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Autore: Alfred il sanguinario    07/07/2014    4 recensioni
Mimi è una giovane infermiera in un ospedale psichiatrico di Liverpool, il St. Catherine, dove sembrano accadere cose strane.
Annie è una paziente dell'ospedale, e ha solo undici anni. Finge di parlare male, di essere remissiva, ma con Mimi rivela la sua vera feroce natura. Annie è in quell'ospedale per un motivo, e Mimi vuole scoprirlo...
Sabrina Fourner è la direttrice dell'istituto. E' una donna bella, giovane e ammaliante, ma nasconde un segreto. Ed è avida come il demonio.
Genere: Drammatico, Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Henry Brooks osservava attentamente la cartella clinica della futura paziente. Gli avevano comunicato che sarebbe arrivata nel pomeriggio: il viaggio era lungo e poteva impiegare anche tre o quattro ore.
Il dottor Brooks bevve un sorso di cappuccino dalla tazza di bianca porcellana sporca e scheggiata sull’estremità destra. Continuò imperterrito a leggere la cartella clinica e osservare la foto della paziente.
La paziente avrà avuto sì e no undici anni. I capelli neri le cadevano sulle spalle, la carnagione olivastra lasciava chiaramente intravedere le occhiaie e i graffi sul volto. L’espressione lasciava intravedere odio e noia: gli occhi a mezz’asta, il volto corrugato, e la bocca aperta, ma senza che si vedesse la lingua, come se stesse borbottando qualcosa a denti stretti proprio mentre gli veniva scattata la fotografia.
“Dottor Brooks” disse una voce che proveniva dall’altra parte della porta di legno marcio e semidistrutto.
L’uomo alzò lo sguardo dalla cartella clinica e pronunciò uno stanco: “Avanti.”
La sua assistente, una donna alta, magra, dai capelli e la carnagione scuri, con in testa una fascia rossa a fiori, entrò nella stanza.
“Cosa c’è, Mimi?” chiese l’uomo.
La donna si appropinquò al dottore.
“E’ arrivata la dottoressa Martin, con la nuova paziente.” disse, sbattendo con fare annoiato una pila di fogli disordinatamente legati da un elastico sulla scrivania.
Il dottor Brooks guardò per un momento l’orologio che aveva al polso, nonostante fosse certo di avere ragione.
“E’ l’una di pomeriggio.” disse, con tono da rimprovero.
L’assistente strinse i pugni, per trattenere la rabbia.
“Non decido io l’orario dell’arrivo dei pazienti.” disse, lasciando trasparire un filo d’inquietudine.
Il dottore alzò le sopracciglia. “Era un appunto.” disse, alzandosi in piedi.
Mimi, la giovane assistente, girò i tacchi e in un baleno sparì, sbattendo fragorosamente la porta.
La ragazza attraversò il corridoio e giunse in sala d’aspetto, dove c’erano la direttrice dell’ospedale psichiatrico in cui lavoravano, Sabrina Fourner, e la dottoressa Martin.
La dottoressa, una nanerottola dai capelli biondi tinti, teneva stretta per un braccio una ragazza sugli undici anni. Era lei, la paziente.
Quando Mimi entrò, sia l’infermiera che la direttrice dell’istituto alzarono lo sguardo su di lei, mentre la paziente teneva lo sguardo ostile fermo sul pavimento.
“Mimi” disse Sabrina “questa è la dottoressa dell’ospedale da cui proviene la nostra paziente; si chiama Mariah Campbell. Lei invece è la nostra nuova paziente, si chiama Annie Massey.”.
Mimi annuì. Il tono che usava sempre Sabrina, la inquietava ogni volta di più. Un tono soave, che nascondeva un sacco di cattiveria. Lei conosceva male Sabrina, ma si raccontavano un sacco di cose su di lei, tra gli assistenti e gli infermieri. Ovviamente l’accusavano di essere avida come il demonio, di aver costruito il St. Catherine Institute solo per guadagnare soldi.
Ma altre voci, che sentiva mentre stava in segreteria, a poltrire, da alcune infermiere che passavano di lì per pulire la biancheria, parlavano di maltrattamenti indicibili sui pazienti, e la accusavano in prima persona.
A Mimi faceva uno strano effetto quella donna. Era abituata a immaginare le direttrici dei manicomi come delle donne di mezza età grasse, incuranti di tutto e di tutti e brutte. Invece Sabrina poteva essere considerata bella: aveva più o meno venticinque anni, un sorriso sempre smagliante, la carnagione chiarissima, i capelli neri e un fisico da fotomodella.
“Io devo tornare a casa.”
Una voce roca, bambinesca e sull’orlo di diventare furente distrusse tutti i pensieri di Mimi. A parlare era stata proprio la paziente, Annie.
La ragazzina non ottenne risposta.
“Accompagna Annie nella sua stanza, Mimi.” le ordinò Sabrina.
Mimi non disse niente, si limitò a prendere per il braccio la ragazzina e farle strada.
Molti pazienti gravi, come sembrava essere quella bambina, camminavano e parlavano lentamente. Annie invece camminava spedita, tranquilla, ma nonostante ciò parlava con voce roca e con qualche difficoltà.
“Dove siamo?” chiese la ragazza, quando imboccarono uno stretto e polveroso corridoio.
“Al St. Catherine, a Liverpool.” le rispose Mimi.
In meno di cinque minuti arrivarono davanti alla camera di Annie.
Mimi aprì la porta e le mostrò la branda e il rudimentale tavolino apparecchiato. Tutte le pareti bianche, senza nessuna finestra.
“Questa è la tua stanza, Annie.” le disse.
Annie le lanciò uno sguardo inceneritore.
Mimi sorrise, compassionevole nel vedere Annie ammucchiare le sue cose nella stanzina.
“Non sei più a Belfast, Annie, siamo a Liverpool adesso.”
Annie alzò lo sguardo e le sorrise beffarda. “Guarda che non sono mica scema.” disse. La sua voce ora era diversa… non aveva più quel timbro sofferente e roco, come rotto dal pianto. Era una normale voce, per giunta un po’ beffarda.
Mimi restò a bocca aperta. “Se no perché saresti qui?”
Annie fece spallucce, poi si avvicinò lentamente all’infermiera, fino a portare la sua fronte a pochi centimetri dal mento di Mimi.
“Io sono qui per molte e svariate ragioni.” disse sottovoce. Poi si avvicinò all’orecchio dell’assistente.
“Ma so parlare. E ricordo ogni giorno della mia vita.” le bisbigliò all’orecchio.
Annie si allontanò, con un sorriso beffardo stampato sul volto, e si sedette sulla brandina.
“Ora puoi andare, Mimi.” le disse.
L’assistente cercò di sembrare il meno scioccata possibile quando si richiuse alle spalle la pesante porta di acciaio. 

Rieccomi. Con un'altra storia. A capitoli. Così ne inizierò così tante che alla fine non ne continuerò neanche una!!! yeeee! Basta con questo ottimismo, se v'intriga leggete, se non v'intriga leggete, se avete voglia recensite se non avete voglia recensite. 
Alla prossima. 


 
  
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