Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Rosencranz    04/07/2014    5 recensioni
Un tempo vi era un uomo.
Vi erano dei luoghi, vi erano degli eventi, vi erano degli attori di un palcoscenico chiamato "mondo".
Un tempo, vi era un uomo che aveva in mano un filo, un singolo filo.
Intrecciato a questo filo, fili appartenenti ad altri uomini, ad altre vite, ad altri palcoscenici e ad altri eventi.
Assieme, questi fili hanno formato nel tempo un Arazzo, ed il disegno di questo Arazzo, è quello che i meno consapevoli tendono a chiamare "Vita".
Lui, si è limitato a chiamarlo "Cammino".
Questi, sono i diari del suo cammino, e del cammino di coloro che hanno deciso di accompagnarlo.
Genere: Introspettivo, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Documento senza titolo





Preludio.



La luna mi guarda ed io cammino per lei.
La luna mi veglia ed io sogno per lei.
Su duna di cammello e gobbe di sabbia ho viaggiato.
Oltre l’Oriente e l’Occidente ho viaggiato.
Ho cercato i segreti che mi erano ignoti,
Ho fatto mie le verità che mi erano celate.
Ed ora ho raggiunto la vecchiaia, e questo destino:
Sono forse divenuto schiavo della mia Conoscenza?

E’ tardi quando scrivo queste parole, in un luogo dimenticato da tutti se non anche da Dio. C’è solo una candela di sego a scortare il cammino del mio pennino in questa distesa gialla di pergamene ripulite, mentre riordino i pensieri di quella che è stata una vita vissuta fin troppo, oltre il mio stesso desiderio di proseguirla. Il mio nome è ***. ma sono stato chiamato in fin troppi modi nel corso del Tempo, tanto che il mio vero nome oramai è divenuto più che altro quello che il popolo mi ha attribuito, e non più quello che mi fu dato: ma coloro che leggeranno queste mie parole potranno chiamarmi Conte, se così vorranno. E’ un buon modo per iniziare questa Storia, affinchè sia ricordata come frutto di un nobile, e di nobili propositi essa stessa. E poi Conte oltre che da Contea potete farlo venire da Contare in senso letterario e non matematico. Cosicchè io, Conte, vi racconterò queste mie parole, divenendo un Conteur.
Perchè è di parole che è costituita la mia vita, la mia esistenza che non vuole giungere ad una fine precisa: di parole accavallate le une sulle altre, le prime sulle seconde, e le terze sulle prime stesse. Parole numeri e proporzioni sono tutto ciò per cui ho vissuto, per cui sono morto, e per cui la morte stessa mi ha concesso di continuare a vivere.
La mia mano è un gioco di ombre, o forse essa stessa è tale. Invecchia e ringiovanisce a seconda di come mi decido a guardarla, quando è tale il suo e mio proposito: altrimenti, sarebbe un’appendice senza un’età e senza un nome. La concepirei in quanto proprietaria di uno scopo, e solo per quello.
Ma sto divagando.
Nacqui in un luogo dove le montagne non oscuravano il sole, e dove l’erba era bianca d’inverno, e verde in primavera, ammantata dai mille colori dei fiori; dove l’acqua era trasparente e cristallina, e dove il vento seguiva la danza della Rosa senza mai mancarne una punta ed un petalo, scoprendo e mostrando ai pochi abitanti l’immutabile perfezione delle Stagioni e degli Anni. Fu in un villaggio isolato dalla brama Temporale e dalla boria Secolare che nacqui, da genitori di cui il tempo ha cancellato ogni ricordo se non quello delle sensazioni: erano calore e risa, saggezza e comprensione. Fui fortunato per nascita, e per questo il mio animo fu ricco: decisi difatti io stesso d’impoverirlo col tempo e con la civiltà, come fa ogni ragazzo che pensa che il Paradiso della sua giovinezza non sia abbastanza, al punto da desiderare di vivere nell’Inferno degli adulti.
Studiai, studiai ciò che il mio animo già seppe nell’attimo del concepimento, infuso da un dio benevolo e distratto, che si dimenticò della mia apparente umanità, o che forse semplicemente volle rinnegarla a favore di un qualcosa di più. Il mio studio era mera rilettura, era comprendere le parole che in questo tempo e luogo si usavano per definire ciò che io consideravo normalità, o rimembranza. Storia, Filosofia, Medicina e Retorica: materie che sembrano immergersi fino in fondo al mio cervello sin dalla primissima età, per divenire parte di me, per compensare con il lessico ciò di cui non ero privo in potenzialità. Trivio e Quadrivio divennero un gioco, e presto il terreno sapere fu per me uno svago da mostrare nei salotti, il ricordo dell’Eden da cui nacqui e presi congedo sempre più confuso nella mia mente, soppiantato dall’artificio creato da mano umana per far sentire i ricchi superiori ed i poveri invisibili.
Ed in quell’artificio mossi i miei primi passi, persi la mia innocenza ritrovandola solo dopo molto, e decisi di mostrare al mondo quanto poco egli sapesse della realtà, della potenza. Era un’epoca strana, un’epoca di cambiamenti e di riflessioni, se non di Riflessi stessi; nasceva a quei tempi una materia che in realtà era sempre esistiva, che cercava nei numeri e nelle proporzioni che io così tanto conoscevo una nuova via di fuga, un’elevazione spirituale, una verità ulteriore. La chiamavano con un nome che aveva qualcosa di Arabo, da cui attualmente presero la parola che da’ il nome ad una materia più semplice. Chimica, Kymeia, Alchimia. Sì, era qualcosa di questo genere, se ben ricordo. Veniva dalla Kabbalah, veniva dalle mille permutazioni del tetragrammaton e veniva dalle grotte sperdute dell’Oriente e dell’Arabia. Veniva da dove venivano gli Egizi, con il loro desiderio di pesare le anime tanto quanto i Rosacroce desiderarono pesare l’Eterno. E mischiando in quell’Occidente che era come un calderone di sogni e speranze lo spirituale al materiale, la verità dalla finzione, divenne Alchimia, e divenne una materia che non si evolvè mai, eppure che continuò a mutare sempre. E lì, in quella materia, io venni conosciuto con un nuovo nome, e le mie parole, i miei numeri e le mie proporzioni trovarono un senso. Il tre, il sette, il quattro ed il cinque, che diviene dieci: ognuno dei loro misteri mi fu chiaro, e fu chiaro a coloro che mi seguirono. I misteri dei materiali, l’anima nascosta in ogni pietra, che triturata e fusa viene chiamata Colore, l’osservazione del mondo che crea le Specie, poichè la visione stessa è Spicio, categorizzazione, e conoscenza mediante gli occhi… Tutto questo divenne realtà, e la materia dell’Anima tramite la materia dei corpi divenne materia di Studio: perchè era tutta materia, capite? Tutta materia, ed il contrario di tutto questo; non seppero mai creare dal niente, ma solo mutare ciò che già di creato c’era, e fu questa la sublimazione della loro umanità; eppure, per una cosa del genere non mi fu mai possibile aiutarli.
Cercai anche io con loro i segreti che definivano veri e sinceri, puri e perfetti. L’Elixir di lunga vita che pare in Cina e nei monti sperduti dell’India fu già conosciuto sotto altri nomi e respirato dai santi meditativi in grado di sparire per anni e riapparire in ogni luogo; La pietra filosofale, pietra poichè non è nell’esterno che si trova in sui segreto, ma nel suo interno, ed ogni castello di pietra deve venire costruito se vuole reggere al tempo ed agli assalti. E filosofale poichè era in ciò la chiave per aprirne la porta, per carpirne i segreti. Era un simbolo di materia e spirito al pari della Clavicola Salomonis, che usarono in passato di smeraldo sangue e rubini, e che si scoprì col tempo che poteva venire incisa in pergamene corpi e pezzi di vetro. Provai anche questo, anche a spiegare quanto non era l’oggetto la chiave, ma era nella chiave stessa da ricercare l’oggetto, e che una simile Chiave qualsiasi porta avrebbe potuto aprire, anche l’ortum misterii che loro chiamavano in quella maniera così gretta e sublime assieme.
Ma fui chiamato satanista ed eretico, fu messo al bando il testo che scrissi assieme ad altri che furono Conti nella mia epoca ed ora sono solo ombre e fantasmi, e fui ucciso. Fu dura morire abbandonando i miei cari che in quel periodo di vita mortale cercai, ma fu ancora più triste per l’animo mio scoprire come oramai la morte stessa nel corso delle mie ricerche era un sentiero già percorso, affrontato e superato. Viaggiai, viaggiai ancora. Ma non ha più senso parlarne per ora: la candela è giunta alla sua fine, e devo mettere il punto forse finale a queste parole.

Coloro che hanno occhi per vedere, vedano.
Coloro che hanno mani per toccare, tocchino.
Apprendano col gusto dell’infante, e la saggezza degli anziani.
E non rinneghino mai ciò che viene considerato inferiore.
Dal basso come dall’alto,
ciò che è sopra andrà in fondo,
e ciò che è in fondo troverà la cima.
Questo è il segreto che lasciai prima di sparire.





NOTA DELL'AUTORE:
Non sono bravo con i racconti. O meglio, credo di poter creare qualcosa, ma non è questo il caso. Questo è un esperimento più che altro, un viaggio. Per i poveri due tre lettori di turno, questi diari saranno non sequenziali, quindi non avranno uno scorrimento lineare. Immaginateli come qualcosa che di tanto in tanto trovate fra i libri, pagine sparsi in mezzo a qualche capitolo, nascosti dietro un tavolo, incastrati nella cornice di un quadro. E considerate voi il filo logico che li possa unire, la storia che possono raccontare, e l'identità dei protagonisti. Via via l'ordine risulterà chiaro, ma in mancanza di quello, ognuno acquisirà senso rileggendolo assieme ai successivi.


   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Rosencranz