Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: TheHeartIsALonelyHunter    04/07/2014    1 recensioni
[Crossover Harry PotterOnce upon a timeDisneyDragon TrainerLe 5 leggendeStand by meSherlock]
Emma Swan non crede nella magia.
Emma Swan non crede assolutamente alla magia.
Allora come è finita nella Scuola di Magia più famosa dell'Inghilterra?
[Partecipa al contest a turni "Un anno speciale a Hogwarts" indetto da Dragone 97]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I primi mesi si erano rivelati alquanto tranquilli per Emma.
Per quanto potesse essere definito tranquillo fare lezioni su come far levitare gli oggetti, tentare (inutilmente) di trasformare topi in teiere, mescolare intrugli strani in pentoloni grandi quanto il suo posto letto all’orfanotrofio e passare la serata tentando di ignorare i quotidiani che riportavano immagini in movimento.
La convinzione della neo Tassorosso che tutto quanto non fosse altro che un progetto ben architettato di qualche produttore cinematografico troppo pretenzioso non era affatto andato scemando: se possibile era andato aumentando con il passare dei giorni, con la presenza sempre più frequente di elementi estremamente stravaganti, con le mille conferme che le arrivavano che, poteva pensare ciò che voleva, ma Hogwarts era reale quanto lo era l’orfanotrofio e il suo essere scettica.
La prova più evidente era, in assoluto, il fatto che fosse stata affidata a quella specifica Casa. Sebbene non si fosse avvicinata a nessuno particolarmente, né ne avesse realmente l’intenzione, i discorsi in Sala Comune le avevano creato in testa un’idea ben precisa di ciò che avrebbe dovuto essere lei: dolce, carina, pronta a sporcarsi le mani, leale e, soprattutto, buona. Caratteristiche in cui Emma non si sentiva assolutamente. Non era dolce, non era mai stata carina, avrebbe mollato qualsiasi idiota l’avesse intralciata a morire disidratato nel deserto e non si sentiva affatto buona. Non aveva potuto essere buona. Non gliene era mai stata data l’opportunità.
Da quando era nata era stato deciso, da chissà quale forza superiore, che la sua non poteva essere la vita della classica bambolina bionda. Una serie di eventi e circostanze l’avevano portata ad essere quella che era, e Emma sapeva che non si poteva tornare indietro.
Era tutto meno che una Tassorosso, questo era chiaro a sé stessa come ai suoi compagni di Casa, che la squadravano come fosse stata una specie rara, con la curiosità morbosa degli scienziati.
L’unico che pareva non essere spaventato dal suo atteggiamento scostante e, come l’aveva definito un certo Ernie McMillan pensando che non lo sentisse, “diversamente Tassorosso”, era stranamente Hagrid. Il gigante sembrava ormai aver superato la fase in cui era quasi terrorizzato dal suo modo di fare brusco e insopportabile, e aveva iniziato ad accostarla ad ogni occasione.
Emma non sapeva dire se fosse più scocciata o deliziata da quella sua “amicizia”.
“Ce l’ho detto, io, a Silente, che finivi in Tassorosso!”, le disse un giorno l’uomo, mentre si dirigeva alla Serra. Era in ritardo di dieci minuti, ma in verità non le importava poi così tanto: la Sprite era una delle professoresse più noiose che avesse mai conosciuto (anche se nessuno batteva Suor Clarity).
“Ce l’ho detto che, dal primo istante in cui ti ho visto, ho capito che eri per la Casa di Tosca, tu!” continuò, gioviale.
“Non avevi detto che eri sicuro che mi avrebbero smistato in Serpeverde?” domandò lei, con tono ironico.
Hagrid rimase zitto per un istante, con il viso lievemente sconcertato. A Emma scappò un sorriso: era divertente prenderlo in giro. Anche perché era facile come rubare le caramelle a un bambino: Hagrid non cercava pretesti per farsi ‘sfottere’, non aveva motivi per farsi ‘sfottere’, eppure alla fine le loro conversazioni finivano sempre, in un modo o nell’altro, con lei che lo ‘sfotteva’.
“Beh…”. Il gigante parve riflettere un istante. “Ma… Ma io scherzavo!” esclamò con voce acuta, spalancando le braccia con un sorriso tirato.
Emma alzò un sopracciglio, scettica.
“Davvero?” domandò, nel tono più ironico che poteva prendere.
“Ma certo!” continuò Hagrid, evidentemente non accortosi del suo scherzo. La bambina alzò gli occhi al cielo: tipico.
“Insomma, si vede subito che tu sei la Tassorosso perfetta!”
La cosa che più la shoccava, di tutta quella situazione, era che Hagrid sembrava essere l’unico essere umano, in tutta la scuola, a credere e a continuare a ripeterle, non per farle piacere ma perché ci credeva, che lei fosse semplicemente nata per la Casa di Tosca. Il che era a dir poco sconvolgente anche per un bambinone come Hagrid.
“Mi spieghi cosa ci trovi in me di tanto Tassorosso?” chiese, continuando a procedere a passi lenti.
Il gigante parve fortemente sorpreso dalla domanda, tanto che la risposta che seguì fu:
“Sei assolutamente Tassorosso! Non capisco proprio come tu non lo capisci!”
La bambina sospirò spazientita: era veramente andato per definirla “assolutamente Tassorosso”.
“Certo, non sarai gentile come altri…” commentò Hagrid, abbassando lo sguardo. “… Né… Paziente come altri… né laboriosa come altri… né…”
“GRAZIE MILLE per il riassunto, ho capito” lo zittì Emma, lievemente infastidita. Non le serviva che gli ripetesse anche lui ciò che si diceva ogni giorno nella sua testa.
“Ma il Cappello Parlante considera la parte più profonda del nostro essere!” spiegò Hagrid, una sorta di convinzione profonda nella voce. “E se ti ha smistato in Tassorosso, beh…” borbottò, con tono solenne e guardandola quasi fiero. “… Allora vuol dire che c’è del Tassorosso in te”.
Emma rimase un istante zitta, riflettendo su quelle parole. Possibile che fosse davvero così? Possibile che, in fondo in fondo, fosse ancora capace di mostrarsi buona?
“Lo pensi davvero?” domandò, con voce tremante. Si rese conto solo in quell’istante che desiderava il suo “sì” più di qualunque altra cosa.
Hagrid annuì convinto, con quel sorriso tirato quasi agghiacciante.
“Certo,” sospirò, come un manager che svela all’ultimo istante una clausola dagli effetti devastanti. “toccherà a te decidere se farla uscire o… Insomma… Lasciarla lì”, spiegò incerto, tentando di trovare parole adatte.
Emma sbuffò contrariata, pensando un fugace “e ti pareva” mentre la Serra le appariva all’improvviso davanti, senza che quasi se ne fosse accorta.
“Beh,” esclamò Hagrid allegro, ancora sorridente. “è stato un piacere parlare con te, Em!”
Si voltò con un cenno della mano, allegro e gioioso. Per un istante la bambina sentì l’impulso di gridargli dietro “Non chiamarmi Em!”, ma poi decise di lasciar perdere.
Spalancò la porta della serra con le parole di Hagrid che le rimbombavano ancora nelle orecchie, come un monito continuo.
Però…
Non doveva essere così male essere una Tassorosso, in fondo.
“In ritardo!”.
La voce la fece sobbalzare sul posto, tanto era immersa nelle sue riflessioni. Fu come una secchiata d’acqua in faccia, come una mano che all’improvviso ti trascina via dall’oblio in cui sei caduto, come uno schiaffo improvviso in faccia.
D’improvviso non era più Emma la perfetta Tassorosso, ma era Emma la Tassorosso fottuta: davanti a lei, lo sguardo severo puntato sul suo viso rosso d’imbarazzo, c’erano due tavoli interi di studenti, uno di suoi compagni e l’altro di Corvonero.
“Io…” bisbigliò, tentando di trovare una scusa. Si sentiva la gola incredibilmente secca e le gambe le tremavano. Certo, era brava a rispondere a tono, ma un pubblico vasto come quello la metteva decisamente in soggezione. Anzi, era meglio dire che la terrorizzava.
A completare il quadro, la Sprite, imponente (per quanto poteva essere imponente con quei rotoli di ciccia che le spuntavano dappertutto) dietro un tavolo coperto di piantine a lei sconosciute, che la fissava come se avesse voluto trafiggerla.
Emma spalancò bocca per dire qualcosa, ma subito la richiuse. Lo sguardo di Anna, dal suo posto, era quanto di più innocentemente curioso avesse mai visto.
“In… Ritardo” constatò con tono perentorio l’insegnante. Però, poteva essere noiosa quanto voleva mai era terrificante quando era arrabbiata…
La bambina tossicchiò nervosamente, divenendo se possibile ancora più rossa di quanto già non fosse.
“Mi…” provò, ma anche stavolta la voce non volle saperne di uscire.
E anche se fosse uscita, cosa avrebbe mai detto?
Che non aveva voglia di andare a lezione e aveva allegramente deciso di fregarsene? Che si era persa (per l’ennesima volta) tra i corridoi? Che, per colpa delle scale, si era ritrovata al terzo piano ed era dovuta fuggire a quel gatto odioso del sorvegliante di cui non ricordava il nome? No, decisamente quella era un’idea alquanto bislacca.
“E con la premura che mi ero fatto chiedendovi di venire puntuali, signorina Swan” continuò imperterrita Madama Sprite, lo sguardo che pareva di fuoco. E poi dicevano che i Tassorosso erano docili…
Emma deglutì nervosamente. Il suo sguardo andò disperato al tavolo dei suoi compagni, implorando un aiuto che, però, non arrivò: nessuno pareva avere idee per salvarla dal disastro, e forse neppure volevano salvarla. E in fondo, come poteva biasimarli?
“Visto che oggi ci assisteranno anche gli studenti più grandi…”. Lo sguardo di Madama Sprite cadde su un tavolo che non aveva notato, poco dietro la sua scrivania, alla quale sedevano due ragazzi.
All’apparenza, parevano avere tra i quattordici e i quindici anni: erano molto più alti di loro, i lineamenti erano più marcati e, soprattutto, avevano l’aria di chi ha perso da tempo l’uso di meravigliarsi per ogni cosa.
Uno dei due indossava al collo una sciarpa coi colori dei Tassorosso. Era alquanto carino, notò Emma: aveva capelli neri tenuti abbastanza lunghi, occhi scuri straordinariamente magnetici e un sorriso timido e schivo, tipico di chi non è abituato a passare del tempo con dei coetanei.
L’altro aveva stretta al collo, invece, una cravatta riportante i colori di Corvonero. Avrebbe potuto effettivamente dargli qualche anno in più del primo ragazzo, perché  aveva uno sguardo tanto sicuro e serio che sembrava già un adulto fatto e finito. Al contrario del primo, non era particolarmente attraente fisicamente: aveva capelli neri e occhi anch’essi neri, zigomi decisamente troppo alti e un viso aguzzo. Nel complesso, il viso sembrava disarmonioso e non attirava come quello del Tassorosso. C’era però una luce astuta, nei suoi occhi, che spingeva a guardarlo e a rimanere disarmati da quello sguardo: uno sguardo furbo, intelligente, che sa di avere la situazione in pugno, che guarda dall’alto in basso i “comuni mortali”. Era semplicemente magnetico. Emma non trovava altre parole per descriverlo.
“E lei, naturalmente, arriva tardi”. La voce della Sprite la risvegliò per la seconda volta. “Come sempre”.
Il suo tono era diventato tanto freddo e piatto che Emma sentì un brivido di paura scorrerle lungo tutta la schiena. In quell’istante la noiosa ma affabile signora Sprite era diventata assolutamente terrificante.
Un ultimo suo sguardo supplichevole al tavolo dei Corvonero. Ma neppure da loro nessuna reazione. Diamine, e se loro erano quelli intelligenti…
“È colpa mia, signora!”.
Emma rimase sorpresa quanto la Sprite all’udire quella voce, come pure tutta la classe, in fondo.
Una cinquantina di teste si voltò all’unisono verso la direzione da cui era arrivata e Emma, senza pensarci, la seguì curiosa.
Non credette ai suoi occhi: il ragazzo di Tassorosso coi capelli castani si era alzato in piedi, la sciarpa della Casa che gli scendeva lungo le spalle, e guardava con aria sicura la Sprite.
“L… Lei, signor Cassidy?”. La voce della Sprite si ruppe fatalmente sull’ultima parola. Il ragazzo annuì convinto.
Probabilmente il suo viso era la fotocopia di quello di tutti gli altri studenti lì presenti e della professoressa: confusa, attonita e sorpresa da quel gesto audace, la sua faccia non doveva essere un bello spettacolo.
L’unico a non sembrare sorpreso e che non si era neppure preso la briga di alzarsi in piedi era lo studente di Corvonero seduto accanto a Cassidy: teneva le mani giunte con le punta delle dita unite, osservando tutta la scena con sguardo indagatore. Emma convenne mentalmente che era alquanto inquietante.
“Ho chiesto a Emma di portarmi degli appunti…”. La sua voce era sicura e decisa: sembrava mentisse da tutta la vita. E forse era così. “Evidentemente ha avuto un po’ di difficoltà, visto che la mia camera è uno schifo…”. Il ragazzo alzò le spalle, come a scusarsi con la professoressa e con lei.
La Sprite aveva ancora quell’aria stupita che poco le si addiceva, come chi ha ricevuto una doccia fredda, e teneva lo sguardo fisso sul Tassorosso.
Cassidy riuscì a lanciarle di striscio un’occhiata disperata che pareva dire “Reggimi il gioco!”.
Emma tentò di escogitare qualcosa, ma la prima cosa che riuscì a dire fu un dubbioso “Non… Non li ho trovati…”.
“Oh, tranquilla!” assicurò lui, agitando la mano come fosse una cosa da nulla. “Tutto a posto!”.
Emma si concesse un sorriso e una risata imbarazzata, e il Tassorosso le rivolse un sorriso di risposta.
La Sprite tornò a posare i suoi occhi su di lei. Ora la sua espressione sembrava meno ridicola, ma rimaneva comunque fortemente attonita. Evidentemente quel Cassidy non era tipo da dimenticare appunti o cose simili.
“Lei conferma questa versione, signorina Swan?”.
Tutti i tavoli la guardavano curiosi, come chi osserva uno spettacolo circense particolarmente interessante. Ed effettivamente doveva sembrare fortemente fuori dall’ordinario, quella scenetta che avevano allestito, qualcosa di nuovo fuori dall’ordinaria e noiosa routine della scuola.
Lo sguardo le cadde sul ragazzo di Corvonero, che la osservava con un sorriso storto e quasi di pietà.
Non ci crede, constatò, mentre univa le mani con fare compiaciuto.
Non ci crede affatto.
“Confermo” scandì con voce rauca, torcendosi le dita in grembo.
La tensione era così densa che avrebbe potuto tagliarla con un coltello.
Ci fu un attimo di silenzio.
Poi la Sprite sospirò e commentò, in tono neutro, “Molto bene”.
Emma si rese conto di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo solo nel momento in cui disse quelle parole e ritornò a respirare. Cassidy alzò gli occhi al cielo soddisfatto e si concesse anche lui un sospiro di sollievo.
Emma si chiese solo in quell’istante cosa sarebbe successo che quel ragazzo non l’avesse difesa: il ritardo cronico poteva portare a espulsione? Non che le importasse granché di restare in quel set folle, ma tutto era preferibile a Kensigton Garden.
“E ora tutti a sedere!”. All’ordine della Sprite ci fu un rumorio di seggiole veloce, e Emma si fiondò al primo posto che trovò. Accanto a lei notò Anna, che iniziò a fissarla con curiosità estrema. La bambina abbassò lo sguardo, tentando di ignorarla, ma era alquanto difficile considerando che se la stava praticamente mangiando con gli occhi.
“Dunque…” iniziò con fare pomposo e allegro la Sprite. Emma fu immensamente contenta che fosse tornata al suo vecchio stile: era decisamente meno spaventosa.
“Vorrei presentarvi due studenti che oggi mi aiuteranno nella lezione!”. Il tono entusiastico con cui ne parlò lasciò intendere a Emma che fossero pezzi grossi a Hogwarts, o che comunque avessero voti astronomici.
“Neal Cassidy…”, esclamò la Sprite, indicando il ragazzo con aria fiera. Un lieve battito di mani accompagnò l’alzata in piedi del giovane e il suo sorriso rivolto ai tavoli. Per un istante a Emma parve che i suoi occhi si fossero concentrati per più di un istante su di lei.
“… E Sherlock Holmes!”, disse, stavolta meno entusiastica, indicando l’altro ragazzo. Il sorriso che rivolse ai bambini fu decisamente più freddo, ma quel suo sguardo catalizzò l’attenzione di tutti: Sherlock aveva l’aria temibile di un avversario formidabile, ma non tanto per la propria forza. Quegli occhi parevano aver visto tante cose, aver conosciuto tanti segreti, aver intuito tanto di loro senza che aprissero bocca.
Senza sapere perché, Emma rabbrividì quando, sedendosi, il ragazzo la fissò.
“Ora, tutti attenti!”. La bambina percepì lo sguardo di Anna abbassarsi velocemente al comando della Sprite. Non c’era che dire, era veramente autoritaria se voleva.
Emma si precipitò a impugnare gli arnesi sotto gli ordini della professoressa, senza però riuscire a concentrarsi completamente. Il suo sguardo andò inevitabilmente a osservare Neal lavorare con una strana piantina dalle radici enormi e un paio di cesoie che sembravano gigantesche rispetto alle sue mani.
Il ragazzo parve accorgersi del suo interesse, e alzò lo sguardo dal piano di lavoro per rivolgerle un sorriso caloroso e timido. Emma abbassò lo sguardo, tentando di mascherare l’interesse verso il ragazzo iniziando a giocherellare con un sacchetto di semi.
Ma quando fu certa che non la stesse più osservando e che fosse ben immerso nel suo lavoro, tornò senza quasi accorgersene a rimirarlo: la incuriosiva come nulla l’aveva mai incuriosita dall’istante in cui aveva messo piede in quel covo di matti.
Come sapeva il suo nome?
E cosa l’aveva spinto ad aiutarla, quando nessuno gliel’aveva chiesto? Era così impensabile per lei che qualcuno potesse farle un favore senza volere poi nulla in cambio. All’orfanotrofio un semplice e modesto aiuto diventava vincolante quanto e più di un patto col diavolo. E ci scommetteva che quel ragazzino avrebbe voluto qualcosa in cambio per averla salvata da un ritorno a Kensington Garden…
Lo guardò per l’ultima volta con la coda nell’occhio.
Però, doveva ammetterlo, aveva l’aria da bravo ragazzo…

Emma sbuffò, portandosi i libri al petto: la giornata pareva non dover finire mai.
Alla sua entrata in ritardo alla Serra si erano aggiunte l’atteggiamento insopportabile di Piton durante Pozioni e la noia mortale durante la lezione di Ruf.
Non era riuscita a ritrovare Neal nel baccano che era seguito all’uscita delle Case dalla Serra, ma in compenso si era dovuta sorbire un discorso di Anna che, cercando di essere cortese, aveva iniziato a parlare a freno libero di quanto fosse carino Neal, di quanto fosse stato carino a difenderla a quel modo e di quanto fosse stato carino lo sguardo che si erano lanciati durante la lezione (Emma non si chiese neppure come l’avesse notato) che la bambina aveva sentito solo a metà.
“Anche se non è di certo carino come quell’Hans…” aveva aggiunto poi lei, alzando gli occhi al cielo e diventando di un rosso porpora alquanto evidente.
Emma non si era neppure fermata a chiederle come diamine facesse a piacerle un ragazzo al quale neppure aveva rivolto la parola.
Il corridoio era alquanto affollato, il che le permetteva di scivolare silenziosa senza far nascere commenti sulle labbra di qualcuno. Era quasi costantemente additata, probabilmente per il suo caratteraccio e il suo comportamento sprezzante. O almeno credeva così.
Fortunatamente quella era l’ultima ora: Emma non desiderava altro che scaraventarsi sul letto e lì rimanere per tutta la notte e il giorno seguente, dormendo calma e senza sogni.
Gli studenti camminavano svelti, i libri al petto e le bacchette strette tra le mani. Dei tanti che le passarono accanto, Emma fu inspiegabilmente attratta da due studenti in particolare, che camminavano l’uno accanto all’altro: uno aveva stretta al collo la sciarpa coi colori dei Grifondoro, e al petto, all’altezza del cuore, c’era una spilla con su scritto “prefetto”. Il modo in cui l’aveva sistemata sembrava un goffo tentativo di nasconderla mal riuscito. Aveva capelli biondi chiari e occhi scuri, un naso lievemente adunco e orecchie talmente a sventola che le scappò una risatina.
Il ragazzo accanto a lui portava anch’egli la spilla con su scritto “prefetto” appuntata alla tunica, ma al contrario dell’altro non sembrava voler farla passare inosservata.
Solo dopo un’altra occhiata Emma capì perché avevano attirato la sua attenzione: il secondo ragazzo era il Corvonero dallo sguardo penetrante che aveva visto insieme alla professoressa Sprite. Era quasi assurdo vederlo parlare affabilmente con quel ragazzino dall’aria un po’ persa, quando poche ore prima l’avrebbe volentieri scambiato per un assassino a sangue freddo se non avesse saputo per certo che era uno studente della scuola.
I suoi piedi parvero portarla inevitabilmente davanti al duo: doveva fare due chiacchiere con quel tipo, non sapeva neppure perché.
Il ragazzo parve sorpreso di vedersela spuntare davanti, le gambe spalancate a bloccargli il passaggio, le braccia conserte e lo sguardo più truce che poteva assumere. Per un istante le parve quasi intimorito. Ma l’attimo successivo sembrava sul punto di riderle in faccia.
Certo, doveva apparire alquanto poco imperiosa con quella sua espressione da bambina e il corpicino esile, ma nonostante ciò Emma decise di ignorare la reazione ilare che aveva scatenato la sua apparizione in Holmes.
“Possiamo fare qualcosa per te, piccolina?” domandò il ragazzo accanto al Corvonero, con fare gentile.
Emma strinse denti e pugni e sibilò, decisa:
“Non chiamarmi ‘piccolina’”.
Il ragazzo parve quasi scottato dalla sua reazione, e borbottò un “Oh” semi dispiaciuto.
“Come siamo focosi, signorina Swan” commentò Holmes, fissandola ancora divertito. Avrebbe davvero voluto capire cosa ci trovava di tanto divertente in lei.
Il Grifondoro lo fissò un attimo stupito.
“Sherlock, conosci questa…”
“Tutto a posto John, amico mio” si affrettò a rassicurarlo il ragazzo, stringendo la spalla all’amico, che sembrava vagamente confuso. Emma continuava a guardarlo truce.
“Io e la signorina Swan abbiamo avuto una… Lezione comune, oggi” spiegò Sherlock, ritornando con lo sguardo su di lei.
La bambina chiese, più aspra che poteva:
“Cosa diamine avevi da fissarmi a quel modo?”
Sherlock rimase inebetito dalla domanda, poi la sua bocca si distese in un sorriso.
“Ora è vietato guardare le persone, signorina Swan?”
“Sì se lo sguardo che gli si rivolge sembra quello di uno stupratore”.
John divenne bianco al sentirle pronunciare quella parola, mentre a Sherlock scappò una risata trattenuta.
“Che linguaggio impertinente per una bambina, signorina Swan!”
Il Grifondoro, al contrario di lui, sembrava essere ancora sconcertato da quel suo vocabolario colorito. Fortunatamente non aveva usato alcune delle sue espressioni migliori.
“Spiegami che avevi da guardarmi a quel modo” ripeté Emma convinta, senza lasciarsi sviare da quell’interruzione.
Sherlock alzò le spalle, come fosse una cosa assolutamente infantile.
“Molto semplice, mia cara” spiegò, con una sicurezza calma e certa. “Ho prove a sufficienza per dimostrare che Cassidy stamattina non si è affatto fermato a parlare con te per chiederti gli appunti”.
John lo fissò un istante, come se già immaginasse la sua reazione, e stringendogli una spalla tentò un “Sherlock…” timido.
“Ah, davvero?” chiese Emma con arroganza. Voleva proprio vedere quali prove avrebbe cacciato fuori quel detective da strapazzo.
Sherlock non ebbe neppure bisogno di prendere fiato, prima di iniziare a parlare, senza mai concedersi una pausa e con una sicurezza assolutamente disarmante:
“Il caro signor Cassidy stamattina è andato alla Gufiera per spedire una lettera urgentemente, e questo è decisamente chiaro dal fatto che aveva varie graffi sulla mano, prodotti, come è deducibile dalla loro forma e dalla loro profondità, dal becco di un gufo.
Ora naturalmente lei potrebbe dirmi che potrebbe anche averglieli causati il suo gufo personale, ma questa tesi è subito fugata dal fatto chiaro e inequivocabile che Cassidy possiede un gatto di minuscola taglia. Come lo so? Cassidy presentava vari peli sulla gamba quando è entrato nella Serra, peli di gatto certamente, visto che qui non sono ammessi altri animali che possano rispondere a questi parametri. Inoltre il fatto che essi arrivassero poco sopra la caviglia mi lascia intendere che sia un gatto alquanto minuscolo, forse addirittura appena nato.
Dunque, come dicevo pocanzi, Cassidy si è diretto nella Gufiera stamattina, dopo aver scritto una lettera molto velocemente, tanto velocemente che si è rovesciato addirittura dell’inchiostro sulla mano, che poi ha tentato di ripulire alla bell’e meglio. La fretta l’ha anche portato a inciampare lungo le scale, come dimostra la veste strappata che esibiva stamattina e la maniera pietosa in cui zoppicava.
Ora, come lei sa di certo, il percorso che va dalla Gufaia alla Serra non segue affatto il percorso che si segue dal Dormitorio dei Tassorosso alla stessa, quindi il signor Cassidy non può averla incontrata e averle chiesto di prendergli degli appunti mentre già andava verso la Serra.”
Durante tutto il discorso, John era rimasto impassibile e lievemente stizzito, come se quella sfilza di informazioni lo innervosissero ma ci fosse ormai abituato. Emma, al contrario, era rimasta letteralmente a bocca aperta, e il Grifondoro la guardava con occhi condiscenti, come a provare compassione per lei.
Si chiese se il loro primo incontro fosse stato simile e se anche John fosse rimasto sconvolto dalle sue capacità. Lei di sicuro lo era stata.
Sherlock sorrise affabile, con quel sorriso che doveva sembrare dolce ma sembrava quasi malefico.
“E potrei continuare per ore, signorina Swan” commentò il Corvonero, alzando le spalle. “Il suo teatrino con Cassidy è stato assolutamente idiota”.
Emma richiuse la bocca e, dopo l’iniziale shock, trovò la forza di ribattere, piccata:
“Beh,  non sono di certo affari tuoi!”
“Certo che no” confermò Sherlock, sincero. “Ma i ritardi giovano ben poco sul rendimento scolastico”.
La sua voce divenne improvvisamente melliflua e quasi inquietante.
“I risultati si vedono tutti agli esami, signorina Swan” commentò il Corvonero, sicuro e tagliente come una lama di coltello. Stavolta Emma sostenne il suo sguardo tenendo il mento alto e gli occhi fissi sui suoi.
“E sono certo che non sarà un gran piacere venir bocciata da una delle Scuole di Magia più prestigiose del mondo”. A quel punto John sospirò, passandosi le mani sul viso.
“Questa potevi risparmiartela, Sherlock”.
“Era necessaria”.
“Non lo era affatto, ora l’hai spaventata a morte!”.
“Non c’è problema”, rispose Emma alzando le spalle con noncuranza. “Io non credo nella magia”.

Riuscì a trovare Neal solo il mattino seguente, al tavolo della colazione.
Il ragazzo era infilato tra due ragazzi dall’aria cordiale: uno di loro era grassottello e basso, con una forte “erre” moscia e l’aria da imbranato, l’altro era quel bambino col cognome strano che era stato Smistato con lei. Hiccup o una cosa simile, se non sbagliava.
Emma tentò di attirare la sua attenzione chiamandolo vanamente un paio di volte con degli “Pss!” poco circospetti, ma il ragazzo non parve accorgersi dei suoi richiami.
Allora, spazientita, iniziò a strappare lentamente il bordo della pagina del primo libro che le capitò a mano tra quelli che teneva sopra al tavolo.
Qualche istante dopo Neal fu colpito da una pallina di carta ben lanciata dalla bambina. D’istinto si girò immediatamente verso il tavolo dei Serpeverde, ma tutto sembrava anche troppo tranquillo. Con la coda nell’occhio Emma notò Jack giocherellare davanti ai suoi compagni con un fiocco di neve, mentre i più piccoli esplodevano in esclamazioni di “Ooooh” e “Aaaah”.
Il Tassorosso grassottello accanto a Neal, accortosi dello spettacolo, spalancò occhi e bocca guardandolo con aria strabiliata. Un Serpeverde dai capelli biondi scuri a coprirgli gli occhi abbelliti da un paio di occhialoni rotondi gli urlò, abbastanza forte da essere udito da tutta la Sala:
“Ehi Verne, per i non residenti c’è la tassa da pagare!”
Emma riuscì ad attirare l’attenzione di Neal e, quando lui la vede, sembrò illuminarsi: la salutò allegramente con la mano e sorrise con tanta letizia che per un istante Emma fu sicura di essere diventata rossa.
“Ehi, Emma!” esclamò, come se la conoscesse da sempre.
La bambina aveva tante di quelle cose da chiedergli, ma decise di partire dalla più semplice.
“Come sai il mio nome?” domandò, tentando di non alzare troppo la voce: il tavolo era sì immerso nel brusio degli studenti, ma era comunque imbarazzante il volume con cui Neal aveva parlato.
“L’ho sentito allo Smistamento!” spiegò lui, come fosse una cosa ovvia.
Emma alzò un angolo della bocca, insoddisfatta.
“Così ricordi il nome di ogni studente Smistato quest’anno o cosa?”
Per un istante pensò che probabilmente, se si fosse trattato di Sherlock, gli avrebbe risposto di sì.
Neal ridacchiò e disse, in tono innocente e quasi imbarazzato:
“No, ma tu mi seri rimasta impressa!”.
Emma rimase un istante a considerare quell’affermazione.
Gli era rimasta impressa… Doveva prenderlo come un complimento? Insomma, cosa c’era di tanto memorabile in lei? Cosa tanto grandioso da farla ricordare, tra mille facce, a uno studente?
Pensò che non approfondire sarebbe stato certamente migliore.
“Come mai mi hai aiutato, l’altro giorno, alla Serra?”. Stavolta la sua voce fu poco più che un sussurro, perché aveva notato, dall’altra parte della stanza, la figura della Sprite.
Il ragazzo, sporgendosi verso di lei, spiegò, come fosse naturale:
“Beh, ti ho visto in difficoltà e non volevo che passassi dei guai seri, ecco tutto”. Il suo tono la lasciò interdetta: Neal non le stava raccontando bugie e non stava improvvisando, né gli stava chiedendo un favore in cambio di ciò che aveva fatto per lei. Semplicemente, l’aveva fatto perché voleva. Senza neppure conoscerla bene e senza pretendere nulla in cambio. L’aveva aiutata perché gli sembrava la cosa giusta da fare.
Sembrava un concetto talmente astratto per Emma…
La sua espressione doveva essere davvero stupida, perché Neal le sorrise amichevole e, come se si sentisse in dovere di spiegare aggiunse:
“Non mi piace che le persone se la passino male”.
E detto questo, le fece l’occhiolino.
Emma rimase a guardarlo per un istante, cercando qualche segno che potesse rivelarle il suo giochetto. Ma il suo volto non mentiva, e nulla era più vero, da quando era nata, di quel sorriso e di quella risposta sicura che le aveva dato: Neal l’aveva fatto solo per aiutarla. Neal non chiedeva nulla in cambio.
Alla fine, si concesse di alzare un angolo della bocca. E questo parve bastare ai due per capire che erano appena diventati amici.


Note d'autrice:
Il rimanere nel limite di 4750 parole mi è costato sacrificare molte parti di questa prima parte della storia per il secondo turno: ho dovuto tagliare un pezzo, nella Serra, in cui Emma vedeva Belle, un'altra con alcuni approfondimenti sulla storia di Jack (ve la scrivo qui nel caso non riuscissi mai a inserirla: si è appena trasferito dall'Irlanda e, non avendo mai frequentato una scuola di magia, naturalmente gli tocca iniziare tutto dal primo anno anche se ha quattordici\quindici anni. In un'altra parte si vedeva Anna seduta accanto a Emma al tavolo dei Tassorosso. Poi c'era un'altra in cui Emma riconsiderava l'utilità della bacchetta e l'effetto rassenerante che aveva su lei. E altre cose.
Ora: alcuni termini sono volutamente volgari essendo oramai nel dizionario personale di Emma, e sono ripetute apposta.
Ora passiamo alla parte non tecnica: in questo capitolo sono apparsi Neal, John e Sherlock. Questi ultimi provengono non dalla serie classica di libri, ma dalla serie tv della BBC "Sherlock", di cui ho visto due puntate. Inutile dirlo, l'ho amato. Torneranno mai? E chi lo sa. Però questa apparizione "omaggio" volevo fargliela avere. Mi sono letteralmente scervellata per il discorso di Sherlock, perchè trovasse delle "prove" plausibili, e non so dunque se davvero la Guferia e il Dormitorio di Tassorosso abbiano percorsi diversi per portare alla Serra. Questo è comunque il meglio che ho trovato. Poi naturalmente il VERO Sherlock avrebbe fatto molto meglio.
Inoltre appaiono anche due personaggi che molti di voi non conosceranno, ovvero Teddy Duchamp e Verne Tessio del film del 1986 "Stand by me" (ne approfitto per fargli pubblicità: guardatelo, è uno dei miei film preferiti). Bene, io ho questo headcanon in testa in cui ognuno di loro è una Casa di Hogwarts: Chris è Grifondoro, Gordie Corvonero, Teddy Serpeverde e Verne Tassorosso. E SENTIVO di doverli inserire, perché li adoro, e adoro tutto il loro mondo e il film. E adoro il legame di amicizia tra Chris e Gordie. E' una delle cose più "vere" che io abbia mai visto in un film. R.I.P. River Phoenix, a proposito.
Forse già dal prossimo capitolo appariranno anche Chris e Gordie, ma di sicuro prima o poi la banda sarà al completo. Citerò mai la famosa ricerca de cadavere del film? Beh... Perché no.
Devo dire che questo turno mi sta distruggendo: non solo devo trovare a Emma due amici (il primo è Neal, appunto, qui in versione più "Baelfire"), ma devo anche farli unire da una sfida e poi presentare un cattivo che "tenti" Emma. Mi ci vorranno almeno due capitoli e ho ancora due giorni prima di partire per la Puglia. Ma spero di farcela, anche perché mi ci sto mettendo molto.
Provate a indovinare chi sarà il terzo componente del trio...
Mi pare di aver detto tutto, comunque. Spero di aver reso IC i nuovi personaggi e non avervi fatto annoiare. Alla prossima! (che sarà molto presto, se la fortuna mi assisterà)

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: TheHeartIsALonelyHunter