Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: Il Saggio Trentstiel    05/07/2014    3 recensioni
Levò lo sguardo al cielo e le stelle, da pallide lucciole aggrappate a un manto nero, sembrarono ingrandirsi sempre di più. Divennero abbaglianti, lingue di fuoco candide come la neve e calde come il sole. Urlarono, assordandolo, costringendolo a chiudere gli occhi e a coprirsi le orecchie con le mani.
Era inutile. Il lucore violento delle stelle trapassava le sue palpebre, le loro urla di terrore ferivano le sue orecchie. Le sentiva, le
vedeva.
[Post finale dell'ottava stagione]
Castiel, i suoi incubi notturni causati dal senso di colpa, e una tempesta di dolore che non accenna a sparire.
Se sono le stelle la causa degli incubi, potranno essere proprio le stelle – due stelle – a risolverli?
[Storia classificatasi sesta ex aequo al "10 Songs Contest" indetto da Frandra sul forum di Efp.]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Il Saggio Trent (Efp) / Total_Drama (Forum)
Titolo: Echi distanti di dolorose tempeste
Fandom: Supernatural
Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Coppia: Dean/Castiel
Rating: Giallo
Generi: Malinconico, Sentimentale
Avvertimenti: ///
Canzone utilizzata: “What if this storm ends?” - Snow Patrol
Introduzione: Levò lo sguardo al cielo e le stelle, da pallide lucciole aggrappate a un manto nero, sembrarono ingrandirsi sempre di più. Divennero abbaglianti, lingue di fuoco candide come la neve e calde come il sole. Urlarono, assordandolo, costringendolo a chiudere gli occhi e a coprirsi le orecchie con le mani.
Era inutile. Il lucore violento delle stelle trapassava le sue palpebre, le loro urla di terrore ferivano le sue orecchie. Le sentiva, le vedeva.
[Post finale dell'ottava stagione]
Castiel, i suoi incubi notturni causati dal senso di colpa, e una tempesta di dolore che non accenna a sparire.
Se sono le stelle la causa degli incubi, potranno essere proprio le stelle – due stelle – a risolverli?
NdA: La prima parte della narrazione è volutamente più “caotica” e spezzettata proprio per tentare di rendere l'atmosfera onirica.
L'asterisco accanto ad alcune frasi le identifica come parti del testo della canzone, tradotte e, ove necessario, reinterpretate.


















What if the storm ends?
And leaves us nothing,
except the memory,

a distant echo
I won’t pin down.


















Non sapeva come fosse finito lì, di nuovo.
Quel luogo gli appariva del tutto sconosciuto eppure, si rese conto con un fremito, allo stesso tempo dolorosamente familiare. Ogni filo d'erba, ogni refolo di fredda aria notturna, ogni stella ammiccante nel cielo avevano un profumo noto. Il vento che spirava senza sosta pareva sussurrargli “Ti conosco, ti conosciamo” facendolo rabbrividire e costringendolo a guardarsi attorno.
Nessuno. Nessuno a parte lui.
L'oscurità era pesante e opprimente come una coperta di lana grezza: sentiva le braccia nude prudergli e formicolargli nonostante il freddo sempre più forte. Era nudo, era solo. Lui, il vento, la notte.
Levò lo sguardo al cielo e le stelle, da pallide lucciole aggrappate a un manto nero, sembrarono ingrandirsi sempre di più. Divennero abbaglianti, lingue di fuoco candide come la neve e calde come il sole. Urlarono, assordandolo, costringendolo a chiudere gli occhi e a coprirsi le orecchie con le mani.
Era inutile. Il lucore violento delle stelle trapassava le sue palpebre, le loro urla di terrore ferivano le sue orecchie. Le sentiva, le vedeva.
Tutt'attorno a lui il manto della notte venne squarciato da strie di fiamme. Il silenzio si trasformò in una terribile orchestra di grida, pianti e tonfi. La terra prese a tremare sempre di più.
Le gambe non riuscirono più a sostenerlo e lui cadde, cadde come le stelle, ferendosi le ginocchia e sporcandosi di fango e lacrime. E sangue. Scorreva copioso annegando gli esili fili d'erba, tingendo il prato di rosso come in una crudele reminiscenza della prima piaga d'Egitto.
La pioggia di fuoco e dolore continuò, incurante di quella figura nuda e patetica prostrata in un prato dall'odore del ferro. Vennero poi le piume, manciate e manciate di piume nere come l'onice e brucianti come braci, scintille di potere che di lì a breve furono nient'altro che cenere sulla sua schiena nuda. Un'altra crudele allegoria.
Le lacrime gli annebbiavano la vista, il suono rauco dei suoi singhiozzi soffocati gli tormentava le orecchie. Non si accorse che, così com'era giunta, la tempesta era passata.
Nascose il volto tra le mani, le mani sporche di terra e di sangue non suo, le mani tremanti che sapevano solo uccidere e procurare dolore.
Passi tutt'attorno a lui, gemiti soffocati, lamenti. Una voce più alta delle altre si levò, sferzante come una frusta di rovi.
«Eccolo, il traditore!».
Sobbalzò ma non allontanò le mani dal volto. Era troppo grande la vergogna, troppo forte il senso di colpa, troppo umano tutto ciò che provava.
«Assassino!».
«Mostro!».
Ogni insulto – verità – lo scuoteva come se le parole potessero prenderlo a calci e pugni. Ogni lamento era come urlato dinanzi al suo volto.
I volti, le espressioni. Teneva gli occhi serrati dietro le mani, come se potesse proteggersi dalla tempesta che stava ricominciando, eppure... Eppure vedeva tutto. A ogni volto sapeva associare un nome, a ogni ferita sanguinante un ricordo. A ogni cadavere immobile e spezzato, una patetica lacrima.
«Siamo morti a causa tua, Castiel!».
«Castiel!».
«Castiel!».




























«Cas? Castiel? Cazzo, svegliati!».
Spalancò gli occhi di colpo, le ciglia umide di lacrime così appesantite dal dolore da non poter scivolare via. Sopra di lui c'era un soffitto grigio e anonimo, sotto di lui delle lenzuola madide di sudore. Niente cielo, niente prato, niente stelle. A parte le stelle verdi che erano gli occhi di Dean.
Si impose di respirare normalmente con l'unico risultato di ritrovarsi ansimante come se avesse compiuto chissà quale sforzo fisico: Dean gli passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e sui capelli, utilizzando una delicatezza per lui inusitata.
Quel contatto agì come un calmante su Castiel, fu un balsamo benefico che riuscì a rallentare il battito forsennato del suo cuore e a calmargli il respiro.
«Va meglio?».
Castiel lo osservò con cura quasi morbosa. L'aura di capelli che, alla luce fioca della abat-jour, sembravano dorati; gli occhi vigili, così luminosi da sembrare percorsi da saette lucenti; le piccole rughe agli angoli degli occhi e delle labbra, unico segno di stanchezza da parte di colui che quotidianamente impediva al mondo di compiere la sua ultima danza.*
Avrebbe voluto sorridere, rassicurarlo in qualsiasi modo, ma si sentiva come svuotato. Annuì appena, gli occhi azzurri incapaci di allontanarsi dal volto di Dean, il suo appiglio nella tempesta.
Sentì una mano cercare la sua e stringerla con forza: restituì debolmente la stretta e tentò di mettersi a sedere solo per essere risospinto verso il basso.
«Dean...» sussurrò prima che l'altro gli si avvicinasse e tornasse a stenderglisi accanto, le loro mani ancora intrecciate.
«Hai avuto un incubo» asserì il cacciatore, sollevando appena il busto e puntellandosi con il gomito «Un incubo bello forte a giudicare da come ti lamentavi».
Castiel rimase in silenzio e distolse lo sguardo: allungò una mano e accarezzò il petto nudo di Dean, tracciando i contorni del tatuaggio con un dito e cercando di concentrarsi unicamente su quel gesto.
Inutile, tutto inutile. Non richieste, non desiderate, le immagini dell'incubo a cui era appena uscito si ripresentarono vivide davanti ai suoi occhi.
Tempesta. Sangue. Traditore. Assassino.
«Ehi!».
Scosse appena il capo e trovò Dean più preoccupato e fisicamente vicino di prima. A giudicare dal suo sguardo doveva essersi estraniato, oppure...
La mano di Dean abbandonò la sua e gli si avvicinò al volto, accarezzandolo e facendo sì che un irragionevole tepore lo invadesse. Fu solo un istante, poi realizzò che le sue gote erano umide.
«Stavi piangendo. Di nuovo».
Il tono di Dean non era di rimprovero ma Castiel dovette percepirlo come tale perché abbassò lo sguardo e sottrasse il volto al suo tocco.
Ancora non riusciva a parlare. Da quando si era svegliato, l'unica parola che era riuscito a enunciare era stato quel “Dean” appena mormorato. Quel nome voleva dire tutto per lui, eppure in quel momento l'incubo era ancora troppo vivido e forte perché la sua mente potesse allontanarsene.
Dean scalciò via il lenzuolo e si levò rapidamente in piedi, gli occhi fiammeggianti. Indossò i boxer che la sera prima aveva lanciato sul pavimento e cominciò ad allontanarsi a grandi passi verso la porta della stanza, infuriato con Castiel, con i suoi incubi e col mondo intero.
«Ho sognato la Caduta».
All'udire quella voce si fermò di colpo, la mano sospesa nell'aria in procinto di raggiungere la maniglia. Non si voltò né disse alcunché, ma la sua immobilità fu sufficiente per Castiel.
«Era una tempesta di fuoco e urla. I miei fratelli e sorelle... Le loro ali bruciavano, loro precipitavano e soffrivano,» proseguì, gli occhi puntati sulla schiena di Dean «soffrivano a causa mia».
Ebbe solo un breve preavviso prima che Dean – letteralmente – si lanciasse sul letto e lo afferrasse per le spalle, strappandogli un singulto di dolore e piazzandogli il volto a pochi centimetri dal suo.
«Non osare...» sibilò «Non osare più dire che tutto è accaduto a causa tua! La colpa è di quel pezzo di merda di Metatron, tu non c'entri niente!».
Castiel scosse il capo e tentò di liberarsi dalla presa ferrea dell'altro: constatata l'inutilità dei suo sforzi, rimase fermo dov'era.
«Non capisci, Dean. Sono stato io a creare le condizioni ottimali perché il piano di Metatron andasse a buon fine,» replicò convinto «io a uccidere migliaia dei miei fratelli e sorelle. Di nuovo».
Sentì le mani di Dean stringere ancora di più le sue spalle ma non si lamentò né provò a sottrarsi a quel violento contatto. Sentiva di meritarsi quel dolore e la rabbia dell'altro. Non poté tuttavia evitare di pensare che, anche con la bocca contorta in un ringhio silenzioso e gli occhi accesi dall'ira, fosse sempre bellissimo. Spaventoso e bellissimo. Per la prima volta Castiel capì come doveva sentirsi una creatura braccata da Dean Winchester.
«Sei tu a non capire un cazzo!» esplose infine lui «Le mani sporche di sangue sono quelle di Metatron, sarà lui che verrà spedito a calci in culo fuori da quel suo tramite decrepito! Cas,» proseguì incurante del fatto che Sam, pur a diverse camere di distanza, avrebbe potuto udirlo «tu non sei in grado di far soffrire nessuno!».
«Ho fatto soffrire te.» dichiarò lui nell'immediato. Quelle poche parole sembrarono tranquillizzare Dean o, perlomeno, togliergli il desiderio di infierire fisicamente su Castiel: allentò la presa sulle spalle dell'ex Angelo e finì ad appoggiare la fronte sul suo petto magro.
Chiuse gli occhi e per un po' stette ad ascoltare il suo respiro irregolare, sentendosi sempre più inadatto al ruolo di consolatore.
Castiel, dal canto suo, si ritrovò a stringere a sé un Dean praticamente esausto e che, per l'ennesima volta, soffriva a causa sua. Non disse nulla, tuttavia, lasciando una serie di baci leggeri tra i suoi capelli.
«Abbiamo affrontato tempeste peggiori».
Le parole soffocate di Dean, che aveva ancora il volto affondato sul suo corpo, lo riscossero.
«Cazzo, abbiamo sconfitto l'Apocalisse, Lucifero e chissà quanta altra roba!».
Annuì meccanicamente ricominciando a baciare il capo di Dean. Era vero, era accaduto... Quando? Mesi, anni, secoli prima?
Il tempo per Castiel non aveva mai significato molto e in quel momento aveva ancora meno senso.
Avvertì una lieve pressione sulle spalle ancora doloranti quando Dean si raddrizzò e lo guardò dritto negli occhi.
«Riusciremo a gestire anche questa, Cas».
L'ex Angelo deglutì a vuoto. Avrebbe voluto credergli, tranquillizzarlo e finire a fare l'amore come se ne andasse delle loro vite, dimenticandosi della sofferenza, di Metatron, della tempesta.
«Non ne sono sicuro» fu quel che disse invece, laconico e triste. Non poteva illudere Dean, non poteva e non voleva.
Sostenne il suo sguardo inquisitorio per qualche secondo, poi gli si fece più vicino e gli lasciò un bacio a fior di labbra, poi un altro e un altro ancora.
«Se e quando questa tempesta passerà,» proseguì mentre Dean cominciava a baciargli il collo in maniera decisamente meno casta «chi ci assicura che saremo gli stessi? Che io sarò lo stesso?».*
Il cacciatore interruppe i suoi baci e, afferrato delicatamente Castiel per il mento, lo costrinse a fissarlo.
«Non ho intenzione di cambiare,» dichiarò «e tu sarai sempre lo stesso Cas».
Non sarebbe andata così, Castiel lo sentiva. Lo sapeva. Dean non ne aveva idea. Avrebbe dovuto dirglielo?
«Sarò al tuo fianco» promise invece «Tu sarai il fulmine dentro di me che colpisce incessante».
A queste parole mormorate con voce bassa e seducente, Dean inarcò le sopracciglia ma, ormai eccitato, mosse una mano a tormentare l'erezione sempre più evidente di Castiel.
«E dove l'avresti sentita questa?» mugugnò cominciando a muovere più velocemente la mano che stava procurando piacere all'altro: Castiel gemette e, tra un sospiro e l'altro, abbozzò un sorriso.
«In una di quelle canzoni che detesti».
Fecero l'amore fino alle prime luci del giorno e, appagati, tornarono a distendersi l'uno accanto all'altro.
Dean si assopì dopo qualche minuto, Castiel rimase sveglio a osservarlo con intensità, come era solito fare chissà quanto tempo – secoli? – prima.
Osservò la sua espressione stranamente serena, le lunghe ciglia che a volte, quando si baciavano, gli solleticavano il volto, le efelidi leggere che sembravano voler donare a quel viso un'innocenza infantile persa da troppi anni, forse mai avuta.
Si avvicinò a lui finché le punte dei loro nasi non si toccarono e, preso un bel respiro, pose quella domanda che continuava a tormentare la sua mente come un ago incandescente.
«E se questa tempesta non finisse?».
Dean si mosse appena nel sonno, sfiorando i piedi di Castiel con i propri.
«Hmmtiamo...» bofonchiò. La tempesta era sempre lì e loro si trovavano proprio nel centro, ma per il momento sembravano essersi allontanati.
Castiel non aveva risposte certe alle sue domande e forse non ne avrebbe avute per molto tempo ancora. Quella di Dean, però, era ciò di cui aveva bisogno, almeno per quel giorno.
Riuscì a sorridere, gli echi della tempesta relegati in un angolo della sua mente, ora occupata interamente da Dean, la sua ancora. Chiuse gli occhi, e si addormentò all'istante.
Sognò di nuovo delle stelle ma, seppure al risveglio non lo rammentò, quelle stelle erano gli occhi luminosi di Dean.


















Just for a minute the silver-forked sky
lifts you up like a star that I will follow
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Il Saggio Trentstiel