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Autore: Hermione Weasley    03/07/2014    5 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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WARNING: menzioni di stupro (accennato, mai descritto), violenza, sangue.



10

 

The coldest blood runs through my veins
You know my name

(Chris Cornell – You Know My Name)

 

La guardò per un'ultima volta, prima di decidersi a seguire Dimitri fuori dal salone.

Natasha lo seguì con lo sguardo, trattenendo il respiro finché non fu sparito dalla sua visuale.

Un travestimento piuttosto goffo, non ti pare?”

Si voltò verso Boris, rivolgendogli un microscopico sorriso.

Cecchini a farti da angeli custodi,” rilanciò, alzando allusivamente lo sguardo al soffitto. “Guardie armate camuffate da camerieri. Una mossa altrettanto grossolana.”

Ma efficace,” l'uomo sembrava divertito. “Nessuno se n'è accorto e io vivo più tranquillo.”

Quanti nemici ti sei fatto in questi anni, Boris?” Lasciò che la domanda retorica cadesse nel silenzio.

Quello che mi interessa sapere è se tu sei tra questi,” si strinse nelle spalle, concedendosi un sorso di champagne, “mi dispiacerebbe dare l'ordine di abbatterti.”

Sono ciò che mi hanno addestrata ad essere.” Ciò che mi avete addestrata ad essere, puntualizzò a se stessa. Le era bastato dare una rapida occhiata agli invitati per accorgersi che erano circondati: aveva riconosciuto personalità di spicco del governo russo e di altri paesi circostanti, ricchi terroristi, vertici dell'esercito e dei servizi segreti. SHIELD incluso.

Lo sei?”

Natasha si era stretta nelle spalle ostentando una calma apatica. Sapeva che la missione avrebbe potuto prendere quella particolare piega: se l'era aspettato. Anzi, ci aveva sperato. In tutti quegli anni, aveva sempre considerato la questione del suo passato come un conto aperto. Un conto da saldare. L'opportunità di chiuderlo, di archiviare definitivamente la pratica, di ottenere una seppur tarda vendetta, era stata troppo allettante per farsela sfuggire.

Dov'è Alexander?”

E' stato trattenuto a Mosca. Arriverà domani mattina.” Boris non aveva smesso di studiarla neppure per un istante. Quegli occhi, piccoli e neri, avevano avuto il potere di penetrarle sotto pelle, di fare male ovunque si posassero. L'avevano fatto quando era stata trascinata in quella villa degli orrori per rivestire i ruoli di modella e musa prima, di vittima sacrificale poi. Era stata un regalo per suo figlio, prima che Boris stesso avesse deciso di volere la sua razione di quel succulento boccone. Ma non più, si rese conto. Adesso, quello sguardo non aveva più alcun potere su di lei.

Vorrei parlargli.”

Non so se potrò permetterti di farlo, Natalia.” Quella sua facciata di ostinata cortesia, finezza, sofisticatezza, glielo rendeva semplicemente odioso. “Tu mi capisci, giusto?”

Capisco che è arrivato il momento di gettare la maschera.”

E' ARMATO!” L'urlo di una donna aveva bruscamente deviato altrove la loro attenzione.

Natasha individuò immediatamente di chi stava parlando: un rappresentante dell'esercito ucraino, una maschera rossa a coprirgli parte del viso, stava tenendo Boris sotto tiro.

Le mosse successive si susseguirono troppo rapidamente: i cecchini, confusi dal concerto di grida, avevano cominciato a sparare. Mentre il caos imperversava per tutto il salone e astanti più o meno innocenti venivano colti da proiettili vaganti, Natasha decise sul da farsi.

Si liberò della maschera, inutilmente ingombrante, scagliandosi rapidamente contro l'ucraino. Non le ci volle molto per disarmarlo. L'uomo tentò il contrattacco, ma dopo una breve colluttazione fu lei ad avere la meglio. Gli fu addosso, veloce e letale, usando il filo metallico celato nella sua falsa collana di rubini, per sgozzarlo.

Boris le era saettato di fianco, raccogliendo l'arma che era appartenuta allo sfortunato attentatore. Sparò due colpi in aria, seguendo poi lo sciamare degli invitati verso l'ingresso.

Il piano era appena cambiato radicalmente.

 

*

 

“Barton! Barton, mi senti?” Il gracchiare della voce di Coulson non gli aveva mai fatto tanto piacere in vita sua.

“Phil... Phil ti sento.” Nascosto da una siepe all'esterno della villa, aveva appena finito di agganciarsi i pantaloni troppo grandi che aveva strappato ad una delle guardie (morte o prive di sensi) incontrate sul suo cammino.

“Che diavolo è successo?”

“E' una storia lunghissima,” esalò, esausto e dolorante più o meno ovunque.

Era riuscito a liberarsi dalle corde e ad uscire dallo stanzino in cui l'avevano rinchiuso senza particolari problemi. Natasha gli aveva spianato la strada, mettendo al tappeto gli uomini di Shostakov appostati nelle immediate vicinanze. Una rapida occhiata all'arsenale in dotazione a ciascuno di quelli, gli era bastata per accorgersi che la donna doveva aver già requisito ciò che le occorreva. Si era accontentato dei suoi avanzi, affrettandosi a rivestirsi e riarmarsi, prima di guadagnare l'uscita della villa attraverso una porta di servizio.

“State bene?”

“Sì, ma abbiamo bisogno di un'estrazione. Adesso.”

“C'è una squadra in arrivo.”

“Ottimo.”

“Le informazioni di cui avevamo bisogno?”

“Non c'era nessun cazzo di caveau, Phil. L'ingresso al livello interrato è nascosto da uno stracazzo di quadro... ci credi?” lo informò, senza preoccuparsi di nascondere l'irritazione: li avevano spediti dritti dritti in mezzo ad una trappola. Senza contare che Shostakov doveva essere una vecchia conoscenza di Natasha, e che la donna aveva deciso di tenere quel particolare dettaglio per sé. La possibilità che si trattasse di una vendetta era più che altro un dato di fatto: l'aveva data praticamente per scontata. Cercò di concentrarsi sul fatto che non l'aveva tradito, che per quanto le cose fossero andate a puttane, era ancora dalla sua.

“Natasha è riuscita comunque a raccogliere quello che ci serve,” aggiunse dopo una pausa ad effetto, dando un'ennesima occhiata al piccolo chip che la ragazza gli aveva passato... letteralmente usando la lingua.

“Avresti potuto dirlo subito.”

“Un po' di suspense non ha mai ucciso nessuno.”

“Non ancora. Sta' alla larga dai guai, va bene?”

“Devo recuperare Natasha.”

“L'agente Romanoff sa badare a se stessa.”

“Oh, di quello me ne sono accort -”

Colpito alla testa da qualcosa di non meglio identificato, cadde rovinosamente a terra. La fragile comunicazione stabilita col supervisore, venne improvvisamente a mancare. Si portò una mano alla nuca, ritrovando la consistenza vischiosa del sangue. Poi?!

“Che cazzo...” biascicò tra sé, schivando miracolosamente l'ennesimo colpo. Si rimise in piedi, la pistola in pugno.

Di primo acchito, l'orribile sensazione che gli prese lo stomaco gli suggerì che era stata Natasha ad attaccarlo. Ma la donna che lo stava fronteggiando, alta, prestante, biondissima, non era la sua partner. In comune avevano lo sguardo di apatico disinteresse che aveva scorto sul viso di Natasha, prima nel salone la sera precedente, e poi durante il suo interrogatorio solo pochi minuti prima.

Non ebbe il tempo di riflettere ulteriormente: la sconosciuta gli fu addosso, sfogando su di lui tutta la sua furia.

Qualcosa gli suggerì che doveva esserci più di una Vedova Nera, al mondo.

 

*

 

“Non m'importa che diavolo dovete fare per chiamare rinforzi!” Boris Shostakov stava sbraitando rabbiosamente al telefono. “Fatelo e basta! Razza di incompetenti!”

Solo quando ebbe riattaccato – schiantando il cellulare sulla scrivania – si accorse della presenza di Natasha, ferma sulla soglia del suo studio. Provò un brivido di malsano piacere nel vederlo inorridire alla vista del macabro regalo che gli aveva portato.

“Alexander è arrivato,” asserì con voce pacata, avanzando lentamente all'interno della stanza. Ad ogni suo passo in avanti, Boris si assicurò di far corrispondere un passo indietro. Stava cercando di mascherare la paura, con scarsi, scarsissimi risultati.

Natasha si preoccupò di poggiare la testa recisa di Alexander Shostakov sul tavolo, lo fece con cura, quasi con la consapevolezza di star maneggiando qualcosa di fragile. Delicato.

“Non p-puoi... a-averlo fatto sul serio,” biascicò impietrito, cercando disperatamente di guardare ovunque tranne che nella direzione di quel presente non richiesto.

“Un taglio perfetto,” Natasha ci tenne a ribattere, allineando un grosso coltello serramanico che era appartenuto ad Alexander, accanto al suo legittimo proprietario. “E' stato lui ad insegnarmi come fare,” sollevò lo sguardo su Boris, implacabile. “Sono un'ottima allieva.”

Lo scoppiettare del fuoco nel caminetto, insieme al respiro pesante dell'uomo, erano tutto ciò che impedivano al silenzio di essere totale.

“Sei orgoglioso, Boris?” Gli chiese, calibrando le parole, la voce. “Sei orgoglioso di me?”

“T-Tu sei... c-completamente pazza,” balbettava. “Dove s-sono le mie guardie? Guardie! GUARDIE!” Nemmeno una misera eco a rispondere al suo appello.

“Le tue guardie non usciranno da questo posto. Proprio come te.”

“N-Non puoi farlo. L-Lavori per lo SHIELD! Lo SHIELD non uccide la g-gente!”

“Credi che mi mandi lo SHIELD?” Natasha sorrise. Una calma innaturale si era impossessata di lei. “Per le informazioni che ti incrimineranno, sì. Ma per questo?” Allargò leggermente le braccia. “Questa è iniziativa personale.”

“Non sei programmata p-per avere i-iniziative p-personali.”

“No, è vero. Non lo ero,” piegò leggermente il capo di lato, sovrappensiero. “C'è una cosa che mi avete insegnato alla perfezione, Boris.” Tornò a guardarlo, fissando i suoi occhi verdi, scurissimi e furenti, su di lui. “La sopportazione. Tutte quelle missioni in cui tutto ciò che dovevo fare era... aspettare. Aspettare che quelle mani smettessero di toccarmi, quelle bocche di baciarmi, senza poter azzardare una reazione. Anzi, dover fingere che mi piacesse o, perché no, ostentare il più deciso dei rifiuti,” si strinse nelle spalle, “a certi figli di puttana piacciono agguerrite, prima che si arrendano.”

“A-Ascoltami, N-Natalia, p-posso... posso s-sistemare le c-cos -”

“Ssh,” gli intimò il silenzio, premendosi l'indice sulle labbra. “Ho imparato a sopportare... a covare odio e rabbia in vista di ciò che sarebbe venuto dopo.” L'uomo scuoteva la testa, come supplicando. “Tu sai cosa viene dopo, Boris?” Non ottenne risposta. “Non importa, te lo dico io.”

Aggirò la scrivania, avvicinandoglisi passo dopo passo, con sfiancante lentezza.

“Dopo il peccato arriva la punizione.”

“B-Brucerai all'inferno!” Natasha colse un bagliore nel suo sguardo, l'ombra di qualcuno alle sue spalle.

“E te lo prometto, Boris, non sopravviverai al mio castigo,” un soffio.

Si voltò di scatto, afferrando la canna del fucile che Maksim le stava goffamente puntando contro. La sollevò verso l'alto, lasciando che il proiettile andasse a conficcarsi nel soffitto. Stupido verme. Gli sferrò un pugno ben assestato in pieno viso, facendogli perdere immediatamente i sensi.

Non ebbe il tempo di tornare nuovamente su Boris che l'uomo le fu addosso con tutto il suo peso, mandandola a sbattere contro la parete opposta. Un dolore sordo all'altezza del fianco destro l'avvisò di essere stata colpita.

“Ti u-ucciderò col c-coltello di mio fratello, b-brutta puttana,” le annunciò, scagliandolesi nuovamente contro. Stavolta Natasha fu abbastanza rapida da schivarlo, ruotando su se stessa per guadagnare un po' di spazio, per evitare di rimanere schiacciata contro il muro.

“Non se lo faccio prima io,” l'avvertì, imponendo al proprio cervello di non registrare la ferita, di non curarsi del sangue che aveva preso a sgorgarne, copioso, a fare come se niente fosse. Si avventò su di lui, volutamente disarmata, confondendolo con una serie di spostamenti veloci. Riuscì a colpirlo violentemente alla nuca, ma non abbastanza da farlo svenire. Boris l'agguantò per un braccio, scaraventandola in avanti, verso il camino. Natasha si ritrovò ad indietreggiare praticamente alla cieca, barcollante: inciampò in un poggiapiedi, crollando a terra. L'uomo si curò di riservarle un glorioso calcio nello stomaco prima di esserle nuovamente addosso, premendola al pavimento con la sua imponente mole.

La lama sporca di sangue del coltello stava per abbattersi sul suo viso: fu costretta ad usare entrambe le mani per immobilizzargli il polso, spingerlo nella direzione opposta, tentare ferocemente di allontanare il pericolo da sé.

“S-Smetti di resistere,” le suggerì in preda ad un evidente sforzo, il volto rosso e sudato.

“Mai,” esalò in risposta, decidendo di tentare il tutto per tutto.

Liberò una mano, permettendo alla lama di avvicinarsi sensibilmente al suo viso. Allungò il braccio il più possibile, trovando i ceppi del camino. Ignorò il dolore, scaraventandogli un tizzone ardente in piena faccia: un grido orribile le assicurò di aver colto nel segno. Si affrettò a rotolare di lato, approfittando del momento di defaillance dell'uomo... ma non abbastanza per evitare che l'afferrasse per un piede, attirandola nuovamente a sé.

“Vieni q-qui!” Urlò rabbiosamente, reclamandola.

“C-Così?” Gli sferrò un pestone in piena faccia, facendogli scricchiolare sinistramente il setto nasale. Si sbrigò a raccogliere il coltello che l'uomo aveva fatto cadere, reimpossessandosene. Fu costretta a fermarsi per riprendere fiato, la ferita al fianco che tirava fastidiosamente. Merda.

Sollevò lo sguardo, ricordandosi solo in quell'istante del quadro che avrebbe dovuto ritrarla nei panni dell'innocenza, di quel dipinto che la fissava dalla parete. Il monito di una vita passata che non era neppure mai esistita, che non aveva mai vissuto.

Inspirò ed espirò lentamente, il cervello impegnato a fare mente locale. Un secondo dopo aveva rovesciato tutto il contenuto del carrello dei liquori sul pavimento. Non deve rimanere niente. Recuperò un altro ciocco in fiamme direttamente dal fuoco. Boris si era rimesso in piedi, barcollante.

“Non rimarrà niente,” Natasha ci tenne ad informarlo. “Di te e della tua lurida famiglia. Niente.”

Gettò a terra il pezzo di legno un secondo prima che l'uomo le fosse nuovamente addosso.

“S-Sta' z-zitta!”

Il fuoco cominciò immediatamente a fagocitare le fibre imbevute d'alcool del tappeto.

Il cazzotto di Boris la prese allo stomaco, togliendole il respiro per un orribile attimo (era sicura che le avesse incrinato almeno un paio di costole). Si costrinse a riassorbire rapidamente il contraccolpo, aggrappandosi alla mensola sopra il camino con entrambe le mani: si dette lo slancio con i fianchi, sollevò entrambe le gambe e lo colpì al petto, respingendolo violentemente all'indietro.

Ora.

Scattò in avanti, approfittando della riguadagnata distanza per prendere la rincorsa. Saltò in aria al momento opportuno, ruotando su se stessa per intrappolargli il collo tra le proprie cosce. Non fu abbastanza agile da riuscire a rimettersi in piedi prima di toccare il pavimento. Riatterò pesantemente su di lui, la testa ancora prigioniera nella morsa delle sue gambe. Strinse il coltello serramanico di Alexander con entrambe le mani, il respiro corto e il dolore a riverberarle in tutto il corpo.

L'osservò per un ultimo istante: sudato e disgustoso, sofferente e scomposto. Ricordò tutte quelle volte in cui aveva sopportato, sopportato e sopportato in vista di una deflagrazione finale, di un'esplosione che l'avrebbe ripagata di tutto ciò che aveva sofferto. Quella lunghissima attesa – la più lunga – era finalmente finita. Il solenne castigo di tutta una vita.

Do svidaniya.

Gli conficcò la lama in un occhio. Il metallo sprofondò nella carne come burro. Continuò a spingere finché le convulsioni che avevano preso a scuoterlo non cessarono del tutto.

Fine.

Rimase immobile a fissarlo avidamente, dritto negli occhi, mentre la vita lo abbandonava.

Il tempo parve rallentare innaturalmente.

Un gran calore sembrò risalirle su per lo stomaco... un nodo vecchio di anni – una vita – finalmente sciolto.

Forse.

Fu il battito impazzito del proprio cuore a farla tornare in sé, a ricordarle che non c'era più tempo da perdere. La testa le girava: se non si fosse messa al sicuro al più presto avrebbe rischiato di bruciare col resto della villa. Il fuoco aveva già raggiunto i mobili, le tende, quel dannato quadro... minacciava di estendersi al resto dell'edificio.

Sperando ardentemente che quello fosse il caso, si sforzò di rimettersi in piedi. La vista le si era sfocata e il mondo le oscillava pericolosamente tutt'intorno, improvvisamente instabile. Registrò la nausea e il disgusto – la paura – solo in quel momento, piegandosi in avanti per vomitare. Brividi – di freddo, si disse, anche se non ne era poi così sicura – presero a scuoterla vistosamente. Si portò una mano alla ferita, cercando di fare pressione, impedire al sangue di fuoriuscire liberamente. Nonostante quel tardivo accorgimento, Natasha fu capace di muovere solo un paio di passi in direzione della porta che dava sul corridoio, prima che le forze le venissero meno.

Si ritrovò distesa bocconi sul pavimento senza sapere come diavolo ci fosse arrivata. Il respiro irregolare, il gelo nelle ossa, il fuoco che divampava a pochi metri da lei...

Almeno li ho tolti di mezzo. E'... è finita.

Si lasciò consolare dalla dolcezza di quel pensiero, abbandonandosi alla stanchezza.

 

*

 

“TASHA!” Gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Liberatosi (più o meno) della sconosciuta che l'aveva aggredito nel giardino della villa, se l'era lasciata alle spalle, priva di sensi. Adesso era il fumo che proveniva dal piano superiore a preoccuparlo.

Dove cazzo sei andata a cacciarti?!

Nonostante tutti i suoi buoni propositi, era stato costretto ad entrare: se Natasha avesse avuto il pieno controllo della situazione, al massimo l'avrebbe mandato affanculo (niente di nuovo su quel particolare fronte). D'altro canto, andare ad accertarsene non avrebbe fatto alcun male: il suo amor proprio era già sufficientemente ammaccato da poter sopportare un ulteriore colpo.

Si era quindi deciso a fare dietrofront, a passare in rapida perlustrazione il salone, il piano terra, senza ottenere alcun risultato. Poche guardie ciascuna riversa nel proprio sangue e nient'altro.

Solo quando fu ai piedi della scala principale per il secondo livello, si accorse della presenza di un cadavere mutilato. Ommerda.

Si sforzò di ignorare quel macabro particolare, imboccando le scale. Man mano che saliva – due, tre gradini alla volta – il fumo si faceva sempre più denso. Ebbe l'accortezza di coprirsi naso e bocca con il colletto della t-shirt presa in prestito, ma non poté fare granché per il bruciore agli occhi.

Ringraziò ogni santo esistente che la trasmittente fosse fuoriuso: se Coulson avesse avuto anche solo la più pallida idea dell'immane stronzata che stava per fare, la sua furia gli avrebbe probabilmente concesso di acquisire poteri straordinari, permettendogli di apparirgli magicamente di fianco per prenderlo a calci in culo fino al resto dei suoi giorni. Si consolò con quell'assurda immagine, continuando ad avanzare.

Il fuoco aveva raggiunto il corridoio in cui sfociava la scala, le fiamme lambivano il corrimano, la sommità del primo gradino. Non c'era tempo da perdere.

“NAT -” Era stato sul punto di urlare di nuovo il suo nome, ma si era bloccato quando gli era parso di scorgere una figura sul pavimento. “Cazzo, Natasha...”

Le fu rapidamente di fianco, mentre il calore si faceva insopportabile. Gli bastò darle una sommaria occhiata per accorgersi che era ferita, che aveva perso i sensi e una quantità industriale di sangue. Si affrettò a prenderla in braccio, afferrandola dietro la schiena e sotto le gambe.

“Sei diventata un po' pesantuccia, ah?” Constatò, per nessuno in particolare, giusto per allentare la tensione che aveva cominciato a salirgli nello stomaco, che minacciava di fargli perdere lucidità. Ne aveva avuto abbastanza di quella maledetta missione.

Aveva sceso solo i primi due gradini, quando uno strillo terribile, accompagnato da pesanti passi, sovrastò l'ardere delle fiamme. Un uomo dall'età indefinita, il viso una maschera di sangue, il setto nasale vistosamente deviato, gli stava correndo incontro come impazzito, un fucile a canne mozze imbracciato al contrario.

Clint aveva registrato a malapena quella tragicomica apparizione: si limitò a scartare di lato, per mandare il ragazzo a vuoto. Lo vide inciampare nel gradino successivo al suo, precipitare rovinosamente a terra, rotolando giù, lungo tutta la scala, fino ad atterrare accanto al cadavere senza testa.

“Voi russi siete tutti pazzi,” biascicò tra sé, perplesso all'ennesima potenza.

Riprese a scendere, Natasha in braccio, raggiungendo in pochi secondi il piano terra. Scavalcò i due corpi (dall'angolazione innaturale che gli aveva preso il collo, Clint fu piuttosto sicuro che il conto delle vittime ammontava a due), trasportando la donna fino all'ingresso di servizio e poi fuori nel vialetto di ghiaia che li separava dall'imponente giardino antistante l'edificio.

Il ronzio della trasmittente preannunciò l'intervento di Coulson.

“Clint!”

“S-Sono qui,” si affrettò a rispondere, fermandosi dietro ad una serie di siepi accuratamente potate, per guadagnare protezione e riprendere le forze. Le braccia gli facevano un male del diavolo.

“La squadra sarà lì tra un minuto. La fila di alberi alla fine del prato sul lato ovest...”

“Li vedo!”

“Quello è il punto di ritrovo.”

“Ricevuto.”

“Un minuto, prima che arrivi compagnia, hai capito?”

“Ho capito, Phil.” La comunicazione cadde un attimo dopo.

Aveva esattamente sessanta secondi per portare il culo (e quello di Natasha) fino a quei maledetti alberi. Dopodiché, Clint suppose che gli amici di Shostakov (sempre che ne avesse... o avesse avuti) sarebbero arrivati a far loro la festa: niente che riguardasse maschere, quartetti d'archi e caviale, stvolta.

Sollevò nuovamente Natasha, sistemandosela tra le braccia. Non aveva fatto che pochi passi che la donna cominciò a dimenarsi furiosamente.

“Natasha! Natasha son -”

“N-No... no... NO!”

Doveva aver recuperato temporaneamente i sensi, riaperto gli occhi, scorto qualcosa che aveva attirato la sua attenzione. Fu costretto a lasciarla andare se non voleva essere preso a pugni praticamente alla cieca. Cazzo, Natasha! CAZZO!

La seguì impotentemente con lo sguardo mentre barcollava fino a raggiungere... l'ennesimo cadavere: Clint vi riconobbe la donna che l'aveva aggredito solo pochi minuti prima. Era piuttosto sicuro di averla salutata al massimo con un trauma cranico, magari una commozione cerebrale, ma adesso c'era un foro rosso a marchiarle il mento, gli occhi vitrei, sangue, ossa e cervello sventagliati sul prato. Si era suicidata.

Natasha le fu di fianco, mormorando suppliche in russo – forse delle preghiere – tentando di scuoterla, invano, chiamandola per nome una, dieci, cento volte. (Inessa? Chi è... Inessa?) Restò a guardarla, come inebetito. Non era sicuro si rendesse conto che la ragazza era morta, che non avrebbe potuto risponderle. O forse il motivo per cui lo stomaco gli si era attorcigliato su se stesso, quasi dolorosamente, era che Natasha se n'era accorta eccome, ma non voleva accettarlo. Si era chinata sul cadavere, le stava toccando il viso, sistemandole i lunghi capelli biondi intrisi di sangue. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, come una specie di liberazione, come se avesse tentato di arginarlo, strenuamente, fino a quel preciso istante. Prima che Clint potesse avere la piena consapevolezza di ciò che stava succedendo, Natasha era scoppiata in un pianto disperato, scomposto.

Quella, più di ogni altra cosa che aveva avuto la sfortuna di vedere in quei due giorni del cazzo, lo colpì come un pugno in pieno stomaco.

“Natasha...” Un minuto, Clint. Un minuto.

Provò ad avvicinarla, afferrarla per la vita, sollevarla, ma la donna protestò, furibonda, affatto lucida.

“Natasha dobbiamo andare.”

Combatté inutilmente contro le mani di lei che lo respingevano, deboli, cieche... finché non poté far altro che prenderla in braccio contro la sua volontà. La strinse saldamente al suo petto, riuscendo a neutralizzare senza problemi i suoi vaghi tentativi di opporglisi, di liberarsi. Pochi secondi dopo, senza alcun preavviso, la ragazza aveva smesso di dimenarsi, anzi, sembrava essersi fatta piccola piccola, rannicchiata il più possibile nella sua presa, quasi stesse cercando di sparire.

Il pianto sommesso di Natasha l'accompagnò fino al punto di ritrovo.

 
****************




E così si conclude la missione Shostakov che però non sarà senza conseguenze (di vario genere). Mi sono "divertita" un sacco (tipo sadica XD) a scrivere questo capitolo, cercando di dare il giusto equilibrio alla Natasha in modalità letale (in questo senso, la canzone di Chris Cornell usata in esergo mi foga come se non ci fosse un domani ù_ù) e quella invece più vulnerabile e umana. Insomma, spero sia arrivato!
Sia Boris che Maksim ci lasciano: per quanto riguarda il rampollo di casa Shostakov, non mi sembrava il caso di fargli fare una fine granché gloriosa. L'incidente mi sembrava adeguarsi alla grande al tipo di personaggio squallido e deboluccio che mi sono immaginata.
Inessa, invece, era già comparsa nell'incubo di Natasha di qualche capitolo fa. Ho voluto spezzare una lancia anche in suo favore: dubito che la vita alla Red Room fosse facile per nessuno :(
Oltre a questo, piccola curiosità: c'è davvero uno Shostakov nel canon (o almeno uno dei tanti canon) di Natasha Romanoff: nei fumetti è addirittura il marito della Vedova Nera *zan zan* Chiaramente non ha niente a che vedere con quello che succede qui :P
Ringrazio Eli (again!) perché è la mia fonte di conoscenze Marvel-iane, per il betaggio e per la follia generale.
E grazie anche a tutti coloro che assiduamente (o meno!) si fermano a leggere e commentare :') apprezzo tantissimo, davvero!
Al prossimo capitolo, fra tre giorni esatti.
S.
  
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