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Autore: Dante8878    02/07/2014    4 recensioni
un ragazzo e uno strano destino, un legame con un passato a tratti sconosciuto ed un principe, che si risveglia da un sonno millenario e medita vendetta..
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PROLOGO


 


 

Una serata tranquilla, come tante davanti al focolare del camino di casa Rockfort, il nonno come tutte le sere sedeva su un treppiede e spippettava la solita pipa, perso nei suoi pensieri mentre espirava nell'aria circostante nuvole di fumo che infondevano nella stanza l'aspro e acre odore di tabacco.

Poco distante seduto davanti al tavolino c'era suo nipote, un bambino intento a giocare con un cavalluccio di legno intagliato, regalatogli dai suoi genitori per il suo decimo compleanno, lo muoveva con fervore simulando il rumore degli zoccoli che si sfraggono sulle praterie verdeggianti, ed il nitrire dello stesso mentre cavalca veloce e impetuoso nelle ampie radure del Ovest fantasticando sul come sarebbe bello cavalcare con il vento in faccia, nella tranquillità del nulla.

Dopo qualche minuto, stanco di giocare con il nuovo giocattolo, il bambino spazientito lo lascio cadere sul tavolino, scese dalla seggiola e si incammino in direzione del nonno ancora assorto davanti al camino in chissà quale pensiero odierno o passato. "Nonno è ora della storia!" esclamo verso di lui il bambino mentre tendendo una mano si avvinghiava alla manica della camicia del nonno e la tirava, come faceva sempre quando cercava di attirar l'attenzione degli adulti "dai nonno!" continuava simulando i soliti capricci.

Cosi il nonno che si era nel frattempo appisolato, godendosi la pace familiare in quel ambiente caldo e accogliente si svegliò e voltandosi verso il nipotino allungo una mano sulla sua testa e l'accarezzo piano, affettuosamente dicendo " e va bene a patto però che poi vai a dormire e non fai i capricci" gli fece l'occhiolino e continuo "bene allora prendi una sedia Martin e vieni vicino al tuo vecchio nonno che comincio il racconto, giusto il tempo di accendermi la pipa" cosi il nonno si alzo e fece qualche passo verso la credenza alle spalle della tavola, l'apri e tirò fuori una scatola di fiammiferi dalla quale prese un piccolo cerino ed lo accese per poi posizionarlo sulla coppa della pipa, che riprese ad ardere come sempre, fece due o tre sbuffate di fumo per poi prendere una sedia e mettersi accanto al nipotino "va bene allora vediamo c'era una volta..."


 


 

C'era una volta un villaggio a nord di bosco freddo, un luogo tranquillo e mite ove tutto scorreva lento, graduale a tratti noioso, i cittadini di questo villaggio erano un popolo pacifico, tutti contribuivano al benessere della collettività, il contadino seminava e arava le terre del villaggio dove il grano veniva coltivato e poi portato al grande mulino che sorgeva sul fiume di cristallo che con le sue grandi pale che si sfrondavano con il vento nel acqua cristallina, faceva da orologio alle giornate dei villani ed macinava il grano del contadino, che diventando farina permetteva al mastro fornaio di creare filoni di pane per tutti. Ognuno faceva la sua parte durante tutta la giornata e la sera, si ritrovavano tutti alla taverna cittadina ove tra balli alla musica del bardo e bevute in compagnia passavano in allegria le loro serate, una vita semplice quella dei cittadini del villaggio dei Tre Soli.

Tre soli era il villaggio principale della Terra del Nord, una piccola regione abitata, simile a una collina in mezzo a un mare di terre deserte. Oltre a Tre soli c’era, dall’altro lato della collina dopo la foresta il villaggio delle palafitte e, in una profonda valle leggermente più a est, Pianura spiaggiante; Tutt’intorno al Colle Tre soli e ai borghi si estendeva un paesaggio rurale di campi coltivati e piccoli boschi, largo solo poche miglia.

Gli Uomini erano castani, ben piantati e piuttosto bassi, di carattere giocondo e indipendente; non dipendevano da altri che da se stessi. Tuttavia i loro rapporti con gli altri abitanti del mondo circostante erano più intimi e amichevoli di quanto non fossero in generale i rapporti abituali con le altre genti in quella parte del mondo. Secondo le loro leggende e i loro racconti, essi erano gli abitanti originari e i discendenti dei primi Uomini che emigrarono nella parte occidentale del mondo che parlano di epoche lontane di cui quasi nessuno è più a conoscenza. Pochi erano sopravvissuti ai tumultuosi eventi dei Tempi Remoti, ma quando i Re ritornarono al di qua del Grande Mare, vi trovarono ancora questo villaggio e i suoi uomini, i quali vi dimoravano anche quando il ricordo di questi si era ormai dileguato nell’erba.

Ma nelle zone selvagge oltre questa vi erano misteriosi vagabondi. La gente del posto li chiamava gli “Stranieri”e e ignorava tutto sul loro conto.

 

C'era poi al centro del paese un grande obelisco di pietra, icona di tempi passati ove un iscrizione troneggiava "qui il V dì del anno del sole noi conquistammo libertà e onore, qui il V dì del anno del sole molti morirono per la libertà", dette parole per molti degli abitanti di questo sperduto villaggio non sono altro che un retaggio di tempi antichi, testimonianza di ere passate, solo in pochi ricordano ciò che significano.

Tra questi pochi c'era Otis, l'anziano del villaggio, l'uomo più rappresentativo dei Tre Soli, colui che gestiva l'organizzazione di quella piccola società rudimentale, si occupava della giustizia e del culto degli antichi dei. Fu lui che un giorno raccontò la storia ad Gabriel, il figlio del fabbro che fu uno dei pochi ragazzi a demandargliene notizia, poiché gli altri erano troppo inclini a credere alle dicerie, come i loro padri. I villici supponevano che portasse sventura conoscere la natura delle cose passate, e che fosse più onesto e giusto vivere una vita tranquilla di paese, un vecchio proverbio del villaggio era "chiedi del obelisco e la curiosità diverrà un vizio, un vizio che porta alla falce storta". Insomma avevano paura, la maggior parte di loro non aveva visto nessun altro posto oltre i Tre Soli e una buon parte aveva paura di tutto ciò che facesse supporre l'esistenza di luoghi diversi, da qui la diffidenza con l'obelisco.

Ma tornando a noi, dicevamo che l'unico che ebbe il coraggio di chiedere di questo enorme obelisco fu un ragazzo di nome Gabriel, il quale sorprese favorevolmente il saggio, soprattutto quando egli notò una macchia color cioccolato alla base della mano del ragazzo, di una forma stranamente regolare, a mo' di rombo.

Cosi il vecchio, dopo averla vista, gli racconto le leggende e le varie storie che riguardavano il suddetto.

Un giorno demando al padre se poteva servirsi dell'aiuto del figlio per alcune faccende e ricevuto l'assenso da quest'ultimo attese l'arrivo del ragazzo; arrivato li, lo fece sedere di fronte a lui su delle panche di legno nel cortile adiacente alla sua "magione", o perlomeno era cosi che usava chiamare quella casupola modesta ove abitava con i suoi due animaletti domestici, un cane e un gatto anch'essi ormai molto avanti con l'età, come il suddetto.

Accomodatosi con esso e dopo i soliti convenevoli gli disse "Bene ragazzo, so che tu vuoi sapere dell'obelisco, ebbene ho deciso che ti racconterò ciò che so su di esso ma ad una condizione..." il ragazzo sorrise ad Otis e gli rispose annuendo "sisi!..tutto quello che volete" curioso Gabriel, accetto senza neanche attendere altra parola del anziano.

Cosi anche Otis gli sorrise e gli disse "Non dovrai farne parola con nessuno, e sarai al mio servizio da oggi e per i giorni di vita che mi restano, cominciando da ora mi pulirai la casa, sistemerai il giardino e ti occuperai del mio pranzo e dei miei animali domestici..in cambio io diverrò tuo precettore e mi dovrai obbedienza assoluta.." fece una pausa per poi con tono autoritario sentenziare "sono stato chiaro?".

Il ragazzo un pò meno convinto di prima, date le grandi pretese del vecchio annui, era troppo curioso per tirarsi indietro cosi siglarono il patto, fu un momento importante per Gabriel, anche se egli lo ignorava totalmente.

Ci fu una grande battaglia mille anni fa"gli disse il vecchio " A sud c'era un Principe, oscuro e astuto che con malignità e perfidia si alleo con le forze demoniache per assoggettare l'intero continente al suo volere, il suo nome non pronuncerò poichè porta sventura anche il solo pronunciarlo, egli mosse guerra ai popoli liberi della nostra amata terra saccheggiando e razziando grandi le cinque grandi città del vecchio continente, tuttavia i re antichi avevano di comune accordo creato un ordine segreto il quale aveva il compito di difendere i cittadini del regno dalle forze oscure e uno dei confratelli di tale ordine riusci a fermare il principe oscuro, tale individuo era nato in questo villaggio e cosi l'obelisco è stato fatto costruire dall'ordine stesso come simbolo dell'eterna gratitudine verso le gesta eroiche del eroe temerario che salvo il mondo dalla catastrofe".

Rapito dalle parole di Otis il ragazzo pendeva dalle sue labbra ed ascoltava con attenzione la storia immaginando l'eroismo del guerriero, e non comprendendo perchè una tale storia dovesse rimaner celata e oscura alle memorie degli uomini e le donne di Tre Soli cosi stava per domandare ad Otis quando egli lo interruppe con un gesto della mano "Ehi aspetta ragazzo non è finita la storia.." Ridacchio canzonandolo Otis per poi continuare "come ho detto, qui fu eretto l'obelisco con la targa che è in bella vista davanti a noi, per ricordare a noi e ai popoli del sud e del est del continente che nessuno ha diritto su di noi e sui nostri figli che siamo liberi davanti agli dei e agli uomini!" Esordi il vecchio con veemenza "c'è una scritta nella targa sulla colonna inferiore del obelisco, scritta in una lingua ormai remota che recita "Qui egli nacque, qui egli scelse la via, e qui egli immolo la sua vita per salvarci tutti".

Gabriel annui, preso ancora dal racconto, aveva tante domande per l'anziano ma ogni volta che tentava di interloquire veniva fermato dallo stesso, che concluse il racconto dicendo "ti risponderò a tempo debito, ma ora vai a casa, ho delle faccende da sbrigare," lo incito ancora guardandolo torvo e incitandolo come fanno i maestri con gli scolari più indisciplinati.

Gabriel si alzo dalla panca e lo saluto con reverenza per poi prendere la strada di casa correndo veloce per il sentiero scosceso che portava alla bottega del fabbro.

Accanto al fiume di cristallo c'era la fucina di suo padre, li si potevano trovare dall'armatura pregiata al più grezzo dei martelli, poiché i clienti erano diversi e pochi avevano grandi patrimoni a Tre Soli, anzi forse nessuno li possedeva, ma i traffici commerciali erano sviluppati in quella parte della penisola,poiché a pochi giorni di marcia dal villaggio si trovavano le Palafitte di lago ghiacciato, la cittadina più grande del nord ove i bottegai dei Tre Soli portavano la maggior parte delle loro merci, che poi venivano mandate dai Mastri commercianti della zona verso terre lontane ad ovest o sud, magari alla corte dei Re del continente ove risiedevano i nobili più ricchi della terra oppure dai vari cavalieri delle terre circostanti.


 


 

"Ma sto divagando" disse il nonno per poi riprendere il racconto, per poi riprendere solo dopo aver pulito la pipa ed aver riempito di nuovo la coppa con una manciata di tabacco fresco delle piantagioni del sud. Ripreso il suo spippettare sposto lo sguardo sul nipotino e sorridendogli continuo " Allora dov'ero rimasto vediamo....a si casa del fabbro"


 


 

A casa del fabbro era tutto pronto come al solito lady Dianna aveva apparecchiato la tavola ed aveva servito del ottimo pollame con patate dolci di contorno, così la famiglia si mise come al solito a tavola, e come da tradizione prima di ogni pasto ringrazio gli dei per la fortuna e la prosperità che gli avevano accordato, una vita meravigliosa e semplice come abbiamo detto.

Il fabbro era un uomo alto e grassoccio, il suo tratto distintivo erano la barba e capelli lunghissimi color argento ed una cicatrice che tagliava a metà il sopracciglio sinistro ricordo di una battuta di caccia di qualche anno prima; di animo nobile e cuor gentile era molto amato dagli abitanti dei Tre Soli e riforniva, a volte gratuitamente i contadini meno abbienti degli attrezzi di cui abbisognavano; sua moglie non era da meno aiutava spesso gli anziani del villaggio e partecipava attivamente ai rituali di prosperità e alle offerte agli antichi, aiutando Mastro Otis nello svolgere le sue funzioni.

Una bella famiglia insomma, nient'altro da aggiungere, dopo la cena Gabriel venne messo a letto dalla sua mamma che gli rimboccò e le coperte e gli intimò di fare la nanna...


 


 

"Come dovresti fare anche tu!" disse il nonno canzonando il suo nipotino, il quale per tutta risposta si alzo in piedi e cominciò a fare i capricci "No nonno! racconta ancora!!! Voglio sapere del guerriero! Come fece a sconfiggere il Principe oscuro??dai!!" Sposto le braccia sulle spalle del nonno e vi si arpiono muovendole, non avendo altri strumenti per sollecitare il nonno a raccontare.

Così il nonno si voltò e serio e deciso sentenziò " No ora basta vai a letto, domani mi aspetta una giornata faticosa, ma ti prometto che domani sera riprenderemo il racconto" nient'altro aggiunge, chiudendo così la conversazione senza possibilità d'appello.

Il bambino annui chinando la testa, triste si volto e prese le scale e si ritirò nella sua stanza scomparendo dalla vista del nonno, il quale fini per addormentarsi in quella sala accogliente davanti a quel grande camino.


 


 

GENESI


 

Gabriel era pieno di domande, di dubbi su quello che il saggio gli aveva raccontato, possibile che nessuno fosse a conoscenza di quel eroe che salvo il mondo dalla catastrofe? È forse possibile che un esistenza tanto gloriosa fosse ormai riposta nel dimenticatoio collettivo? Domande su domande a cui non poteva fare a meno di pensare. Nei giorni seguenti si dedicò come da accordo, ad affari servili tra il rassettare la magione del vecchio saggio a dare da mangiare ai suoi due animaletti cercando ogni tanto di parlare con lui, ma sfuggente, Otis non riprese il discorso per settimane, limitandosi a dargli compiti su compiti, e ad accertarsi che il ragazzo tenesse tutto in ordine.

Il fabbro invece, era contento che il ragazzo facesse il tuttofare in casa del anziano, poichè per lui era motivo di lustro in quel piccolo borgo contadino.

Passarono giorni, settimane e mesi interi, prima che Gabriel potesse di nuovo avere qualche notizia su quel prode guerriero. Mesi che però non furono perduti, poichè a dispetto di quanto Gabriel sapesse, Otis aveva dei progetti per lui, gli diede molti libri da leggere, lo istrui in varie materie, geografia,matematica, oratoria e il culto degli dei; la velocità d'apprendimento del ragazzo stupi Otis il quale comincio ad affezionarsi a lui, anche se non lo dava a vedere.

Cosi un giorno come ricompensa ordinò al ragazzo di smetterla con le faccende e facendolo sedere con lui a tavola gli disse "bene ragazzo so che vuoi conoscere la storia del guerriero dell'obelisco, ma io non posso parlartene, per lo stesso motivo per cui gli abitanti del villaggio non ne hanno notizia, c'è qualcosa che mi è vietato narrare, dagli stessi che hanno posto il segreto sulla storia del guerriero, avrai notato che nessuno ne parla mai, c'è una motivazione, anche se la maggior parte degli abitanti di Tre Soli ne ignora la ragione, quindi non chiedermi più, solo alcuni sono a conoscenza della verità e solo loro possono raccontarla.."

Gabriel è un pò perplesso, ha sgobbato per mesi per conoscere la verità ed ora? Stanco e rassegnato china la testa, dicendo " quindi mi avete mentito? Non conoscerò mai la verità?"


 

Così Otis gli sorrise " Non ho detto questo.." E allunga la mano rugosa sulla testa accarezzandola lievemente " C'è un modo.." Disse il vecchio facendo una breve pausa e scrutandolo attentamente inarcando le sopracciglia contornate da un viso rugoso e attempato "devi entrare nell'Ordine della Luce, la congregazione che più di mille anni or sono edificò l'obelisco, solo loro possono darti le risposte che cerchi, io in qualità di tuo precettore posso farti da garante affinché tu possa avere le risposte che cerchi." Fece un altra pausa, così teatralmente gli chiese "ma sei disposto a dare la tua vita per difendere il mondo da eventuali minacce? Hai coraggio e fede sufficienti?"

La risposta non tardo ad arrivare, anzi fu quasi declamata in sincrono con la domanda "vi ringrazio ma vorrei pensarci un pò, se per voi non è un problema..".

Otis annui, alle parole del ragazzo, cosi concluse "sia allora, domani ne riparleremo e se vorrai partiremo alla volta di Sparkling city, una delle cinque città, li c'è la sede dell'ordine" Gabriel stava per parlare ma il vecchio fermò immediatamente con un gesto della mano e gli passo un manoscritto "leggi questo, qui troverai tutte le risposte, ora sono stanco voglio andare a coricarmi ci aspetta un lungo viaggio domani..buonanotte".

Gabriel se ne andò abbrancando il manoscritto e riprese la via di casa, sperando che quest'ultimo potesse aiutarlo a comprende meglio quello che Otis gli aveva propugnato.


 

Nel contempo in una terra lontana a sud, si ergeva la roccaforte in rovina ove era sita,mille anni prima, la residenza del signore oscuro, quello della leggenda.

Ormai i fasti di un tempo erano un vago ricordo, di quando dominava il vasto reame dall'alto delle sue quattro torri merlate, che culminavano in punte sulle quali sventolavano quattro bandiere colorate che, abbandonandosi ai dolci soffi di Eolo, squarciavano il cielo infinito che avvolgeva il castello. La struttura lasciava trapelare gli ultimi raggi del sole che lo coccolavano e lo salutavano per accogliere la luna. Le pareti erano abbracciate da estesi rampicanti e piante di vario genere che spuntavano dal fertile terreno sottostante.

Il vecchio castello era pieno di finestre e finestrelle tutte adorne e protette da preziose cancellate d'oro massiccio, che comunque lasciavano intravedere le delicate tende rosse che si aprivano e chiudevano a ritmo del vento, come una fisarmonica che accompagnava il canto degli uccelli. Il maestoso portone centrale appariva smisurato e strombato e due cavalieri dall'armatura scintillante, professionali tenevano alla larga qualsiasi intruso.

Ma ora non era più cosi, tutto andava in pezzi, le mura fatiscenti e gli arazzi e i tappeti eleganti erano un vago ricordo, di epoche più felici.

Lui era li nella grande sala centrale, sul pavimento di marmo della cappella davanti all'enorme idolo degli antichi dei, sdraiato su un fianco, la mano sinistra appena sotto la destra, le dita che toccavano delicatamente il marmo come per uno scopo preciso, quando in realtà non esisteva nessuno scopo. Le dita della mano destra erano ripiegate, formando nel palmo una piccola infossatura su cui cadeva la luce, e anche quello sembrava avere un significato, ma non esisteva nessun significato.

Quello era soltanto il corpo sovrannaturale, steso lì senza volontà o animazione; non sembrava più risoluto del viso, la sua espressione astuta in modo quasi insolente, considerando che non si muoveva da un secolo, sconfitto e inerme rimase li, con il cuore colmo d'odio, e con la mente perduta nell'oscurità dell'oblio.

Le sue membra non erano più dotate di quella vitalità sovrannaturale che la magia gli donava, era l'ombra di se stesso, pieno di rughe fatiscenti e la muscolatura di un ottuagenario, unghie lunghe come rasoi e capelli d'argento puro, egli non fu in grado di muoversi per molte decadi.

Fino ad oggi almeno, in questo giorno di metà ottobre del anno mille dopo la battaglia, egli riapri gli occhi, e si risollevò pian piano, imprecando contro il mondo, e tutti gli esseri viventi.

Con dei passi lenti e pesanti raggiunse quella che era la sala del trono.

Gli interni del castello non erano che una brutta copia sgualcita di quello che furono all'epoca del suo dominium, i vessilli squarciati e gli arredi tarlati sono ormai quello che rimane, insieme ai topi e alle ragnatele.

Si sedette sul trono di marmoree fattezze e in silenzio meditò per qualche minuto, sul come e perché di quella strana situazione, corrucciato non comprendeva come dopo la gran battaglia il suo sonno eterno, avesse perso questo appellativo, tuttavia, ne fu contento.

Si guardò attorno, e vide ad un angolo della stanza una pietra appoggiata saldamente su un treppiede d'ebano violacee, e con un cenno della mano lo fece volteggiare nel aere e gli fece prendere posto a sinistra del trono.

"Vediamo come vanno le cose da quando me ne sono andato" pensò fra se e se, e mettendo una mano sopra la sfera vide, tutto scorreva nella sua mente, ogni cosa poteva essere vista, niente celato.

In pochi secondi divenne rabbioso, balzo in piedi urlando come un forsennato, e distrusse con un pugno la sfera e il treppiede cadde vorticosamente a terra.

Com'era possibile? Si erano dimenticati di lui?, non c'erano targhe sulla battaglia, la gente non ricordava più dei fasti passati, anzi tenevano tutti ben celato quello che conoscevano, i pochi che sapevano.

Era inaccettabile, ma forse poteva dargli un vantaggio, si sarebbe vendicato e avrebbe ricostruito la roccaforte, ma doveva sbrigarsi, presto la notizia della sua resurrezione sarebbe arrivata alle orecchie di qualche confratello dell'Ordine della luce, e avrebbe dovuto affilare le unghie per sconfiggerli.

Ma prima di tutto aveva bisogno di energie vitali, doveva nutrirsi; così l'oscuro essere si librò nell'aere e volò fino al villaggio negli immediati pressi del vecchio rudere dove si trovava, li c'erano un paio di contadini anziani, li vide e si fiondò su di loro.

E prima che i contadini potessero anche solo accorgersi del suo arrivo gli planò sopra e li butto a terra con violenza, poi mentre semi svenuti giacevano a terra egli apri le mani verso di loro e utilizzando una strana magia gli risucchiò via l'anima, mentre lo faceva i corpi dei due uomini, prima pieni di vita, perserò prima vigore poi la vita.

E nel mentre i due si trasformavano in cadaveri, egli riprendeva vigore, la loro vita era ora sua ed il suo aspetto cambio completamente.

Ora sembrava un giovane uomo di una quarantina d'anni d'età, e sentiva la magia scorrere di nuovo, celermente nelle sue vene, sorrise soddisfatto.

Un piccolo pasto, sufficiente solo a recuperare parte della vitalità; aveva ancora fame, una fame assoluta e incessabile.

D'un tratto conveni che lui non ci sarebbe stato il coro di una chiesa, né le parrocchie di campagna, e nemmeno le cattedrali delle grandi città. E neppure il Coro della Cappella, solo dannazione e vendetta.


 

Nelle ore seguenti, continuò a fare lo stesso con altri villaggi del sud del continente e così la notizia degli strani omicidi in zona raggiunse il consiglio degli eletti dell'Ordine della Luce.

Il consiglio era l'organo rappresentativo ed esecutivo dell'Ordine, era composto da tre confratelli guerrieri, scelti tra i più onorabili, eletti per acclamazione dagli altri membri.

Questi erano i capi militari e politici dell'organizzazione, ed a loro soli spettavano le scelte e le responsabilità per l'azione dello stesso Ordine, tutto passava tra le loro mani, ogni cosa veniva decisa in quel "gabinetto", la loro era una nomina ad vitam, cosi come si usava all'epoca della fondazione, onde far si che le azioni dell'ordine avessero stabilità e certezza.


 


 

Il Concilio si trovava fuori da Sparkling city, immerso nel silenzio di un grande parco di querce secolari, coi suoi tetti obliqui e gli ampi prati coperti da una spessa coltre di candida neve. Era un bell'edificio di quattro piani scandito da finestre a colonnine piombate e irto di comignoli da cui senza posa s'innalzavano, nella notte, sinuosi pennacchi di fumo.

Al suo interno, biblioteche e salotti rivestiti di legno scuro, camere da letto dalle umili fattezze, spessi tappeti rossi, sale da pranzo silenziose come potrebbero essere quelle di un monastero ecclesiastico

I suoi membri, devoti come uomini di fede.

Studiosi,religiosi o combattenti? Un pò uno e un pò gli altri, sta di fatto che hanno dedicato la loro vita a trovare e scacciare l'occulto in ogni sua manifestazione.

Alcuni sanno più di altri. Alcuni credono più di altri. In questo edificio, e nelle delegazioni delle altre città alcuni membri hanno rivolto la loro attenzione a vampiri e lupi mannari; hanno combattuto entità malvagie di ogni tipologia, visibili o invisibili vincendo o perdendo, in ogni caso perdendo compagni di viaggio, per raggiungere lo scopo che il loro credo gli impone.

Come abbiamo detto, tale ordine esiste da oltre un migliaio di anni.

Di fatto è ancora più antico, ma le sue origini rimangono avvolte nel mistero.

Il trio era composto da due uomini e una dama, i quali erano ormai in là con gli anni ma mantenevano un carattere ed un autorevolezza da fare invidia al più giovane e audace dei confratelli.

Quel giorno gli arrivo notizia delle morti vicino al vecchio maniero, ma non pensarono minimamente che la causa dei decessi si potesse far risalire a lui, anzi egli era per loro un ricordo lontano, un anatema del passato.

Ordinarono ad un paio di confratelli veterani di partire alla volta del vecchio castello ed indagare sugli accadimenti, sicuri di poter trovare la ragione nell'attacco di qualche animale selvaggio o le mosse di uno squilibrato.

Deciserò di inviarli per precauzione, niente di più; poichè sapevano comunque dei guai che l'eroe del passato ed i confratelli avevano dovuto patire dalla comparsa del vecchio " Signore del maniero", e non volevano correre rischi, un indagine esplorativa niente più.


 

Nel frattempo, nel piccolo paese di Tre soli, un ragazzo era intento a leggere un manoscritto, e sperava di comprendere da esso, tutto ciò che gli serviva per capire quale fosse la strada giusta da prendere.

Sospirò e lo aprii delicatamente, e dopo aver letto le prime righe spalanco gli occhi stupefatto.

Il manoscritto era una trascrizione di una vecchia leggenda popolare di Tre Soli, risalente almeno alla prima decade susseguente alla battaglia contro il signore oscuro e diceva che l'eroe dell'obelisco aveva una cicatrice simile alla sua nella mano sinistra, impaurito dalla cosa, lo richiuse.

Era dubbioso, Otis gli aveva proclamato che avrebbe trovato le risposte che cercava da quel manoscritto, invece trovo solo nuove domande e dubbi a non finire.

Realizzo comunque che avrebbe dovuto scavare a fondo nella questione, poichè indirettamente lo riguardava, doveva sapere che corrispondenza poteva esserci tra lui e colui che alimentò le sue fantasie negli ultimi mesi, quel eroe che aveva dato tutto per la loro sopravvivenza.

Era fatta, si sarebbe tenuto dubbi e incertezze, e con loro avrebbe imboccato questa strada nuova, oscura e tortuosa.

Ai suoi genitori disse che voleva provare ad unirsi all'Ordine in tarda serata, dopo cena. Non erano entusiasti, ma conoscendo il prestigio di tale istituzione e con le sollecitazioni del vecchio saggio accettarono amaramente, non era quello il futuro che sognavano per il loro figliolo, poiché sapevano l'attività che svolgevano i membri di tale istituzione.

Saluti veloci furono quelli della mattina seguente, arrivederci commossi tra il piccolo Gabriel e i suoi familiari. Suo padre, il fabbro del villaggio prima che se ne andasse gli fece un ragalo, era una spada d'acciaio di ottima fattura con elsa decorata con fronzoli di grande bellezza, un gioiello che egli chiamò "Fendi-cielo". Cosi il ragazzo e il suo precettore iniziarono il loro cammino verso Sparkling city, un passo alla volta, con il cuore misto speranza e amarezza.


 

IL VIAGGIO


 


 

Cominciò cosi, dopo saluti tristi e qualche lascrima il viaggio del allievo ed il saggio maestro alla volta della città luminosa, un loco dove il piccolo Gabriel avrebbe avuto le risposte che cercava, forse. Appena usciti dall'ampio cancello di legno temprato che indicava l'uscita dal villaggio, e lo difendeva insieme alle ampie mura dagli attacchi di animali selvatici e qualche gruppo di briganti da strapazzo. Il ragazzo è un pò impaurito, ed esce dal villaggio con le gambe tremolanti cercando sostegno dal maestro, il quale non si fa cogliere impreparato e dandogli una pacca sulle spalle sentenzia "ragazzo mio, la tua strada sarà ardua e difficile, ma sappi che io sarò con te e ti aiuterò per quanto possa realmente aiutarti un vecchio pieno solo di sagge parole e domande infinite..qualche passo fuori dalla porta e non guardarti indietro"

Cosi il ragazzo annuendo alle parole del vecchio si muove in direzione dell'ignoto senza fare un fiato, cercando di simulare un coraggio che al momento non gli appartiene affatto.


 

Nel frattempo, nel piccolo paese di Tre soli, un ragazzo era intento a leggere un

manoscritto, e sperava di comprendere da esso, tutto ciò che gli serviva per capire quale fosse la strada giusta da prendere.

Sospirò e lo aprii delicatamente, e dopo aver letto le prime righe spalanco gli occhi stupefatto.

Il manoscritto era una trascrizione di una vecchia leggenda popolare di Tre Soli, risalente almeno alla prima decade susseguente alla battaglia contro il signore oscuro e diceva che l'eroe dell'obelisco aveva una cicatrice simile alla sua nella mano sinistra, impaurito dalla cosa, lo richiuse.

Era dubbioso, Otis gli aveva proclamato che avrebbe trovato le risposte che cercava da quel manoscritto, invece trovo solo nuove domande e dubbi a non finire.

Realizzo comunque che avrebbe dovuto scavare a fondo nella questione, poichè indirettamente lo riguardava, doveva sapere che corrispondenza poteva esserci tra lui e colui che alimentò le sue fantasie negli ultimi mesi, quel eroe che aveva dato tutto per la loro sopravvivenza.

Era fatta, si sarebbe tenuto dubbi e incertezze, e con loro avrebbe imboccato questa strada nuova, oscura e tortuosa.

Ai suoi genitori disse che voleva provare ad unirsi all'Ordine in tarda serata, dopo cena. Non erano entusiasti, ma conoscendo il prestigio di tale istituzione e con le sollecitazioni del vecchio saggio accettarono amaramente, non era quello il futuro che sognavano per il loro figliolo, poiché sapevano l'attività che svolgevano i membri di tale istituzione.

Saluti veloci furono quelli della mattina seguente, arrivederci commossi tra il piccolo Gabriel e i suoi familiari.

Poco dopo le sei, i due erano pronti per partire, presero un sentiero che attraversava un folto d’alberi , a qualche chilometro ormai da casa, e poi percorsero parecchi campi. Le foglie degli alberi brillavano e finanche il più piccolo ramo gocciolava: l’erba pareva grigia sotto una coltre di fredda rugiada. Tutto era tranquillo ed i rumori molto distanti sembravano chiari e vicini: polli che schiamazzavano in un cortile, qualcuno che chiudeva la porta di una casa lontana.

Negli immediati pressi del cancello c'era una stalla vi entrarono, accompagnati da uno degli stallieri del piccolo paese ed all'interno di esso dei pony aspettavano, erano piccoli animali vigorosi, non veloci ma adatti al faticoso lavoro di una lunga giornata. Vi saltarono in groppa e qualche minuto dopo cavalcavano nella nebbia che pareva riluttante ad aprirsi davanti a loro e che si richiudeva repellente alle loro spalle. Dopo aver cavalcato lenti e silenziosi per circa un’ora, videro improvvisamente ergersi la Siepe. Era alta, imponente e intessuta di ragnatele argentee.

«Come faremo ad attraversarla?», chiese il ragazzo.

«Seguimi», disse Otis «e lo vedrai». Girò a sinistra e, dopo aver costeggiato la Siepe per qualche passo, lo condusse in un punto dove essa si curvava verso l’interno seguendo l’orlo di un fossato. Il terreno era stato scavato a qualche distanza dalla Siepe, ed i muri di mattoni, che da ambedue i lati del pendio si innalzavano severi e verticali, s’inarcavano improvvisamente, formando un tunnel che si tuffava in profondità sotto la Siepe per sbucare nel fossato dall’altra parte.

Era buio e l’aria umida. All’altra estremità si trovava un cancello dalle sbarre di ferro grosse e pesanti chiudeva il tunnel. Otis smontò, aprì il catenaccio che lo teneva chiuso, e quando furono passati entrambi lo riaccostò. Il cigolio della serratura e il rumore del cancello suonarono tenebrosi.

«Ecco fatto!», esclamò Otis «Abbiamo appena lasciato il paese, benvenuto nella Foresta Scarlatta figliolo!» strizzò l'occhio al ragazzo, visibilmente impaurito da ciò che vedeva davanti a se

«Le storie che raccontano sono vere?», chiese il ragazzo con voce titubante.

«Non so di che storie stai parlando», rispose il vecchio «Se intendi dire le storie di orchi e streghe che raccontavano i vecchi, rigurgitanti di folletti, lupi e altre cose del genere, la risposta è no. O comunque io non ci credo. Ma la Foresta è strana: tutto in lei è molto più vivo, più conscio di ciò che succede intorno, direi quasi che sia più saggia di noi. E gli alberi non amano gli estranei: ti osservano e ti scrutano. Generalmente si accontentano di guardarti, finché è ancora giorno, e non fanno gran che. Può darsi che rare volte i più ostili abbassino un ramo o caccino fuori una radice, o ti afferrino con una liana. Ma di notte avvengono le cose più allarmanti, o perlomeno così raccontano. Personalmente ci sono venuto soltanto un paio di volte dopo il calar del sole, e non mi sono mai allontanato dalla Siepe. Mi sembrava di sentire tutti gli alberi sussurrare fra loro, passandosi notizie e messaggi e complottando in un linguaggio inintelligibile; e vedevo i rami oscillare e palpare nel buio senza un alito di vento.

«Solo gli alberi sono pericolosi?», chiese Gabriel.

«Parecchie cose strane vivono nel cuore della Foresta e all’altra estremità», disse Otis «ma non devi preoccuparti per ora figliolo, seguimi e quando ti dirò di fare una cosa devi farla d'accordo?» il ragazzo annui, fingendo tranquillità.

Avanzavano tra l'erba, nella lieve foschia mattutina, e sentivano l'autunno penetrare nelle ossa. Da sempre lo spettacolo della natura aveva il potere di calmare le persone più sensibili.

Al tempo stesso però, il piccolo Gabriel sentii che avvolgeva la consueta sottile malinconia e quello strano mormorio interiore reclamava ascolto. Anche quella mattina, mentre camminava nella bruma e l'unico suono che l'accompagnava era lo scricchiolio dei suoi passi sulle foglie secche, era come se voci lontane gli rivolgessero deboli richiami. Ma quelle sensazioni erano diventate compagne abituali per lui

E non se ne preoccupava, aveva imparato ad amare quei sussurri come vecchie nenie si facevano spazio nei suoi pensieri come un vecchio canto svanito nel tempo di ricordi ormai spenti. Così si sentiva mente attraversava assieme al maestro il nuovo sentiero ricco di speranze e di sogni, senza sapere cosa lo aspettasse ne tantomeno preoccuparsi di quanto, sarebbe stato difficile per lui, andare incontro a quello che sarebbe stato il suo destino.

Il vecchio precettore continuava con andatura lieve, percorreva il sentiero ed ogni tanto prendeva la parola per rassicurare quel ragazzo spaurito e preoccupato, ma senza successo.

Il Piccolo Gabriel aveva paura, e tanta. Ma ad un tratto il ragazzino volse lo sguardo al cielo era limpido e il sole splendente. Era una di quelle giornate in cui sembra che la natura voglia prendersi la sua rivalsa sull'autunno, ma invano, perché il freddo dell'inverno incipiente la incalza e ne soffoca gli ardori, ma nonostante tutto gli basto per decidere che ce l'avrebbe messa tutta che il suo destino non era già scritto e che avrebbe lottato per guadagnarsi le sue pagine di storia, fino alla fine anche a costo della vita.

Il sentiero era sconnesso, piccoli pietrini a terra indicavano che la strada imperiale una volta perfetta e unita da piccole pietre intrinsecate una con l'altra ora non era che l'ombra di quello che fu qualche decade prima, ormai la maggior parte della strade nel nord del continente non era altro che polvere e ghiaia.

Gabriel e il vecchio Otis percorrevano questo rudimentale sentiero cercando di raggiungere la città della luce senza troppi rischi, ma il precettore sapeva benissimo che ancor prima di raggiungere la suddetta strada avrebbero dovuto affrontare dei pericoli ed arrivare indenni ad una serie di villaggi e città di cui il piccolo non conosceva neanche l'esistenza. Non voleva allarmarlo questo è certo, ma prima o poi gli avrebbe detto la verità e sarebbe stata difficile da digerire.

Il maestro cosi per fargli ingoiare il boccone amaro si propose per raccontargli qualcosa sul eroe che tanto declamarono nei mesi passati, ed il ragazzo si dimostrò molto felice di avere

La possibilità di ascoltare qualche nuovo racconto, il viaggio era lungo e non c'era molto da fare, ne da festeggiare al momento.

Otis così prese a raccontare con enfasi.


 

Neppure sua moglie riuscì nell'intento di fargli capire, che la vita con lui era stata già benevola. Egli voleva tutto, e ogni cosa senza sapere se davvero tutto ciò sarebbe bastato alla sua smania incessante di potere. Cosi tentò prima, di conquistare, razziare e saccheggiare le terre immediatamente confinanti ai suoi domini, per poi magari allargare gli orizzonti verso le terre del centro e del nord del continente.

Ma la sua crociata di fini in rovina, poiché mentre egli era impegnato nella guerra, alcuni nobili dei suoi domini decisero di ribellarsi e come primo atto di indipendenza imprigionarono seviziarono e ucciderò sua moglie Liria.

Appena lo seppe il principe torno e li uccise ad uno a d'uno, e li arse vivi, cosi che nessuno potesse riportarne memoria ne scrivere il loro nome su lapidi, che lo avrebbero potuto riportare a posteriori vedute.

Fu in quei giorni che il cuore del principe cambio radicalmente, fu in quegli attimi che egli giurò fedeltà ai demoni rinnegando gli antichi dei dei nostri padri, e li allo stesso tempo che si crede venne trasfigurato in un demonio, che fino all'arrivo del eroe distrusse razzio e saccheggio gran parte del continente>

Riprese fiato per un momento, per poi continuare

Continuando a cavalcare sul sentiero si resero conto che lo stesso finiva al cospetto di una ampia foresta, guardando di fronte, riuscivano a vedere soltanto tronchi d’alberi,d'infinite varietà e dimensioni: dritti o curvi, contorti, inclinati, tozzi o slanciati, lisci e lisi o ruvidi e nodosi; ma tutti erano grigi o verdi, ricoperti di muschio, licheni e altre piante parassite viscide o ispide.

Si aprirono un varco tra gli alberi; i loro pony presero a camminare lenti evitando accuratamente le innumerevoli radici contorte ed intrecciate. Non c’era sottobosco. Il terreno saliva gradualmente ma decisamente e, mentre avanzavano, sembrava che gli alberi diventassero più alti, più scuri e più fitti. Non vi era alcun rumore, salvo di tanto in tanto quello di una goccia d’umidità che cadeva tra le foglie immobili. Per il momento non vi erano né sussurri, né sospiri, né mormorii, né movimenti fra le piante, ma tutti si sentivano molto a disagio ed erano pervasi da un certo malessere, sentendosi osservati con una disapprovazione che giungeva alla malevolenza e persino all’ostilità. Questa sensazione diventava sempre più forte, e presto si sorpresero a lanciare rapide occhiate verso l’alto o a voltarsi indietro veloci come in guardia contro un colpo improvviso. Non c’era ancora alcuna traccia di sentieri e pareva che gli alberi ostruissero loro costantemente la via, ostacolando non poco la marcia. Ad un tratto Otis si fermò, scese dal pony e fece uno strano gesto con la mano sinistra verso gli alberi, blaterando sottovoce qualcosa, che il ragazzo non riusci ad udire. Indescrivibile la meraviglia che qualche secondo dopo investi Gabriel quando sposto lo sguardo da Otis agli alberi di fronte a lui, gli alberi nel mezzo erano spariti come per magia lasciando aperto uno spazio fra gli stessi, dopo aver guardato entrambi come un ebete per qualche secondo, era pronto a chiedere spiegazioni quando venne bloccato dallo stesso «non ora, avanti proseguiamo!» senz'altro proferire. «Bene, bene!», esclamò il ragazzo, aggiungendo sarcastico «E’ proprio vero che questi alberi si spostano!, ma il sentiero?.. sembra essersene andato via» chiede dubbioso.

La luce aumentava man mano che avanzavano. Improvvisamente sbucarono fuori dagli alberi in un ampio spazio circolare. Il sole, tuttavia, non era abbastanza alto per brillare nella radura, ed i suoi raggi illuminavano soltanto le cime degli alberi. Le foglie erano più spesse e di un verde più intenso tutt’intorno alla Radura, che recintavano come un muro solido e resistente. Non vi cresceva nemmeno un albero: solo erbaccia e un’infinità di grandi piante selvatiche: una cicuta tutta gambo e scolorita, prezzemolo silvestre, gramigna picchiettata da ceneri lanuginose, ortiche, rovi e cardi rampanti. Un posto lugubre, che tuttavia a loro parve un giardino allegro e accogliente dopo la tetra e buia Foresta.

I due si sentirono incoraggiati e levarono i loro sguardi speranzosi verso la luce del giorno che splendeva nel cielo. Dal lato opposto della radura vi era, nel muro di alberi, un’apertura dalla quale partiva, nitido, un sentiero. Lo vedevano proseguire nel bosco, ampio e agevole, scoperto in alcuni posti, con solo qua e là delle zone d’ombra dove gli alberi si riavvicinavano, ricoprendolo con i loro rami scuri e aggrovigliati. Percorsero quel sentiero: era ancora in lieve salita, ma cavalcarono molto più spediti e col cuore leggero: pareva quasi che la Foresta avesse allentato la sua morsa e si fosse dopo tutto decisa a lasciarli passare liberamente.

Continuarono a cavalcare più liberamente quando davanti a loro ricomparve parte del sentiero imperiale, antico quasi quanto la terra stessa su cui si incamminavano, un sorriso sulle loro labbra balenò alla sua vista.

La Via era silenziosa ed immersa nelle lunghe ombre del tardo Pomeriggio. Non v’era traccia di altri viandanti. Scesero giù per la scarpata, e girando a sinistra ripresero rapidamente il cammino. Presto una sporgenza dei colli si interpose tra loro ed i raggi del sole giunto quasi all’estremo Occidente. Un vento freddo soffiava dalle montagne innanzi a loro.

Pensavano già a cercare un posto a qualche distanza dalla Via, adatto per l’accampamento, quando udirono un rumore che fece risorgere improvvisamente il panico nei loro cuori: lo scalpitio di zoccoli alle loro spalle. Guardarono indietro, ma non riuscivano a vedere lontano a causa delle curve della strada. Allora si inerpicarono su per i pendii, inoltrandosi in una macchia fitta di erica e di mirto, e arrivarono in un piccolo e folto bosco di noccioli. Da lassù, sbirciando tra i cespugli, potevano vedere la Via, grigia ed indistinta nella scarsa luce, a trenta piedi più in basso. Un rumore di zoccoli si avvicinava rapidamente, cosi Otis fece cenno a Gabriel di restare dietro di lui e non muoversi, mentre il vecchio restava li in allarme, poiché in quella zona era possibile incontrare banditi o uomini di malaffare. Tuttavia, per loro fortuna quei rumori divennero, mano a mano sempre più flebili fino a che non li sentirono più.

«Avanti riprendiamo la marcia!» sentenziò il vecchio con enfasi mentre rassicurava il ragazzo, che era visibilmente colpito dal modo in cui Otis affrontava il viaggio, era molto più saggio di quello che pensava, e probabilmente non era stato sempre un precettore, c'era uno stano fuoco in lui che pare neanche l'età aveva spento del tutto.


 

Nel frattempo dall'altra parte del continente, in quello che fu uno splendido castello il vecchio principe osserva scruta e vede tutto. Accanto al suo scranno nel castello ci sono i cadaveri di dieci persone, ormai stantii e putrefatti, tanto che il puzzo è nauseabondo, ma ciò sembra non infastidire il non morto anzi, in un certo qual modo lo gratifica, lo fa sentire migliore più grande. Sorride, mentre si accorge del rumore di passi nella stanza accanto alla sua, nelle rovine del maniero, un sadico sorriso si palesa. Li attende li, senza muoversi neanche di un millimetro, come una statua di cera, solo il ghigno quello rimane e lo differenzia da un oggetto inanimato in quel frangente. I due malcapitati dal canto loro spostandosi e giungendo in quella stanza, spalancano gli occhi alla sua vista increduli, mentre si strofinano le mani sugli occhi comprensibilmente impauriti dice uno dei due balbettando, non fa neanche in tempo a finire la frase che viene attaccato dal principe, che veloce tenta di dare un pugno al soldato, tuttavia non va a segno, poiché il secondo si frappone tra lui e l'altro utilizzando uno scudo d'acciaio a forma quadra, un gran tonfo e tutto da rifare. sentenzia l'altro, un veterano anziano, un po' grassoccio, ma che pare sapere il fatto suo in fatto di armi. Il principe, dal canto suo se la ride mentre scuote la testa alle parole del soldato con voce elettrica risponde e detto ciò, muovendo il braccio sinistro nell'aere e pronunciando alcune parole in una lingua indecifrabile farà apparire dalla stessa una spada con un aura di uno strano colore verdastro, e alzando il sopracciglio sinistro continuerà ridacchiando. I due dal canto loro, titubanti tenteranno di combatterlo attaccandolo uno da sinistra e l'altro da destra, ma con scarso successo, in men che non si dica, disarmerà l'uno e ucciderà l'altro, succhiandogli la linfa vitale. Poi teatralmente si avvicinerà all'altro e avvicinandosi al suo orecchio con le labbra Gli dirà cosi lo lascerà andare. Il soldato dal canto suo, impaurito se la darà a gambe a velocità supersonica, mentre l'altro tornerà a sedersi sul suo scranno, ormai inpolverato e in quella stanza oramai tetra e oscura, piena di ragnatele e insetti d'ogni tipo, rifletterà in silenzio, meditando, elaborando, tessendo la sua vendetta punto per punto. Il soldato corre, corre veloce verso i cancelli di quel tetro castello, mentre scenderà le scale, avvertirà delle strane presenze, ma la paura ormai ha preso il sopravvento sul suo animo cavalleresco, e anche se sentirà degli strani rumori animaleschi provenire dal piano inferiore della magione non farà null'altro che inneggiare alla divinità e sperare che quella missione non lo porti a visitare prematuramente il grande palazzo di cristallo dove ella risiede, e la stanza che ella ha creato per lui. Una volta uscito prenderà la sella del suo cavallo e con un balzo e quattro colpetti al deretano dello stesso, correrà all'impazzata cercando di dimenticare l'accaduto dicendo continuando a ripetere la stessa frase per gran parte del viaggio, tra il ponte e il sentiero, poi più in là verso altri sentieri fino a raggiungere la sua metà primaria, La città della luce e il suo ordine.


 


 


 


 

   
 
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