compresi, si misero in opera.

Tullio pensò di raggiungere l'aeroporto e la pista N° 9, su cui aveva depositato il cadavere di Stefano, ma poi ci ripensò: “ Stefano è morto e questi, con la mia opera, vivranno ” si disse.

Il piccolo Ospedaletto da campo era vicino. Tullio lo raggiunse.

Anche li erano caduti proiettili della corazzata inglese, ma la tendopoli era ancora in piedi.

I soccorritori continuavano a trasportare feriti. La tenda era piena di quelli più gravi e la fila si stendeva fuori. L'atmosfera era deplorevole. Un ferito, con una scheggia, che poteva sembrare una scura indiana, ficcata al torace all'altezza del cuore, giaceva senza segno di vita, ai suoi piedi,Tullio si chinò, toccò il polso, batteva. Era ancora vivo, ma con un piccolo movimento quella diabolica scheggia, poteva incidere il cuore.

Guardò alla ricerca di un medico, ne vide solo uno, giovane forse come lui, a tracollo gli pendeva lo stetoscopio, si asciugava il sudore dalla fronte e gli tremavano le mani. Girava intorno ai feriti come un automa. Lì ci volevano tanti medici se volevano salvare quei feriti. Tullio decise di intervenire.

Lungi dal capire la pratica di un medico.

I ferri chirurgici erano sparsi un po' da tutte le parti. Afferrò due pinze, con facilità di un chirurgo, estrasse la scheggia, il sangue non schizzò, come si credeva, ma ne usciva poco. Allora pensò, la scheggia non aveva raggiunto l'organo cardiaco.

Recuperò un batuffolo di cotone e asciugò la ferita. Stava pensando come chiuderla, quando dietro di lui, un infermiere gli tendeva una bottiglia di disinfettante e un ago con filo di seta per cucire le ferite. Il taglio era abbastanza largo, ma Tullio non ci badò.

Finito quel lavoro, guardò in cerca del colonnello. Era la in un angolo come tanti feriti che giacevano in terra. Tullio lo raggiunse, ma dietro lo seguivano, non uno, ma due ragazzi, cosi detti infermieri. Tullio si chinò sul colonnello. Lui aveva gli occhi chiusi, ma respirava. Il resto della gamba era viola e giallastra. Si avvicinò all'unico medico che c'era, gli afferrò un braccio e gli indicò il ferito. Lui in risposta disse:

  • Se sei un chirurgo puoi salvarlo, ma devi fare subito prima che la cancrena, nella zona ferita, raggiunga tutto il corpo. Io non posso neanche provarci, causerei solo danno.- Poi si allontanò.

Tullio invece ci provò. Guardò i due infermieri dietro di lui, senza parlare, si fece aiutare a trasportare e a sistemare il ferito su una barella che potesse fare da tavolo operatorio.

I due ragazzi corsero a prendere la cassetta degli attrezzi chirurgici, la mascherina anestetica, garza bambagia, i contenitori dei disinfettanti, siringa e fialette emostatico e tutto quello che poterono abbracciare. Quel tenente era un chirurgo e li c'era bisogno proprio di un chirurgo. Lui lo seppe subito dal modo in cui aveva salvato quel ferito con la scheggia al cuore. Quindi dovevano assisterlo. Uno gli fece lavare le mani con il disinfettante liquido e gli tese i guanti chirurgici, l'altro gli coprì la bocca e il naso con la maschera operatoria. Tullio si mise subito all'opera. Aveva ragione il medico, la gamba del colonnello Beltrami, andava in putrefazione. In quel momento il ferito aprì gli occhi e lo guardò, il viso gli si colorì di gioia, forse lo aveva riconosciuto. La febbre lo divorava. Tullio la misurò, senza termometro, solo con le dita al polso. “ Finché c'è vita c'è speranza, ” si disse. Gli applicò la mascherina anestetica e dopo pochi minuti le membra del paziente si afflosciarono, dormiva! L'operazione iniziò: tolse la cravatta che lui stesso aveva legato per fermare l'emorragia.

Il sangue si era seccato e stava prendendo il colore della cancrena. Tullio non si fece prendere dal panico, era disposto a procedere senza esaurire la sua esuberanza. Legò la gamba, più in alto, con un laccio di gomma che serve per legare il braccio per le iniezioni endovenose. Fermò l'emorragia con garze e liquido emostatico. Recuperò la pelle, il muscolo era disfatto e l'infezione si stava spargendo.

Arrestò la putrefazione, togliendola tutta, la localizzò e la tenne sotto controllo. Segò quello che rimaneva della tibia e buttò via il resto dell'arto.

Riassettò la pelle, stava per cucirla attorno al moncherino, quando si sentì una pacca sulla spalla.

-Lascia fare a me questo posso farlo io,- disse il medico.

-Tu vai a sistemare quello con il braccio a penzoloni, anche lui va in cancrena se non gli amputi quel braccio o tutti e due. Io non sono capace non conosco ne forbici e ne bisturi, non potrei farti neanche da assistente, perchè sono solo un neo medico e sono esausto.-

Senza commentare, Tullio corse ad operare il ferito. I due ragazzi, infermieri, lo seguirono senza essere invitati. Il braccio del ferito era meno grave della gamba del colonnello.

L'infezione non si era prolungata, tagliò appena sopra il gomito, ma l'altro braccio non c'era bisogno di amputarlo, riattaccò parte di pelle di cui la ricucì lo stesso medico. Ora anche lui seguiva il tenente chirurgo.

Gualandi continuava a estrarre schegge, amputare arti e tamponare emorragie, finché non arrivò la prima ambulanza. L'autista e un infermiere si rivolse direttamente a Tullio, senza badare all'amico medico,il quale si era seduto, stanco e spossato, asciugandosi il sudore alla fronte. -Signor tenete, quale di questi feriti deve essere trasportato per primo? Nell'abitacolo dell'ambulanza ce ne stanno quattro, ma noi per emergenza ne carichiamo sei perchè i mezzi scarseggiano, fra non molto no arriva un'altra e poi si devono adattare su un camion.

Qui il pronto soccorso si dovrà trasferire a Bardia e quelli che possono camminare dovranno proseguire a piedi, voi dateci i più gravi.-

Tullio guardò il medico, ma lui fece una stretta di spalle per dirgli: -Decidi tu.- Allora Tullio gli indicò il colonnello, altri tre con gambe e braccia amputate, ancora sotto l'effetto del sedativo.

Il mezzo caricò sei feriti più gravi, mentre Tullio continuava a soccorrere gli altri.

Poi arrivò un'ambulanza e ne caricò altrettanti, ma i portaferiti continuavano a trasportare altri ferita dal campo.

Tullio li esaminò uno per uno, non erano gravi: chi aveva una caviglia storta e chi un braccio slogato o una lieve ferita, però quello era un compito del medico in servizio, ma dato che lui era stanco e disfatto il compito toccava ai portantini così detti infermieri.

Il compito di Tullio era di andare alla corsia numero nove nell'aeroporto e cosi fece. Con dispiacere dei ragazzi infermieri, raggiunse la corsia nove. Il campo d'aviazione era nettamente vuoto.

Non c'erano né aerei e né uomini.

Il vento Ghibli aveva cancellato tutto, i segni delle piste le linee di decollo perfino le piste di rullaggio. La pista dove aveva atterrato il Baracca era stata cancellata, anche li era diventato deserto come tutto il deserto Marmarico.

La pista numero nove su cui Tullio aveva visto Stefano moribondo e aveva decollato a bordo del Baracca era stata spazzolata. Il baracca non c'era e non lo vide più. Ma Stefano c'era, lo ritrovò esattamente come lo aveva lasciato. Erano passate circa 24 ore. C'era solo lui e la morte!..

Tullio rabbrividì alla vista del suo tenente, era ancora sorridente. Aveva lavorato tanto per aiutare i feriti, era anche a digiuno dalla sera prima e quella mattina, all'alba, aveva bevuto un mezzo gavettino di caffè e latte prima di uscire dalla tenda degli arresti ad esporsi al plotone di esecuzione, ma era rimasto vivo. Non stava soltanto nel fatto che fosse stanco, ma addirittura era spossato. Non ci badò, ma fu proprio allora quando Tullio cominciò a coronare le sue fatiche.

Si tolse la giacca del tenente con i guanti. Tolse la sua a Stefano con le stesse aquile d'oro. Lo scambio fu facile e gli mise, oltre la giacca, anche la tuta da pilota. Si guardò intorno per scegliere un posto decente, vicino al campo d'aviazione, su cui Stefano era stato colpito a morte, per seppellirlo. Non molto lontano vide uno straccio arrovellato fra la sabbia. Lo raccolse, lo scosse, con sua sorpresa, era un lembo di bandiera Tricolore italiano, proprio quello ci voleva per un Eroe, caduto per la Patria e merito della Medaglia D'oro.

Si rimise la fascia con la croce rossa al braccio, se lo caricò sulle spalle, si avvicinò ai soccorritori, ormai rimasti in pochi, loro raccoglievano i morti e il resto dei corpi, scavavano grandi fosse e poi cacciavano tutto dentro, seppellendo perfino dieci cadaveri in ogni fossa.

Tullio non depositò il suo prezioso carico in mezzo agli altri cadaveri.

Recuperò un badile e un manico di un badile rotto per comporre una croce e si allontanò.

Scelse un posto vicino al campo d'aviazione, presso la strada pista che comunicava Sallum con Bardia.

Scavò una profonda buca dove non poteva scavare nessuno: ne il Ghibli, ne i sciacalli e iene, e neppure l'uomo perchè la fossa era profonda quasi l'altezza di un uomo.

Prima di seppellirlo gli avvolse il viso con la bandiera, poi con cautelo lo adagiò, dopo avergli dato l'ultimo bacio sulla fronte, sul fondo recitò ancora una preghiera.

L'eterno riposo dona lui, o Signore e splenda ad esso La Luce perpetua Riposa in Pace così sia.

E lo ricoprì. Con il pezzo di legno costruì una croce, la piantò sulla tomba.

Voleva scriverci:

“ Qui riposa l'eroe, grande pilota, Medaglia d'oro, Stefano Montautti, caduto per la patria.”

Però non aveva ne carta e ne penna.

Provò di incidere sulla croce, ma non c'era spazio. Allora lo incise nel suo cuore, li c'era lo spazio ed era infinito!

A missione compiuta di sepoltura, si recò al comando provvisorio in cui scriveva i nomi del recupero dei caduti o dispersi. Aveva in mano il piastrino di riconoscimento di Stefano, si avvicinava, ma Tullio sognava ad occhi aperti. Il suo tenente non poteva essere morto, faceva fatica a crederci. Stefano camminava al suo fianco, sentiva la sua saggia voce e sentiva la sua mano sulla spalla, gli parlava e Tullio ascoltava come faceva sempre: parlavano di programmi di volo, di manovre, di posizione e si anche di amicizia. Si faceva cullare da quei pensieri, senza rendersi conto di stare davanti al sottufficiale che scriveva i nomi dei caduti sul registro. Ritornò alla realtà quando sentì la voce del sergente.

-Quanti morti hai da denunciare? -

Tullio rabbrividì, si schiarì la voce, rispose: -uno solo, questo è il piastrino di riconoscimento dell'identità e il numero di matricola.-

a-Lo conoscevi?- Domandò il sergente, mentre scriveva. Tullio deglutì poi rispose: -si era il mio comandante di squadriglia.-

Il sottufficiale rincalzò.

-Lo so era un sottufficiale pilota, se non lo sai è stato premiato con la medaglia D'oro. Già l'ho scritto sul registro, la notizia è arrivata a Roma, al Ministero della guerra, telegraficamente. La Medaglia d'oro ha sempre la precedenza ad essere informato in Patria. Ora sono ancora più sicuro, la conferma è il piastrino che i hai consegnato. Domani anche questo sarà spedito a Roma e aggiunto sull'album degli Eroi.

Anch'io rispetto gli eroi e ci tengo in queste cose.-

Il sergente voleva dilungarsi per sapere di più del duello impari che l'eroe aveva affrontato, ma Tullio tagliò corto il discorso con tre parole: -Era un grande pilota.-

Fece il saluto militare, girò sui tacchi e uscì, mentre due soldati si accingevano a smontare la tenda.

Tullio si incamminò per raggiungere la sua batteria, almeno il terzo pezzo e incontrarsi con i suoi amici. Rimase deluso non c'era più nessuno, le tende del comando e quella degli arresti ufficiali, in cui lui aveva passato una notte, erano scomparsi,non si vedeva in giro,ne mezzi e ne uomini. Allora proseguì verso lo spedaletto dove poco prima aveva,male e bene,spesa la sua fatica,non c'era neanche li la tenda. invece trovò alcuni feriti stesi sulla sabbia e tre persone in piedi mentre si davano da fare a curare i feriti.

Tullio pensò di raggiungere anche lui Porto Badia,invece fu costretto a fermarsi e dare una mano a loro. Il primo che lo vide gridò: -Signor tenente! Che Iddio vi benedica! Questa si che è fortuna. Tutti sono corsi via a Bardia a noi ci hanno lasciato qui con questi poveretti perchè non possono camminare.I mezzi di trasporto non si sono visti,quelli che hanno potuto, anche zoppicando,si sono incamminati verso Nord i più gravi li hannno caricati come tanti sacchi di patate sui camion ma questi sono rimasti qui perchè non c'era più posto e noi ci siamo mossi a pietà.se li lasciamo qui moriranno di fame o dissanguati,e le iene se li sbanchettano forse prima di morire.Solo voi, come medico ci potete aiutare-.

Tullio si sorprese a diventare rosso, ma si riprese subito e rispose.

  • Ti stai sbagliando,io non sono ne tenente e ne medico, ma in questo caso farò tutto il possibile per aiutarvi,datosi che qui ci siamo solo noi-.

    -Non mi posso sbagliare,- insistette l'altro.

    -Vi ho visto con questi occhi e le mie mani sono testimoni avete estratto schegge per farli sopravvivere,avete amputato gambe e braccia per salvarli dalla cancrena e Dio sa quante altre cose che avete fatto.Solo un chirurgo può compiere tale opere.Avevate i gradi da tenente,forse nel lavoro vi si è macchiata la giacca e l'avete cambiata!-

A questo punto,Tullio,diventò serio, quasi a perdere la pazienza pensando all'avvenimento di poche ore prima guardò loro con disprezzo ammonendoli.

-Bhè,ora basta con i commenti e diamoci da fare se vogliamo aiutare questi poveretti-.

I ragazzi,al rimprovero del tenente si zittirono e corsero a prendere tutto quello che potettero racimolare:garza,ovatta,tamponi emostatici,bende e perfino i pacchetti di medicazione,lasciati dai soldati di spettanza del corredo.

Tamponarono e rappezzarono alla meglio i sei feriti.

Pensarono di marciare verso Bardia,ma i sei feriti non potevano camminare.

Tullio si guardò in torno,non c'era anima viva,c'erano solo loro e le rovine rimaste,residuo di guerra.

Però non si arrese,aguzzò di piu la vista come quando pilotava.La sua insistenza fù premiata,perche,come un miraggio,gli apparve di notare un puntino molto lontano. Ordinò ai ragazzi di rimanere lì senza muoversi.

Quasi di corsa andò in quella direzione,verso Est proprio la dove poteva apparire il nemico da un momento all'altro. Più si avvicinava e più il puntino diventava grande,infine vide un mezzo di trasporto.Si avvicinò,poteva essere anche una macchina da guerra,pensò:e se fosse un carro armato o un autoblindo ?.

Continuò la sua marcia,era un camion:e se fosse un inglese?Non importa.si disse. Oramai era deciso doveva arrivare li e recuperare quel camion a costo di trovarsi in braccio al nemico. Continuò a camminare e lo raggiunse,si rallegrò,era un camion italiano. Forse era stato abbandonato durante la ritirata;rotto o senza carburante,ma Tullio ci provò; conosceva bene quei mezzi,anzi gli erano famigliari,li aveva guidati tante volte.

La messa in moto era a Forgia a testa calda. Molte volte non partiva se il motore eera troppo freddo. Ebbe l'istinto di rivolgere una rapida preghiera perchè non aveva tanto tempo disponibile. Baciò la crocetta d'oro di Stefano e tentò di metterlo in moto.

Con sorpresa il motore partì al primo giro di Forgia,si mise al volante e partì e ringraziò il cielo.

I ragazzi con i feriti non credevano ai loro occhi,vedendo il mezzo di salvezza erano rimasti sorpresi.

-Su muoviamoci e facciamo in fretta se non vogliamo farci prendere dagli inglesi,credo che saranno qui vicino- ordinò Tullio.

Si dettero da fare senza parlare,caricarono i feriti e saltarono anche loro sul camion.

Il viaggio non era lungo Sullum-alto a Bardia, ma per superare quella distanza non era facile. Nel deserto Marmarico non esistevano strade asfaltate,sì c'erano tracce di orientamento,ma consistevano solo le cosi dette piste. Il vento Ghibli del giorno prima aveva cancellato tutti i segni e, le piste erano disfatte,dal vento ma anche dalle truppe in ritirate.

Gualandi però non badava a ciò continuava a guidare,sterzava e zigzagava per evitare di insabbiarsi. Gli infermieri sgranavano gli occhi e sussultavano per la paura di capottare,senza dire mai una parola. Tullio si accorse del loro terrore e li rassicurò.-Non preoccupatevi finchè guido io non succede nulla,rissatevi.-

Poi aggiunse per mantenere alto il loro morale.

-ragazzi questi sono i migliori anni della nostra vita e per colpa della guerra li dobbiamo trascorrere dentro questo inferno.-

-E' proprio vero non so perchè tocca proprio a noi,-rispose uno degli infermieri e poi riprese – anche se non volete lasciatevi chiamare Signor tenente,noi siamo più sicuri e protetti per essere in compagnia di un ufficiale e se non volete esserlo non importa,ma dateci questo vantaggio.-

Tullio sorrise senza commentare e li lasciò fare tanto si trattava di restare con loro per poco tempo e chissà se li avesse più rivisti,le loro strade si dividevano.

Era già pomeriggio quando arrivarono a Bardia. Incontrando una pattuglia gli indicò lo spedaletto da campo. Scaricarono i feriti e Tullio consegnò il camion e un semplice rapporto.

Chiese al comando il posto da occupare come cannoniere della contraerea,ma i ragazzi lo incitarono in coro:-Signor tenente,restate con noi non lasciateci! Qui abbiamo bisogno di voi!..-

-Devo andare il dovere mi chiama,ora siete al sicuro.-

Poi di corsa si presentò al comando di raggruppamento.L'ufficiale gli chiese il corpo di provenienza-attualmente vengo dal frante Sud-Est quarto reggimento artiglieria,settima Batteria contraerea,soldato Gualandi Tullio,ecco il piastrino di riconoscimento.-

l'ufficiale continuò..-se sei della contraerea di sicuro hai assistito a quel duello impareggiabile,un nostro biplano con un pilota fantasma,ha abbattuto un intera formazione della R.A.F di sette bombardieri. Ha salvato la pelle a sessantamila soldati in ritirata e tante altre cose militari. In compenso lo avete condannato alla fucilazione con tutti gli onori militare,per aver decollato per aver decollato senza ricevere ordini.-

Allora Tullio cominciò a perdere la pazienza e rispose a quell'ufficiale spiritoso da azzittirlo.

-vi voglio precisare che sono stati abbattuti quattro bombardieri e un caccia,mentre l'altro bombardiere e il caccia rimasti si sono dati alla fuga. In risposta,vi voglio ricordare che noi soldati non abbiamo il potere di condannare ma solo subire. La corte marziale è composta da tanti ufficiali, voi siete più responsabile di un semplice soldato per condannare.-

Il tenente si zittì vergognandosi,non si aspettava una simile risposta doveva scusarsi ma, non lo fece per orgoglio. Tagliò corto e poi disse:-ecco il tagliando vai prima in cucina e poi in magazzino,ti sarà dato quanto ti manca. Dopo di che ti presenterai alla casa Cantoniere, li c'è bisogno di titratori di precisioni e tu sei uno di questi.-

Tullio fece il saluto e se ne andò. Appena Tullio uscì gli squillò il telefono,il tenente rispose subito.

-E' ancora li quel ragazzo che ha condotto i sei feriti con un camion?-

- no è appena andato via.-

La voce del superiore continuò:-questi ragazzi mi dicono che non è solo un soldato semplice ma chissà che gradi abbia.-

il tenente del raggruppamento precisò:-anche a me ha fatto la stessa impressione ma mi ha mostrato il piastrino,l'ho mandato al magazzino e dopo caposaldo Casa Cantoniere.-

-Già però non ti ha mostrato la carta d'identità e non sai chi può essere.

-Possiamo sempre rintracciarlo,ve lo posso mandare se volete,- si arrese il tenente.

-Non importa,ci penseremo noi.-

-Perchè lo avete chiamato signor tenente? È solo un semplice soldato,il nastrino che porta al petto potrebbe essere una decorazione di un'impresa,-

chiese il maggiore ai tre portaferiti.

  • perchè la prima volta che lo abbiamo visto,cioè questa mattina,aveva i gradi da tenente e un'Aquila d'oro al petto,credevamo fosse un pilota ma,poi si è messo a lavorare da esperto chirurgo:ha estratto tante schegge in tanti corpi e quelli vicino al cuore li ha tolti per primi e poi,Dio sa quante persone ha salvato dalla cancrena amputando arti. Dopo è scomparso ma ancora una volta ci ha raggiunto. Eravamo con questi feriti rimasti sul campo perchè tutti se ne erano andati e noi per pietà ci siamo accinti attorno a questi senza sapere come fare. Ma la Divina Provvidenza ci ha mandato ancora lui. Questa volta vestiva da soldato semplice e il cielo sa come ci ha aiutato,non sappiamo neanche come ha potuto fare a trovare quel camion. Siamo salvi per lui. Non voleva ma noi lo abbiamo pregato di farsi chiamare Signor tenente; non ci ha risposto ma noi abbiamo continuato.-

Il maggiore si incuriosì e lo mando a chiamare.

Gualandi uscito dal magazzino prelevò la razione dei viveri e subito raggiunse il Caposaldo e Casa Cantoniere.

Cercò per lungo e per largo il suo reggimento, almeno la settima batteriea è il terzo Pezzo,ma non trovò nessuno. Il fronte era steso lungo il deserto

In compenso si fece nuovi amici,anche lì lo nominarono capo Pezzo: un C.K e due mitraglie 20mm antiaerea.

Invece di quattordici inservienti ne erano solo sette,non solo poco esperti ma di cannoni non sapevano nulla,confronto a Stambazzi e altri.

Era tempo di guerra e dovettero adattarsi,tutta via Gualandi li addestrò e rimasero amici.

Un sergente si presento al Pezzo.

-chi di voi si chiama Gualandi?-

- Io- rispose Tullio.

- devi andare al comando, il maggiore ha bisogno.-

Tullio sapeva dov'era il comando e lo raggiunse. Pensò:mi vorranno aggregare alla sanità, ma io rifiuterò.

Il maggiore era in piedi nella tenda,Tullio fece il saluto militare e il maggiore rispose,poi disse :- vieni avanti- si sedette e invitò anche Tullio a sedersi su uno sgabello come il suo e iniziò l'interrogatorio.

-in quale battaglione eri?-

-in nessun battaglione,ma nel gruppo artiglieria settima batteria contraerea, per scarsità di graduati ero al comando del terzo pezzo.-

-a noi ci risulta altre cose,per esempio quei nastrini sul tuo petto?-

-si- rispose Gualandi.

-Ero pilota, se vi riferite a questi nastrini fui decorato con l'aquila d'oro agli esami,per capacità di sottopormi a uno dei migliori in teoria e soprattutto alla prova di volo, il giorno 11 Dicembre 1939.Ero nella settima squadriglia durante la guerra,fino a ieri ho sempre guidato.

Per lo Stato Maggiore non era abbastanza essere piloti e volare,ma ogni uno di noi si aggiungevano un altro impegno: paracadutista, elio-grafi sta, puntatore, marconista ed esploratore. A me toccò fare il puntatore al comando del terzo pezzo contraerea della settima batteria. Il mio era un compito di un ufficiale ma come ho detto prima gli ufficiali mancavano e toccò a me. Adesso sono qui perchè, la mia squadriglia si sarà disfatta e la settima Batteria l'ho persa di vista.-

-di tutto questo sono convinto,ma come hai fatto a togliere schegge e amputare arti per salvare i feriti dalla cancrena?-

-non sono un chirurgo, se è questo che volete sapere,ma in certi casi ci si trova di fronte alla vita e alla morte. Allora bisogna agire rischiando, per vincere, ma si può anche perdere e io ho vinto. La guerra non si fa solo con i cannoni.-

Il maggiore si incantò alla risposta di quel ragazzo pieno di vitalità e sopratutto coraggioso. Dietro il suo aspetto si nascondeva una vera macchina vincente.

Così gli rispose:- d'accordo, sarai il capo pezzo che ti hanno assegnato, datosi che non ha un numero perchè ancora non si formano le Batterie,ti do a te la facoltà di dargli un numero o un nome.-

-Grazie,se mi è permesso lo battezzerei terzo Pezzo.-disse Tullio.

-E sia, da adesso il tuo sarà il terzo Pezzo.-

Quando Tullio tornò al settore, gli inservienti del Pezzo lo stavano aspettando. Tullio dichiarò loro che facevano parte del terzo pezzo.

In quella linea il turno di guarda era di continuo; ogni 24 ore gliene toccavano due o tre ciascuno, guardia o pattuglia,erano sempre impegnati.

Gualandi, un caporale e un soldato,una notte facevano il giro di perlustrazione. Da lontano si sentivano guaire degli sciacalli e gli ululati delle iene in cerca di carne umana o carogne. Quando i portaferiti non facevano in tempo a seppellire i cadaveri,esse banchettavano.

Quelle bestiacce erano sempre le prime a invadere il campo dopo una battaglia.

Tullio ripensò al suo tenente era al sicuro sepolto, perchè se quelle belve avessero trovato il corpo di Stefano lo avrebbero divorato.

Mentre un altro ululato squarciò il buio del deserto. Tullio scattò mettendo il proiettile in canna al moschetto.

Il caporale disse:-Calmati! Lo so che puoi essere nervoso e teso perchè tu vieni dal fronte e hai combattuto, ma non possiamo sparare a una iena perchè il nemico è vicino e ci può sentire.-

-Scusami. Hai ragione ma quelle bestiacce mi fanno rabbia solo a sentirle.-

-Capisco noi siamo truppe fresche , non sappiamo e non abbiamo visto quello che hai visto tu. Però bisogna stare calmi se vogliamo salvarci la pelle.-

Mercoledì 18 Dicembre 1940,il tempo era sereno e il combattimento si era calmato.

Tullio pensò: in casa la mamma,quel giorno preparava il lievito per le torte di Natale. La corrispondenza tra combattenti e famiglie si era interrotta.

“Pazienza” si disse “Finirà anche quest'era apocalittica.”

Quando si accorse che a poca distanza da lui quasi sepolto dalla sabbia,giaceva un giornale. Lo raccolse,la data segnava 17 dicembre 1940.

Era sgualcito ma leggibile, poi pensò:- come mai arrivano i giornali e non la corrispondenza?-

In prima pagina era stampato il bollettino di guerra,ma il numero era strappato.-

Il quartiere generale comunica:

ieri lunedì 16 dicembre 1940,le truppe dell'asse

hanno mantenuto la posizione si tutti i fronti

danneggiando il nemico.

Sul fronte cerenaico i nostri valorosi soldati

hanno mantenuto le posizioni e si sono ritirati a Porto Bardia

per formare una vera linea difensiva e resistete.

Sempre nello stesso fronte,un caccia italiano con un pilota fantasma

ha abbattuto un'intera formazione di 7 bombardieri della RAF,

distruggendoli completamente,mentre il nostro caccia con il pilota fantasma, è rientrato alla base incolume e senza un graffio.

 

Mentre Tullio leggeva gli si avvicinò un ragazzo del terzo Pezzo,sorrise e commentò.

-Tu ci credi hai fantasmi? E' tutta fantasia dei giornalisti,sul caccia c'era un vero pilota con un fegato da leone e un cervello grande coma una montagna,altro che fantasma! Io non c'ero, ma ho sentito quelli che lo hanno visto. Dicono che il nostro biplano saettava tra i bombardieri nemici come un razzo. Quella è tutta abilità di un vero pilota,per mandare giù quei dannati velivoli come pere marce.-

Tullio gli abbozzò un sorriso senza rispondere.

Gli scontri di battaglia incominciarono proprio a capo salto Casa Cantoniere.

Per primi furono gli aerei della RAF a martellare il fronte,però quelli che entravano nel raggio del obbiettivo del terzo Pezzo, non si salvava nessuno uno dopo l'altro venivano tutti lanciati.

Il terzo Pezzo comprendeva solo 8 inservienti compreso Gualandi. Erano tutti ragazzi svegli e obbedivano ai comandi di Tullio.

Più volte furono elogiati da più ufficiali.

Le Batterie dell'artiglieria mobile inglese erano le più efficaci di tutta l'armatura nemica;centravano le posizioni italiane prima che arrivassero le divisioni delle loro corazzare, e con essi si aggiungevano i bombardieri della RAF quando passavano nel raggio del terzo Pezzo, venivano tutti abbattuti. Se passavano lontano da questo:bombardavano,mitragliavano e poi scappavano,Tullio mordeva il freno dalla rabbia, ma se lui avesse avuto il suo Baracca,avrebbero fatto la fine dei 5 aerei distrutti quel lunedì 16 dicembre 1940.

Senza accorgersi per la tensione dell'ostilità, erano passate tutte le feste: Natale 1940 e Capodanno 1941 fronti si erano stretti, i combattimenti si avvicinavano e gli aerei non sorvolavano più neanche l'artiglieria inglese cannoneggiava.

L'operazione di guerra avveniva tra carri armati e carri armati auto blindi

Gualandi usava il C.K. Contro i mezzi corazzati nemici non più in aria.

Cannone e 20 millimetri erano in direzione al fronte inglese e ogni tanto, un carro armato o un'auto blinda saltavano in aria.

Le razioni di viveri furono ridotti e di acqua ce ne era poca o niente.

Giovedì 2 gennaio 1941, il fuoco da ambo i fronti si intensificò;il nemico passò all'attacco e fu respinto.

Dato che il cielo era sereno, i combattimenti iniziavano all'alba e il fuoco si intensificava anche al crepuscolo.

I razzi e le cannonate si avvertivano anche di notte.

Venerdì 3 gennaio il nemico insistette più deciso e il fuoco si incrociò.

Il settore di Casa Cantoniere era il più esposto. Le bocche da fuoco diventavano incandescenti e anche il cannone di Tullio.

Molte armi perdevano i tiratori e inservienti e Gualandi li sostituiva, non solo il terzo Pezzo,ma anche erano roventi.

Sabato 4 gennaio 1941 il fronte dell'Asse cominciò a cedere.

Gli italiani speravano nell'arrivo dei rinforzi ma non arrivarono.

Un capitano cappellano,anche lui in assetto di guerra invece di benedire i morti e amministrare l'Estrema Unzione ai moribondi, si accingeva a portare le munizioni ai combattenti.

Gualandi lo richiamò:-Signor capitano!... Andate via da qui, almeno salvatevi. Il vostro compito è confortare i feriti e benedire i morti,ma non restate più in questo posto di sventura abbandonato dagli uomini e da Dio.

Salvatevi almeno voi,siamo rimasti in pochi e non so quanto ancora possiamo resistere!..-

Il capitano cappellano lo guardò paternamente e rispose:-sono un soldato anch'io,ma un soldato di Cristo. Rimarrò con voi,mentre combattete il nemico io combatterò la tentazione perchè non entri in voi..io non glielo permetterò. Siamo abbandonati dagli uomini ma non da Dio e che abbia pietà di noi.-

Poi si allontanò per prendere un altro nastro di proiettili recitando la preghiera,si avvicinò a Tullio che riuscì solo a sentire:

Gementi e piangenti in questa valle di lacrime

a te sospiriamo.

Orsù dunque,avvocata nostra, rivolgi a noi

quegli occhi tuoi misericordiosi.

E mostraci dopo questo esilio,Gesù il Frutto benedetto

del tuo seno....-

 

E poi non sentì più niente perchè proprio in quell'istante,una granata nemica esplose vicino e lui.

Una scheggia tagliò la gola del capitano cappellano e la sua testa rimase in bilico a pensile sulla spalla sinistra.

Quasi per un minuto,il corpo rimase in piedi e il viso guardò Tullio, ma con la bocca sorridente e gli occhi aperti. Poi crollò a terra come tanti cadaveri giacenti in torno a lui. “ ma quel sorriso!” Tullio rabbrividì, anche Stefano, sereno sorrideva mentre cessava di vivere.

Si domandò se fosse una sua impressione oppure era vero? Che quando si muore sul campo di battaglia si vola direttamente in Paradiso?

Voleva dire una preghiera anche a lui: la iniziò ma non ebbe il tempo di finirla,perchè la battaglia infuriò. Si guardò in giro: i feriti a stento venivano trasportati i cannoni erano quasi tutti fuori uso e le mitraglie erano spaccate. Poiché erano rimasti pochi i vivi e gli altri tutti morti e il suolo era deplorevole.

Il cannone di Tullio era ancora funzionante ma doveva rallentare i tiri perchè la bocca da fuoco arroventava.

Le munizioni erano quasi finite.

Il sole si inclinava verso ovest attraverso quel fumo omicida,quando la furia della battaglia si attenuò;Tullio si sorprese,era rimasto quasi solo ma non sapeva che pesci prendere.-Ecco la fine pensò-.

A distanza, una voce lo chiamava a squarciagola.

  • Andiamo via da qui, almeno quelli che possono camminare. Il nemico ha occupato il comando e sulla tenda hanno piantato la bandiera inglese. I sani sono tutti inquadrati compresi i graduati e gli ufficiali, i feriti ammucchiati. Ci hanno ammoniti di lascare le armi e radunarci con gli altri si spera solo che ci lascino soccorrere i feriti, venite e proviamo-.

Quei pochi sopravvissuti corsero via. Tullio montò l'unico otturatore del suo cannone e quello del suo moschetto e li seppellì sotto la sabbia. Poi anche lui si avviò per raggiungere gli unici portaferiti.

Depresso e sconfitto, ricordò la resa di Venezia al tempo del Doge.

“IL nemico avanza, il pan ci manca e

sul molo sventola

Bandiera Bianca”

Mentre sulla tenda del comando italiano, sventolava la bandiera inglese.

In fretta aiutò i due portaferiti a portare, quasi moribondi due feriti e poi corse a raggiungere quattro soldati, come lui, erano rimasti al fronte. Ma sentì un colpo di fucile dietro le sue spalle e un proiettile si ficcò nella sabbia a due metri dai suoi piedi. Si girò e vide due soldati nemici, con il fucile puntato verso di loro a circa trenta metri di distanza. Non gli rimase che alzare le mani e così fecero lgi altri quattro avanti a lui. Si fermarono e i due nemici li raggiunsero. Loro sbraitarono senza capire un'acca.

-Lascare armi e per quattro-.

Questo lo capì. Tullio aveva ancora il moschetto a tracollo, anche senza otturatore e neanche se lo ricordava. Aveva anche la sua pistola d'ordinanza: una Maus calibro 3,5 e tre caricatori da sei proiettili nella tasca dietro i pantaloni.

Lanciò il moschetto a terra che loro non raccolsero, ma la pistola e i caricatori li tenne in tasca.

Volle rischiare, ormai la sua vita era in balia.

I due nemici si avvicinarono, l'spressione che Tullio lesse su i loro occhi

non sembrarono assassini.

Uno parlò in lingua straniera.

-jou italy? Tullio intuì e rispose. -Si – ma lui continuò -jou veri good ! Veri Warrier ue non inglesce, Australian -

A via di segni gli fecero capire di nascondere, orologi o anelli nei stivali o nelle tasche interne perché gli inglesi o gli scozzesi glieli avrebbero rubati. Tullio ascoltò, ma la sua paura era di avere la pistola in tasca. - Se mi perquisiscono, mi fanno fuori,- pensò. Ma non perquisirono nessuno. Tullio per precauzione, si sfilò la catenina di Stefano e la mise in bocca.

Idue australiani spinsero loro fra gli altri prigionieri e poi se ne andarono. Tullio si sorprese anche fra i nemici c'era qualche anima buona.

Anche loro si mischiarono con gli altri combattenti, già prigionieri come lui. Erano tanti e continuarono ad arrivare da altre linee. Erano tutti quelli che dovevano perire sotto i bombardieri della RAF che lui stesso, pochi giorni prima, aveva abbattuto i cinque veicoli e salvò la loro pelle.

Sì erano prigionieri come lui, ma erano vivi.

Furono radunati tutti sulla riva del mare. Proprio allora, Tullio guardò la superficie del mare Mediterraneo. Una flotta inglese era molto vicina alla costa. Una portaerea come una piazza ferma, chissà quanti aerei incorporava, sembrava una gigantesta cassetta alveare, gli aerei, uscivano entravano e volavano attorno come tante api in attesa di ammarare o di altri ordini.

Altre navi la attorniavano e a fianco galleggiava una colossale corazzata armata con tante bocche da fuoco. Doveva essere stata proprio quella a fare fuoco al posto di esecuzione, quel martedì 17 dicembre 1940, quando lo salvò dalla fucilazione.

Non si vedeva una nave italiana e la flotta era inglese, neanche si sentiva un rumore di un nostro aereo. Proprio allora cominciò.

-Speranza Perduta-

 

Era già buoio quando Tullio si destò da tali pensieri. Si sentiva qualche lamento in mezzo alla massa, il resto solo silenzio. Si erano zittiti anche le urla dei soldati inglesi di sedersi e mettersi per quattro.

Tullio si era dimenticato di mettere qualcosa in bocca, erano trascorsi due gioni senza toccare cibo. Si sedette anche lui come gli altri e il suo stomaco cominciò a reclamare, ma dove erano finiti gli australiani, gli inglesi e gli scozzesi? Non si vedevano perchè era buio, ma non si sentivano neanche.

Si alzò da sedere, perlustò d'intorno. Gli parve di vedere un'ombra immobile senza poterla distinguere. Il buoio era intenso e la vista non poteva perforarlo, anche le stelle tremolanti, erano pigre.

In quell'istante, un razzo luminoso si alzò in aria, doveva essere un segnale, chissà: o riprendere oppure cessare l'ostilità. Non avvenne niente e il silenzio continuava.

Tullio si acquattò per non farsi vedere, ma un'altro razzo, dopo un paio di minuti, sfrecciò in aria. Proprio allora permise a Tullio di vedere: era un tocullo arabo, senz'altro abbandonato. Però attorno c'erano parecchie cose sparse, ma era difficile distinguerle.

Pensò di andarci, non era molto lontano forse cento o duecento metri; certo che rischiava,se le guardie nemiche avessero visto qualcosa muoversi avrebbero sparato e il bersaglio era facile.

Lui ci pensò, ma volle azzardare,sfidare la curiosità delle ricerche. E il percorso lo fece a carponi , sembrava vicino ma non arrivava mai.

Infine arrivò alla meta. La prima cosa che toccò fu un corpo umano freddo e senza vita. Continuò ma questa volta toccò con le mani uno zaioni pieno abbastanza pesante lo aprì e con sorpresa c'era proprio quello che cercava, una decina di scatolette di carne conservata e altrettanti pacchi di gallette, erano i viveri che distribuivano al fronte durante i combattimenti. Alla cintura dello zaino c'era legata una borraccia piena.

Tullio pensò e ringraziò la Divina Provvidenza il suo aiuto. Ebbe l'istinto di mettere qualcosa nello stomaco, magari una galletta, perchè era impossibile aprire una scatoletta di carne, al fronte l'apriva con la baionetta innestata al moschetto, ma in quel momento non aveva niente, aveva solo la pistola, ma non poteva trattenersi al lungo in quella zona.

Si caricò tutto sulle spalle, sempre a carponi incominciò la ritirata se prima era stata lìavanzata; si inciampò ancora con qualcosa, questa volta fece rumore, si appiattò a bocconi e nulla accadde, la raccolse, era una lattina di latte condensato la due litri. Quando c'era calma, veniva diluito con acqua e distribuito alle truppe e qualche volta senza diluire, ogni lattina conteneva otto razioni e Strambazzi ne prelevava sempre due dalla cucina mobile perchè loro erano sedici compreso il tenente che divideva con loro la prima colazione qualche volta anche il rancio, rifiutando la mensa ufficiale.

Tullio conoscava bene la lattina, era chiusa con un tappo a filettatura per aprirla e per richiuderla. Visto la situazione calma, non potè resistere, svitò il tappo e diede due sorsate, non poteva saziarsi ma qualcosa mise in pancia, giusto per non stranazzare. Era ancora presto per soddisfare lo stomaco e poi era anche pericoloso. Riprese la via del ritorno, ma urtò ancora qualcosa con il gomito, era un mezzo sacco di legumi secchi, quello lo lasciò allora capì, doveva essere una cucina e quando si poteva, i cucinieri riuscivano a fare una minestra con pasta e legumi, ma li era tutto deserto, c'erano rimasti solo alcuni cadaveri.

Finalmente raggiunse il suo punto di partenza.

Tutti erano sdraiati o addormentati e nessuna traccia di guardie. Se queste non erano li, dove potevano essere? E se dormivano anche loro? Certamente anche loro avevano combattuto e non potevano essere tanto in forma.

Tullio pensò di tagliare la corda, ma dove andare? Dove si stendeva solo il diabolico deserto.

Poi ci ripensò: sapeva, oppure aveva sentito che a Tobruck si formava un'altro fronte di resistenza con altre truppe fresche le quali erano destinate a Bardia di rinforzo, ma non fecero in tempo perchè gli inglesi arrivarono prima. Ricordava bene la distanza aerea da Bardia a Tobruck, cento chilometri circa ma per via terra? Calcolò centocinquanta chilometri, al massimo centottanta chilometri insieme alla fame non ce l'avrebbe fatta a raggiungere Tobruck,ma adesso aveva la scorta dei viveri nello zaino e l'acqua nella borraccia. Era ancora in ginocchio quando si sentì toccare un braccio. - sono scomparsi i nostri angeli custodi, che te ne pare?- Gli sussurò un voce al suo orecchio.

-sembra anche a me,-rispose Tullio,riferendosi alle guardie inglesi.

-mi chiamo Accorsi Marino,- continuò la stessa voce.

- sono uno di quelli che ero insieme a te quando ci hanno presi prigionieri. Vorrei starti vicino,mi sento più sicuro in tua compagnia. Forse tu non lo sai ma io ti conosco.-

- Bhe tutti, in questo campo di sventura ci conosciamo, dividendoci il pericolo e i sacrifici. Per ora ci tocca mordere il freno e poi si vedrà.-

- Io, come te, vengo da Sollum Alto. Ti ho visto anche là,perciò ti conosco. Non voglio mettere le mani sul fuoco per giurarlo, ma tu non sei solo un soldato semplice e ignorante come me. Tu sei qualcosa di più,chissà che gradi avevi prima.. puoi anche non crederci però ho questo pallino in testa, anche i due australiani, prima ci hanno fatto alzare le mani e poi si sono rivolti a te, non so cos' abbiano detto, ma ti hanno sorriso e forse elogiato.-

Tullio si scocciò, anche i due portaferiti insistettero per chiamarlo signor tenente e lui li lasciò fare e poi si divisero, ma questo, cosa voleva dire? Si calmò e rispose.

- Se proprio lo vuoi sapere, sono solo un pilota e niente gradi, se ti riferisci a questo mostrino è solo una decorazione premiato con l'Aquila D'oro, dopo sostenuto gli esami, per aver dimostrato un'acrobazia fuori programma ma perfetta. Adesso la mia squadriglia si è disfatta e io ho perso le ali e per adesso non posso volare neanche nella fantasia come stai volando tu con il pallino. Pensamo più tosto a evadere da qui.-

Accorsi sbarrò gli occhi per la sorpresa, anche senza poterli vedere perchè era buio, ma li spalancò.

- Pensi davvero di evadere? Ora sono ancora più sicuro della tua abile strategia. Prendimi con te, non lasciarmi qui, rispettrò i tuoi comandi come ad un generale, sarò sempre disponibile ai tuoi ordini.-

Tre altri ragazzi vicino a loro ascoltarono il dialogo di fuga. Si diedero una gomitata e circondarono Tullio e Marino.

- Possiamo unirci con voi? Anche noi vogliamo evadere e siamo sicuri di non sbagliare sotto la tua guida.

Eravamo al fronte, noi scappavamo, ma tu continuavi a combattere. Ti hanno stimato anche quei due australiani quando ci hanno catturati. Ti hanno detto che sei un vero combattente “ you very good” , non so cosa significa ma abbiamo intuito che sei un vero eroe. Prendici con te, faremo come dici,rispetteremo i tuoi ordini come un vero comndante.-

- va bene,- concesse Tullio.

-Volevo scappare da solo,ma a quanto pare saremo in cinque. Ora ascoltate bene: la meta è distante, a Tobruck,il percorso si aggira sui 180 kilometri.

Per prima cosa dobbiamo avere una scorta di viveri minimo per due giorni,affrontare il viaggio in marcia, due ore di cammino a piedi e mezza di riposo, poi fra noi dobbiamo stabilire uno spirito di cameratismo: “uno per tutti e tutti per uno”. Se volete io dirigerò l'andatura ma noi siamo tutti uguali,ognuno può avanzare una proposta e se è giusta verrà,di comune accordo eseguita. Chi aderisce si alzi e partiamo subito, chi non si sente può rimanere. Io vado e seguitemi senza un minimo rumore, a distanza della mossa, a circa 500 metri ci fermeremo, mangeremo qualcosa perchè siamo tutti a digiuno. Per affrontare la marcia abbiamo bisogno di calorie.-

Chi aveva scatolette di carne e chi le gallette, ma tutti avevano una borraccia piena d'acqua e lette condensato come Tullio.

Sabato 4 gennaio 1941 alle ore 21.15, i cinque prigionieri prima mangiarono e poi si misero in marcia capeggiati da Gualandi,obbiettivo Tobruck,avventurandosi nell'odissea viaggiando verso nord, costeggiando la riva del mare Mediterraneo, lasciandosi dietro gli affannosi respiri dei feriti e dei prigionieri, come loro ma stanchi e affamati. Oltre i latrati dei sciacalli e i sinistri ululati delle iene, forse si sbanchettavano i poveri caduti rimasti sul campo di battaglia.

Tullio sospirò:se non ci fosse stato il pericolo sarebbe tornato indietro per mitragliare quelle odiose bestiacce.

Quella notte il cielo era sereno e senza luna. Il mare era calmo, le stelle si specchiavano sulla superficie facendo scintillare le piccole onde con riflessi visibili.

Tullio guardò l'orizzonte in alto mare. Se ci fosse stata ancora la flotta nemica, che alcune ore prima, aveva visto vicino la riva di Bardia, poteva individuarli, ma non c'era più. L'orizzonte era sgombro. Tullio, guardingo,marciava in testa. Datosi il mare calmo,permetteva ai marcianti di camminare sul bagnasciuga, la sabbia umida facilitava loro il passaggio senza bagnarsi i piedi,come camminare sull'asfalto. Continuarono a marciare per due e Tullio in testa. Tullio aveva l'orologio al polso, anche quello gli inglesi glielo avevano lasciato. Il quadrante era fosforescente visibile al buio. Lo controllava e subito lo copriva con la manica del pastrano di lana grigio-verde. Dopo due ore si concessero mezz'ora di riposo. Continuarono così per tutta la notte. Domenica 5 gennaio 1941, quando apparve l'alba, Tullio diede il segnale di riposo. Sfiniti, ma contenti si appollaiarono in un riparo sotto una scogliera scavato dal mare durante le tempeste. Quel nascondiglio era una risorsa per i pellegrini, non solo erano riparati dall'aria pungente che soffiava da nord- est, ma erano anche coperti di sinistri visibilità.

- Le mie scatolette di carne sono senza chiavette per aprirle,- dichiarò Gualandi.- il fatto è che non abbiamo neanche più le baionette.-

- te ne darò una io, attaccate alle mie scatolette ci sono tutte perciò niente problema,- puntualizzò uno di loro che Tullio non sapeva neanche il nome. Per la tensione di filarsela ancora si doveva presentare. Solo Marino Accorsi aveva spifferato il suo nome,conosceva a vista Gualandi, ma neanche lui sapeva il suo nome. Quella fu una sosta più lunga, erano stanchi e affamati. Con l'ordine di Tullio, iniziarono a mangiare e a bere. Quando Tullio svitò il tappo della sua borraccia, ebbe la prima sorpresa sgradevole, invece dell'acqua ci trovò il liquore, un brandy che l'esercito distribuiva ai soldati in azione come bevande di conforto. Tullio e Stefano lo avevano sempre rifiutato. Lui si demoralizzò per la mancanza d'acqua, ma i suoi compagni si rallegrarono.

- io non lo bevo, anzi non l'ho mai bevuto, ma per voi è disponibile-

-grazie,- dichiararono tutti.

-noi beviamo il tuo brandy e tu bevi la nostra acqua. Uno per tutti e tutti per uno. Come tu hai proposto-.

Dopo rifocillati e riposati, ripresero a marciare.

Tullio dichiarò.

- non abbiamo ne pianta geografica ne bussola, ma secondo il mio punto di vista, abbiamo marciato per 50 chilometri circa e per superare la distanza fino a Tobruch ci rimangono due terzi di viaggio. Vi faccio notare che gli inglesi non possono correrci dietro perchè loro sono più disfatti di noi. Quindi questa è terra di nessuno. Allora propongo di ridurre il riposo, come forse, dobbiamo ridurre i viveri. Marciando regolarmente oggi e questa notte, domani, prima che finisca la giornata, forse saremo alle porte immaginario di Tobruch. Questa è solo una proposta, ma vi voglio ricordare che siamo tutti uguali, se qualcuno, fra voi, ha oltre altre idee faccia il suo progetto.-

- fantastico,- spifferò un altro.

- accettiamo la tua proposta come un ordine,perchè tu sai quello che non sappiamo noi. Ma come fai ad orientarti e a calcolare le distanze? Io ho perso perfino i riflessi e mi sembra di viaggiare verso il punto da cui siamo partiti.-

- anche a me fa la stessa impressione,- ripose un altro

allora si intromise Accorsi.

-Ragazzi state mettendo in dubbio i riflessi di un pilota? Chi può saperne di più di un aviatore:strategia, direzione e orientamento?-

-Oh!.. Tutto questo non lo sapevamo, ma siamo ansiosi di marciare al comando di un dominatore dell'aria.-

- Calmati Accorsi! Te l'ho detto che ho perso le ali e ora voliamo solo con la speranza di raggiungere la nostra meta.-

L'andatura di marcia andava regolarmente bene, ma nelle prime ore del pomeriggio ebbero una sorpresa: un gruppo di arabi, circa una decina, sbucarono all'improvviso da dietro una collina di sabbia accumulata dal vento. Ognuno di loro, oltre un sacco a tracollo, avevano una falce in mano come quella che serve da mietere il grano ma seghettata e molto affilata.

La notizia della sconfitta di Bardia era arrivata anche a loro. Tanti arabi non simpatizzavano con gli italiani, nonostante tutte le bonifiche che il governo fascista aveva sparso sul suolo libico: case coloniali,piantagioni di olivi, pozzi e mulini a vento, fertilizzare il suolo e tante altre comodità.

L' Italia aveva mandato anche delle famiglie per sfruttare il deserto e collaborare con gli arabi stessi. Ma questi si godevano tutto il benessere, senza pagare ne tasse e ne affitto, in cambio ci detestavano. Avevano aggredito famiglie italiane e saccheggiato le loro case.

Questi si avvicinarono con arroganza a loro.

I compagni di Tullio si terrorizzarono, vedendoli maneggiare le falci come tante sciabole.

Ma Gualandi rimase impassibile. Avanzò verso loro e chiese:- cosa volete da noi?-.

Gli arabi credendosi vittoriosi risposero:- ci prenderemo tutto quello che avete: pastrani,giacche,i vostri zaini e i vostri portafogli se ne avente ancora.-

Tullio sempre calmo con una mano impugnò la sua pistola,la pallottola era già in canna, tolse la sicura. Nessuno sapeva l'esistenza della pistola, neanche i suoi compagni.

- Allora venite a prenderli- li sfidò.

I ragazzi si spaventarono,non sapevano come difendersi,guardarono per terra in cerca di un sasso, ma c'era solo sabbia. Pensarono di buttare un po' di sabbia ai loro occhi per poi annientarli,ma gli arabi erano tanti e poi avevano le falci,maledissero gli inglesi per avergli fatto lasciare le armi. Tullio però gli ordinò la calma e quando gli arabi si avvicinarono,tirò fuori la pistola e fece partire un colpo vicino ai loro piedi.

Meritavano di essere uccisi, Tullio ci pensò e il bersaglio era facile. Aveva ammazzato tanti nemici e questi erano più che nemici perchè erano anche vigliacchi. Ma non erano in conflitto e loro non avevano i cannoni ma solo falci.

Bastava solo spaventarli.

Gli arabi fecero dietrofront tentando di scappare, Tullio fece ancora fuoco e gridò.

-Fermatevi altrimenti la vostra schiena diventerà una grattugia.- Avanzò con la pistola puntata,pronto a sparare.

-Adesso, se volete salvare la vostra pelle, che non vale un soldo,lasciate a terra i vostri sacchi e i vostri sferruzzi e tutto quello che avete rubato perchè voi siete ladri e vigliacchi. Conterò fino a dieci,dopo,se non avete seguito il mio ordine,aprirò il fuoco e vi manderò tutti al creatore e ringraziate il vostro Padre Eterno se ancora non vi ho fatti secchi e pregatelo di non incontrarmi più,perchè allora perderò la pazienza.

Uno..due..-

Ma al tre,avevano lasciato tutto e fuggiti via come tante lepri.

Con il consiglio di Tullio presero una falce ciascuna,le altre le seppellirono in una buca.

Nelle sacche c'erano indumenti civili, pastrani e giacche militari,tutta merce,frutto della loro razzia. Trasportarono quegli indumenti per alcuni chilometri e poi li lasciarono vicino la riva del mare,se qualcun altro era fuggito come loro,quella roba poteva essergli utile.

La notte, tra il cinque e il sei gennaio, i fuggiaschi continuarono la loro marcia regolarmente senza nessun lamento. Anzi i ragazzi non potevano capacitarsi e si affannavano a ringraziare il loro capo.

- Tu non sei solo il nostro capo ma sei il nostro generale. La tua testa è un fiume di idee e un lago di sorprese, ci hai salvato la vita. Ma noi come facciamo a ricambiare?-

- Niente ringraziamenti,siamo pure d'accordo che dobbiamo essere Uno per tutti e tutti per uno,no?- rispose Tullio.

Lunedì 6 gennaio,quando apparve l'aurora, i pionieri si presero l'ora di riposo,mangiarono anche,ma i viveri erano quasi finiti.

Il sesto senso di Tullio,gli trasmetteva qualcosa senza poter decifrare, ma ci pensava.

Il deserto era tranquillo e il mare era calmo. Si rivolse ai compagni.

-Dobbiamo diminuire il riposo e aumentare la marcia. Siamo anche a corto di viveri.

Colombo, mentre navigava alla scoperta dell'America,per calmare l'ammonimento della ciurma, si prese tre giorni di tempo,dopo si sarebbe arreso,lasciando il comando delle Caravelle. Io mi prendo solo un giorno di tempo,oggi,questo stesso giorno,prima del buio dobbiamo arrivare alla nostra meta. Dopo di che uno di voi si metterà al comando. In questa zona c'è meno pericolo,gli inglesi non possono arrivare,come già ne abbiamo parlato,di animali feroci non ce ne sono,il mare ci favorisce l'andatura perchè è calmo e se incontreremo altri arabi ladri sappiamo come difenderci.-

-Noi non provochiamo un ammonimento,puoi prenderti oggi e anche altri giorni, ma noi ti seguiremo ovunque tu ci condurrai,senza prendere il comando,perchè tu non puoi sbagliare;seguiremo il tuo ordine.

Tullio sorride e li ringraziò per la loro fiducia.

Tutti e cinque sembravano in forma,nonostante la fatica,la fame e si, anche l'acqua scarseggiava,le calorie disperse.

In pieno accordo marciavano più decisi e più coraggiosi,sembravano spinti da una forza magnetica invisibile,senza un minimo di lamento,seguendo il loro capo:Tullio.

Il sole stava declinando verso l'orizzonte,Tullio però,pensò che non conveniva passare un'altra notte in marcia.

Se lo impose.

-Siamo vicino alla meta,-pensò ma non lo disse ai suoi compagni. Il disco infuocato del sole stava per toccare l'orizzonte del tramonto,quando una voce ostinata li fermò.

 

TOBRUCK

Le Porte Immaginarie

del secondo Fronte di difesa.

 

-Altolà!-Chi-Va-Là!-

Il solito ritornello della sentinella quando monta di guardia.

Era una pattuglia avanzata della frontiera in esplorazione: un sorgente e due soldati.

I cinque pionieri si arrestarono, ma Tullio fece un passo avanti e rispose:

-Siamo italiani,veniamo dal fronte di Bardia.- La voce minatoria del sergente ripeté.

-Alto là e mani in alto!..-

-Possibile che dobbiamo alzare le mani anche ai nostri? Non è stato a basta agli inglesi?- Si dissero. Tuttavia alzarono le mani sopra la testa.

Il sergente,con il moschetto puntato contro loro,dichiarò.

-Bardia è stata distrutta e occupata,i superstiti sono stati presi tutti prigionieri. Come faccio a credere a quello che mi state dicendo? Ci non molte sorprese in questa guerra, ci me lo fa credere che non siate spie?-

- Ve lo dimostreremo con il nostro piastrino di riconoscimento e da un documento,- dichiarò Gualandi.

- Aggiungo che ho il mio orologio e sono impossesso della mia pistola di ordinanza Maus col 3, e in più caricatori. I miei compagni non possiedono armi,solo una falce ciascuno, per difesa in viaggio, potete prendere la mia pistola, sequestrare le falci e perquisirci,accompagnarci al comando per deporre le nostre generalità.- Con il discorso di Gualandi il sergente si persuase.

Gli sequestrò pistole e cartucce, si fece consegnare le falci seghettate,le mise in fila e, finalmente,li accompagnarono al comando,a pochi centinaia di metri.

Era una tendopola circa come quella del spedaletto in linea.

Tre ufficiali sedevano attorno un tavolo:due capitani e un maggiore. Questo iniziò l'interrogatorio mentre i due altri ufficiali al telefono; un centralino e un' apparecchio radio posati sul tavolo da campo.

-Siamo informati che il fronte di Bardia è stato annientato dall'esercito inglese, i vivi rimasti sono stati fatti prigionieri e voi come avete fatto a sottrarvi dalle grinfie del nemico?-

Fu Tullio a parlare per primo.-Forse sapete anche la difensiva dell'ultimo caposaldo a ritirarsi: Casa Cantoniere. Noi eravamo proprio li e siamo rimasti a difenderci fino al pomeriggio del 4 Gennaio. Al tramonto c'erano pochi vivi e disfatti,ma anche il nemico era disfatto,forse più di noi,però loro avevano vinto la battaglia e avevano le armi. Ci hanno ordinato di alzare le mani,senza badare altro perchè anche loro erano nelle stesse condizioni. Io ho rischiato di tenermi la pistola e buttare il moschetto senza otturatore, come seppellii l'otturatore dell'ultimo cannone rimasto illeso,perchè gli altri erano tutti fuori uso. A notte i nemici che ci avevano catturato sono scomparsi. I nostri erano tutti sdraiati per terra e noi siamo evasi.

  
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