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odio quasi più del mare
Dio, se odiava andare al mare.
Hanamiya era una di quelle persone
che non poteva sopportare le spiagge nemmeno in fotografia. Per quale razza di
assurda convenzione gli umani erano soliti affollare quelle distese giallicce
di sassolini e detriti per rosolarsi al sole come sudaticce bistecche su
un'enorme, rovente piastra?
Detestava qualsiasi cosa di quel fastidioso, popolato contesto. I bambini che urlando gli fracassavano i timpani,
la sabbia sottile che si infilava immediatamente in
ogni piega dei vestiti e dell'asciugamano su cui era seduto, il sole troppo
forte per la sua pelle chiara, il caldo troppo asfissiante per i suoi standard
di sopportazione.
Si allargò un po' il colletto della maglia nero pece tranne
che per il disegno bianco di una ragnatela che la ornava proprio al centro,
pentendosi di aver scelto di mettere qualcosa di così
scuro. Di togliersela, però, non se ne parlava: così come a malapena sopportava
vedere la gente in mutande (seriamente, cosa c'è di diverso da una mutanda e un
costume?), a sua volta l'idea di spogliarsi in mezzo a quella folla lo metteva
terribilmente a disagio.
Afferrando una rivista quasi sotterrata dalla fastidiosissima,
odiosissima sabbia tirata su dai mocciosi che se non avessero trovato una zona
molto più lontana da quei tre, quattro metri di spazio vitale di cui aveva
bisogno per non perdere totalmente la pazienza probabilmente sarebbero finiti annegati in mare dalle proprie stesse mani, dopo averla
scossa per evitare di spargersi addosso ancora più del dovuto quegli odiosi
bruscolini, iniziò a sventolarsi, azzardandosi a tirare su solo di poco un
lembo della sua t-shirt.
Che poi, cosa diavolo stava facendo ancora lì? Non avrebbe
dovuto avere paura di andarsene - dopotutto quando mai lui era stata una persona desiderabile, dotata di un atteggiamento
socialmente accettabile? -, certo, se non che il
ricordo di non avere la più pallida idea di come tornare a casa non fece che
irritarlo ancora di più.
Non ci sarebbe voluto molto a rintracciare la strada di casa,
spulciando gli orari dei mezzi e trovando quello giusto, ma la prospettiva di
dover infilarsi -di nuovo e così presto- in un pullman rovente e puzzolente di
sudore e umanità, e magari addirittura di doverlo aspettare sotto il sole cocente senza neanche la possibilità di ripararsi da qualche
parte, proprio lo disgustava. Anzi, rendeva decisamente
attraente il limitato perimetro d'ombra sotto il quale si era rifugiato,
regalatogli da un ombrellone scassato che l'altro aveva portato con sé.
Già, l'altro.
Raccogliendosi le gambe al petto appoggiò il mento sulle
ginocchia, contraendo il viso in un'espressione imbronciata. Giusto, la domanda
che avrebbe dovuto porsi non era “Cosa stava facendo
ancora lì”, bensì “Perché era lì dal principio”.
Per qualche motivo quel dannato quattrocchi riusciva sempre a
convincerlo a fare cose che non aveva la minima
intenzione di fare.
Non voleva partecipare a uno squallido
one-on-one nel campetto dietro scuola? Un'ora dopo era già lì, ansimante e con
la voglia di schiacciarlo completamente sotto le proprie doti di giocatore.
Non voleva andare a casa sua? Nemmeno dieci minuti più tardi,
ed ecco che era LUI a bussare alla porta della propria casa, finendo per
passare comunque il pomeriggio insieme.
Non voleva andare al mare? Benissimo, ci sarebbe andato
comunque, e lui l'avrebbe seguito.
Per quanto continuasse a dire di no ad
ogni suo maledetto invito, alla fine finiva per cedere sempre; un po' perché
non sopportava l'insistenza di quell'altro a lui ben conosciuta, un po' perché
in fondo-- non gli dispiaceva?
Strinse i denti, vergognandosi di come il proprio cervello
avesse fatto un'insinuazione talmente patetica. Certo, era una delle poche
persone con cui non gli dispiaceva (una volta ogni tanto, sia chiaro!) intrattenere una conversazione interessante, ma
questo non voleva dire che volesse comunque stargli attorno così spesso. Non
voleva certo sembrare una specie di cagnolino fedele sempre disposto a seguire
il fottuto padrone, cazzo!
Eppure era proprio questa l'idea che
stava dando, lo sapeva bene, ma proprio non riusciva a smettere di seguirlo o
di aprirgli sempre di più i cancelli per invadere la propria vita. Sarebbe mai
riuscito a scacciarlo davvero, senza quei mezzi rifiuti che tanto si smentivano
da soli, senza quelle risposte rabbiose ma incapaci di prendere davvero una
posizione antagonista a quelle dell'altro ragazzo?
Rispondere ‘no’ a queste domande sarebbe stato uno smacco
infinito e, per fortuna, proprio quando il suo cervello stava per fare
l'orribile errore di arrendersi a quest'evidenza, una voce odiosamente nasale
lo interruppe da quelle farneticazioni mentali.
- Eccomi, scusa se ci ho messo tanto ~ ho preso una pocari anche a te, va be-… -
- Vaffanculo. - lo interruppe, e sul viso del ragazzo con gli
occhiali si dipinse un'espressione infinitamente perplessa.
Tch… che cazzo aveva da guardarlo in
quel modo? Era già tanto che non avesse detto di peggio, o che non gli avesse
direttamente tirato la sabbia dritta in quegli occhietti così maledettamente
stretti.
Dio, se possibile odiava Imayoshi
anche più di andare al mare.
Salve a tutti!
Questa è una fanfction che ho scritto per il tema “Spiaggia”
della #Spokon69minITA, challenge a cui consiglio di dare un’occhiata a tutti ~
Pensare ad Hanamiya come una di quelle persone incredibilmente infastidite dal mare, spiaggia e tutto ciò che è ad esso correlato mi viene estremamente facile, e siccome non mi faccio mancare mai niente mi è venuto spontaneo infilare qua e là qualche piccolo indizio relativo alla mia amata ImaHana.
Ringrazio in anticipo chiunque commenterà/favoriterà/passerà solamente, vi adoro. Cercherò di rispondere a tutte le recensioni, mi piace parlare con voi – se non lo faccio potrei aver risposto in separata sede, potrei aver posposto così tanto la cosa da far sembrare una risposta solo imbarazzante, oppure Hanamiya mi ha affogata in mare.
Bye!