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Autore: Lilith9312    02/07/2014    0 recensioni
Di giorno tutto è più facile. Niente fa paura di giorno, nemmeno la Vita.
Ma hai notato come, appena il sole sparisce, tutto assume un aspetto diverso, nuovo, più oscuro.
Ed è lì che nascono le nostre paure, quelle più intrinseche in noi.
E il buio le alimenta, le fa crescere, fino a quando non siamo diventati noi stessi schiavi loro.
Incontriamo allora la disperazione, la solitudine, la pazzia. La nostra mente degenera, a poco a poco, lentamente, conducendoci per strade sconosciute.
Avanti, non avere paura adesso. Leggi queste storie, e lasciati accompagnare.
Non ti abbandonerò. Per ora.
A.H.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si svegliò. Il vento tiepido di quelle serate primaverili soffiava sul suo volto candido, freddo come il marmo.

Aprì gli occhi piano, assaporando quei dolci momenti di risveglio. La luce della luna che filtrava dalla finestra aperta della camera illuminava le travi di quel soffitto troppo sfarzoso, forse addirittura troppo vecchio, costruito, come tutta la villa, parecchi, troppi anni fa. 
Nessun rumore, a parte il lieve suono delle tende che sventolavano spinte da quei sospiri notturni.
Si alzò piano, dapprima sedendosi sul bordo del letto, e poi appoggiando i piedi per terra. I lunghi capelli castani le cadevano disordinati sulla schiena e sul petto. Davanti a lei quella finestra aperta sembrava essere un richiamo.

“Affacciati”, diceva.

Alzò una mano, poi l’altra, accarezzando i capelli, pettinandoli e portandoseli tutti su una spalla. Lo fece senza sentimento, quasi fosse un gesto autonomo, un qualcosa che non ha valore. 
La luna splendeva in quel cielo nero. E adesso anche lei era illuminata dalla sua luce, diventando quasi fatta lei stessa di luce da quanto era candida.
Un passo, poi un altro. 

Nella sua mente gli echi di battaglie passate, di notti passate, musiche provenienti da epoche che lei non aveva vissuto…o forse sì? Immagini di danze, feste, volteggiamenti, e lei, lei lì da sola al centro di quel salone, mentre tutti intorno volteggiano, non si accorgono di lei, non si accorgono dei suoi passi incerti, non la vedono. E la visuale si sposta, si sposta per la stanza, e lei diventa piccola in mezzo a tutto quel movimento, lei non si vede. Luci, risate, allegria…come ricordi lontani, ma non le appartengono.

E cammina, facendosi largo tra la gente a cui la sua presenza non reca il minimo disturbo, e arriva in fondo a quel salone dove uno specchio, uno specchio immenso riflette tutto, moltiplicando gli spazi, triplicandoli quasi.
E in quel riflesso di gente colorata e allegra che danza lei non c’è, lei non esiste.
Appoggia una mano alla superficie dello specchio, fredda, quasi come la sua stessa pelle. Appoggia una mano su quella superficie, su quella realtà in cui lei non esiste. Non c’è nulla di quello che è.

Chiude gli occhi e di colpo il salone sparisce, dissolvendosi nell’aria come frammenti di un sogno notturno che la luce del giorno scioglie. 
E’ di nuovo da sola, nella sua camera, circondata da quel mobilio vecchio, con la luce della luna che le illumina il viso, il corpo, mentre la sua mano è protesa davanti a sé.
La abbassa, lentamente, ripensando a quel sogno scomparso così nel nulla.

Il cielo nero della notte le ricorda che non c’è spazio in quel mondo, in quella vita che le era stata donata, non c’è spazio per i sentimenti, non c’è spazio per la luce, non c’è spazio per sognare. La crudeltà del destino le aveva insegnato che il buio inghiotte sempre la luce, come il nero copre il bianco e niente, niente avrebbe cambiato il senso naturale delle cose.

Così lei non era altro che un punto di luce in quella oscurità e la luna non era altro che un punto bianco nella distesa nera.
   
 
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