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Autore: Fuujiko    08/07/2014    0 recensioni
[Dolce Flirt]
[Dolce Flirt]"Era troppo ricorrente quel colore, come fosse... un segno. Rosso..."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Seduto sul ciglio della strada. Aveva indosso le sue cuffie, quelle stesse cuffie che lo avevano accompagnato per una vita. Come la sua chitarra, la sua migliore amica. Fan, la chiamo'. La musica sparata nelle orecchie che non faceva percepire il brusio della gente che camminava per strada, fissandolo. Eh si', quegli sguardi intensi, forse di paura, o di disprezzo, ma a lui non importava. Percorreva ogni giorno la solita strada. Destra, dritto e poi sinistra, ed ecco il supermercato dove si comprava la birra. Eh gia', la sua amata birra. Come poteva stare senza? eppure essere sbronzo non gli piaceva, voleva solo quel gusto d'alcool e il calore nelle vene. Andava ancora dritto, poi passava davanti a una piazzetta. Un posto dove c'erano bambini. Strano. Si puo' dire che lui i bambini li abbia sempre odiati, quando attraversava la piazza, era come se ci fosse una pausa, il tempo si fermasse, il vento si arrestasse e rimanessero solo gli sguardi di quei bambini a fissarlo. "Mah", pensava. Alzò il braccio un po' titubante, prese una sigaretta dalla tasca ed estrasse il suo accendino. Rosso, rosso come i suoi capelli, tinti ovvio. Accese la sigaretta con la mano destra e con l'altra proteggeva la fiamma dal vento. due secondi e una nuvola di fumo invase lo spazio a pochi centimetri dai suoi occhi. A ritmo di musica, camminava a passo deciso, un po' lento per i suoi gusti, ma non voleva correre. Perche' avrebbe dovuto? Nessuno lo stava aspettando, sarebbe rimasto solo un'altra sera. Una noiosissima sera come le altre. Solo Fan poteva tirarlo su di morale. Gli veniva voglia di estrarre la chitarra dal fodero di pelle e iniziare a suonare in strada. Si' lui voleva diventare un artista di strada. "Il bello della musica e' che va condivisa con gli altri, e' una cosa che unisce", diceva. Mentre attraversava una via ne' troppo piccola ne' troppo grande, senti' dei suoni in lontananza, come una sirena della polizia. Rumori che andavano capiti, dato che le sue cuffie non lasciavano penetrare nulla. Piano piano il rumore si avvicino', prima gli passo' davanti un camion dei pompieri, poi a seguire la polizia. Chissa' che era successo. A lui non importava. Andava per la sua strada, senza farsi coinvolgere, senza avere problemi. La sua vita e' sempre stata cosi'. Aveva deciso di non volere problemi per causa di altri, aveva gia' i suoi. Dopo circa cinquanta metri, avvista un incendio in un palazzo in lontananza, quel colore cosi' familiare, il colore del suo accendino, dei suoi capelli, della sua chitarra. Era troppo ricorrente quel colore, come fosse... un segno. Rosso, sangue...forse qualcosa lo turbava; ma no, forse non e' ancora riuscito ad acettare la morte dei suoi genitori dinnanzi a lui. Li' si' che ne ha visto di sangue. Eppure non fa nulla per evitarne il ricordo. Si e' addirittura tinto i capelli da poco. Strano il ragazzo. Percorsi altri 10 metri si ferma davanti a un negozietto rintanato sottoterra. "Tattoos" leggeva l'insegna. Un idea gli balenò in testa, un tatuaggio. Perche' non farsene un'altro? ne aveva gia' qualcuno. Sulla schiena, sulle braccia... ne voleva uno sul collo. Ma i soldi. Gia', i soldi. Usati troppo per le sigarette, e per i plettri che gli si rompevano ogni giorno. Suonava talmente forte, con violenza quasi. Li rompeva tutti. Sembrava volesse esprimere qualcosa, raccontare a qualcuno, gridare, soprattutto. Eppure era come se il suo odio rimaneva dentro quelle note, strimpellate con violenza con l'amplificatore al massimo. Lui lo sapeva, o forse no? Cercava un modo. Un modo per parlare,comunicare, raccontare. Ma sembrava non ci fosse nessuno. Si limitava a ricordarsi il nome della sua chitarra, Fan. Oh, che melodia, pensava ogni volta. E il suo nome. Un nome di poca importanza, dato da una famiglia di poca importanza ad un ragazzo di poca importanza. Castiel. Lui non odiava il suo nome. Non lo amava. Semplicemente era il suo nome, un qualcosa con cui identificarsi, un riferimento per le altre persone. Ma quali altre persone? La sua chitarra non parlava, ma lui nei suoi sogni la faceva anche cantare. Forse perche' lo voleva lui. Lui voleva cantare. Voleva cantare? Appena se lo chiedeva gli usciva un sorrisetto, una fossetta sopra il lato destro della bocca. Si prendeva per il culo da solo. Sapeva che tutto quello che diceva erano solo scemenze. Scemenze che nessuno avrebbe mai ascoltato. Ecco perche' non voleva cantare. Chi lo avrebbe mai capito? E allora si limitava a rinchiudere tutto nelle note, prima un arpeggio lento, traquillo, poi una plettrata piu' forte, una turbolenza, e infine su' e giu', e acora giu' e di nuovo su'. Sempre piu' veloce, poi sempre piu' calmo e placido il suono finiva, come una morte calma e indolore. Quella che forse lui sperava per se'.
 
   
 
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