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Autore: Nonsmetteredisognaremai    01/07/2014    0 recensioni
Vorrei dirti che l’estathè lo prendo sempre alla pesca, e sulle patatine non metto sempre il ketchup, vorrei dirti che quando piove di solito dimentico l’ombrello, vorrei dirti che mi giro sempre le dita tra le mani quando sono nervosa e che se rido troppo arriva persino a mancarmi il respiro. E il desiderio che esprimo è sempre lo stesso a tutti i compleanni. Vorrei dirti che la matita sugli occhi mi fa sentire più bella, che se mi abbracci e la mia sciarpa sa di te, potrei non levarmela mai più. Che adoro quando mi toccano i capelli e mi accarezzano le mani, vorrei dirti che, dipendesse da me, vivrei sepolta sotto tutti i libri e le parole belle del mondo, che se mi dici “io ti amo” poi ci credo. E se faccio tardi, quasi sempre, è perché aspettare mi mette addosso la paura. Vorrei dirti che scrivo perché senza penna non so parlare; che mi basta una singola nota per indovinare la canzone. E poi l’amore non so se ho idea di cosa sia, ma vorrei dirti tutto di me, se prometti che non scapperai via.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Bondage | Contesto: Contesto generale/vago
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“Io che restavo in disparte a guardare
la vita scivolare da me,
non capivo il perché.
Ricomincio da me
perché è l’ultimo salto da fare per te.”
 
 
Il vento soffia tanto da poter spostare i capelli di Niall, i quali sembrano star facendo un valzer. Non c’è rumore, tranne quello del mare. Eppure questo fino a un’ora fa se ne stava bello calmo, ora, invece, sembra aver avvertito un qualcosa che lo fa agitare tanto forte. Getto la sigaretta sulla spiaggia e la calpesto. Amo star qui. Eppure so che a Niall questo silenzio sta stretto, ma non dice nulla… e pure se dice qualcosa, sa già che non lo risponderei.  Niall non è mica come me eh. Non sta un po’ zitto. La frase ‘la bocca è stata fatta per parlare’, l’ha presa troppo sul serio. A volte mi fa salire il nervoso, e lo mando a fanculo. Sarà che ho il ‘vaffanculo’ facile, ma ce lo vuole lui eh. Io non gli dico mai niente, è sempre lui ad avviare discorsi, la maggior parte delle volte, senza un filo logico E’ un’idiota. 
Mi alzo e mi pulisco il jeans dalla sabbia appiccicata. –“Stai ancora qua o vieni?”
Lui mi imita, alzandosi. –“No vengo, sicuramente mia madre mi starà aspettando.”
Metto le Marlboro nella tasca anteriore dei jeans, insieme all’accendino, e tengo stretto il telefono nella mano destra. Non sto aspettando nulla. Nessuna chiamata. Nessun messaggio. Ormai è un’abitudine. Ho aspettato così a lungo una chiamata o un messaggio, che le ultime briciole di speranza, ora, si prendono possesso di me. A volte, la gente dovrebbe sapere che è bello esser cercati. Ma io non sono il tipo ricercato. Non lo sono mai stato.
Finiamo sul marciapiede scassato e inizio a prendere a calci una lattina di Coca. –“Harry ha detto che stasera torna Jamie e che ci rivediamo al solito posto, sempre se vuoi.”
Per “solito posto”, si intende un bar che manca poco e se ne cade, che possiede  il papà di Jamie, una della nostra comitiva. Di solito, lì passiamo le intere giornate. E’ un posto, ormai, chiuso. Chi cazzo ci verrebbe a bersi un caffè in quella baracca? Ma a noi piace lo stesso. Io, Louis e Liam abbiamo ricoperto le pareti con “la nostra arte”, ovvero le abbiamo riempite di spray con diversi colori, mischiati tra loro. C’è più storia su quelle pareti che sui libri di storia. C’è, praticamente di tutto, dai ricordi di qualche anno fa a frasi di libri, canzoni o disegni. La maggior parte dei disegni li ho fatti io, il fatto è che non riesco a staccarmi da qualsiasi cosa sia in grado di tracciare una linea. Ho scritto e disegnato dappertutto. Sul pavimento della terrazza in legno della spiaggia. Sul marciapiede scassato. Sui binari di un treno. Una volta, persino su un treno, chissà dov’è sto treno adesso. Non so perché lo faccio, boh, in un certo senso è un modo di esprimere il mio essere, che poi non so manco se ne sono capace. Julia diceva sempre di si, che ero il più bravo in quello, ma so che esagerava, perché lei esagerava sempre. Julia era una bambina di sei anni, una mia vicina di casa, ai tempi io avevo nove anni e spesso giocavamo insieme. Era sempre allegra e buffa, faceva delle barzellette da schifo proprio, ma io ridevo per farla felice, perché se non lo facevo metteva il muso per tutta la giornata e se ne andava. Aveva i capelli biondo scuro e dei grandi occhi grigi. Era davvero  carina. Le mie giornate le passavo con lei. Quando non mi vedeva, correva nella mia camera e saltava praticamente sul mio letto riempiendomi di schiaffi e calci. Allora io facevo la parte dell’incazzato, e lei diceva ‘ma tanto lo so che mi vuoi bene’. Ed aveva ragione.  Aveva un sorriso che ti metteva allegria, con quelle fossette minuscole e dolci. A volte volevo toccarle, per vedere quanto profonde erano. Le tiravo sempre la guancia rossa, era davvero buffa. Poi un giorno mi disse che andava da sua nonna, a Milano, in Italia, perché le mancava e perché sua mamma aveva trovato lavoro lì. Io non le dissi niente. Che le potevo mai dire? Mi sentii soltanto solo e un po’ perso. Certo avevo degli amici, ma era diverso. Lei capiva tutto e subito. Senza spiegazioni. Senza parole. Mi vedeva giù e si attaccava come una cozza e non mi lasciava. Anche se le dicevo di lasciarmi in pace, non se ne andava mica. Il giorno in cui partì l’accompagnai vicino alla macchina. Sua madre mi sorrise e sventolò la mano in segno di saluto, ricambiai il sorriso. Julia mi disse –“Bè non mi abbracci manco?” Rimasi immobile. Non so perché. Davvero, non lo so. Allora lei strinse le sue minuscole braccia dietro al mio collo, allungandosi un po’ sulla punta dei piedi. –“Non cambiare mai da come sei”, mi disse. E salì in macchina. ‘Abbi cura di te’, pensai. Gli occhi mi bruciavano, ma non dovevo piangere, no. Sarebbe tornata, sicuramente. Ovvio, che sarebbe tornata. Guardai la macchina, fino a quando non scompari’ del tutto. Julia non si voltò. Se si sarebbe voltata avrebbe pianto, già lo sapevo. Sapevo quanto odiasse gli addii, me lo diceva sempre ogni volta che guardavamo un film e finiva a piangere. Che poi i film li sceglieva sempre lei eh. Prima li sceglieva e poi piangeva. Ma perché vuoi vederti un film che ti fa piangere? Davvero non la capivo.
Sono passati dieci anni da quando è partita. Io abito sempre lì, vicino alla sua casa.. quindi se ritorna, e spero che ritorna, la incontrerò. In questi anni non mi ha mai chiamato, escluse le prime quattro volte appena partì, due volte mi chiamò lei e due volte la chiamai io. Ma poi non so. Scomparsa. Allora io ancora aspetto un messaggio o una chiamata, anche se le speranze son quasi sparite.
Niall scrolla le spalle. –“Non sapevo tornasse stasera. Comunque, ci sto. Tanto non ho un cazzo da fare.”
Niall ne ha e come di cose da fare, tipo.. compiti, ma non sembra dargli tanto peso.
Come me d’altronde.
Andiamo nella stessa classe, doppia rottura.  Non solo devo subirlo tutti i giorni, ma anche in classe insieme. La mattina appena sveglio, lo devo sopportare. Va beh, infondo, è tipo come un fratello. Un fratello abbastanza rompipalle.
Stiamo al quarto anno dell’artistico.  Personalmente se sono ancora tra i banchi di quella scuola è solo per non subirmi anche mia madre, se dipendesse da me avrei già smesso da un pezzo. Mi stanno tutti sul cazzo quelli lì. Sotto tutti dei perfettini  figli di chissà chi’ che chissà quale importante lavoro ha. Vengono a scuola tutti vestiti per benino, senza un difetto, con i capelli pettinati, le scarpe bianche e sottolineo bianche senza manco una macchiolina. Se mi metto le scarpe bianche ritorno a casa che sono nere. Come cazzo fanno? E poi ci siamo io e Niall che sembriamo dei barboni, in confronto a loro. Ma sembra non importarci tanto, almeno a me. Ho un po’ di tatuaggi, un bel po’ e un piercing sul labbro inferiore. Niall, invece, ha solo due tatuaggi: un pallone da calcio senza colore sul polso e una piccola stella dietro le spalle, anch’essa senza colore. Il pallone sta per il calcio, ci gioca da quando ha sette anni e la stella per sua nonna, morta due anni fa.
-“Dopodomani è anche il compleanno di Emma, penso organizziamo qualcosa poi.”  Mi dice.
-“Davvero? E quanti anni fa?”
-“Diciannove.”
Emma, è una tipa davvero strana. Ha i capelli neri sfumati col rosso. Si veste peggio di me e Niall messi insieme. Sempre nera, di solito. E quando si trucca, sembra che tutto il fumo di una fabbrica le sia andato in faccia. Ma è simpatica. Un po’ cazzona, ma simpatica. Fuma come una turca e si frega le sigarette di Louis, ogni volta che lo vede. Per questo litigano spesso. Una volta le ha dato dieci euro e le ha detto ‘comprati ‘ste sigarette e levati dal cazzo una volta tanto’, ma poi stanno sempre attaccati, per di più a scannarsi, ma comunque stanno sempre insieme.
-“Ah, okay. Va beh poi qualche giorno prima del suo compleanno ne parliamo.” Dico.
Lui annuisce e svolta nella sua strada. –“Ci vediamo stasera, allora. Ciao Zayn.”
Gli faccio un cenno di saluto col capo e gli sorrido per poi imboccare la strada di casa mia.
 
La sera, così come d’accordo, siamo tutti radunati nel bar di Jamie. Niall sta sgranocchiando dei pistacchi, Liam ed Harry giocano a bigliardino e Louis ed io stiamo consumando praticamente l’intero pacchetto di Marlboro prestatoci da Jamie. Siamo seduti sui gradoni alti e macchiati, fuori all’edificio. La luna illumina per metà i nostri volti. Aspiro e sprigiono il fumo, chiudo gli occhi. –“Mat, quasi sicuro, metterà un incontro a fine settimana. Oggi l’ho visto e m’ha chiesto di te, ho detto che eri ammalato. Perché, poi, non ci stai andando più?” Chiede Louis.
Scrollo le spalle. –“Non ho mica sempre voglia di menare qualcuno ogni tre giorni.”
Louis fa una mezza risata. –“Come quella volta che sei finito incollato al pavimento, beh hai proprio ragione: dev’essere faticoso menare qualcuno.”
Apro gli occhi e fingo di essere incazzato . Gli do una spinta. –“Guarda che è successo solo una volta con Manuel, quel tipo grosso. Per non parlarne del fatto che quel giorno dovetti anche lavorare con Sam.”
-“Si si, va beh ogni scusa è buona. Con te anche se uno c’ha ragione passa alla parte del torto. Ci rinuncio.” Scuote la testa.
Decido di non risponderlo.
-“No, ma abbiamo avuto un’idea stramega figa.” Emma scende frettolosamente i gradini, inciampando nei piedi di Louis. Lui ride. Un ‘sei la solita demente’ esce dalla sua bocca. Lei, lo ignora completamente.
Si siede a gambe incrociate sul gradone sotto al mio e mi guarda in faccia. Ha gli occhi castani, leggermente lucidi, la bocca è screpolata ma ricoperta da un lucidalabbra rosso spento ed i capelli perfettamente raccolti in una coda di cavallo. Beh, è bella. Forse anche troppo. –“Allora, ho pensato di rimodernare il bar.”
-“Quale bar?” Chiedo.
Alza gli occhi al cielo. –“Ma come quale bar? Questo idiota, quale sennò?”
L’avevo quasi dimenticato che è un bar. –“Ah.” Poi ripenso alla parola ‘rimodernare’ ed improvvisamente mi sveglio. –“Ma come? Cioè non è possibile, Emma. Non iniziare a metterti strane idee in testa, non ce la faremo mai a..” Mimo le virgolette. –“Rimodernare questo posto. Che poi rimodernare di che? ‘Sto posto è da rifare proprio.”
-“Si, okay, forse non sarà la cosa più facile che abbia mai fatto, ma insieme potremmo riuscire a mettere su un vero e proprio bar. Tra un mese farò diciotto anni, e devo assolutamente trovarmi un lavoro per affittarmi una casa solo ed esclusivamente mia, senza rotture di coglioni. Io con i miei non ci sto neanche mezzo minuto in più, eh.”
-“E pensi che per i tuoi diciotto anni, o meglio, tra un mese noi riusciamo a fare di ‘sto posto qualcosa di carino?”
-“Mica deve essere per forza carino. Accettabile. Si, accettabile. Solo accettabile.”
Per un attimo penso che si sia completamente rincretinita, ma infondo non ha tanto torto. Inoltre è privilegiato perché si trova in una buona zona, quasi al centro. –“E per renderlo accettabile, pensi che ce la facciamo?”
Alza, per l’ennesima volta, gli occhi al cielo e gesticola con le mani. –“Oh mio dio e quanti problemi. Ma, insomma, tu ci stai o no? Che ci costa provare, Zayn.”
Che ci costa provare? Niente. Assolutamente niente. Eppure io nelle cose non ci provo manco più. Mi sono rassegnato all’idea di fallire, ormai. Ma è il momento di ricominciare. Si, io stasera alle ventidue e trenta, sui gradoni di un bar vecchio e sporco, decido di ricominciare. Ricomincio da chi si è sempre messo da parte da una vita intera, o per metà. Ricomincio da quel ragazzino dell’ultimo banco. Ricomincio da quel ragazzino a cui vietavano di giocare a calcio, perché era un fallito sfigato. Ricomincio dal sorriso timido di quel ragazzino che, col passare del tempo, ha diminuito la sua ampiezza fino a scomparire del tutto. Ricomincio dalle risate vere. Ricomincio dalle emozioni troppo forti trasformate in lacrime dolci e trasparenti. Ricomincio da quei ‘vai, Zayn, fagli vedere chi è il più forte’, di quella persona che si è immedesimata in un incontro, che magari avrà scommesso dei soldi su di me. Ricomincio dagli abbracci di mia madre, quelli stretti, quelli che ti colmavano i vuoti di bene immenso.. abbracci che, da un po’ a ‘sti anni, non ce ne stanno più. Ricomincio dalle canzoni cantate a squarciagola sulla spiaggia, in ferrovia, sulle poltrone bucate del bar di Jamie. Ricomincio dalle sigarette consumate di nascosto sulle panchine piccole di legno del parco vicino casa mia, sul letto di camera mia, nell’angolo dietro la scuola con Niall e altri ragazzi. Ricomincio dal sorriso di mia madre, da quello di mia sorella, dal mio. Ricomincio da me.
La guardo negli occhi. –“Niente. Non ci costa niente.”
Lei mi sorride di un sorriso fiero. –“Ecco, niente. Niente. Quindi..? Ci stai?”
Le sorrido un po’. –“Ci sto, ci sto.”
Si alza facendo un’espressione mista tra il felice e il ‘ora ti salto addosso e cadiamo’, e butta le braccia intorno al mio collo. La mia faccia affonda nei suoi capelli color caramello. Posso sentire il suo profumo. Mi stringe, ma non troppo.. sa che mi dà fastidio. Poi mi riempie di baci sul collo e sulla fronte. –“Ti voglio troppo bene.”
Louis si copre gli occhi con le mani mal combinate. –“Oh ma insomma, vi staccate? Tra un po’ me cade un dente tanto che siete diabetici. Ma vedi te io che devo sopportare.”
Emma si leva da dosso e gli dà un piccolo schiaffo dietro la testa. –“Lo so che sei invidioso perché a lui l’ho abbracciato e a te no.” Gli fa una linguaccia.
Louis ha una faccia esasperata. Rido, seguito da Emma.
Ecco.
Loro sono la mia risata.
La mia gioia.

 
  
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