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Autore: lety_beatle    07/07/2014    3 recensioni
-Ho paura che non ci sia più posto per un noi- nel momento che le parole gli uscirono dalla bocca, John poté giurare di aver visto Paul precipitare, ma vide anche la determinazione con cui si sforzava di non darlo a vedere.
-Forse hai ragione- Paul cercò le parole con cura, pur di non far trapelare la disapprovazione che provava. Non era mai servito un posto per loro, ognuno era sempre stato il posto dell’altro, -Allora penso sia meglio che vada- Tentò di alzarsi, per non mostrare a John quanto triste lo rendesse quella decisione.
-No, Paul, aspetta- disse, prendendo le mani di Paul e facendolo voltare verso di sé.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HIS EYES MADE ME SAFE

 
È semplicissimo: io ho creato la band e io l’ho sciolta.

Le parole risuonavano ancora prepotenti nella testa di Paul, lasciandogli la mente colma di brutti pensieri.

Cos’era successo? Perché John voleva lasciare la band? Beh, c’erano state diverse discussioni e la tensione era palpabile. Ma ancora Paul non riusciva, o forse non voleva, essere consapevole del fatto che i Beatles, la sua band, si stavano sciogliendo.

La tristezza si impossessò rapidamente di lui, facendogli provare una fitta al cuore. Nell’ultimo periodo sapeva che quel momento sarebbe arrivato, in un certo senso gli ultimi mesi gli avevano preannunciato che la band si sarebbe sciolta, i litigi sempre più frequenti gli avevano fatto capire che la sintonia iniziale non esisteva più, e che loro si stavano allontanando sempre di più.

Loro”, si disse Paul. “Lui

Quando John annunciò la frase che ancora gli risuonava in testa, Paul provò un forte dolore al petto, in corrispondenza del cuore. La sua voce, mentre diceva quelle parole, era tranquilla, quasi non fosse consapevole di ciò che stava provocando in lui. Era come se John, con il semplice parlare, stesse in realtà infilando più volte una spada nel petto di Paul, e la tristezza era il sangue che non sgorgava.

Veramente non avrebbe più rivisto John? Sul serio John aveva detto quelle parole? Le intendeva veramente o, magari, era solo frutto di un suo scherzo?

No, questo era improbabile, pensò Paul. La sua voce non faceva trapelare divertimento, bensì era seria più che mai, pur essendo tranquilla. Paul non si ricordò di averlo mai sentito parlare in modo così fermo, così deciso, soprattutto non si sarebbe mai immaginato che sarebbe stato lui a sciogliere il gruppo.

In realtà non si era mai immaginato che il suo gruppo si sarebbe sciolto, se non negli ultimi tempi. Quando aveva visto per la prima volta John, in quel lontano 6 luglio di tredici anni prima, neanche si immaginava di poter arrivare dove era ora, soprattutto mai si sarebbe immaginato tale attaccamento nei confronti del chitarrista.

Paul cercò di ricacciare via quei bei ricordi -che facevano sempre male-, mentre attraversava la strada dirigendosi verso l’appartamento di John. Era una classica giornata che preannunciava la primavera, un leggero vento spirava, scompigliando i capelli neri di Paul, e facendolo leggermente rabbrividire sotto la giacca. Forse non rabbrividiva per il freddo, bensì per quello che si aspettava accadesse.

Tuttavia era deciso ad andare da John, rivolgendogli quelle domande a cui né la sua testa, né il suo cuore, riuscivano a dare una valida risposta.
 
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John era comodamente disteso sul suo divano, le gambe accavallate, un libro su di esse, e gli occhiali per potergli permettere di leggere.

Un rumore alla porta lo destò dalla lettura, quindi posò il libro sul divano, assicurandosi di aver messo il segno, e si diresse verso l’ingresso di casa sua.

Sarà tornata Yoko”, si disse mentre girava la chiave nella serratura facendo sì che la porta si aprisse.

-Paul..- la sorpresa gli fece smorzare le parole in gola.

Che ci faceva lì? Sperava che non venisse, anche se aveva il presentimento che si sarebbe presentato dopo ciò che aveva detto, quando aveva sciolto i Beatles. La sua voce era suonata autoritaria, ma non credeva che si sarebbe mostrata tale davanti agli occhi di Paul, scrutatori e consolatori.

Tante volte aveva visto quegli occhi, tante volte gli erano serviti come consolazione, o semplicemente come consiglieri nei momenti di bisogno.

La sua mente percorse velocemente lo stesso tragitto che aveva fatto precedentemente quella di Paul, ed in un batter d’occhio si ritrovò alla festa della parrocchia, nella chiesa di St Peter's, dove tutto ebbe inizio.

Si ricordò quando per la prima volta i loro sguardi si sfiorarono semplicemente, per poi approfondire quel “sfiorarsi”, scrutando uno quello dell’altro. Gli occhi castani di John guardavano quelli da cerbiatta di Paul, forse i primi che riuscirono a varcare la barriera che il suo sguardo imponeva, i primi..

-John!- il più grande fu riportato alla normalità da Paul. Il suo tono faceva intuire che non era la prima volta che richiamava l’attenzione di John, ma forse questo era troppo impegnato nei suoi ricordi per poter prestare veramente attenzione al più piccolo. Quando Paul si assicurò di avere l’attenzione del più grande, riprese parola, questa volta con più calma, anche se una punta si tristezza mista a rabbia sfumava all’interno dell’apparente calma –Dobbiamo parlare-

La faccia di John assunse un’espressione più seria di quella che aveva prima, probabilmente persa nei molteplici ricordi. Anche la faccia di Paul era seria, probabilmente era solo una maschera per poter nascondere i veri sentimenti provati da lui in quel momento: rabbia, tristezza, malinconia,..

-Allora è meglio che entri. Non possiamo mica parlare con te sullo zerbino, non trovi?- John tentò con un sorriso, ma era consapevole che mai gli sarebbe stato restituito. Come poteva pretendere che Paul gli sorridesse, in una circostanza simile?

Paul si affrettò ad entrare, si tolse la giacca e si sfilò la sciarpa, appoggiandola al porta giubbotti, senza che John disse o facesse alcunché. Si diresse con passo titubante verso il divano, dove John era già seduto da un po’, ma non si sedette accanto a lui, quindi rimase in piedi, mentre i suoi occhi guardavano dritti in quelli dell’amico, che faticava a restituirgli lo sguardo.

-Dimmelo, qui, adesso- Paul sapeva che gli avrebbe fatto soltanto male sentirselo ripetere un’altra volta, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che la sicurezza e l'autorità che John aveva mostrato non avrebbe retto davanti a lui. Adesso che John esitava a rispondere, Paul ne ebbe la conferma. Quindi, la domanda era semplice, perché aveva deciso di sciogliere la band, di sciogliersi da Paul? Paul aprì la bocca, intento a porgergliela, ma da essa non uscirono parole.

-Paul, sai che non è semplice- John lo interruppe prima che i suoi pensieri potessero trasformarsi in parole.

-Ah no? Prima sembravi tutto deciso, quando hai detto: “È semplicissimo: io ho creato la band e io l’ho sciolta.”- le ultime parole gli uscirono con amarezza, e il suo cuore gli si strinse nel petto. Gli faceva sempre male pensare a quello che era successo.

Paul portò istintivamente le mani sui fianchi, in una posa che un tempo li avrebbe fatti ridere. Di sicuro John avrebbe detto “Sembri proprio zia Mimi”, prima di scoppiare a ridere, contagiando l’amico. Di sicuro lo avrebbe attratto a sé, bloccando quella risata con un dolce bacio, mentre le sue mani gli cingevano la vita….

I got arms that long to hold you and keep you by me side. I got lips that long to kiss you and keep satisfied.”

Le parole della canzone risuonarono nella sua mente e Paul provò una stretta al cuore nel ripensare a quei momenti. No, no, non poteva lasciarsi travolgere così dai ricordi né da cosa sarebbe potuto accadere se la sua visita non avesse avuto i fini che aveva. Ma Paul doveva dimostrarsi all’altezza della situazione, affrontando John in un tono freddo.

Tuttavia notò come l’espressione di John non trasudava freddezza, bensì tristezza e i suoi occhi imploravano quelli di Paul di rassicurarlo. Ma no, Paul non doveva lasciarsi incantare. In fondo era John che lo aveva fatto soffrire, non lui; John doveva preoccuparsi di rassicurare il più piccolo.

-È diverso ora, con te che mi guardi in quel modo- tentò di giustificarsi John, ma l’espressione di Paul non cambiò, e John ebbe un tuffo al cuore.

-Adesso saresti tu quello indifeso da capire? Scusa, però mi sembra che quello che dovrebbe essere capito dovrei essere io, non tu. Tu non sai come mi sono sentito, quasi come se mi avessi dato uno schiaffo con quelle parole- il tono di voce di Paul divenne un urlo, le sue mani facevano gesti vaghi mentre parlava, segno della sua rabbia.

Quando ebbe finito John si alzò dal divano, ritrovandosi davanti al più piccolo, il cui fiato era corto a causa dell’arrabbiatura.

-Nessuno parlava più dei “Beatles”, lo vuoi capire? Tutti parlavano di John, Paul, George o Ringo. A nessuno fregava più della nostra cazzo di band, bensì di quello che frullava nella mente di ognuno di noi. Se non lo avessi fatto io, qualcun altro lo avrebbe fatto- anche la voce di John, che un attimo prima era bisognosa, si tramutò in un urlo.

Paul non ribatté, doveva ammettere che aveva ragione. Il suo volto si rabbuiò, mentre John si rimetteva sul divano, appoggiando i gomiti sulle cosce e di conseguenza prendendo la sua testa tra le mani, che si intrufolarono nei suoi capelli.

Paul ricordò cose si provava ad infilare le dita tra quei capelli ramati, così folti e morbidi tra le dita. Si ricordò delle loro “scappatelle” prima dei concerti e di come le sue mani non vedessero l’ora di intrufolarsi tra quelle ciocche ramate.

Non potendo fare altrimenti, Paul s’inginocchiò davanti a John sollevando il suo volto, la rabbia non riuscì a reggere davanti a un John che sembrava così indifeso. Fece incontrare i loro sguardi. Vedeva la paura negli occhi di John, la rabbia, la tristezza, ma anche l’amore che un tempo gli aveva illuminato lo sguardo. L’amore per lui.

-Cosa ne sarà di noi, sempre che esista ancora un noi?- la domanda di Paul sorse spontanea, e il tono dolce non faticò ad impossessarsi della sua voce. Forse era proprio quella la ragione per cui era andato lì, il suo cuore lo sapeva già, ma lui non voleva dargli ascolto, sapendo che il cuore non lo avrebbe di certo portato ad una risposta razionale.

Yesterday love was such an easy game to play. Now I need a place to hide away. Oh, I believe in yesterday.”

Ora le note di “Yesterday” invadevano la testa di John. Forse era vero, ieri era più facile per loro amarsi. Ora sembrava soltanto uno dei molteplici ostacoli che la vita ti poneva nel tuo cammino. Le regole del gioco erano cambiate, e John aveva bisogno di nascondersi, da Paul, dai suoi occhi. Non poteva di sicuro reggere il suo sguardo.

-Ho paura che non ci sia più posto per un noi- nel momento che le parole gli uscirono dalla bocca, John poté giurare di aver visto Paul precipitare, ma vide anche la determinazione con cui si sforzava di non darlo a vedere.

-Forse hai ragione- Paul cercò le parole con cura, pur di non far trapelare la disapprovazione che provava. Non era mai servito un posto per loro, ognuno era sempre stato il posto dell’altro, -Allora penso sia meglio che vada- Tentò di alzarsi, per non mostrare a John quanto triste lo rendesse quella decisione.

-No, Paul, aspetta- disse, prendendo le mani di Paul e facendolo voltare verso di sé.

Oh, please say to me you’ll let me be your man. And, please, say to me you’ll let me hold your hand. Now let me hold your hand. I want to hold your hand. And when I touch you I feel happy inside it’s such a feeling that, my love, I can’t hide.

Incoraggiato da quelle parole, John, strinse maggiormente le loro mani, lasciando incrociare le loro dita. Non poteva non ammettere che quella sensazione lo rendeva felice dentro, ogni vota, come quando erano ragazzi. 

Paul sembrò pensare lo stesso, perché si voltò di scatto e fissò intensamente l’amico, allacciando le sue mani con quelle di John.

Love was more than just holding hands.”

Era bellissimo. I suoi occhi lo guardavano, velati da un riflesso lucido, la sua pelle chiara era segnata da un lieve rossore e le sue labbra erano lì, quasi lo chiamassero, dolci, carnose,…

John appoggiò le proprie labbra su quelle dell’amico, che si dischiusero sotto il suo tocco. La lingua di John si impossessò di quella del compagno, ed entrambi furono travolti dalla passione di quel momento.

Tutte le preoccupazioni, i dispiaceri, i litigi, sembrarono spazzati via da quel bacio.

Paul si staccò, fissando John, imprimendosi nel cuore quel momento. Avrebbe voluto che non finisse mai, che quello non sarebbe stato il loro ultimo incontro. Ma sapeva che non ci sarebbero state altre occasioni, la band si stava sciogliendo, e loro ben presto si sarebbero dovuti occupare delle loro carriere singole. I baci rubati prima dei concerti, gli abbracci nei camerini, i giochi di sguardi, tutto quello sarebbe appartenuto al passato.

-Addio, John- disse il più piccolo, prima di dirigersi verso la sua giacca, infilandosela ed uscendo fuori dalla porta di casa.

Quando fu fuori, Paul giurò di aver sentito la voce di John.

-Addio, principessa-
 
 
 
Note dell’autrice: ciao, sono tornata :)

Questa è la mia seconda one shot. Mi è venuta in mente mentre facevo shopping, le idee mi vengono sempre nei momenti più bizzarri :P

Ovviamente la storia è ambientata nel 1970, il triste anno in cui i Beatles si sciolsero :’(

Vorrei ringraziare tutte coloro che hanno recensito la mia precedente storia. Vorrei ringraziare anche la mia amica Clarice che rilegge sempre le mie storie, aiutandomi quando non mi viene in mente qualche vocabolo e correggendo eventuali errori. La ringrazio anche perché è grazie a lei se l’ho pubblicata, perché mi incoraggia sempre quando sono indecisa su qualcosa <3 Grazie anche alla mia dolce amica Claudia che mi ispira sempre e, soprattutto, mi sopporta :*

Spero che la storia vi sia piaciuta :)

A presto.

lety_beatle
   
 
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