Storie originali > Comico
Ricorda la storia  |      
Autore: supersara    02/07/2014    5 recensioni
Fiction partecipante al contest "Tutti i generi più uno" indetto da Aturiel.
Mi sporgo una seconda volta per guardare giù. Immediatamente mi ritraggo continuando a tremare. Ma chi me lo ha fatto fare? Lui mi osserva a braccia conserte, con la solita espressione di chi la sa lunga. Mio Dio! Devo buttarmi per davvero? Non posso credere di essere arrivata fino a questo punto.
Ok, immagino che vi starete chiedendo perché io, Alessia Marchetti, ventidue anni, campionessa nazionale di pallavolo, sono su questa pedana di lancio a ben cinquanta metri da un poco rassicurante lago, legata ad un elastico da bunjee jumping. Ebbene, credo di dovervi delle delucidazioni.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cosa non si fa per un uomo?
 
 


Mi sporgo una seconda volta per guardare giù. Immediatamente mi ritraggo continuando a tremare. Ma chi me lo ha fatto fare? Lui mi osserva a braccia conserte, con la solita espressione di chi la sa lunga. Mio Dio! Devo buttarmi per davvero? Non posso credere di essere arrivata fino a questo punto.

Ok, immagino che vi starete chiedendo perché io, Alessia Marchetti, ventidue anni, campionessa nazionale di pallavolo, sono su questa pedana di lancio a ben cinquanta metri da un poco rassicurante lago, legata ad un elastico da bunjee jumping. Ebbene, credo di dovervi delle delucidazioni.

È cominciato tutto due anni fa, quando ero una studentessa svogliata e un’atleta poco convinta. La mia ultima storia d’amore (durata pochi mesi), si era miseramente conclusa, lasciandomi tanta amarezza nel cuore. Non fraintendetemi, l’ho lasciato io, ero amareggiata soltanto per il fatto che non riuscivo a concludere nulla! Le mie storie non andavano avanti più di qualche mese, e questo mi aveva portata a rinunciare definitivamente a credere nell’idea dell’amore.

Come se non bastasse, nello stesso periodo, la nostra squadra si era sciolta, lasciandoci in mezzo ad una strada. Avrei semplicemente smesso di giocare se non fosse stato per Claudia, la mia storica migliore amica, quella del “facciamo un provino per la squadra più importante della città!”. Più per accontentare lei che per altro, decisi di tentare, con ben poche speranze: la riserva di un martello di una squadra poco conosciuta che possibilità poteva avere?

Quella palestra incuteva terrore. Era decine di volte più grande della nostra, e per di più tutte le giocatrici erano vestite uguali, alte uguali e si muovevano tutte allo stesso modo, perfette come soldati.

“Potevamo risparmiarcela questa umiliazione” sussurrai all’orecchio di Claudia.

“Ale, finiscila di dire così e metticela tutta! Giochiamo a pallavolo da quando abbiamo cinque anni! Qualcosa avremo imparato no?” mi rimproverò.

Sbuffai poco convinta.

“Smettila di essere così apatica! È anche per questo che non riesci a trovarti un fidanzato come si deve! Devi combattere per le cose che vuoi! Non puoi accontentarti per tutta la vita!”

Le sue ramanzine mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall’altro, ma quella volta, senza volerlo, Claudia era riuscita a smuovere qualcosa in me. Forse aveva semplicemente detto le parole giuste nel momento giusto, perché fu proprio all’ora che lo vidi.

Mister Ivan, all’epoca ventottenne, bello, alto, moro, abbronzato, palestrato, con quei tratti somatici mediterranei che facevano girare la testa. Aveva raggiunto il nostro gruppo di giovani sognatrici che cercavano di superare il provino, dando istruzioni e incoraggiamenti qua e là. Io non aveva ascoltato una sola parola di quello che aveva detto, ero rimasta imbambolata a guardarlo, probabilmente con un po’ di bavetta che colava dal lato destro delle labbra.

Le parole di Claudia mi rimbombarono nella testa: devi combattere per le cose che vuoi, non puoi accontentarti per tutta la vita. Proprio quel giorno decisi che quello che volevo era lui, e che sarei riuscita ad ottenerlo. Superai il provino alla grande, rientrando anche fra le migliori tre nuove arrivate. Claudia era stata presa, anche se il suo fu più che altro un colpo di fortuna. Comunque era rimasta esterrefatta dalla mia performance, neanche per la finale di campionato mi ero impegnata così. Ricordo ancora che quando mi chiese cosa mi fosse successo, risposi senza indugio “mi sono innamorata”.

Eh già, mi ero davvero innamorata, e dato che ero entrata nella sua squadra, ebbi l’occasione di conoscerlo meglio. Era un mister attento, autoritario, serio, ma sapeva anche scherzare e divertirsi con noi. Non si prendeva mai troppe confidenze con le ragazze, ma sapeva essere comunque una figura indispensabile. Quando una di noi aveva un problema, non esitava a chiedere consiglio a lui, che si faceva sempre in quattro per aiutarci. Era perfetto, era un sogno, era l’uomo che tutte avremmo voluto. In particolar modo io!

Così mi allenai senza sosta e con tutta me stessa, ottenendo nel giro di un anno, non solo un posto in squadra come titolare, ma anche la carica di capitano. Lui era fiero di me, mi usava come esempio per le altre, mi allenava personalmente, si occupava di me in maniera particolare. La mia gioia era giunta ai limiti dell’impossibile! Tuttavia non potevo ancora dichiararmi a lui, volevo essere sicura che non potesse dire di no, e per renderlo mio a tutti gli effetti, dovevo vincere le nazionali!

Quell’anno fu il migliore di tutta la mia carriera sportiva. Ancora ricordo la finale delle nazionali: ultimo set, ventiquattro a diciannove per la nostra squadra, Francesca mi fece un’alzata spettacolare, una di quelle che ti commuovi solo a guardarle, saltai con tutta la forza che avevo nelle gambe e colpii la palla, stando bene attenta a chiudere il polso e dare la giusta forza. Punto, uno spettacolare punto, il punto della vittoria!

Il pubblico si alzò in piedi esultante, le ragazze saltavano dalla gioia, le avversarie si disperavano in terra, Briscola abbaiava nervosa, e in quell’attimo i nostri sguardi si incrociarono, lui sorrideva orgoglioso, io avevo gli occhi lucidi per la felicità. Lo vidi allargare le braccia per invitarmi a gettarmici dentro, oh che gioia che provai in quel momento! Mi diressi verso di lui, e mi sembrava di farlo a rallentatore, con un passo simile a quello di Heidi che saltella fra i prati. Ma naturalmente le cose non andarono nel verso giusto.

Ero a pochi passi da lui quando sentii Francesca darmi una spallata e superarmi malamente, poi mi venne addosso anche Chiara, facendomi cadere, e qual punto venni calpestata dalla squadra al completo. Mi restò soltanto l’immagine di lui, circondato da gambe lunghe, pantaloncini corti e voci da civette che lo abbracciavano ed idolatravano. Dannazione! Non ero l’unica che aveva una “cotta” per il mister, ma di sicuro sarei stata la vincitrice!

Non me la presi più di tanto. Infondo avevo un piano no? E tale piano consisteva nel dichiararmi a lui il giorno dopo i festeggiamenti della sera, così saremmo stati tranquilli. Non potevo fallire!

Quel pomeriggio, per la prima volta dopo due anni, mi occupai serialmente del mio aspetto fisico, non ero messa malissimo dopotutto: il corpo era asciutto e muscoloso, le gambe erano estremamente lunghe, infatti sono sempre stata la più alta della classe, fin dai tempi dell’asilo, anche adesso, con il mio metro e ottanta ero fra le più alte della squadra. I capelli, per comodità, li avevo sempre portati corti, del mio castano chiaro naturale, non ero troppo scura di carnagione, ma non si poteva neanche dire che fossi pallida, gli occhi erano grandi, color nocciola, ma la cosa sulla quale puntavo di più per conquistarlo era il sorriso, infatti mi si formavano sempre due fossette sulle guance quando ridevo, e più di una volta lui aveva fatto apprezzamenti su questa cosa. Nel mio armadio c’erano solo jeans e magliette, oltre alle tute e ai pantaloncini per l’allenamento. Avevo passato gli ultimi due anni concentrandomi soltanto sullo sport, senza fare troppa vita mondana, quindi per quanto riguarda vestitini e tacchi a spillo ero una schiappa. Poco male, non credevo affatto che le altre potessero essere meglio di me nel vestire. Come mi sbagliavo.

Quella sera indossavano tutte i tacchi a spillo e le gonne! Ero l’unica che aveva optato per un semplice paio di jeans e una felpa con disegnato un cazzo di coniglio giallo sopra! Ma non avevano detto che era una cosa informale!?! Quelle maledette cospiravano tutte contro di me! Senza contare che la mascotte della squadra dovevo portarla! Briscola mi guardava sospettosa, mi odiava quel bassotto, e faceva anche bene, perché il mio sogno era quello di portarle via il suo adorato padrone.

La serata trascorse fin troppo lentamente. Tutte gli stavano col fiato sul collo, sostenendo conversazioni che lo interessavano, cioè parlando solo di sport. Dopo aver mangiato una pizza, uscimmo tutti quanti per fare una passeggiata. Avevo fatto bene a mettere la felpa, perché nonostante l’estate fosse ormai alle porte, le fresca brezza della sera stava facendo vedere i sorci verdi alle mie spogliate compagne. Sorrisi dal fondo della fila, se lo meritavano! Ad un tratto il “mio uomo” abbandonò la conversazione con le altre e mi raggiunse.

“Sei silenziosa stasera. Va tutto bene?” oh, quanto era stato carino ad accorgersene. Beh, lo sarebbe stato ancora di più se si fosse offerto lui stesso di portare quel dannato cane al guinzaglio!

“Sono solo un po’ stanca, mister.” mentii.

A fine serata, quando tutte stavano per ritirarsi, mi avvicinai di nuovo a lui, con sguardo sicuro e convinto. Era giunto il momento di invitarlo ad uscire! L’indomani stesso! Davanti alle altre dissi: “mister! Che cosa fa domani?”

Sguardi omicidi si posarono su di me, che continuavo a guardarlo dritto negli occhi, fiera di me stessa.

“Domani mattina parto per un viaggio all’insegna dello sport!” caddi a terra come una cretina dopo quella risposta. Cosa significava? Come partiva?

“Ti sei fatta male?” fece mentre mi tirava su.

“Ma come hai fatto a cadere?” Chiese Daria che si era parsa la dinamica del capitombolo.

“Scusate…è proprio il caso che me ne torni a casa!” salutai frettolosamente tutte quante e me ne andai quasi di corsa. Tutti i miei piani erano andati in frantumi! Dovevo confessargli il mio amore quel giorno!

No. Non poteva andare così! Presi il telefono e composi il numero di Jonathan, il migliore amico gay sia mio che del mister.

“Cosa sai di questa storia!?! Dove vuole andare!?!” sbraitai non appena udii la risposta dall’altra parte dell’apparecchio.

Lui intuii immediatamente a cosa mi stavo riferendo, quindi rispose calmo: “ci vado anche io, c’è ancora un posto libero se vuoi!”

Sorrisi diabolicamente. Certo che volevo! Lo avrei seguito in capo al mondo!

Fu così che mi ritrovai su un aereo diretto al sud, in quello che era un nuovissimo villaggio turistico sportivo. E pensare che dopo l’ultima partita di campionato mi ero ripromessa di abbandonare lo sport per almeno un mese! Lui fu sorpreso di vedermi, non immaginava che decidessi di intraprendere una simile avventura proprio dopo le nazionali. Oh, come aveva ragione. Eravamo partiti in sette, tutti membri della nostra palestra, il viaggio lo aveva organizzato proprio mister Ivan. Ero l’unica ragazza, ma tanto c’era Jonathan, quindi potevo sentirmi in compagnia. Il problema era che quel dannato Don Giovanni aveva puntato un enorme tizio che era partito con noi: Nando.
Sbuffai sonoramente. Ad aggiungere altri problemi c’era lei, Briscola! Dannato bassotto, ma doveva proprio portarsela ovunque?

Quando arrivammo a destinazione era tarda sera, quindi cenammo al buffet del nostro villaggio e ci ritirammo, ognuno nelle nostre stanze. Aprii la valigia e la rovesciai malamente sul letto. Durante il volo avevo avuto il tempo di elaborare una nuova strategia: prendere il mister e dirgli, semplicemente, tutto quello che pensavo, alla prima occasione!

Bussarono alla porta, quindi andai ad aprire scocciata, immaginando che qualche cameriere mi stesse portando scartoffie da firmare. Invece, sorpresa! Era il mister!
Rimasi in silenzio, incapace di proferire parola.

“Alessia, tutto bene?”

Diglielo! Diglielo! Diglielo!

“Alla grande, mister! Perché?” tsk! Quanto ero stupida.

“A dire il vero è da un po’ che ti vedo strana” no, perché? Il fatto che il momento della mia confessione sia stato rimandato da un’inutile viaggio sportivo?

“Beh…sono stata molto tesa per la finale, non mi sembra ancora vero. Vedrà che questo viaggio mi aiuterà a rilassarmi!” lui non riuscì a trattenere un sorriso divertito. Che c’era da ridere?

Lo scoprii il giorno dopo cosa c’era da ridere! Altro che viaggio sportivo all’insegna del nuoto, tiro con l’arco e bocce che mi aspettavo io! Si trattava di sport estremi!
Non ci potevo credere! Jonathan rise a crepapelle quando capii che non ero al corrente di questo fatto. Non c’era soluzione, dovevo fingere di saperlo e andare avanti con coraggio.

Così cominciò la prima fatica di Alessia: canottaggio nelle rapide. Fra il caschetto, il giubbotto salvagente e gli occhiali da sole, ci gettammo di sotto, noi del team Briscola, così ci aveva soprannominati Jonathan. Fu un’esperienza terribile, l’acqua mi entrava da tutte le parti, non riuscivo a vedere nulla, eppure dovevo guardare, anche perché avevo un ruolo importante! Non vedevo l’ora che quel momentaccio finisse! Ascoltavo la sua voce divertita che dava istruzioni e continuavo a ripetermi: “lo faccio per lui”.
Nel pomeriggio speravo che ci riposassimo, invece no: immersione subacquea, tanto per distendere un po’ i nervi. Il problema era che io non lo avevo mai fatto! Non ero una grande nuotatrice, e a dirla tutta non ero neanche una grande sportiva! Ero solo una ragazza che si era fatta il culo per un uomo! Da sott’acqua lo vedevo farci dei gesti con le mano per assicurarsi che stessimo bene, da bravo capitano. Continuavo a muovere le pinne con flemma e mi ripetevo sempre: “lo faccio per lui”.

Inutile dire che la sera ero stanca morta! Ed era soltanto il primo giorno! Però da una parte mi facevo coraggio, il peggio probabilmente era passato, non riuscivo ad immaginare sport estremi peggiori di quelli. Come sempre mi sbagliavo.

“Io non faccio paracadutismo!” ripetei per l’ennesima volta a Jonathan che mi porgeva lo zainetto con il paracadute.

“Guarda che ti farai scoprire se non lo fai!” mi rimproverò lui.

“Ci sono problemi?” la voce del mister mi fece venire un brivido lungo la spina dorsale.

“N…no…no è che…” non sapevo cosa cavolo inventarmi! Ma io soffrivo di vertigini, per la miseria!

“Coach, lei non viene?” chiese Jonathan.

Lo osservai meglio e mi resi conto che non aveva indosso il paracadute. Teneva al guinzaglio il suo inseparabile botolo ringhioso.

“Non mi andava di lasciare ancora Briscola da sola, anche se ci tenevo tanto a questa tappa” santo cucciolo mandato dal cielo!

“Mister, vada lei al mio posto! Mi occupo io di Briscola!” feci fingendo spirito di sacrificio.

“Ma no, non lo farei mai! Vai tranquilla!”

A quel punto afferrai le sue mani con impeto e mi avvicinai a lui dicendo: “Mister, lei ha fatto così tanto per me, che questo mi sembra il minimo!”

La mia voce suonò così convincente che fu costretto ad accettare! Non avevo mai voluto così bene a quel cane!

Credevo di essermela scampata, ma naturalmente non era così! Nel pomeriggio avremmo dovuto essere legati ad una specie di piccolo deltaplano, che a sua volta era legato ad un motoscafo che, correndo nel mare, lo faceva volare.

A quel punto non avevo più possibilità di salvezza, mi avrebbero scoperto! Altro che sport estremi! Stavo per ritirarmi quando la mano del mister andò a poggiarsi sulla mia spalla facendomi sussultare.

“Il deltaplano è a due posti. Fai squadra con me, capitano?” eh no, non mi sarei lasciata convincere da un bel visino!

Cinque minuti dopo ero a quindici metri da terra, rannicchiata su me stessa che stringevo con tutta la forza che avevo in corpo le corde che mi legavano. Lui era dietro di me, che probabilmente si godeva la scena del mio irrigidimento. Proprio non riuscivo a fingermi disinvolta.

“È bellissimo quassù vero?” chiese improvvisamente.

Mi voltai a guardarlo, sempre restando avvinghiata alle corde. Sembrava felice come un bambino, aveva un sorriso limpido e puro, era perfetto.

“Sono contento di esserci venuto con te!” ecco, dopo quella frase probabilmente ero diventata rossa come un peperone. Non avevo risposto e mi ero girata di nuovo. Prima o poi mi sarebbe capitata l’occasione giusta! Accidenti!

Quello fu il primo momento romantico che si era creato fra noi, solo che non potevo approfittarne, perché la situazione era un po’…pericolosa!

Comunque, nell’unica serata in cui ci eravamo concessi un falò in spiaggia, ci capitò di nuovo un bel momento. Luca, uno dei nostri, se ne uscì con una domanda: “come vi chiamavano a scuola?”.

Intendeva un soprannome. Io arrossii e rivelai: “spilungona!”

Gli altri risero. Era normale, ero la più alta di tutti!

“Non ci credo!” fece il mister “anche io venivo chiamato così!” beh, lui era più alto di me. Per un  istante ci guardammo sorridendo. Fu uno sguardo carico di aura romantica. Il problema era che quell’aura fu colta anche da Jonathan, che decise di provare anche lui questo tipo di approccio come metodo d’acchiappo.

“Io venivo chiamato cocco, perché rompevo le noci di cocco con una mano!” disse Nando.

Io non lo so cosa passò nella mente di Jonathan in quel momento, so soltanto che la sua terribile battuta rovinò il mio attimo d’intesa.

“Anche io venivo chiamato cocco! Perché facevo sparire le noci di cocco con il didietro!”

Silenzio…

Sperava davvero di rimorchiare dicendo una puttanata simile!?!

Nei giorni seguenti divenni triste. Non ce l’avevo fatta. Probabilmente non ci sarei mai riuscita. Abbandonai ogni sport estremo, dicendo che stavo male, e passai il resto del viaggio con Briscola. Persino lei provava pena per me, una volta mi ha anche leccato la mano senza mordermi!

Il penultimo giorno, quando avevo già fatto la valigia, il mister si presentò alla mia porta.

“Vorrei fare un’ultima cosa con te” per un attimo ho sperato che mi proponesse una partita di beach volley! Povera me, quanto ero fuori strada!

E tutto ciò, porta a questo momento: il bungee jumping. Credo che abbia capito che provo qualcosa per lui, e che voglia liberarsi di me. Guardo di nuovo giù.

“Non guardare prima di buttarti, altrimenti finisce che non ti butti più.” Grazie mister, come sempre i suoi consigli sono fondamentali!

Senti, Alessia, hai speso due anni della tua vita dietro a quest’uomo, davvero vuoi rinunciare a tutto? Eh no! Basta, adesso glielo dico!

“Mister!” squittisco. Devo mostrare più convinzione! “Mister, io mi sono innamorata di lei! Dal primo momento in cui l’ho vista! Per questo ho superato il provino, per questo sono diventata capitano, per questo ho vinto le nazionali! E per questo sono legata ad un cazzo elastico da banjee jumping nonostante soffra di vertigini!” la sua espressione cambia, da sorrisino divertiti e braccia conserte, diventa stupito. Lo vedo venirmi incontro, ma sinceramente non ho voglia di assistere al suo rifiuto. Perciò…

Mi sono buttata di sotto! Mai lanciato un urlo così potente! Che sensazione terrificante.

Quando l’elastico finalmente smette di sballottarmi di qua e di là mi fermo a pensare. Sono viva, e devo risalire. Prima o poi lo affronterò comunque.

Improvvisamente lo vedo buttarsi dalla pedana. Cazzo! In un attimo è al mio fianco, a testa in giù.

Resto in silenzio per qualche secondo, lui mi sorride. Si da la spinta verso di me e mi prende fra le braccia.

Poi lo sento mormorare: “speravo tanto che ti decidessi a dirmelo!” ed infine, grazie a chissà quale santo sulla faccia della terra, ci baciamo!!! 

 
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Comico / Vai alla pagina dell'autore: supersara