Don’t
talk to strangers
«Si può sapere
chi sei tu?»
«Speravo me lo
chiedessi. Sono Leo, un nome davvero inflazionato lo ammetto, però sono l’unico
e inimitabile! » accompagnò le parole con un gesto delle mani a sottolineare
gli addominali che risaltavano sotto la maglietta. «E … posso conoscere il tuo di
nome?»
«No. E se non
l’avessi capito, la mia precedente domanda era un modo carino per dirti
‘vattene!’ Quindi ciao, ciao! A mai più rivederci!» concluse Cris e si voltò
dall’altra parte fissando ostinato la parete. Sbuffò.
«Ma si può
sapere» aveva cominciato il ragazzo girando con una mano una sedia per sedersi
«perché, allora te ne stai seduto tutto solo in un bar?».
Cris girando
piano la testa, senza tante cerimonie si alzò di scatto facendo cadere l’altro
dalla sedia. Leo si alzò battendo le mani. «Ma quanto siamo maneschi …» mormorò
guardandolo malizioso mentre constatava divertito che la testa dell’altro gli
arrivava a malapena al petto. «Mm, meriteresti una punizione, sai?» aggiunse,
forse apposta per far infuriare ancora di più l’altro. Cris senza tante
cerimonie lo spinse di lato diretto alla porta. Leo sogghignando sotto i baffi
lo seguì con lo sguardo, lo vide voltarsi un attimo verso il fondo del bar come
in attesa di qualcuno e, quando per l’ultimo istante i loro sguardi si
incontrarono, vide che gli occhi dell’altro erano umidi, stava per piangere.
Si bloccò il
respiro a Leo, non riusciva più a smettere di fissare quel ragazzo, a
immaginarselo accovacciato sul marciapiede di una strada, con le ginocchia
strette al petto e quegli occhioni scuri inondati di lacrime. Venne colto nel
contempo da dispiacere, tristezza, desiderio. Si passò piano la lingua sulle
labbra, assorto nei suoi pensieri. Diamine, doveva andare a consolarlo. Imprecando
fra sé e sé si diresse verso la porta, la spalancò ritrovandosi sotto la
pioggia autunnale, fra lampi e tuoni con nelle iridi solo un’ ombra scura che
correva veloce. Non si fermò a pensare, si fiondò immediatamente all’inseguimento.
Non sentiva il freddo, né l’acqua ghiacciata che gli scivolava dentro il
colletto della camicia, solo il cuore che gli martellava nelle orecchie e quell’inconscio
desiderio di raggiungerlo, di proteggerlo.
Cris si era
finalmente fermato al riparo sotto il tetto di una casa, appoggiato al muro con
le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Vide delle scarpe nere lucide
accanto a sé, sollevò piano la testa e lo vide. «Leo, giusto? Non verrò a letto
con te, cercati un’altra preda e lasciami in pace!» quasi urlò Cris. Leo
incontrò finalmente gli occhi dell’altro, rimanendo come congelato nel tempo,
quegli occhi scuri inondati da lacrime calde … Aprì le braccia quasi in sogno e
se lo strinse al petto. Cris sorpreso rimase rigido per qualche secondo, poi si
lasciò andare singhiozzando; in fondo non l’avrebbe rivisto mai più, quell’attimo
di debolezza sarebbe stato ricordato solo da uno sconosciuto. Leo lo strinse
ancora di più a sé, lo sentiva così freddo, tremare. Gli accarezzava piano la
schiena, consolandolo da un ignoto male.
«Cosa ti è
successo?» si lasciò sfuggire Leo cancellando la magia dell’ attimo. Cris si
scostò di scatto e con occhi colpevoli riprese a correre diretto chissà dove. «Aspetta!»
urlò Leo con la mano tesa «Come ti chiami!». L’altro si fermò un istante come
colpito da un rimorso, scosse la testa e riprese a muoversi sempre più veloce,
piangendo sempre più forte; era stato un errore entrare in quel bar.
Leo osservò la
sua felpa scomparire nel buio della notte, portandosi via le mille domande che
gli agitavano la testa. Perché piangeva? Perché si trovava in quel bar? Chi
era?