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Autore: Dealer    03/07/2014    1 recensioni
Di solito, quando i bambini venivano portati li, si mettevano a piangere e scalciare. Nessuno voleva viverci. Io, invece, avevo ormai quindici anni e mi ci stavo dirigendo di mia spontanea volontà.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo I 
 
Gretchel

“Se non fai il bravo, arrivano quelli della Fabbrica e ti prendono!”
Era ciò che veniva detto ai bambini perché stessero buoni.
Andare alla Fabbrica era segno di grande vergogna per le famiglie. Se vendevi tuo figlio a essa, era perché non potevi più mantenerlo. Si parlava sempre alle spalle di chi lavorava alla Fabbrica e in genere chi parlava male erano le persone che potevano tranquillamente finirci. Di solito, quando i bambini venivano portati li, si mettevano a piangere e scalciare. Nessuno voleva viverci. Io, invece, avevo ormai quindici anni e mi ci stavo dirigendo di mia spontanea volontà.
Era l’unica soluzione. Ormai la mia famiglia era al lastrico. Per mia madre era veramente dura, più per lei che per qualsiasi altra persona, dato che fino a poco tempo prima della mia nascita era ricca. Ancora più difficile era stato trasferirsi dal quartiere dell’avorio, tra i più ricchi, a quello del sale, uno di quelli poveri situato vicino al mare.
Potevo immaginare cosa significasse vedere sua figlia, la sua unica figlia, intraprendere la cosiddetta “via del piacere”. Si, quella della prostituzione. Le numerose Fabbriche presenti nella città consistevano in questo: case chiuse piuttosto frequentate da nobili e chiunque potesse permetterselo. Da quel momento i miei vicini avrebbero incominciato a denigrarmi, una volta scoperto ciò che stavo facendo.
Non avevo svegliato mia madre prima di uscire, le avevo già parlato delle mie intenzioni ma non era d’accordo. Sarebbe stata lei a venire a trovarmi una volta pronta.
Era appena sorta l’alba e mi stavo incamminando verso il quartiere delle lanterne verdi. . Il suo nome deriva dalle tante lanterne appese lungo la strada, una sorta di simbolo per le prostitute, da quanto sapevo. Nell’aria si sentiva ancora l’odore di bruciato perché il giorno precedente avevano giustiziato col fuoco  un eretico. Capii quale fosse il luogo che cercavo quando mi ritrovai davanti ad una casa imponente dal colore cupo. Era piuttosto elegante e avrebbe fatto sentire a disagio chiunque.
Alzando lo sguardo fui colta di sorpresa da una figura che si arrampicava rapidamente su un albero per poi infiltrarsi in una finestra dell’edificio. Mi vennero le vertigini a pensare quanto fosse pericoloso salire così in alto. Sperai fosse qualcuno della Fabbrica e non un ladruncolo. Ignorai ciò avevo appena visto e, in seguito a un profondo respiro, bussai forte. Un rumore di passi e la magnifica porta si aprì cigolando. Un ometto dai baffetti untuosi con un fastidioso tic agli occhi mi accolse. Avevo paura ma non avevo intenzione di mostrarlo.
C’erano poche persone sveglie, per lo più ragazzini affaccendati nei lavori domestici. Intuii che quella sarebbe stata la mia mansione per un po’.
«Ascolta, fanciulla cara, ora tu aspetti qui.»
La sua voce era stridula e viscida. Deglutii annuendo poco convinta.
Sentivo gli occhi di tutti puntati addosso. Forse avrei dovuto avvertire della persona che si arrampicava.
Non c’era traccia delle prostitute vestite in modo vistoso con foulard colorati e i capelli sciolti. Tutte le popolane dovevano tenere i capelli raccolti in una cuffietta. Quelli sarebbero stati gli ultimi giorni in cui l’avrei indossata, probabilmente.
L’uomo coi baffetti ritornò poco dopo e mi accompagnò in una stanza al secondo piano. Spalancò la porta e sorrise in un modo disgustoso, prima di lasciarmi da sola nella camera. Rimasi stupita. Quello… era un uomo, ma… aveva una parrucca con tanto di piume verdi e un appariscente color dorato sugli occhi e sugli zigomi. Tamburellava sul tavolo di fronte con le unghie lunghe e appuntite colorate di rosso in tinta con la vestaglia che indossava. Era un uomo che si acconciava da donna.
Mia madre me ne aveva parlato, quando ero piccola, ma credevo che fossero solo storie per farmi ridere.
«Tesoro, puoi anche chiudere la bocca. E’ maleducazione.» Mi rimproverò con un tono troppo femminile per la sua voce da uomo.
«Scus…»
Venni interrotta dalla porta che sbatté contro la mia schiena.
«Che noia… a quest’ora mi dovevano far svegliare!»
La signora appena entrata si accorse di me e mi scoccò un’occhiata critica. Prese a sistemarsi la crocchia di un rosso chiaramente finto compulsivamente. Nonostante l’ora era già vestita. La gonna lunga gialla abbinata alla sua giacca – corpetto viola scuro facevano contrasto con la sua pelle sciupata e sbiadita. Erano comunque tessuti bellissimi come non ne vedevo da quando, da bambina, vivevo con mio nonno.
«Al diavolo, cominciamo!» Disse buttandosi a peso morto sul divanetto nero.
Restarono un po’ zitti ad osservarmi e non potei fare a meno di distogliere lo sguardo.
«Ti credi molto furba, vero?»
«Come?» Risposi confusa.
Lei emise un verso sarcastico.
«Sei già grandetta, speravi di evitare gli anni di tirocinio? E se decidessimo di metterti a lavare i piatti per tutta la tua permanenza?»
Lo strano uomo le poggiò una mano sul braccio.
«Ti prego, sarebbe uno spreco!»
Lei si alzò di scatto e si mise le mani sui fianchi larghi.
«Sarebbe uno spreco di tempo averla con noi, a mio parere!» Puntualizzò lei.
«Bè… spogliati!» Mi ordinò seccata.
Di già? Sapevo che sarebbe successo, prima o poi, ma non così in fretta. Restai ferma a implorarli con gli occhi. Lui rise.
«Questa vuole fare la prostituta senza però spogliarsi.»
Il suo tono era canzonatorio ma non troppo crudele.
«Non ho tutta la vita davanti! Sei già partita male…»
Prima che potesse dire altro incominciai a slacciare i fili del corsetto.
«Non era mia intenzione, signora…»
Mi accorsi del tremolio della mia voce.
Ormai avevo già sfilato la parte superiore del mio abbigliamento. Nel frattempo entrò qualcun altro e mi coprii istintivamente con le braccia. L’ultimo arrivato si accigliò un attimo. Non capivo se fosse uomo o donna. Era molto più sobrio, dai lunghi capelli bianchi anche se più giovane degli altri due.
«Cosa c’è, non continuate?»
I suo tono era impassibile e dalla bassezza della voce compresi che effettivamente era un uomo.
Presi a slegare anche la gonna con grande agitazione. Ormai ero davanti a loro unicamente in biancheria, col seno scoperto e la cuffia per capelli. Mi rifiutai di togliere anche l’intimo. Aspettarono e alla fine si arresero e ridacchiarono.
«E’ carina, potrebbe avere abbastanza clientela.» Commentò l’uomo vestito da donna.
«Ha le ginocchia troppo grosse!»
Riuscivo ad avvertire la stizza che quella donna provava per me immotivatamente. Insomma, non era vero che le mie ginocchia erano grosse.
«Su, cara, c’è sempre bisogno di giovani pronti a vendersi per rendere celebre la nostra Fabbrica.»
«Tsk…» Rispose avvicinandosi.
Mi fece aprire la bocca e sperai non facesse storie per una mia carie.
«Mmh… sembra sana.»
 L’uomo dai capelli bianchi afferrò un taccuino dagli innumerevoli fogli e si preparò ad annotare con una piuma d’oca che intinse nell’inchiostro.
«Matricola non respinta della settimana n°1. Nome?» Chiese con la stessa indifferenza di prima.
«Gretchel…» Sussurrai.
«Desinenza da ricca… cosa ci fai qui? » Osservò l’uomo travestito.
Non ero sicura del significato della parola desinenza. Boccheggiai un po’ pensando a cosa rispondere ma l’altro uomo non mi permise di continuare il discorso.
«Quando sei nata?»
«Il terzo anno della Grande Pioggia.»
«Quindici anni, dunque. »
E annotò come aveva fatto prima.
«Sei vergine, ragazzina?»
Quella domanda mi prese alla sprovvista. Cercai nella stanza un qualcosa su cui posare lo sguardo per l’imbarazzo.
«… Si…»
Aggiunse un ultimo tratto al foglio e lo appoggiò sbuffando.
«Ah, benissimo! Poco sveglia, vecchia e pure vergine, proprio una grande fortuna! Abbiamo un bel po’ da lavorare e la cosa la trovo piuttosto fastidiosa.» Disse la donna. Aveva poco da lamentarsi, ero più carina della maggior parte delle prostitute che si vedevano in giro. Mi afferrò un braccio con foga.
«Ti alzerai all’alba e laverai i pavimenti insieme ai bambini e il resto della giornata farai da attendente a mia figlia. Quanto riguarda le tue lezioni, vedremo… non è ancora sicuro il tuo posto qui. Possiamo buttarti fuori al minimo sgarro, chiaro?»
«Si.»
Lei ghignò.
«Bene, ora ti accompagnerò da mia figlia. Vedi di trattarla con il dovuto rispetto!»
E con ciò mi lasciò rivestire per poi trascinarmi alla fine di un lungo corridoio dell’ultimo piano.

 
 
   
 
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