Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
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Autore: feli_007    05/07/2014    5 recensioni
//”Tu sei speciale, tesoro. Sei nato così per poter ascoltare meglio tutte le frasi del mondo, tutti i racconti senza voce nascosti nelle piante e nei pesci, sulla sabbia o sugli alberi”//
Un ragazzo dal cuore di pietra ritorna ad Heartland, dopo aver passato anni e anni lontano da quella città che, secondo lui, malediceva la sua vita. Accompagnato solo da dolorosi ricordi, inizia a vivere come un normalissimo ragazzo, diventando amico di un ragazzino strampalato di nome Yuma Tskumo. Tuttavia, la sua vita non è mai facile: un incubo (o forse un sogno…?) lo perseguita e continua a rimbombargli nella mente e, soprattutto, nel cuore. Un’oscura figura che occupa la mente del sedicenne, affossando in lui i ricordi e l’intera sua esistenza.
Genere: Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yuma/Yuma
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Luxor si era addormentato con la schiena poggiata contro la porta della sua camera, ancora chiusa a chiave, la camicia e i jeans blu stropicciati ancora indosso e il coltello insanguinato tra le mani. “Eppure ero sicuro di averlo lanciato lontano da qui…perché è di nuovo tra le mie mani? Mi perseguita…si, mi perseguita, questo stupido coltello…”
Aveva passato una notte orribile, tra incubi e ricordi del suo passato. Probabilmente aveva anche urlato. Sospirò tremante. –Hai passato…sei anni della tua dannatissima vita…tentando di dimenticare…adesso però, Luxor, ricorda. Ricorda tutto, Luxor, ogni singolo particolare del tuo passato. Non tralasciare nessun dettaglio. Nessun particolare. Ricorda tutto, Luxor.
Non. Scordare. Più. Niente.-

Luxor afferrò carta e penna. Si sedette alla scrivania e iniziò a scrivere di getto, prima che i particolari gli sfuggissero di mente. E iniziò a mettere per iscritto ogni singolo dettaglio della sua vita. Non doveva più dimenticare .
Sono pazzo, mamma, lo so. È una lettera per il Paradiso, questa. Perché tu sei lassù in Paradiso, vero? Ho provato a dimenticare tutto, ma non ne sono capace. Così…ho pensato che rivolgermi a te è stata la cosa migliore. Tu sei così saggia. Ti scrivo questa lettera…così saprai aiutarmi. Anche se, in fondo, so che non riceverò alcuna risposta. Scrivendo tutto questo, forse, non dimenticherò più niente e sarò finalmente libero. Libero da tutto.
“Non mi risponderai, io lo so…ma devo sfogarmi e tu sei sempre stata il mio mito, il mio idolo. E gli idoli non deludono mai i propri fan, vero? Tu non mi deluderai e di questo sono certo.”
Continuava a muovere la penna nel sul foglio, riempiendolo di ogni aneddoto della sua vita.

Ti voglio bene, mamma. Non mi abbandonare mai.- disse Luxor, abbracciando la madre. Lei lo accarezzò dolcemente, scompigliandogli i capelli castani. -Ci sarò sempre per te, Luxy. Ricordalo: non ti lascerò mai.
“E invece mi hai abbandonato…ti ricordi? Eri nella polizia, io lo ricordo bene, anche se ho tentato di dimenticare. Stavi tentando di sventare una rapina, con altri due agenti. Era il tuo lavoro, il vostro lavoro. Ma i rapinatori erano armati. E tu ti eri avvicinata troppo. Un colpo solo ed eri a terra. Hanno fatto di tutto. Ma era una ferita mortale. E sai cosa  mi diedero, per colmare il vuoto della tua perdita? Una stupida medaglia d’oro. La conservo ancora, sai, mamma? E mi ricorda che sei morta per una buona causa. Forse non era così stupida, dopotutto.”

-Piccolo…io mi chiamo Daphne. Ti abbiamo adottato, così non sarai più solo.- Luxor guardò la donna dai caldi occhi castani davanti a lui.
-Cosa vuol dire ‘adottato’?- domandò titubante il bambino. Daphne sorrise, tentando di infondere coraggio nel cuore del piccolo.
-Vuol dire che…io sono la tua nuova mamma.- spiegò la donna, accarezzando lievemente la testa del bimbo. Lui strinse forte la medaglia d’oro che gli era stata data in memoria della sua vera madre. L’aveva conservata nella tasca destra del suo giubbottino grigio.
-Io non voglio un’altra mamma. Non ho bisogno di una nuova mamma. La mia unica mamma…è andata in cielo.- aveva affermato con sicurezza, lasciando sorpresa Daphne.

“La mia unica mamma sei tu. E lo sarai sempre. Daphne mi ha sempre riservato l’affetto di una vera madre ma…non sono mai riuscito a chiamarla mamma. Nonostante lei mi chiamasse ‘figlio’, io non potevo chiamarla ‘mamma’. Chissà, forse ti saresti sentita…abbandonata? Se avessi chiamato qualche altra donna ‘mamma’, tu ti saresti arrabbiata?

-Nikandros, lui è…- iniziò Daphne. Il marito, però, la zittì con un cenno seccato della mano.
-Taci, sono molto occupato!- esclamò, non degnandola di un’occhiata. Il piccolo Luxor storse il naso, non apprezzando il comportamento del suo…nuovo ‘Papà’. Daphne posò la mano sulla spalla del bambino.
-È solo molto preso dal lavoro da scienziato…stai tranquillo, è felice di accoglierti nella nostra famiglia.-
“Ma Nikandros non mi voleva bene, mamma. Non me ne ha mai voluto. Un giorno rovesciò, per sbaglio, una provetta di mercurio. Io ne ingoia qualche goccia. Daphne era terrorizzata, pensava che mi sarebbe successo chissà cosa. E invece io ero sano e salvo. Nikandros ne rimase talmente stupito, che da allora iniziò a farmi esperimenti su esperimenti, tenendomi sveglio anche intere notti e iniettandomi qualsiasi di tipo materiale dannoso per l’uomo. Dopo diversi mesi di esami e analisi, scoprì che il mio sangue era anomalo. Disse anche che il mio DNA era solo al 50% umano, che l’altro 50% apparteneva a chissà quale razza aliena. E questo lo metteva in paranoia”.

-Ti rendi conto, Daphne? Abbiamo scoperto un ragazzino per metà umano, la cui altra metà appartiene ad una razza sconosciuta. Con questo potremo diventare famosi e ricchi e…-
-No.- lo interruppe Daphne, incrociando le braccia al petto, contrariata.
-Cosa vuol dire ‘no’?- domandò stupito Nikandros. –Hai idea della sciocchezza che hai appena detto? Tu non vuoi rendere pubblica una scoperta del genere?!- continuò, tra lo scioccato e l’irritato.
-Luxor non vuole. Non vuole diventare un fenomeno da baraccone alla mercé degli scienziati. Lui vuole solo una famiglia che gli voglia bene.- spiegò Daphne.
-Non mi interessa cosa vuole quel moccioso! Io ho intenzione di dirlo a tutti e…-
-NO!-  urlò Luxor, che da dietro la porta della camera dei due aveva capito, almeno in parte, il discorso dei genitori adottivi.
-Non voglio diventare oggetto di studio solo perché…sono speciale. E se questo argomento verrà toccato ancora una volta, giuro che scappo di casa!- gridò il bambino, correndo poi a chiudersi in camera sua.
Daphne guardò irata il marito, che rispose con una delle sue migliori occhiatacce.

“Non sono mai scappato di casa, perché, infondo sapevo che Daphne mi voleva bene. Ed era lei che mi consolava quando piangevo. Era lei che mi cullava quando non riuscivo a dormire. Era lei ad opporsi ai desideri del marito per salvaguardare la mia identità. Ma, alla fine, mi tradì anche lei.
Da qualche giorno, Nikandros era diventato più gentile nei miei confronti. Speravo si fosse tolto l’idea di rendere pubblica la mia…’scoperta’. Aveva iniziato a inscatolare tutti i registri che mi riguardavano e tutti i risultati dei miei esperimenti. Ma poi quella telefonata rovinò tutto.”

-Certo, potrai vederlo presto. Si. Ci vediamo fra cinque minuti. Ti aspettiamo.- disse Nikandros, concludendo la lunga telefonata. Si guardò intorno. Tutti i registri e le foto erano chiusi negli scatoloni di cartone. Erano pronti.
-Tra qualche minuto sarà qui.- annunciò l’uomo alla moglie. Daphne lo guardò sorridente. –Il piccolo ne resterà sorpreso.- esclamò.
-Abbiamo fatto la scelta migliore. Per lui…e soprattutto per noi.-
Luxor non aveva capito, a causa della sua sordità, tutto il discorso fatto dai genitori adottivi al telefono. E pensava che quell’uomo fosse qualche scienziato venuto a vederlo. Immaginava che Daphne fosse d’accordo col marito, perché non aveva opposto resistenza. E Luxor si sentì tradito.

“Presi quel grande coltello che tenevano nascosto in cucina. Lo nascosi dietro la mia schiena e mi avvicinai a loro. Daphne mi venne incontro, sorridendo, stava per aprire bocca per dirmi qualcosa. Ma ciò che aveva da dire non fu mai proferito.
Una coltellata dritta al cuore. Cadde a terra senza fiatare. E Nikandros fece la stessa fine. Se la mia idea iniziale era ucciderli, distruggere tutte le prove e i test su di me e poi scappare…cambiai idea molto in fretta. Non so perché, ma provai l’impulso di…di far loro ancora del male. Sentivo il desiderio di deturpare così tanto i loro volti da renderli irriconoscibili; di farli in pezzi così piccoli che ci sarebbero voluti anni solo per capire la differenza fra una parte di cuore e quella di un rene…
Mamma, se il solo mio pensiero ti può far rabbrividire, prova a pensare quando quel desiderio si è tramutato in realtà. Perché si, deturpai i loro volti al punto di renderli irriconoscibili e distrussi i loro cadaveri in pezzi così piccoli da poter sembrare dei puzzle.
E scappai lontano, nascondendo le prove: il coltello, i miei occhiali e il mio pigiama azzurro macchiati di sangue. Se penso alla faccia dell’uomo con cui Nikandros e Daphne stavano parlando cinque minuti prima, che entrava e trovava quello spettacolo…mi viene da ridere.
Si, mi viene da ridere!  E sto ridendo anche adesso che ci penso. Sto ridendo perché ancora oggi, nessuno è riuscito a ricomporre i cadaveri.”

La calligrafia di Luxor si faceva tremante, per le risate sadiche che continuavano ad uscire dalla sua bocca.
“Sai, mamma. Dopo essere fuggito venni accolto in casa da un’anziana e ricca donna di nome Keiko. Mi ha cresciuto fino all’anno scorso, data in cui è morta. Ma non l’ho uccisa io, mamma. Anche se il pensiero di farlo, ogni tanto, mi aveva sfiorato la mente. Oggi vivo con Caleb, l’unica figlia di Keiko, e condivido con lei e la servitù l’enorme villa. 
Sei fiera di me, mamma?”

Luxor non riusciva più a scrivere. Era stesso a terra, battendo i pugni contro il pavimento e rotolandosi come un dannato. Per le risate.
-Sei fiera di me, mamma?!- urlò il ragazzo, mentre quell’inquietante risata maniaca usciva dalla sua bocca senza freno.
La sveglia, in quel momento, suonò le sette precise. Ma neanche quel trillo acuto riusciva a coprire le folli risate di Luxor.
 

 

***

“Perché Luxor non è venuto a scuola?! Significa che dovrò passare sei ore da sola?!” pensò Elanna, non vedendo arrivare il suo amico.
“Spero abbia una buona motivazione, per quest’assenza!”
Il preside aveva chiamato gli studenti di tutte le classi, perché doveva dare un annuncio importante. Molto importante. E l’Auditorium era pieno a scoppiare. Si riunivano sempre lì, quando il preside doveva comunicare qualcosa.
Elanna era seduta su una delle sedie dell’ Auditorium, con gli auricolari nelle orecchie e la musica al massimo. Si stava annoiando tantissimo, senza Luxor. Non sapeva per quale motivo, ma il suo amico si era assentato. E dire che lui sembrava tutto tranne il ragazzo che saltava un giorno di lezione! Aveva anche tentato di chiamarlo, ma inutilmente.
 “Forse sta male…ma Rei mi ha detto che ieri era sano come un pesce. Bah…” aveva pensato Elanna, mentre selezionava la canzone da ascoltare.
Dopo qualche minuto, aveva perso la percezione della realtà, ritrovandosi immersa nelle note della melodia.
Stava sentendo la canzone di un certo…Eugenio Bennato. ‘Ritmo di Contrabbando’.
Non era la prima volta che l’ascoltava, le piaceva, nonostante non capisse niente di quello che si cantava. La lingua era un misto tra italiano e vari dialetti meridionali. O almeno, così le era sembrato di capire. Aveva un ritmo coinvolgente e bello da sentire. Dopo aver cercato su Internet aveva scoperto che quel genere di musica si chiamava ‘Tarantella’ e che era un ballo popolare nato in Puglia, una regione d’Italia.
Senza rendersene conto, aveva iniziato a cantare sottovoce alcune strofe della canzone.
-…Quando sona la tammorra
è il mio sud che sta partendo
come parte Don Chisciotte
contro i mulini a vento…-

Rei la distrasse da quella canzone così bella quanto complicata, strappandole l’auricolare sinistro.
-Ehy, ma che fai?! Non vedi che sto ascoltando…?- esclamò la ragazza, sgranando gli occhi blu elettrico e guardandolo leggermente irritata.
-Ascolta! È importante quello che sta dicendo il preside.- rispose Rei. Elanna sbuffò, togliendo anche l’altro auricolare  e infilando tutto in tasca.

-…Mezzo secolo di vita per una scuola non è tanto, ma neanche poco. Nelle aule che oggi occupate voi hanno studiato altre generazione di ragazzi e hanno insegnato professori che oggi, sfortunatamente, non ci sono più…-
Stava dicendo il preside, ma Elanna non aveva sentito il discorso dall’inizio e non riusciva a capire il senso logico di quanto si stava dicendo.
Si avvicinò a Tori, che sedeva alla sua destra, e le chiese sottovoce.
-Ma di cosa diamine sta parlando, quello?!- domandò confusa. Tori ridacchiò, avvicinandosi a sua volta all’amica.
-La scuola compie cinquant’anni e il preside a in mente di organizzare una festa in maschera per studenti e insegnanti.-
-Una festa in maschera? Dici sul serio?- chiese Elanna, mentre Tori annuiva energicamente e tornava a concentrarsi sul discorso del dirigente scolastico. Elanna fece lo stesso, nonostante la voce strascicata di quell’uomo l’avrebbe fatta addormentare da un momento all’altro.

Il discorso era terminato qualcosa tipo un’ora dopo. La nota positiva:
Aveva saltato la lezione di matematica. Il lato negativo:
Yuma era stato costretto a portarla di peso fuori, perché si era appisolata sulla sedia. E non c’è cosa peggiore che stare vicino a Yuma per più di cinque minuti. Difatti Elanna si era guadagnata un graffio sul ginocchio.
-Mi dispiace, non volevo! Sono inciampato e…- si stava scusando il ragazzino, mentre lei applicava un cerotto sul piccolo taglio.
La ragazza lo zittì con un cenno della mano, sorridendo per rassicurarlo.
-Tranquillo. Non devi preoccuparti, non mi fa tanto male. E poi io cado già da sola, ci sono abituata.- disse Elanna, scompigliandoli i capelli.
Yuma sorrise, mentre l’amica si dava una ripulita all’uniforme scolastica.
“Se avessi avuto i pantaloni non sarebbe successo niente…chissà, forse posso chiedere al preside se mi permette di indossare la divisa maschile.”
-Dovrai spiegarmelo, un giorno.- iniziò a parlare Elanna, rompendo il silenzio creatosi tra i due studenti. Yuma la guardò confuso, non riuscendo a capire a cosa si riferisse l’amica.
-Spiegarti cosa?- domandò infatti. Lei ridacchiò, nascondendo il sorrisino dietro la mano sinistra.
-Come diamine fai a tenere i capelli così? Mi sembrano gli aculei di un porcospino!- esclamò, mentre indicava con l’indice la capigliatura di Yuma. Quest’ultimo si toccò un ciuffo di capelli, come per controllare cosa ci fosse di così strano. –A me sembrano normali!- disse infine, allargando le braccia. Elanna scosse la testa divertita, mentre rideva.
-Se i tuoi capelli sono normali, io non mi chiamo Elanna!- continuò lei, mentre districava i nodi dei suoi capelli neri.
-Beh, allora io giudico anormale…ehm.- Yuma cercò qualcosa di strano nella ragazza davanti a lei, ma non trovava niente di anomalo. Si grattò la testa per qualche secondo, mentre tentava di farsi venire un idea. Poi indicò con un cenno del mento il collo della ragazza.
-…io giudico anormale quel tatuaggio che hai sul collo.- disse, incrociando le braccia al petto e guardandola con aria trionfante.
Il sorriso di Elanna si spense all’istante.
-Tatuaggio? Quale tatuaggio?- chiese, realmente stupita. Yuma indicò il segno che aveva sul collo. –Quello.-
La ragazza si toccò con la punta delle dita il simbolo impresso sulla sua pelle. Aggrottò le sopracciglia, confusa.
-Non…non ricordavo di questo…coso. Non sapevo nemmeno di averlo.- mormorò, tentando di ricordare come si era ‘guadagnata’ quel simbolo marchiato sul suo corpo.
Intanto Astral era comparso al fianco di Yuma e osservava serio la situazione. Una situazione che non gli piaceva per niente.
 –Yuma.- lo chiamò, richiamando l’attenzione del ragazzo.
-Che c’è?- domandò l’altro. L’espressione dell’essere astrale rimase impassibile, nonostante avesse seriamente paura della vera identità della ragazza, che ancora guardava allibita il tatuaggio sul suo collo.
-Quel marchio…non lo riconosci?-
Lo sguardo di Yuma si fece più acuto, nel tentativo di capire cosa volesse dire Astral. Poi, una volta tanto, un barlume di intelligenza sembrò riscuoterlo. –Non è lo stesso emblema che usano i bariani per prendere sotto controllo le menti degli umani?- chiese. Il fantasma annuì appena, mentre Yuma impallidiva.
-Vuol dire che Elanna…?- Non riuscì a terminare la frase che un ceffone lo fece girare due volte su se stesso.  –Ma che diamine…- iniziò, fissando Elanna. –Perché mi hai colpito?!- chiese, alzando il pugno chiuso in direzione dell’amica. Lei ridacchiò.
-Stavi parlando da solo, così ho pensato che uno schiaffo poteva farti tornare alla realtà.- disse, sorridendo maliziosa.
-Momento, momento, momento!- esclamò Yuma, portando  le mani all’altezza del petto, come se volesse difendersi da un’accusa. –Significa che tu non vedi Astral??-
Elanna lo guardò perplessa. –Astral…?- poi tornò a sorridere, convinta di aver capito la situazione. –Ah, è il tuo amico immaginario! Ma…non pensi di essere un po’ troppo grande per degli amici invisibili?-
Yuma si portò le mani ai capelli, ormai totalmente confuso, e iniziò a sbattere i piedi per terra. –Ma io non ci capisco niente!- urlò.
-I bariani dovrebbero vederlo! Solitamente è così!-
Un altro ceffone lo fece calmare. –La pianti? Adesso ho la guancia che mi fa male!- aveva protestato il ragazzino.
-Devi piantarla di piagnucolare come un bambino, capito? Tu sei un uomo e non un bambinetto dell’asilo, quindi smettila di essere così infantile. Altrimenti ti tiro un altro schiaffo.-
-No, no, no! Non ci tengo.- esclamò Yuma. Appena terminata la frase, una mano si posò sulla spalla sinistra del giovane studente, tirandolo lontano da Elanna di qualche passo.
-Quella è una violenta, si sa.- disse la falsa voce flautata di Leyla. Somigliava tanto ad una raccomandazione della ragazza per Yuma, ma allo stesso tempo un’offesa per Elanna. La corvina stringeva i pugni talmente forte che le unghie le stavano lasciando dei segni sui palmi delle mani. Probabilmente si stava trattenendo dall’istinto di picchiare quella ragazza.
Ragazza che, tra l’altro, Yuma neanche conosceva.
-Ma guarda un po’, lo ignoravo!- ironizzò Elanna. –Comunque, se ho questa fama, buono a sapersi.-
-Non provare ad alzare le mani su di noi!- è intervenuta una studentessa bionda, poggiando una mano sulla spalla destra di Yuma.
-Alzare le mani? Su di voi? Non lo farei mai! Me le imbratterei con tutto il trucco che vi spalmate addosso.- ribadì Elanna, mentre un gruppetto di studenti curiosi si era formato intorno alle ragazze. Alcuni incitavano la rissa, battendo le mani e fischiando.
-Sei solo una mocciosa!- aveva gridato Cristina, avvicinatasi alle sue due odiose amiche.
-E voi, allora, delle stupide che vanno dietro ad una mocciosa.- si impuntò Elanna, guardando le tre ragazze con gli occhi blu carichi di odio.
-A chi hai dato della stupida?!- aveva gracchiato Ginevra, pronta a colpire la ragazza con uno schiaffo. I capelli biondi si mossero attorno a lei. Sembrò rallentare tutto, per un instante. La folla trattenne il fiato.
Yuma si parò davanti all’amica, allargando le braccia per difenderla.
-Non la toccare, stupida oca-  aveva detto arrabbiato: non sopportava che qualcuno facesse del male ai suoi amici. Strinse i denti, mentre aspettava di ricevere il terzo ceffone in meno di un’ora. Ma la sberla non arrivò mai.
Fu Ginevra ad urlare di dolore e girandosi capì meglio il perché. Strabuzzò gli occhi, incredula. Elanna le teneva saldamente il polso, con una forza che non credeva umana. –Lasciami!- gridò la bionda, tentando inutilmente di liberarsi dalla stretta di ferro della corvina. Né Leyla né Cristina avevano il coraggio di farsi avanti.
-Non ci provare, lurida stronza.- aveva mormorato Elanna, in modo che solo Ginevra potesse sentirla. –Se volevi picchiare qualcuno…- continuò, guardando la bionda minacciosa, ma alzando la voce. -…hai sbagliato i tuoi calcoli.-  Gli occhi della ragazza brillavano di una luce talmente strana, tanto da diventare di un innaturale colore rosso sangue.
-Io non volevo…- tentò di difendersi Ginevra, ma non riuscì a terminare la frase che un urlo acuto le partì dalla gola. Elanna le aveva velocemente cambiato la posizione del braccio e poi, con più lentezza, gli stava facendo assumere un aspetto innaturale.
-Ma che fai??- gridarono in coro Ginevra e Yuma; con una piccola differenza: lei lo gridò, facendosi sentire da tutti mentre il ragazzino, che ormai non ci stava capendo più niente, quasi lo sussurrò.
Mizael, che aveva osservato impassibile e silenzioso il litigio dall’inizio ebbe la cortezza di rispondere a entrambi. –Non è ovvio? Vuol romperle il braccio.-

Yuma strabuzzò gli occhi all’affermazione del ragazzo biondo.
Vuole spezzarle il braccio.
Ma stava scherzando?! Per quanto quella ragazza potesse essere antipatica e odiosa non poteva certo lasciare che Elanna compisse un gesto del genere! Si mosse non appena le urla di Ginevra si fecero più acute. –No!- gridò Yuma. –Non farlo!-
Afferrò un braccio della corvina per fermarla ma non pensò minimamente ad una reazione di quest'ultima. Accade tutto così velocemente che non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo. Si ritrovò solo con un forte dolore al naso e la testa che girava.
Elanna l'aveva colpito sul setto nasale con il gomito. La ragazza, appena si rese conto di aver fatto male al suo amico, sentì la rabbia svanire. Ginevra , lasciata libera e dolorante, cadde drammaticamente a terra, raggiunta subito dalle due amiche che le facevano da ombra. Venne allontanata prontamente, mentre Yuma si inginocchiava a terra tenendosi il naso. Tra le dita scorrevano rivoli rossi, incontrollati.
Nel frattempo, il baccano aveva richiamato l'attenzione del preside, accorso prontamente sulla "scena del crimine". Tutti gli studenti che si erano fermati a guardare, si defilarono in fretta. Mizael escluso, che rimase a guardare cosa sarebbe successo.
-È intollerabile un comportamento del genere nella mia scuola!- urlò infuriato. Guardò con gli occhi carichi d’odio i ragazzi presenti, per poi soffermarsi su Yuma. –Vai in infermeria.- disse semplicemente, mentre lui si defilava in fretta. Il dirigente rimase a guardare come un falco  gli studenti davanti a sé. Il suo sguardò passò da Elanna a Ginevra, da Mizael a Cristina e Leyla.
La ramanzina del preside fu lunga quanto noiosa: Elanna venne aspramente rimproverata per aver quasi spezzato il braccio alla compagna, ma lei rimase piuttosto indifferente alle parole dell’uomo.
Ginevra e le sue due amiche si erano sorbite un lungo discorso sul bullismo e questioni simili. Ma talmente lungo che Elanna aveva quasi provato pena per loro. Quasi.
Il dirigente scolastico non aveva ben capito il ruolo di Mizael in tutta quella faccenda, in realtà neanche Elanna era riuscita a comprendere perché fosse rimasto lì e non se ne fosse andato come gli altri studenti, e si era limitato a dirgli, scocciato: “Saresti dovuto intervenire subito o chiamare qualcuno per fermare il tutto, invece di rimanere a guardare.”
Mizael aveva incrociato le braccia al petto, la lavata di testa dell’umano non gli faceva né caldo né freddo,  e si era limitato a rispondere: -C’erano una dozzina di studenti che non hanno mosso un dito, non vedo il motivo per cui io non avrei dovuto fare lo stesso.-
La risposta sfacciata del bariano non fece altro che aumentare la collera del preside. E probabilmente sarebbe esploso se qualcuno non l’avesse chiamato.
-Signor Preside! Signor Preside!- gridò uno studente dalla divisa verde acqua. –C’è un ragazzo che si diverte a picchiare gli studenti di una delle classi.- Il dirigente sbuffò, scocciato. –Lo farò sospendere immediatamente!- esclamò, aggiustandosi il papillon rosso che portava al collo. Lo studente, però, riprese a parlare. –Ehm…non può, preside. Questo ragazzo non frequenta questa scuola!-

  
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