Epilogo
Il mazzo di giacinti che avevo in mano era perfetto; non c’era nemmeno
un petalo fuori posto.
Avevo messo i jeans sbiaditi, quelli che lei adorava togliermi quando
stavamo ancora insieme e la camicia color verde militare che mi aveva regalato
per Natale.
Ero pronto ad essere insultato in mille modi diversi; avrei sopportato
qualsiasi cosa pur di riuscire ad avere una seconda possibilità.
Bussai alla sua porta, ignorando i crampi al cuore che il ricordo di
quell’appartamento mi faceva venire e, privandomi di ogni dignità mi misi in
ginocchio.
Erano passate due settimane e non riuscivo più ad andare avanti senza di
lei.
Era il mio pensiero fisso, il mio incubo ricorrente e volevo riaverla
tutta per me.
Aspettai che qualcuno venisse ad aprire e mi sentii sempre più sul punto
di soffocare per l’ansia.
Forse non era in casa, eppure...
La porta venne socchiusa, piano e poi aperta di più.
Alzai lo sguardo su di lei e la trovai bellissima, i capelli ricci più
ribelli del solito, la camicia da notte coperta da un golfino rosa, i piedi
scalzi e gli occhi ancora leggermente assonnati.
Non disse niente e io non ebbi il coraggio di aprire bocca, per paura di
rovinare tutto e di venir scacciato a calci nel sedere.
«I sogni stanno peggiorando», la sentii sussurrare, prima che allungasse
una mano per sfiorare i petali di un giacinto color porpora: «Fammi indovinare,
il fioraio ti ha detto che servono per chiedere scusa?»
Arrossii di colpo ed annuii, sentendomi sotto esame: «Katy...», iniziai,
anche se non avrei saputo proprio come continuare.
«Entra»
L’istante successivo era già dentro casa ed io ero ancora fuori, in
ginocchio. Mi alzai in fretta ed entrai chiudendomi la porta alle spalle,
chiedendomi cosa volesse dire con quella frase a proposito dei sogni.
La trovai in salotto, appoggiata al bordo del divano, con le braccia
incrociate: «Come funziona?»
Io aggrottai le sopracciglia: «Cosa?»
«Come cosa? Il sogno! Ora mi chiederai perdono, mi dirai che mi ami e
torneremo insieme fino a quando non mi sveglierò? O faremo solo l’amore?»
«Non è un sogno», dissi, sorridendo appena.
L’idea che mi sognasse con frequenza mi rendeva stranamente orgoglioso,
ma dato che ciò che stava succedendo non era una finzione, volevo che fosse
consapevole di essere nella realtà.
«Provalo»
Le sorrisi, mentre posavo sul tavolo della cucina il mazzo di fiori e mi
avvicinavo a lei.
Le presi il viso tra le mani, accarezzandole dolcemente le guance,
godendomi la consistenza morbida della sua pelle a contatto con la mia.
«Ti ho fatto soffrire tanto e anche io ho sofferto. Mi sei mancata ogni
singolo giorno e...»
«Queste cose le potrebbe dire anche un sogno, lo sai?», disse sorridendo
appena, passandomi una mano sul viso: «Hai fatto crescere la barba?»
«Sì, ultimamente non avevo voglia di tagliarla», ammisi, ricordando
chiaramente il disgusto che avevo provato nello guardarmi allo specchio nelle
ultime due settimane.
«Che ore sono?», sussurrò, guardandosi intorno.
Mi vergognai di me stesso dicendole che erano passate da poco le quattro
del mattino.
Un lampo di sorpresa le spuntò in viso: «Perché dovresti essere qui alle
quattro di mattina?»
«Non riuscivo a dormire», ammisi, affondando le mani nelle tasche dei
pantaloni: «In realtà sono due settimane che non dormo bene...»
Il suo sguardo appannato dal sonno si fece subito più vigile: «Non è un
sogno. Sei davvero qui?»
Mi aspettavo insulti, schiaffi e la fine del mondo, invece lei si mise
semplicemente a piangere contro il mio petto. Non ci pensai due volte e la
abbracciai stretta a me, quasi la volessi soffocare.
«Mi perdoni? Sono stato uno stupido a lasciarti. Ero convinto di doverlo
fare per dimostrare a me stesso di non essere rimasto coinvolto, invece...»
«Non mi stai prendendo in giro, vero?», sussurrò, alzando lo sguardo.
Gioii nell’avere così vicini quei stupendi occhi color nocciola
screziati di verde: «No, non ti sto prendendo in giro»
Lei annuì: «Mi sei mancato tanto», mormorò, abbracciandomi ancora più
forte.
«Anche tu», e le alzai il viso, desideroso di darle un bacio, ma lei si
scostò, sorridendo.
«Non ti ho ancora perdonato, sai? Ti toccherà impegnarti per far tornare
tutto com’era», sussurrò, facendomi l’occhiolino.
«Sono pronto a tutto», le dissi, affondando il viso contro il suo collo,
respirando a fondo l’odore della sua pelle.
«Bene, come prima cosa, direi che puoi preparare il caffè», disse,
stiracchiandosi: «Intanto io vado a vestirmi»
«Sicura di non aver bisogno di una mano?», le chiesi maliziosamente,
facendola sorridere, mentre scuoteva il capo.
La gioia che provavo era pari a quella che sentivo prima di rovinare
tutto lasciandola ed ero pronto a farmi perdonare in ogni modo possibile.
Avrei fatto di tutto pur di non tornare ad essere solo, nel mio letto,
con una foto come unica prova del nostro amore.
The end