Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |      
Autore: AnnabethJackson    07/07/2014    7 recensioni
| Percaneth | Accenni Pernico | Angst |
Sono passati quattro mesi dalla Grande Battaglia, e Annabeth si sente sola, abbandonata. Per lei, la gioia di aver salvato il mondo un'altra volta, è stata completamente oscurata dall'avvenimento che ha segnato per sempre l'eroica storia moderna. Ma, nel campo, non è l'unica a patire le pene dell'inferno per la morte di Percy. Qualcuno, là fuori, non si arrende, perché l'amore può superare qualsiasi cosa. O almeno, così dicono.
______________
Dal testo:
"Di nuovo, quel pensiero, quel strano sentore, lo spingevano a dover fare qualcosa. Non aveva più tempo.
Guardò al di fuori dell'oblò, sotto cui era posizionata la sua piccola scrivania, e vide il mare, il cielo e le stelle. E lei, in una singola frase."
[Storia partecipante al contest “Why Rick Riordan wants to Kill me?” indetto su Efp da King_Peter]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A come amore, P come Percabeth'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: Il cielo è infinito, ma le stelle sono per sempre
Autore: Forum → Roses98 / Efp → AnnabethJackson
Genere: Drammatico / Triste / Malinconico
Rating: Verde
Pacchetto scelto: #04 Annabeth Chase
Prompt/Tracce utilizzate: Tutte e tre... o almeno credo.
Personaggi: Annabeth Chase / Nico di Angelo / Percy Jackson
Avvertimenti/Note: *Le poche frasi scritte in corsivo sono i pensieri di Annabeth durante la battaglia.*
*Quando Percy fa riferimento al contare i gamberetti, vuol dire contare le pecore in linguaggio marino* 
Ci vediamo giù u.u
Trama: Sono passati quattro mesi dalla Grande Battaglia, i semidei sono tornati alle normali vite, se il termine normale comprende il rischio di morire tutti i giorni. Questo, però, non vale per Annabeth che, dopo la morte del suo Testa d'Alghe, non ha più la forza di continuare la sua meritata vita. Annabeth si sente sola, abbandonata. Per lei, la gioia di aver salvato il mondo un'altra volta, è stata completamente oscurata dall'avvenimento che ha segnato per sempre l'eroica storia moderna. Ma, nel campo, non è l'unica a patire le pene dell'inferno per la morte di Percy. Qualcuno, là fuori, non si arrende, perché l'amore può superare qualsiasi cosa. O almeno, così dicono.






 
Il cielo è infinito, ma le stelle sono per sempre








La penna era ferma all'apice del foglio bianco, sciupato ma immacolato, come un lenzuolo steso al sole che volteggia al ritmo delle correnti ventose. 
Percy non sapeva cosa scrivere. 
Da ore, ormai, si torturava i capelli, già di loro in disordine, per trovare una frase che esprimesse ciò che sentiva dentro. Percy non era bravo con le parole e, ancor meno, con i sentimenti. Di solito preferiva che a parlare fosse lei, così poteva apprezzare il suono della sua voce, dolce e famigliare. C'erano volte che immaginava di essere ancora un bambino, quando la mamma cucinava muffin blu e narrava le gloriose avventure di un leggendario eroe, che aveva attraversato mari e monti per salvare la fanciulla in pericolo. Non avrebbe mai e poi mai immaginato di trovarsi, un giorno, nei panni di quel valoroso paladino. Certo, la sua ragazza non era in pericolo - a meno che non si trattasse di ragni -, ma c'era quel presentimento, quella sensazione, che lo torturava da giorni. 
Nel cuore della notte si era liberato dalla prigione di lenzuola, dopo aver provato a prendere sonno in tutti i modi, alla ricerca di un foglio e una penna. Sapeva che, anche ricorrendo al vecchio trucco del contare i gamberetti, Morfeo non sarebbe arrivato. 
Di nuovo, quel pensiero, quello strano sentore, lo spingevano a fare qualcosa. Non aveva più tempo.
Guardò al di fuori dell'oblò, sotto cui era posizionata la sua piccola scrivania, e vide il mare, il cielo, le stelle. E lei, in una singola frase.


 
***
 


Probabilmente era solo una visione, originata dai molteplici sogni che la tormentavano da giorni. Probabilmente quell'odore radicato nelle sue narici era solo un'illusione. Probabilmente stava solo impazzando. Perché pareva che, quella notte, l'aria del campo puzzasse di sangue. Era come essere tornata indietro nel tempo, di qualche mese, a quell'infimo giorno straziante. Proprio come allora non riusciva a reggersi in piedi; le gambe erano troppo deboli, la mente troppo fragile. Eppure era impossibile rimanere ferma ad aspettare qualcosa che non sarebbe più arrivato. Dopo settimane passate all'inferno, trovava assai difficile tornare alle sue abitudini primordiali. Aveva una strana sensazione, che la spinse ad uscire dalla cabina, a percorrere quelle poche scale del basamento, con la mente sgombra da qualsiasi pensiero. Scattò verso il bosco, sulle gambe tremanti e malferme. Doveva allontanarsi il più in fretta possibile, per evitare di essere sopraffatta. Fu come varcare le porte dell'Ade una volta di troppo, con l'unica differenza di essere sola, quella volta. Stava per soffocare a causa dell'odore putrido. La battaglia era ancora in corso dentro di lei.
Sangue.
E ancora sangue.

L'aria puzzava, puzzava di tutto ciò che aveva perso. Boccheggiò, ansimò, soffocò. Malgrado, in lei, il desiderio di vivere fosse scemato già da un pezzo, ordinò al suo cuore maciullato di continuare a battere.
Entrò nel cuore del bosco, intrepida. Non le importava se una mostro fosse comparso all'improvviso, uccidendola. Sarebbe andata avanti all'infinito se, ad un certo punto, non avesse scorto una sagoma nel buio, immobile. Rannicchiata su se stessa, le era assai difficile distinguerne i contorni. Il cuore aumentò di velocità e le mani presero a prudere, impazienti di brandire il pugnale nascosto sotto il pantalone. Era consapevole che non fosse un mostro, ma l'abitudine ebbe la meglio finché si convinse che nessuno se ne sarebbe stato lì, nell'ombra, senza attaccarla. Eppure non abbassò mai la guardia. Il buio è meschino, lo aveva imparato nel corso del tempo, quando la sua più grande paura era ancora il mostro sotto al letto. Erano passati anni da che era una bambina, vero, ma aveva imparato a non fidarsi delle persone, delle cose. Mosse un passo all'indietro, ma la figura si voltò, e all'improvviso non c'era più nessuna via di fuga.
Si vergognò perché essere una guerriera voleva dire non aver paura. Ma dopo la sua morte, lei aveva smesso di combattere e ora, della poderosa e geniale stratega che era stata un tempo, non rimaneva altro che un'ombra ambulante, alla mercé di chiunque.
Dopo aver risanato le ferite e bruciato gli stendardi per le vittime, non le era rimasto alcun obiettivo da conseguire. Persino la sua passione sfrenata per i libri e l'architettura era scemata con il continuo sorgere e calare del sole, giorno dopo giorno.
Era stanca di essere guardata da tutti come una povera martire, necessita di compassione. C'era solo una cosa che potesse guarirla, destandola dallo stato di parallelismo in cui viveva. E quella cosa era morta, andata, sparita.
Respira. Fai un passo. Respira. Lui non è morto. Non può essere morto.
-Pensavo te ne fossi andato.- avanzò nel buio, per accostarsi alla figura di Nico. 
-È quello che ho fatto.- era la prima volta che lo vedeva da quando l'ultimo pezzo di stoffa del drappo era bruciato tra le fiamme. Accanto alla signora O'Leary, aveva voltato le spalle, senza più guardare dietro di sé, per sparire nell'ombra da cui era arrivato.
Fino a quel momento non ne aveva mai preso coscienza, ma, dopo la sua partenza, s'era sentita sola, abbandonata anche dall'unica persona che la potesse capire, che potesse comprendere il suo male. Entrambi ne soffrivano.
Si assomigliavano, loro due. Non per fattezze fisiche, ma per il filo conduttore che li univa ancora, malgrado ciò che era accaduto.
-Allora perché sei tornato?- quella non era una notte qualsiasi, e lui lo sapeva. Lei lo sapeva. Non era un caso se l'odore di sangue l'avesse quasi soffocata, costringendola ad uscire. Non era un caso che indossasse la sua collana di perle, assieme alla propria, malgrado quell'oggetto la facesse soffrire. E non era un caso che si fossero incontrati proprio dove il suo drappo era bruciato.
-E tu perché sei rimasta?- touchè.
Si sentiva esausta, come se le forze l'avessero abbandonata all'improvviso. Si lasciò cadere accanto al ragazzo, portando le gambe al petto e cingendole con le braccia, come se quel gesto potesse proteggerla dalle tentazioni del buio. Dentro la maglia, troppo grande per il suo corpo via via sempre più minuto, il vento gelido di Novembre le rizzò i peli delle braccia, e le spalle tremarono. Il freddo entrava in lei con prepotenza, irradiando il suo potere di solitudine come una ragnatela.
Inclinò il capo, lasciando che i capelli, un cespuglio di paglia, la nascondessero da chiunque, anche se, in quel momento, lì c'erano solo loro due. Con la coda dell'occhio riusciva a vedere il viso pallido di Nico, le guance infossate e il profilo affilato. Quantunque fossero incorniciati da grandi solchi scuri, la sofisticata raffinatezza nei lineamenti italo-latini dei suoi occhi era spiazzante. Occhi come quelli, che avevano visto la morte e il dolore e la sofferenza, non si dimenticavano tanto facilmente. Sebbene non avessero niente a che fare con le pupille vistosamente verdi e vivaci di lui, quella sera le parevano molto famigliari, forse anche troppo.
-Sono passati già quattro mesi, non credi sia arrivato il momento di fermarti?- 
Stai con me. Non te ne andare. Capito, amore? Stai con me.
Chiuse le palpebre di scatto. Non poteva permettere ai ricordi di affiorare, non in quel momento.
Il ragazzo sbuffò, scuotendo il capo con amarezza. 
-Fermarmi? Per chi?- le lanciò una breve occhiata di scherno. -Per te?- 
Sì. 
Ma non lo poteva dire. Un paio d'anni prima, trovandosi in una situazione del genere, avrebbe riso, magari uscendosene con una risposta brillante, che lo avrebbe spiazzato. Lei non aveva bisogno di nessuno. Questo era ciò che pensava allora.
Ma la verità, quella notte, era ben un'altra. 
-No, per lui.- sussurrò, mordendosi il labbro inferiore. Tirava avanti vivendo in quel limbo indefinito, che separa la realtà dalla finzione. Aveva bisogno di qualcosa, un segno forse, che le donasse la forza necessaria per ritornare la ragazza che era. 
-Tu non capisci.- il ragazzo si alzò di scatto, mettendosi di fronte a lei. -Lo sai perché non mi fermo, eh? Lo sai perché?- sebbene il suo tono di voce fosse calmo, l'emozione che ci mise dentro la fece tremare ancora di più.
-Perché lo sto cercando, notte dopo notte. Sto cercando di capire perché abbia deciso di rinascere! Credi sia facile per me? Almeno tu avevi il suo amore!-
Calò il silenzio. Annabeth lo guardava basita, mancante di qualcosa da dire. S'era mai vista una figlia d'Atena senza parole? No, non lei. Ma com'era possibile che Percy avesse rifiutato l'Elisio?
-Io...-
-No, lascia perdere.- sospirò, tornando a sedersi accanto a lei. La luna risplendeva, ora che le nuvole s'erano diradate, e la sua capigliatura corvina, troppo simile a quella di lui, creava striature di luce argentee. Le venne l'impulso di passare la mano tra quei capelli, per risvegliare una vecchia sensazione che da mesi non provava, ma era un pensiero sciocco e assurdo, così lasciò ricadere il braccio.
Si sentiva tanto legata a quel ragazzo, costretto a crescere troppo in fretta, che desiderò essere suo fratello. E, proprio come una sorella, voleva consolarlo, malgrado fosse la prima ad aver bisogno di conforto.
-Sarebbe stato molto fiero di te, sai? Lo sarebbe stato del ragazzo che sei diventato. Sarebbe stato fiero perché, dopo mesi, continui a cercarlo ininterrottamente, senza arrenderti. Non per nulla la fedeltà agli amici era il suo difetto fatale.- calde lacrime caddero a terra, bagnando gli zigomi e le guance della figlia d'Atena. Un singhiozzo le spezzò il fiato, ma deglutendo si costrinse a continuare. Sentiva il bisogno e il dovere di dirlo. 
-Al contrario, mi rendo conto che sarebbe stato deluso di me. Mi avrebbe guardato, con quegli occhi incredibilmente seri, e avrebbe detto: “Dov'è finita la mia Sapientona?”, e io mi sarei sentita così stupida, stupida perché lui avrebbe avuto ragione e io torto, stupida perché, per una volta, ho fallito.- e se ne rendeva conto solo ora. Ancora una volta era triste, e sola, e stanca. Ma più di tutto, era delusa, delusa di se stessa.
Un tocco leggero sulla spalla la destò dal baratro di disperazione in cui era caduta.
Si abbracciarono, stretti, l'uno che sosteneva l'altro in qualche modo. Stettero così per tanto, tanto tempo, finché il dolore non cominciò a diminuire, piano piano, come la pioggerella tranquilla dopo un tempesta.
Nico allungò la mano sul cui palmo vi era un foglio stropicciato ma ben ripiegato, come se il proprietario l'avesse accartocciato più e più volte, per poi cercare di stendere, mettendolo tra le pagine di un tomo pesante.
Annabeth alzò lo sguardo, per incrociare gli occhi scuri di Nico. Anche al chiaro di luna riusciva a scorgerne la lucentezza opaca.
-Che cos'è?-
Per tutta risposta, lui le prese gentilmente la mano e, riposto il foglietto nel suo palmo, gliela rimise in grembo. Poi si alzò, con un sospiro stanco, e voltò le spalle.
-Te ne vai?- guardandola da dietro la spalla, le fece un cenno con il capo.
Anche se leggermente, Nico stava sorridendo.
-Tornerò presto, promesso.- poi scomparve nell'ombra.
Annabeth sospirò, traendo una grossa boccata d'aria fredda. Si stupì quando prese coscienza che l'aria, quella notte, non puzzava più di sangue. Ora poteva tornare a respirare senza temere di soffocare.
Aprì il foglio, che ancora teneva in mano, e solo una lacrima cadde sul suo sorriso.

 

Il cielo è infinito, ma le stelle sono per sempre.”









 

.:My Corner:.

Buonsalve. Ammetto che sto pubblicando questa storia sotto obbligo e con non poca vergogna.
Per chi seguiva (o segue ancora) le mie storie può capirne il motivo. Sono quasi due mesi che non mi faccio viva in alcun modo, ma qui, nella vita oltre lo schermo, ho avuto un sacco di problemi che ora non voglio citare per motivi personali.
Così, per chiunque delle persone sopracitate sta leggendo questo angolo, voglio dire di non disprare; presto, molto presto, tornerò con un nuovo capitolo e delle scuse più idonee.
Ora, ogni volta che partecipo ad un contest mi riprometto di non scrivere usando il genere angst ma, cavolo, con il prompt “scrivi una storia con finale stile Titanic” come cavolo faccio a non cadere nell'angst? Malgrado il tema abbastanza ricorrente, ho cercato di scrivere qualcosa di... diverso. E spero di esserci riuscita. È stato un lungo parto anche se, all'inizio, pensavo di scrivere una cosa un po' più... ehm, elaborata? Pazienza, è uscito quel che è uscito.
Leggendo poi le storie delle mie sfidanti, ho notato con piacere che è una sfida molto interessante.
La storia è, attualmente, in attesa dei risultati, ma vorrei comunque dire di essere grata per aver partecipato a questo fantastico contest.
Okay, basta, chiudo le mie ciance qui.
Spero comunque vi sia piaciuta.

Annie

  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: AnnabethJackson