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Autore: Locked    04/07/2014    9 recensioni
“Cosa fai?” chiese lui, stendendoglisi pacificamente accanto nella notte placida.
“Te l'ho detto, conto le stelle.” rispose l'altro, socchiudendo gli occhi, le palpebre che svolazzavano morbide e l'universo nelle sue iridi che rifletteva quello sovrastante.
Darren mugolò compiaciuto, scrutando la distesa tersa sopra di lui, e si ritrovò stupidamente a pensare che gli spruzzi di galassie che l'attraversavano erano così simili alla miriade di lentiggini che decoravano il viso perlaceo di Chris. Ma non glielo disse.
“E quante ne hai contate?” gli chiese invece.
Uno sbuffo e un attimo vuoto colmo di silenzio.
“Tre milioni, duecentosessantasettemilaottocentoquindici.”
Una risata stordita.
“Te lo sei inventato.”
“No!”
“Sì.”
“No!”
“Sì!”
Stavolta le risate furono due.
“Okay, quindi ci sono tre milioni, duecentosessantasettemila … quante ne erano?” Darren ruotò il bacino, inarcandosi in avanti.
“Ottocentoquindici.”
“Giusto, ottocentoquindici. Ci sono tre milioni, duecentosessantasettemilaottocentoquindici stelle che ci guardano. Non è vero?”
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Colfer, Darren Criss
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:

Teoricamente doveva essere pubblicata il tre luglio, per l'anniversario della Klaine Skit di Dublino, ma l'attacco di panico che mi è preso oggi pomeriggio per Chris e altri problemi mi hanno ... rallentato.

Quindi ecco qua, una piccola one shot per celebrare questi due, che ogni volta mi fanno sciogliere nemmeno fossi un gelato al sole d'Agosto.

Fatemi sapere, come sempre, ne sarei felicissima.

Happy belated Klaine Skit in Dublin anniversary, everybody!

Scusatemi se ci saranno errori, ma è tardi e ho sonno, domani la ricontrollo; enjoy! *-*


 

 

A Marika, compagna di scleri notturni (e non) e ragazza meravigliosa.

 

 

 

Three millions, two hundred sixty-seven thousand, eight hundred fifeteen stars.

 



 

 



“Cosa”

 

Un pugno scherzoso sul braccio.

 

“diavolo”

 

Una spinta all’indietro troppo leggera per essere anche solo lontanamente convincente.

 

“stavi”

 

Un colpo alla testa, sui capelli corazzati di gel.

 

“pensando?”

 

Delle mani furbe e veloci arricciate sotto il blazer blu e rosso, solleticanti.

 

Chris e Darren si ritrovarono accartocciati su una parete del backstage, esattamente due metri sotto quel palco che aveva ospitato la loro performance. La loro memorabile performance, avrebbe detto qualcuno, una manciata di minuti più tardi.

 

Il fiato corto, per le risate cristalline e l’ansia meravigliosa del palcoscenico e la corsa rocambolesca giù dalle scale perché avevano bisogno di un momento per loro due e basta, senza decine di migliaia di spettatori pronti a battere i palmi delle mani a ritmi frenetici.

 

Gli occhi lucidi, perché su quel palco di Dublino, Europa, il tre luglio duemilaundici, ad un’ora indefinita ed irrilevante della sera, Kurt e Blaine si erano confusi con Chris e Darren, talvolta prevalendo gli uni sugli altri, talvolta soccombendo impotenti.

 

E quel bacio, quell’impalpabile sfioramento di labbra, dolce, umido, quasi timido, oh, quel bacio era stato qualcosa di stupido e avventato e ridicolo e da brividi e da idioti e meraviglioso e memorabile. Perché tutto, di loro, era memorabile.

 

Ed in quel momento, avvinghiati in un groviglio di braccia e gambe e microfoni scollegati e sorrisi felici e incuranti, Chris e Darren risero, risero e risero, perché potevano farlo. Perché lì, rinchiusi nella loro bolla di sentimenti occultati e di emozioni ben celate, potevano essere ciò che volevano essere.

 

Niente controindicazioni. Niente effetti collaterali.

 

“Piccioncini, vedete di muovervi. Abbiamo uno show da portare avanti.” Mark si sporse oltre la ringhiera delle scalette traballanti che conducevano fuori, sul palco, allo scoperto, e rivolse loro un angolo di labbra sollevato obliquamente in maniera consapevole. “Io l’avevo detto che non sareste stati in grado di trattenervi, nemmeno lì sopra.” Indicò sommariamente la confusione degli spettatori all’esterno.

 

“Sta’ zitto, Salling.”

 

 

 

*

 

 

 

Due ore e diversi alcolici più tardi, il cast si era radunato attorno ad un tavolino da caffè basso e sgangherato. Nessuno era riuscito a togliersi i costumi di scena, ancora carichi della miriade di sensazioni che li impregnavano e formicolanti sulla pelle.

 

Chris si alzò con eleganza e con voce solenne annunciò che sarebbe andato a contare le stelle. Dove, nessuno lo sapeva. Ma non c'era corpo non abbastanza imbevuto di alcool da potersi porre la domanda e trovarne poi una risposta, quindi poco importava.

 

Uscì dalla stanza e s'inerpicò su per le scale ripide dell'edificio, salendo i gradini e barcollando pericolosamente. Sull'attico, il silenzio ovattato di Dublino era calato attorno a lui come un velo trasparente, appropriandosi dei tetti piatti della città e delle luci sfavillanti dei condomini, riordinandogli la mente.

 

Fu quasi sbagliato, in quella quiete pacifica, udire dei passi leggeri ed incostanti rimbombare sui gradini. Fu quasi giusto, per Chris, voltarsi e tornare percepire correttamente l'ossigeno fluire nei propri polmoni, quando la figura di Darren avviluppato in una giacca e dei pantaloni troppo grandi apparve arrancando dall'edificio.

 

“Cosa fai?” chiese lui, stendendoglisi pacificamente accanto nella notte placida.

 

“Te l'ho detto, conto le stelle.” rispose l'altro, socchiudendo gli occhi, le palpebre che svolazzavano morbide e l'universo nelle sue iridi che rifletteva quello sovrastante.

 

Darren mugolò compiaciuto, scrutando la distesa tersa sopra di lui, e si ritrovò stupidamente a pensare che gli spruzzi di galassie che l'attraversavano erano così simili alla miriade di lentiggini che decoravano il viso perlaceo di Chris. Ma non glielo disse.

 

“E quante ne hai contate?” gli chiese invece.

 

Uno sbuffo e un attimo vuoto colmo di silenzio.

 

“Tre milioni, duecentosessantasettemilaottocentoquindici.”

 

Una risata stordita.

 

“Te lo sei inventato.”

 

“No!”

 

“Sì.”

 

“No!”

 

“Sì!”

 

Stavolta le risate furono due.

 

“Okay, quindi ci sono tre milioni, duecentosessantasettemila … quante ne erano?” Darren ruotò il bacino, inarcandosi in avanti.

 

“Ottocentoquindici.”

 

“Giusto, ottocentoquindici. Ci sono tre milioni, duecentosessantasettemilaottocentoquindici stelle che ci guardano. Non è vero?”

 

“Sì.” Chris sollevò un angolo delle labbra in un sorriso sbilenco che assomigliava così tanto allo spicchio di luna che li illuminava. “Perché?”

 

“Mi chiedevo come reagirebbero a questo.”

 

Darren si avvicinò con calma, gradualmente, sollevandosi sul gomito destro ed incastrando assieme i loro sguardi brillanti, fino a sfiorare il suo naso. Si avvicinò timido, con la stessa cautela di un bambino di cinque anni che chiede scusa alla sua mamma per la marachella che ha combinato; e forse Darren l'aveva fatta per davvero, quella marachella, quella sera, davanti agli spettatori di Dublino, ma di certo non aveva intenzione di domandare perdono.

 

Fu l'esatto opposto.

 

Se il bacio sul palcoscenico era stato veloce e avventato e infinitesimale, quello di quella notte, dove il pubblico era un tripudio di tre milioni, duecentosessantasettemilaottocentoquindici stelle, fu lento e studiato e calmo. E fu morbido, perché le labbra di Darren erano sempre soffici. E fu fresco, perché non importava che fosse luglio, le labbra di Chris erano sempre gelide. E fu irrazionale, perché nessuno dei due aveva idea di cosa stessero facendo.

 

“Cosa stiamo facendo?”

 

“Non lo so.”

 

“Cosa significa?”

 

“Non so neanche questo.”

 

“Cosa vuol dire che non lo sai?”

 

“Chris, vuoi stare zitto? Ho voglia di baciarti.”

 

Un sogghigno diabolico.

 

“L'hai fatto anche troppo, oggi.”

 

Un paio di guance vermiglie.

 

“Mi … dispiace? No, non mi dispiace neanche un po'.”

 

“Potrei abituarmici.”

 

Uno schiocco umido.

 

“Dovresti.”

   
 
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