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Autore: kuutamo    07/07/2014    1 recensioni
[David Garrett]
[David Garrett]Infondo eravamo tutti dei poveri esserini rotti, bambole di porcellana con le guance in cocci e il cuore strappato, ognuno che combatteva contro il suo demone, il suo male.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rimasi impietrita. Non potevo credere che lui fosse davvero lì. Perché lo avevo sognato? Perché avevo sognato qualcuno che non avevo mai visto in vita mia? 

Sulle spine, mi girai verso Jaqueline che aveva letteralmente la bava alla bocca e gli occhi a cuoricino.

" Come si chiama?"

" È stupendo vero? È David Garrett, in Germania stravedono per lui" disse a bassa voce.

" Oh Cristo"

Come diavolo facevo a sapere il suo nome? Prima ancor di sapere chi fosse.

" Jaque, è lui il tizio che ho sognato " dissi piano, guardandola con gli occhi sbarrati.

" Che cosa?? Quello che ti ha portato nel palazzo? "

" Si "

" Ma come hai fatto se non sapevi neanche che esistesse? "

" È questa la cosa che mi fa rabbrividire" 

Ci guardammo senza dire una parola, tutt'e due a bocca aperta.

" Forse hai visto da qualche parte il suo viso sui manifesti " azzardò Jaqueline ma poi una donna alla sua sinistra c'intimò di fare silenzio, ammonendoci.

" Ne parliamo dopo, ora goditi lo spettacolo e tranquillizzati, ci dev'essere una spiegazione" aggiunse.

Mi voltai verso il palco, le luci si alzarono e il violino iniziò ad emettere le prime note.

'Dove ti ho visto? Forse ti ho incontrato da qualche parte..'

La testa vagava, non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile, ma probabilmente aveva ragione Jaqueline. Non dovevo preoccuparmi: infondo sognamo di quello con cui siamo stati in contatto, il subconscio elaborava le immagini, e la mia mente faceva il resto dell'opera. Come se già non ci fosse abbastanza casino nella mia testa.

 

Molti anelli in argento, pesanti, gli cingevano le dita che scivolavano leggere da una corda all'altra del suo violino. Il collo piegato su di esso gli faceva assumere un'espressione di assoluta dolcezza.

Era così appassionato, sembrava che pendesse dalle labbra del suo Stradivari.

Per un attimo ebbi come la sensazione di aver già vissuto quel momento, il che contribuì ad alimentare la mia irrequietezza. Ma poi, così come iniziò, se ne andò, lasciandomi in balia di quella musica. 

Guardarlo suonare era come essere in paradiso, ma contemporaneamente nell'anima turbata di un altro: le note mi cullavano e mi rapivano, raccontandomi la loro storia, ma allo stesso tempo c'era qualcosa in sottofondo di estremamente malinconico e dannato, che rispecchiava i drammi di ogni anima che era seduta in quella stanza. 

L'espressione del suo viso, completamente rilassato mi faceva pensare a qualcuno che provava lo stesso amore e lo stesso trasporto mentre suonava: mio padre. 

Sentii gli occhi pungere e le guance che s'arroventavano fulminee. Guardandolo potevo percepire quella stessa intimità quasi segreta che mi faceva sentire in colpa; era come se violassi quel momento magico, in cui un musicista mette completamente a nudo la sua anima, mostrandosi per quello che è davvero. E lui era così..gentile, appassionato, innamorato.

Mi ricordai di quando da bambina, seduta sulle poltroncine rosse, riuscivo a malapena a toccare con la punta dei piedi il pavimento morbido della sala, e ora che ero cresciuta mi sentivo esattamente nello stesso modo, piccola e indifesa, persa nei suoi pensieri. 

 

D'un tratto mi ritrovai completamente rapita, consapevole di aver mandato al diavolo tutte le paranoie. Ora mi godevo quello spettacolo piacevole, dolce, come i tempi andati. 

Vienna mi ricordava la mia infanzia, i momenti felici passati con i miei genitori, quando erano ancora persone vive, e non scheletri in cerca di una nuova anima. Vienna era la mia casa, mi faceva sentire di nuovo bene, o almeno me ne dava l'illusione; questo misterioso uomo però sembrava riuscire ad arrivare dove nessuno mai era arrivato, nel mio passato. Con il suo violino leniva l'anima, nonostante fosse sprofondato in un'immensa ferita. Era delicato, forte, disperato, confortante. Era un ossimoro vivente quel suono, lieve e a tratti stridulo come urla soffocate sotto la stoffa e le piume di un cuscino.

Molti pezzi erano tratti da grandi compositori classici, ma poi d'un tratto mi stupì. Più di quanto non avesse già fatto.

Un uomo in nero tese la mano ad una donna che era in prima fila: lei si alzò e venne guidata sul palco.

" Buonasera, come si chiama?"  pensai all'istante che per parlare tedesco aveva una voce così delicata e soprattutto non aggressiva. Il che è molto raro. Insomma, il tedesco è…tedesco. Non l'avevo mai amato.

" Annette " lei era molto emozionata; credo che solo grazie alla sua età già matura riuscì a controllarsi. Io sarei come minimo finita con la faccia sul pavimento.

Lui le sorrise e la fece accomodare su un divanetto basso, posto vicino all'orchestra. Si sedettero entrambi e notai che istintivamente mi sporsi in avanti per vedere meglio.

" Questa è una canzone per tutti i cuori feriti, lei è mai stata ferita? "

" Beh, si " rise la donna, emozionata.

Riusciva ad apparire così leggero su un argomento che aveva il suo spessore. Per quanto sia ormai diventata una moda stare male.

" Allora potrà capire" si voltò verso la sua orchestra e chiese se erano pronti.

" Guys, are you ready? "

Si mise in posizione aggiustandosi la giacca e premette le prime due note. Si fermò e guardò l'orchestra. Ripetè l'operazione e questa volta guardò il pubblico.

Apparentemente quelle due note sembravano messe lì per caso, campate in aria, ma non ci volle molto per capire di cosa si trattasse. 

Le mie labbra iniziarono a muoversi nel buio.

' Hold up

Hold on

Don't be scared

You'll never change what's been and gone '

 

La naturalezza con cui faceva ondeggiare il braccio su e giù era sconfortante. Si vedeva che amava molto quella canzone, si percepiva nell'aria, nell'atmosfera: nelle parti acute stringeva gli occhi, guardava le corde con dolcezza, quasi come se stesse guardando la donna che amava e in quel momento fui impercettibilmente gelosa. L'attimo dopo averlo pensato, scossi la testa per allontanare quell'assurdo pensiero e continuai a guardare l'esibizione. 

Con estremo controllo e consapevolezza del suo fascino si voltò di lato appoggiandosi al braccio della donna e lei gli cinse le spalle sorridendo. Fece tutto non staccando mai la sua attenzione da ciò che stava con tanto amore facendo. A volte guardava il pubblico, sorridendo. Era un sorriso caldo, ampio, che scaldava il cuore. Il sorriso di una di quelle persone il cui viso ispirava una fiducia ed una calma infinita; ti potevi fidare al primo incontro, ti potevi lasciar guidare verso nuovi mondi, c'erano loro a proteggerti.

 

Gli Oasis erano entrati di sicuro tra le band britanniche che amavo di più: erano considerati quasi pop, ma c'era qualcosa in loro di estremamente energico, erano popolari, ma le loro canzoni dannate. Di stampo fortemente anni '90, forse racchiudevano buona parte di ciò che erano stati quegli anni: i loro effetti distorti mi facevano pensare al punk e al grunge, ma nelle melodie c'era quella loro miscela malinconica che costituiva poi il loro marchio. Dopotutto c'era un motivo se li riconoscevi subito quando passavano una loro hit alla radio.

 

Alla fine del brano, che si era andato sempre più acutizzando, ritornò sulle note gravi iniziali e così concluse. 

Dopo aver ricevuto gli applausi e l'entusiasmo del suo pubblico, ringraziò la signora che aveva gentilmente partecipato, e la riaccompagnò verso le scale al lato del palco. 

Tornò alla sua postazione centrale aggiustandosi il codino e dopo poco iniziò un altro pezzo.

 

C'era qualcosa ora nel suo sguardo, nel suo sopracciglio incurvato all'insù, di tremendamente malinconico: l'asta si agitava in preda a movimenti che quasi sembravano spasmi guidati dalle sua mano. Le dita si muovevano veloci sulla lunghezza del corpo dello strumento: si passava da note gravi a quelle acute in un batter d'occhio. Una melodia dannata ma allo stesso tempo bellissima. 

C'era qualcosa d'infinitamente inquietante in quel modo di suonare, d'interpretare il pezzo, ma allo stesso tempo di magico. Da ogni musicista, mentre suona, si può vedere la sua anima, perché si mette completamente a nudo. Non avevo mai avuto dubbi su questo. E anche se è circondato da migliaia di persone, lui riesce a farlo e a respirare con il suo strumento per quei pochi minuti. Fondersi con la musica e perdercisi dentro, è uno dei misteri, ma anche una delle cose più belle del mondo. Si da il meglio di se stessi ma anche il peggio. Come si dice in queste occasioni, spogliandosi della propria carne e rendendo la propria anima trasparente per qualche secondo, emergono pregi e difetti, e si prende tutto il pacchetto. Ogni dolore e ogni gioia sono con noi sempre: si nascondono nel nostro viso, insediati tra le rughe e nel nostro sguardo. Le mille sfumature che possiamo assumere fanno vedere molto di noi stessi, e spesso, anche se tentiamo di ostentarle e nasconderle, loro sono lì su di noi, cicatrici indelebili.

Il nostro più grande nemico è lo specchio di noi stessi.

 

 

 

 

 

 

 

Le luci si alzarono e gli applausi gremirono la sala. Tutti si alzarono in piedi ed anche io e Jaqueline ci alzammo per rendergli omaggio.

Il musicista s'inchinò più e più volte ringraziando la platea: poi, nel momento in cui mi alzai i suoi occhi saettarono su di noi, o almeno così mi parve. Distolse subito lo sguardo e guardò altri punti della sala: era stato solo un caso, infondo non ci conoscevamo affatto, non c'erano motivi per cui avrebbe dovuto esitare e guardarmi. ' Che idiota stratosferica sono '

 

" Dimmi che non è fantastico?!" Jaqueline aveva un sorriso a trentadue denti.

" È stato magnifico, stavolta hai fatto centro, devo riconoscerlo"

" All'inizio però era partito male eh ! Cioè tutta roba classica…. Stavo quasi per dormire, mi aveva assopito peggio di una camomilla, poi per fortuna ha iniziato con i pezzi rock. Amen!" risi, la musica classica non faceva proprio per lei.

" Sei insopportabile! Dai, non erano male quei pezzi"

" Si certo, mia nonna li avrebbe apprezzati, si sarebbe sorbita il bis volentieri" disse sarcastica.

" Forse è arrivato il momento di farti un po' di scuola sai? Dopotutto ora tocca a me "

" Tutto ma non la classica, ti scongiuro. C'è già mio padre che ci ha pensato e non è andata bene, se vuoi può confermartelo ! "

" Ma se non ti piace questo genere di musica, perché hai preso i biglietti per il concerto di un violinista?" in effetti ora che ci riflettevo non aveva molto senso.

" No, ma dico, lo hai guardato bene? "

" Sei sempre la solita.. E la cosa più sconfortante è che ci saresti venuta con il tuo ragazzo! " la guardai con disapprovazione.

" Non direi che lui si preoccupa di come mi sento, quindi si, ci sarei venuta lo stesso, anzi forse lo avrei fatto di proposito ! Comunque i biglietti li ho avuti da mio padre, due settimane fa non sapevo neanche io chi fosse"

" Che confusione..."

" Allora, si chiama David Garrett ed è tedesco, ma naturalizzato statunitense, o forse no… Beh, dalle mie ricerche però ho scoperto che si divide tra Berlino e New York "

" Io avrei scelto New York mille volte "

" A chi lo dici. Comunque, tornando al mio paparino, che a volte è tanto gentile, ho saputo da lui che dopo il concerto c'è una specie di after party per i ricconi che sono venuti a vedere il vichingo. Mi ha detto che se lo raggiungiamo ci fa passare lui" ne parlava quasi come se fosse stato un pezzo d'esposizione in un museo, con sotto una targhetta dorata che diceva : << Vichingo del Nord >> .

" Insomma, ma se non ti piace questa gente perché vuoi andarci? "

" Perché ci sarà il vichingo, è l'ospite d'onore, rimbambita! " disse enfatizzando sull'ultima parte della frase.

" Non lo so, Jaque.."

" Allora mettiamola così: tu verrai con me"

Quando si ci metteva riusciva a diventare una vera iena. Ma mi piaceva anche per questo suo lato testardo e assolutamente schizofrenico.

" Come spiegherai a tuo padre che io non sono Joseph?"

" Capirà, ora muoviti, dobbiamo raggiungerlo prima che se ne vada. Vieni"

Mi prese per mano; tutti stavano ancora applaudendo e nella sala c'era molta confusione. Percorremmo il corridoio avvicinandoci al palco. 

Lui era ancora lì che ringraziava il pubblico e nel momento in cui girammo verso la destra del palco i nostri sguardi s'incrociarono: sembravano istanti lunghissimi, come in quei primi piani al rallenty nei film; mi guardò con stupore e curiosità, poi mi squadrò da capo a piedi. In quel momento mi chiesi se era tutto in ordine, ma dovevo avere un aspetto orribile: mi ero agitata per tutta la durata del concerto. Si mosse fulmineo e dalle gambe ritornò al viso e poi distolse lo sguardo. Ormai eravamo passate e riuscivo a vedere il padre di Jaqueline che era intento ad applaudire. 

Mi aveva guardata, di nuovo.

 

" Ciao papà"

" Jaqueline - esordì suo padre con dolcezza, poi mi guardò - ma dov'è Joseph?" chiese, ancora intento a guardare verso il palco.

" Con Babette" sussurrò acida lei fingendo un colpetto di tosse.

" Come? "

" Non poteva venire" 

Annuì e poi mi guardò di nuovo sorridendomi.

" Salve, le è piaciuto il concerto?"

" Moltissimo, è davvero straordinario signore"

" Finalmente ne ho la conferma. Te lo avevo detto Jaqueline che sarebbe stato un successo, quei signori dovrebbero ascoltarmi di più, ci so fare con questo genere di cose"

" Sei il migliore, ma ora non ti vantare troppo davanti alla mia amica, le ho detto quanto puoi essere vanitoso"

" Davvero? Beh, allora non dirò più una parola signorina. "

" Quando ci sarà l'after?"

" Inizierà tra una ventina di minuti, giusto il tempo di lasciar andare via il pubblico e di darsi una rinfrescata"

" A questo proposito, vuole scusarci, dovremmo un attimo andare alla toilette" m'intromisi con un sorriso smagliante.

Jaqueline capii e lo salutò. 

" A dopo signor Weigner" mi accodai.

Quando fummo qualche passo più in là strinsi il braccio di Jaqueline e le domandai:

" Ma che lavoro fa tuo padre?"

" È amico dei signori che gestiscono questo posto; a volte gioca anche a poker con loro. Dice sempre che dovrebbero assumerlo perché ci sa fare, sa cosa vuole il pubblico e consiglia il tipo di eventi"

" Insomma, in altre parole gli fa fare un sacco di soldi"

" Brava, vedo che hai afferrato il concetto" rise.

" Ma dimmi, come mai mi hai fatto scappare in quel modo? Ti scappa?" disse ridendo. 

" Da morire, dopotutto sono due ore che stiamo sedute" mentii.

" Va bene, allora andiamo"

 

Salimmo l'imponente scalinata principale e poi percorremmo i corridoi. Mentre mi facevo guidare mi persi ad osservare i particolari antichi di quell'ambiente: le scale erano in marmo, un bianco sporco, ricoperto da un lungo tappeto rosso che scendeva per tutta la sua lunghezza come una lingua di serpente. Sui grandi corrimano ai suoi lati c'erano delle statue raffiguranti degli angeli: erano fatte di pietra nera, lucida, scintillante sotto la luce dei lampadari dorati a goccia. Erano le tipiche statue paradisiache, che quando le si guardava da un'altra angolatura sembravano essere tristi, intrappolate.

I corridoi erano più stretti con degli ornamenti dorati disegnati a mezz'altezza sulle pareti, candelabri a forma di tridente che sporgevano. Arrivammo a destinazione e senza dubbio, quel posto non poteva non essere perfetto anche lì. Il bagno era sui toni chiari, piastrellato con disegni a motivo floreale, che riprendevano i tratti del corridoio. 

Mi sbrigai svelta ed uscii prima di Jaqueline. Mi lavai le mani bagnandomi i polsi con l'acqua fresca e poi guardai la mia immagine riflessa allo specchio. Appoggiai le dita ancora sgocciolanti sul piano di granito color salmone: stava succedendo, stavo per incontrarlo, di nuovo. 

In quei secondi sperai più e più volte di non incontrarlo per davvero. Ero tesa come una corda di violino. Ah. Battuta infelice.

" Ti sei imbambolata? " disse arrivandomi alle spalle.

" Scusa, ero sovrappensiero"

" Non preoccuparti, sei bellissima" sorrise, con una sorta d'innocente malizia negli occhi.

" Anche tu, stai davvero bene così, dovresti mettere i tacchi più spesso"

" Beh almeno sarei più alta, ma fanno un male boia"

" Come ti capisco "

" Tu invece devi prestarmi questo vestito. Non è per niente da te, sembra uscito dal mio armadio!"

Era un vestito rosso scuro, scollato a mò di fascia, che arrivava fino al ginocchio. Ma la particolarità stava nel fatto che era letteralmente tempestato da spille da balia e borchie di ogni forma e dimensione. Alla fine avevo scelto qualcosa di non troppo serioso e avevo fatto colpo su Jaqueline; ora sapevo che mi avrebbe stressato fino alla nausea  per avere quel vestito.

" Dai, ora andiamo. Ho una sete della miseria"

" Anch'io ".









Note:

La canzone è Stop Cryng your heart out degli Oasis . La scena che ho descritto succede davvero, ed è solito farla: io l'ho immaginata simile a quella che si vede in questo video http://www.youtube.com/watch?v=zxoYQyBQoFk . 

Il titolo del capitolo prende il nome proprio da un verso di questa fantastica canzone.

Enjoy.


 

  
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