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Autore: Alexandra93    02/07/2014    1 recensioni
"Mi spiegava le parti più noiose. Lo ascoltavo poco, quando un argomento lo catalogavo come “difficile” o “noioso” era una battaglia persa, lui lo sapeva ma era certo che qualcosa l’avrei memorizzata comunque.
Poi improvvisamente, tra una parola e l’altra, ho commesso l’errore più grosso della mia vita."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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I.

Tic tac, tic tac, tic tac…

 

Cazzo, non si stanca mai?

Il rumore che proveniva dall’orologio appeso alla parete era più assordante del solito, come se volesse farmi inghiottire ogni secondo che trascorreva, senza pena, senza sosta.

Un cuscino sulla testa affievoliva il suono, di poco. Non riuscivo ad addormentarmi.

Prenderlo a martellate sarebbe una soluzione! Ma perché diamine oggi è così assordante?!

 

Afferrai il cellulare con rabbia, per vedere che ora fosse – l’orologio maledetto oltre ad essere fastidioso era pure non funzionante - le 23:46. Cazzo cazzo cazzo.

Domattina non so cosa combinerò a quell’esame, il sonno fa brutti scherzi. Con due o tre caffè dovrei risolvere il problema. Spero.

 

*

 

Mi persi tra mille pensieri, ancora non avevo chiuso occhio.

Guardai nuovamente l’orologio: le 2:03. Farò una figura di merda,  spero che l’esaminatore sia un uomo, magari uomo e anziano. E se indossassi la t-shirt blu un po’ scollata? Mmh, se fosse donna sarebbe la fine, meglio quella grigia. Di che diamine parla il quinto capitolo?

 

“In età monarchica e proto repubblicana l’unica fonte di produzione normativa del cosiddetto ius

civile è costituita dal “mos maiorum”, dal costume degli antenati.

In quanto diritto non scritto, i mores non furono mai espressi da alcuno degli organi costituzionali

che governarono sulla collettività dei cittadini romani.

I mores erano un complesso di norme di comportamento che risalivano probabilmente all’età

precittadina, si tramandavano oralmente di generazione in generazione…”

 

*

 

Il suono della sveglia interruppe un incubo, lo rimossi appena aprì gli occhi. L’incubo vero e proprio sarebbe stata una eventuale bocciatura. Mia madre mi uccide.

Mi sedetti sul letto, mi tremavano le gambe, quello era il mio quarto esame universitario. Giurisprudenza. Maledico il giorno in cui mi iscrissi. Pensavo che prima o poi mi sarei abituata a quel tremolio interiore che avvertivo la mattina prima di un esame.

Ormai mi apparteneva, o meglio, mi controllava.

 

Se ho affrontato Diritto Privato senza problemi, posso affrontare tutto! Si, Storia del Diritto romano sarà una passeggiata.

 

Con questo pensiero fisso in testa mi preparai, mi truccai leggermente gli occhi e sistemai i capelli. Feci tutto con poca accortezza, non volevo aver l’aria di una che si fosse dedicata a farsi bella,  poi quel minimo di scuro sotto gli occhi non guastava. “Poverina, ha studiato tanto!”.

Si, le occhiaie potrebbero salvarmi.

 

Il cellulare vibrò, distogliendomi da ogni pensiero.

Un SMS.

Lo aprì dopo qualche secondo, il tremolio della mano mi impediva di svolgere la semplice azione. Non riuscivo più a capire da cosa derivasse, forse dalla paura dell’esame, forse da tutto. Non riuscivo a controllarlo.

Era la Vodafone. Poi uno non deve bestemmiare.

 

Probabilmente era meglio così. Si, ne ero sicura.

Con questa certezza mi allontanai dalla camera e mi diressi verso la cucina, guardai l’orologio che segnava le 7:25. All’ esame mancavano solo un ora e cinque minuti.

Decisi di recarmi alla fermata del pullman prima del solito, avevo come la sensazione che il tempo stesse correndo. Volevo, dovevo essere più veloce. Alzai istintivamente il passo. Cercai di pensare alla sensazione di libertà che avrei avvertito di lì a poco, quella sensazione che avvertivo ogni qual volta concludevo un esame. Sempre se mi promuovono – pensai, intraprendendo la mia corsa contro il tempo.

Se mi fossi soffermata a pensare- anche solo per un istante- alla sera precedente, nulla avrebbe più avuto un senso, sarei entrata in stato confusionale. Cominciai a desiderare che l’ansia si amplificasse, in tal modo non ci avrei pensato. Ok, adesso sto proprio esagerando.

Incominciai a ripetere nella mente il capitolo riguardante le consuetudini. Forse lo facevo per auto convincermi di aver studiato abbastanza, oppure perché temevo, o meglio sapevo, dove la mia mente si sarebbe soffermata.

 

*

 

-          Non ce la farò mai, gli ultimi capitoli li ricordo a malapena!

-          La codificazione di Giustiniano e i senatoconsulti?

-          Si, Marco.

Marco, il mio migliore amico da una vita. I nostri genitori a loro volta erano molto amici in passato, si erano conosciuti all’università, o poco dopo. Non ricordavo precisamente. Lui c’era sempre stato per me, quando nacqui venne in ospedale con i suoi genitori perché voleva conoscere “la sua nuova sorellina”, insomma, eravamo amici sin dalla mia culla.

La sera prima del mio esame aveva avuto la fantastica idea di venire a casa mia ed aiutarmi con gli ultimi capitoli delle mie dannate dispense. Aveva frequentato Giurisprudenza nella mia stessa sede ma, da qualche mese, aveva interrotto gli studi a causa di alcuni problemi con il padre.

Sosteneva che avrebbe ripreso prima o poi. Io non ci credevo, lo conoscevo troppo bene.

Eravamo sul divano del salotto e  mi spiegava le parti più noiose. Lo ascoltavo poco, quando un argomento lo catalogavo come “difficile” o “noioso” era una battaglia persa, lui lo sapeva ma era certo che qualcosa l’avrei memorizzata comunque.

Poi improvvisamente, tra una parola e l’altra, ho commesso l’errore più grosso della mia vita.

 

*

 

Guardai fuori dal finestrino del pullman e mi resi conto che la mia mente si era soffermata dove non avrei voluto, e, tra l’altro, le consuetudini erano rimaste “l’argomento che avrei dovuto ripetere”.

Ero quasi arrivata in facoltà e non avevo ripetuto nulla. Cazzo.

 

   
 
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