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Autore: Phoebus    08/07/2014    0 recensioni
Sette anni dopo la feroce battaglia, Dublino.
Un viso conosciuto, visto e accarezzato mille volte.
O semplice fantasia? Mera illusione?
Un solo obiettivo: ricordarti.
Genere: Drammatico, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Famiglia, Weasley, Il, trio, protagonista, Minerva, McGranitt, Neville, Paciock | Coppie: Ginny/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Una nuvola leggera passava lenta e il rumore di sottofondo della città riempiva la stanza di calore Londra si assopiva, respirando piano. Il clacson del taxi che proveniva dalla finestra la dissuase dalla lettura in cui era intenta da tre ore ormai.
Qualcosa, o forse qualcuno, catturò d'improvviso la sua attenzione; guardò fuori e, dopo aver socchiuso gli occhi per meglio vedere, lo riconobbe. E sorrise.
“George! Ehi, bentornato!” – eccolo qui, in orario come sempre. George ra il piccolo gufo scuro che Hermione aveva acquistato durante il suo ultimo anno ad Hogwarts e dal quale non si separò mai più. Le piaceva moltissimo per quel suo piumaggio liscio e grigiastro. Lo curava con ogni premura, le teneva compagnia. E, inoltre, era un ottimo postino e recapitava puntuale tutte le lettere che la ragazza scriveva ai suoi amici sparsi per il mondo magico.
Da quando viveva stabilmente a Londra scriveva loro tutte le settimane con una malinconia leggera, ma vividamente presente, a tal punto che non sempre le riusciva di spedire ogni foglio.
Spalancò la finestra della camera, lasciando il libro di magia orientale giusto in tempo per far entrare George. Lo coccolò e lasciò che si posasse sul trespolo che aveva preparato proprio accanto alla vetrata.
“Le hai consegnate tutte. – un’idea semplice le sollevò l’umore – Come sempre. Bravo George, vado a prenderti la ricompensa.”
Questo poteva significare solo una cosa, rifletté la giovane mentre prendeva i cereali preferiti del pennuto: in qualunque posto, sia anche lontanissimo, i suoi amici erano sani e salvi. Vivi.
Almeno alcuni, per fortuna alcuni.

La serata andò via silenziosa e lei decise di sistemare l'enorme pila di libri poggiata sulla scrivania, prima che qualsiasi altro pensiero triste potesse scalfirla; poi si fermò un attimo, guardò l'orologio e vide che ormai era tardi ed in fondo era meglio andare a dormire.
“E’ già tardi. Buonanotte mio piccolo amico, non andare troppo lontano.” – disse al gufo lasciandolo volar via libero nella notte, come lui tanto amava. E lei abbandonò il suo cuore e la sua mente al meritato riposo.
 
 
 
 
 
Hermione era così: viveva di ricordi.
E lo trovava bellissimo.
 
Nei ricordi puoi essere felice, puoi scegliere solo il bello. Il resto evapora, svanisce senza doloroso preavviso.
La vita invece no, quella non la scegli, accade.
 
 
 
 
Si alzò di buon’ora. Come ormai avveniva da anni, il suo ordine non si fermava ai vestiti, ordinati nell'armadio per colore e stagione, o ai libri, in fila negli scaffali per autore. Per lei l'ordine era un modus vivendi, qualcosa di indispensabile come il respirare o l'essere curiosa.
Raccolse i capelli in una coda non troppo curata, con le solite ciocche ribelli sparse; la camicetta che scelse era bianca e luminosa, coperta appena da un cardigan grigio leggero che portava aperto. E i soliti jeans chiari che le evidenziavano, in una stretta presa, le gambe formate e sode.

 
Tornare è, in fondo, l’esito di ogni viaggio.
Erano passati sette anni, sette lunghi anni da quella crudele guerra. E non ce l’avevano fatta, non l’avevano vinta.
Voldemort era stato quasi sconfitto ma, nell’ultimo istante utile prima della definitiva distruzione, era riuscito ad infliggersi un incantesimo talmente potente, un dissoltum della magia oscura, che lo scisse in una miriade di parti, con un boato assordante.
Per quella tremenda esplosione persero la vita alcuni tra gli studenti più coraggiosi che Hogwarts avesse mai avuto: Sirius per primo, che era proprio lì di fronte all’acerrimo nemico e per cui a nulla valse lo scudo che Harry provò a lanciargli, il preside Silente, Fred, Cedrick, Ginny e molti altri.
Fu un massacro, una strage senza fine, un dolore senza più lacrime da piangere.
 
 
Hermione comprava ogni anno i soliti gigli, i suoi fiori preferiti, e li poggiava lì, in quello spazio sterrato che le riapriva dentro ferite dilanianti, ferite che impiegava un anno a ricucire e che puntualmente si laceravano in quel giorno.
E tutto straripava in silenzio, senza nessun'eco esterna apparente.
C’erano solo lei e quell’immenso dolore.
“Dimenticare non si deve.” – si disse, inginocchiandosi e sentendo la gola improvvisamente rauca, quasi stesse per esplodere in un pianto a lungo rimandato.
 
“Hai ragione, Hermione. Dimenticare non si deve. Non si può.”
La ragazza sussultò, si tirò in piedi ed estrasse lesta la sua bacchetta con cuore di drago.
“Chi va là? – il tempo di mettere a fuoco una lenta figura alle sue spalle e capì di non essere in pericolo. Abbassò l’arma e le si fece incontro – Minerva..”
La sua adorata insegnante di magia, e di vita, le si avvicinò con la stessa calma degli anni della scuola e, dopo averle accarezzato una guancia umida, l'attirò a sé e l’abbracciò.
La strinse così forte che Hermione si abbandonò finalmente al pianto, a quel pianto antico.
Come una madre capisce la sofferenza del figlio, perché lo ha sentito nascere e crescere, così lei la capì fino in fondo, nell’anima.
La giovane si distaccò, ancora lacrimante ma col cuore colmo di gratitudine verso la donna per quel gesto.
“Mi perdoni Preside, le chiedo scusa per questa…per questa mia debolezza…” – la voce di Hermione era rotta e sommessa, come musica di violino interrotta.
“Dovresti chiedermi perdono se non provassi niente tornando qui, ragazza mia. Dovremmo ricordare tutti quel giorno. – la donna si fermò un attimo guardando a terra, su quella maledetta terra – Tutti abbiamo perso qualcosa qui, fosse anche solo la speranza.”
Hermione la guardava con rispetto ed affetto, in riconoscente silenzio. Il vento le accarezzava le gote spente e la chioma fluente. Era anche lei una donna ormai, una bellissima donna di venticinque anni, nonostante per la McGranitt rimanesse sempre quella dolce e curiosa ragazza conoscitrice di ogni magia esistente e possibile.
 
In lontananza spiccavano alte le torri di Hogwarts e i suoi vessilli secolari; tra poche settimane la scuola di magia avrebbe riaperto i battenti per nuove reclute, incuranti di cosa quel posto avesse vissuto.

“Sai bene che se solo volessi potresti iniziare ad insegnare. Hai tutti i requisiti necessari, hai vinto il concorso con il miglior punteggio. La cattedra di Trasfigurazione è tua, nessuno potrebbe togliertela. O di Aritmanzia. Era la tua materia preferita, lo ricordo bene.” – la nuova preside si emozionò quasi ricordandola bambina e tutta intenta sui libri.
Gli occhi nocciola della giovane non brillarono come Minerva aveva sperato; anzi, si chiusero un attimo per fermare un fremito.
“E’ quello che ho sempre desiderato, sì. Ma, – alzò gli occhi al castello – ora so che non posso. Non posso tornare, non mi sento pronta. La prego, provi a capirmi.”
“Sapevo che mi avresti risposto di no Hermione, come tutte le altre volte che ti ho fatto la stessa proposta. Anche se stavolta speravo in un ripensamento. – era sincera e voleva solo aiutarla - Ma non ti lascerò rimanere chiusa in un dolore che ti sta annientando lentamente, anno dopo anno.”
“Sto bene, Signora Preside. Mi creda, non ho bisogno di nulla.”
La McGranitt, incurante di quelle parole, le prese le mani.
“Ho un incarico per te da parte del Ministero.”
Hermione sospirò, colpita da un peso che sapeva di non poter evitare, né sopportare. Ma era decisa e non avrebbe mai accettato. Dentro di lei, Hogwarts era morta tanto tempo fa.
“La ringrazio anche stavolta ma, qualsiasi sia l'incarico, non credo di essere la più indicata.”
“Purtroppo non puoi discuterlo, stavolta è un ordine.”
  
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