Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: InnomineMamie    02/07/2014    9 recensioni
Carissimi amici del fandom del Capitano,
osiamo presentarvi questo nostro lavoro “a quattro mani”, sperando di divertirvi e di emozionarvi.
Ci siamo sempre chieste l’origine della cicatrice sul volto di Harlock, ebbene, ci è venuta in mente questa idea un po’ folle. Abbiamo cercato di immaginare la prima giovinezza di Harlock, quale cadetto dell’Accademia Militare su Marte, insieme al suo grande amico Tochiro Oyama: consideratelo, quindi, un tentativo di prequel alle serie anime e manga che tutti noi ricordiamo ed amiamo.
Non abbiamo la presunzione di credere di esservi riuscite, ma confidiamo nella vostra benevolenza.
Con affetto e riverenza, dedichiamo questa fanfic, redatta non a scopo di lucro e nel pieno rispetto dei diritti d’autore, al sommo Maestro Leiji Matsumoto.
Buona lettura!
Mamie ed Innominetuo
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harlock, Nuovo personaggio, Tochiro
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Harlock sospirò.

La lezione di balistica era una delle cose che trovava più noiose, anche se si rendeva conto di quanto fosse importante. Tochiro invece sembrava perfettamente a suo agio in mezzo a tutte quelle formule. Quando suonò la campanella Harlock si affrettò ad alzarsi. Stava per infilare la porta quando si avvide che il gruppetto capeggiato da Heinz stava confabulando senza smettere di lanciare, di tanto in tanto, delle occhiate all’indirizzo di Tochiro, tutto intento a ripassare compitamente i suoi appunti, seduto al suo banco.

Si avvicinò facendo finta di riporre dei libri nello scaffale.

‒ Basterà farlo bere un po’, vedrete – diceva uno.

‒ Sarà una passeggiata. Tanto senza quegli occhiali non ci vede a un palmo dal naso.

-- Sì, ma… non penso che ne ricaveremo molto… è sempre al verde.

Heinrich alzò le spalle: ‒ Sarà una soddisfazione lo stesso. Dopo una bella ripassata abbasserà un bel po’ la cresta.

Era chiaro che i giovinastri stessero architettando un brutto scherzo alle spalle del suo amico. Non ci vide più. Attese che il gruppetto uscisse dall’aula, e, una volta nel corridoio, afferrò Heinz per il colletto e lo sbatté contro la parete. Stavano per intervenire gli altri teppistelli, ma un cenno del loro capo li fece desistere.

‒ Si può sapere che ti piglia, Harlock?

‒ Come sarebbe, “che cosa mi piglia”, Heinrich? Ho sentito chiaramente cosa diavolo stavate complottando, tutti quanti voi! Guai a voi, se farete del male al mio amico! Mi sono spiegato? - gli intimò furibondo, sbattendolo contro la parete a più riprese.

‒ La colpa è solo tua e della tua codardia. Ti ho invitato ad una mensur… ma tu, invece di batterti con me, ti nascondi come una femminuccia. Be’, il mio invito è sempre valido… sempreché tu non preferisca che a farne le spese sia il tappetto…

Harlock mollò la presa, indignato. Il caro Heinz aveva ragione, purtroppo. Se non gli dimostrava sul muso di cosa era capace, non li avrebbero mai lasciati stare. E lui non poteva esserci accanto a Tochiro tutto il tempo.

‒ E va bene. Dimmi l’ora ed il luogo e facciamola finita.

‒ Domani sera al tramonto: ti aspetto nella sala di scherma. Sii puntuale… mi raccomando.

‒ D’accordo, ci sarò. Quanto a te ed ai tuoi amici, siete pregati di lasciare in pace Tochiro, oggi e per il futuro. Sono stato chiaro?

‒ Chiarissimo… del resto, Tochiro è talmente incolore da non interessarci minimamente. Detto ciò, Heinz si allontanò, ridacchiando.
 
***

La sala scherma era l’orgoglio dell’Accademia. Le lampade solari erano state spente per la notte e dall’enorme cupola che la chiudeva si poteva scorgere in lontananza il profilo grandioso del monte Olympus che riempiva con la sua mole tutto l’orizzonte. Il cielo, fuori, da rossastro si era fatto di un cupo color porpora. I due satelliti di Marte, Deimos e Phobos, brillavano debolmente in alto.

Harlock aveva cercato di comportarsi normalmente per tutta la sera per non mettere Tochiro sull’avviso ed era poi uscito inventandosi un appuntamento con una ragazza. Tochiro gli aveva sorriso e strizzato l’occhio dicendo che sarebbe andato a letto presto.

Al suo ingresso erano già tutti lì ad aspettarlo. Heinrich con la sua solita aria strafottente e i suoi compagni con quell’espressione falsa che gli dava sommamente sui nervi.

Si impose di stare calmo, anche quando Heinz gli disse: ‒ Mi compiaccio della tua puntualità, ma vedo che non hai portato i tuoi padrini. Ti accontenti dei miei?

‒ Spicciamoci con questa buffonata – rispose l’altro senza tanti giri di parole.

Un mormorio ostile venne dal gruppo, ma Heinrich si limitò ad alzare un sopracciglio e a sorridere serafico. ‒ Allora d’accordo – esclamò facendo segno agli altri di cominciare.

Due dei ragazzi misurarono la distanza e segnarono col gesso le righe bianche sul pavimento. Altri portarono le protezioni.

‒ Queste non ci servono – disse Heinrich sprezzante – Non sei d’accordo? Harlock si limitò ad alzare le spalle. Se voleva giocare duro avrebbe trovato pane per i suoi denti.

Le sciabole furono esaminate: quella di Heinz era un’arma elegantissima, recante, in acciaio sbalzato, il blasone con le insegne della sua antica e nobile famiglia. Quella di Harlock era molto semplice, ma aveva per lui un enorme valore, dato che era appartenuta al suo antenato, quel Phantom Harlock che aveva sfidato i cieli d’Europa con i primi biplani. Erano entrambe estremamente affilate.

‒ Misura! – esclamò il testimone. I due contendenti si posizionarono sulle righe e si salutarono con le sciabole. Erano entrambi molto seri, come se avessero capito che quello non era il solito giochetto da sbruffoni, ma qualcosa che sarebbe andato oltre. Poi incrociarono le lame e si fermarono, in attesa.

‒ A voi! Il comando risuonò nitido nella sala, subito seguito dal rumore metallico del ferro. Heinrich maneggiava la lama con la disinvoltura di chi ha fatto un esercizio molte volte e può rifarlo quasi ad occhi chiusi. Pensava che avrebbe avuto ragione in poche mosse di quel “plebeo” chiaramente inesperto a quel tipo di duello. Tuttavia Harlock era dannatamente rapido e l’altezza lo aiutava, specialmente da quella distanza così ravvicinata. Dopo un’abile finta da destra, con una efficace presa di ferro, mossa con cui deviò la lama di Heinz, Harlock colpì di striscio il lato destro del suo viso con un rapido fendente. Il colpo gli recise di netto il lobo dell’orecchio e strisciò fino alla mandibola. Fiotti di sangue sgorgarono dalla ferita: Heinz lasciò cadere la sciabola a terra, portandosi ambo le mani alla faccia e cadde in ginocchio, gemendo per il dolore.

‒ Direi che la finiamo qui… vieni, ti accompagno in infermeria… Harlock si chinò per porgere la mano ad Heinrich, quando questi, con una mossa repentina, riacciuffò la sciabola e gli inferse un veloce colpo di punta, dal basso verso l’alto, con cui strisciò la lama in diagonale sulla sua guancia sinistra, sino al setto nasale. Fu la volta di Harlock di portare le mani al suo viso, incredulo. Provava dolore e rabbia: la sua lealtà di combattente era stata vilmente tradita da uno stupido ragazzino che non sapeva e non voleva perdere.

‒ Siamo pari… tutti e due ‒ disse Heinz con un ghigno, sempre tenendosi la guancia dolorante con la mano sinistra.

‒ Ti sbagli: tu ed io non saremo mai uguali – rispose Harlock, voltandogli le spalle ed andandosene.
 
***

‒ Che piccolo serpente! – sbottò Tochiro dopo che Harlock gli ebbe raccontato tutto, o quasi (si era ben guardato, infatti, di rivelargli che era proprio lui il motivo della lite, l’amico ne sarebbe stato dispiaciuto e forse anche umiliato). ‒ Che vuoi fare, ora? – chiese.

‒ Niente. Domattina ci presenteremo in classe come al solito e nessuno farà domande. Tanto qui sanno bene come funzionano le cose. Mi è scivolato il rasoio facendomi la barba, chiaro? Tochiro sogghignò: ‒ È un incidente che da queste parti capita con frequenza allarmante. Dovrebbero rendere queste impugnature meno scivolose.

Harlock, nonostante la guancia gli facesse un male cane, scoppiò a ridere.
   
 
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