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Autore: Sibylla    08/07/2014    5 recensioni
E se Kate non avesse mai accettato la proposta di matrimonio di Castle? E se il destino non si fosse ancora arreso, a differenza di loro stessi?
Dal prologo:
"Erano già passati due anni. [...]
Lo aveva detto lui, entrambi meritavano di più: più della paura di rivelarsi cosa fossero e più di un forse. E un forse era proprio ciò che gli aveva dato lei. Tutta l'esitazione concentrata nel rapido scatto delle sue iridi verdi. Avevano ceduto un solo istante all'attrazione dei loro sguardi, per posarsi su un punto troppo distante da loro due, tradendo il proprio desiderio di fuga.
[...]
Da quel giorno non aveva mai più visto Rick.
Castle, invece, lo aveva incontrato altre volte."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro, Più stagioni
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And right now there's a war between the vanities
But all I see it's you and me
The fight for you is all I've ever known

(Come Home - One Republic)


«...Così gli avevo detto che se un giorno avesse sperato in un mio sì, avrebbe dovuto fare di meglio di un elastico per capelli. È romantico certo, ma queste cose vanno bene per le protagoniste dei film, non certo per me..., voglio il pacchetto completo io! Beh, comunque stavo scherzando allora -più o meno-, non credevo mi stesse davvero ascoltando. Ma devo dire che alla fine ha fatto davvero un gran bel lavoro...»
«È meraviglioso Lanie, davvero»
Comodamente acciambellata sul divano, Kate rigirò ancora una volta la mano dell'amica tra le proprie, delicatamente, come se temesse che a un tocco più deciso la pietra sul suo indice potesse sgretolarsi.
Non era mai stata un'amante dei gioielli: nelle occasioni speciali le piaceva stupirsi ad ammirare il proprio riflesso impreziosito da qualche ricercatezza, ma nella vita di tutti i giorni l'anello di sua madre, l'orologio di suo padre e la pistola erano tutto il metallo di cui necessitava per sentirsi completa.
Tuttavia dovette ammettere che quel diamante meraviglioso lo era davvero -e grosso anche-, e per qualche istante le venature argentee, e il contrasto che queste creavano contro la bronzea carnagione della sua amica, la lasciarono sopraffatta.
Non poté fare a meno di chiedersi da quanto Esposito meditasse quella proposta: doveva essere parecchio tempo se era riuscito a risparmiare tanto da comprarle quell'anello -si disse, mentre lo osservava incantata.
«Sai, ero piuttosto indecisa se venire qui o meno. Non ero certa se fosse il caso, vista la tua ultima esperienza con anelli del genere...»
Lo sguardo di Lanie si velò di un cupo rammarico, attraverso cui la pietra appariva ora meno luminosa -appannata da un senso di colpa che aveva segretamente premuto per uscire sin da quando lei aveva messo piede in quella casa.
Il vino ondeggiò mesto nel bicchiere sotto la pressione delle dita che, a disagio, cercavano un controllo su qualcosa -qualsiasi cosa- che potesse distrarla da quel pensiero.
«Non dire sciocchezze Lanie, è ovvio che dovessi dirmelo! E vantarsi dell'anello rientra nei compiti di una futura sposa, perciò stai tranquilla. Oltretutto è passato tanto tempo...»
Non c'era ipocrisia in quelle parole, o dolore. Avrebbe facilmente potuto dare l'impressione di riferirsi a una vita non sua, se non fosse stato per quella punta di malinconia nello sguardo, tipica di chi sta ripercorrendo con la mente la scia antica di un ricordo.
Avrebbe voluto risponderle che ormai quella storia faceva parte del suo passato -che non provava più nulla per quell'uomo il cui nome aleggiava ora, pesante e impronunciato, nella stanza- e che la vista di quell'anello, così simile ma così diverso da quello che avrebbe potuto incorniciare il proprio di anulare, non l'aveva portata a domandarsi "e se...".
Ma la donna seduta di fronte a lei era la sua migliore amica, e le doveva sincerità, più di quanta ne riservasse a se stessa. Così, tacque. Perché la verità era che, nonostante fosse felice della propria vita attuale e delle proprie scelte, quando si chiedeva se avesse potuto o voluto fare diversamente, l'unica risposta che riusciva a darsi era che non lo sapeva.
E probabilmente non voleva neanche saperlo.


Erano già passati due anni.
Due anni dal suo nuovo inizio.
Due anni dalla loro fine.
Lo aveva detto lui, entrambi meritavano di più: più della paura di rivelarsi cosa fossero, e più di un forse. 
E un forse era proprio ciò che gli aveva dato lei. Non a parole, non ce n'era stato bisogno, lui lo aveva letto nei suoi occhi: tutta l'esitazione concentrata nel rapido scatto delle sue iridi verdi. Avevano ceduto un solo istante all'attrazione dei loro sguardi, per posarsi su un punto troppo distante da loro due, tradendo il proprio desiderio di fuga.
Si era rialzato così come si era inginocchiato: rapido e deciso -un sussulto di lei coperto dal secco richiudersi della scatoletta.
E poi aveva sorriso.
Un sorriso mesto ma sincero, di chi sembrava aver scoperto la più grande delle verità del mondo.
Quel sorriso non era più riuscita a dimenticarlo: veniva a trovarla nella solitudine della notte, quando poteva permettersi di essere debole, e lei vi si nascondeva dentro, rannicchiata al sicuro tra le piccole rughe -affascinanti tracce del tempo sulla sua pelle- che avevano incorniciato anni prima il viso di lui, e che le si erano appiccicate addosso, ciascuna custode di un ricordo di quei cinque anni passati insieme.
In quel momento aveva sentito una parte della sua vita scivolarle via dalle mani e lei non aveva potuto far altro che stare a guardare, inerme: impedirlo sarebbe stato impossibile, come cercare di acchiappare l'acqua.
E di acqua ce n'era troppa: tra le sue dita, nelle sue lacrime...
E ogni goccia le strappava via un nuovo pezzetto di sé, di lui, di loro.
Troppo rapide per darle il tempo di capire se stesse piangendo per il sollievo di una spiegazione che le era stata risparmiata o per la disperazione dovuta alla consapevolezza di averlo perso per sempre, maturata troppo tardi per tornare sui propri passi.
Ricordava ancora come si era sentita allora: quella sgradevole impressione di non essere più in grado di provare nulla -perché non aveva più nulla- finché, da molto lontano, non le era arrivato il tocco leggero della fronte di lui contro la propria, e in quel vuoto una nuova consapevolezza aveva preso piede. Era finita.
Si amavano ancora? Forse. Sicuramente.
Ma quell'ultimo ti amo che lui le stava regalando non era stato che la parola conclusiva a un sentimento cui avevano appena messo fine, prima che fosse lui a finirli.
Ne aveva riconosciuto ogni lettera nel lento sillabare delle sue labbra sulla propria pelle, ardente, come se quelle due parole non fossero state semplicemente sussurrate, ma marchiatele a fuoco sulla fronte.
Ma non era più abbastanza: in quell'universo, in quella vita, o forse semplicemente in quel momento, loro non erano abbastanza.
Dovevano andare avanti.
E così, lo aveva guardato allontanarsi a passi lenti e stanchi -quasi che sulle sue spalle fosse improvvisamente piombato il peso di un migliaio di anni-, ma l'ombra del sorriso era ancora sul suo volto, e Kate era riuscita a vederla anche quando lui aveva voltato l'angolo, sparendo per sempre dalla sua vista e dalla sua vita.
Da quel giorno non aveva mai più visto Rick.
Castle, invece, lo aveva incontrato altre volte.
Dopo un ragionevole silenzio di sei mesi, le loro strade si erano nuovamente incrociate, più spesso di quanto avrebbero voluto. 
Ma era stato inevitabile. Se anche ad accomunarli ormai era solo il 12Th distretto, quest'ultimo era di per sé una presenza abbastanza ingombrante da insinuarsi prepotentemente nel loro dolore.
E in fondo, era anche giusto così: la nascita della figlia di Ryan, l'anniversario della morte di Montgomery... erano tutte occasioni più grandi di loro e dei loro problemi.
Non erano più Rick e Kate, ma erano ancora Beckett e Castle, e in un modo penosamente illogico questo era in qualche maniera rassicurante.
In un modo penosamente illogico, lui era ancora la sua casa.






  
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