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Autore: Sam Lackheart    08/07/2014    0 recensioni
Non so chi sia. Non so se sia una semplice trasfigurazione o un' estranea. Spero solo di farla uscire, così.
I: Non erano molte le cose a renderla felice, ma avevano il pregio di essere semplici.
II: Le sembrava di abbassare la dignità del suo pensiero cercando di scriverlo, con l' ovvia intenzione di divulgarlo in qualche modo.
III:La bellezza salverà il mondo: era una frase del suo scrittore preferito.
IV: Preferiva chiudersi nel suo bozzolo di egoismo e cattiveria, sentendo vagamente che anche quella barriera aveva punti deboli, ma quello più grande, che tutti le rinfacciavano, la solitudine, non la preoccupava.
V:Tra un’ ora, forse due, tra anni, o decenni, esploderà da sola. E la cosa più triste è che non rischierà di colpire nessuno, perché non ci sarà anima viva attorno a lei. Mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Non erano molte le cose a renderla felice, ma avevano il pregio di essere semplici: l' odore di un pacchetto di caffè appena aperto, la pioggia d' autunno, il giallo tenue delle pagine dei libri. Eppure, ultimamente, non riusciva ad esserlo. Un lieve strato di malinconia si era instaurato tra lei e quei piccoli piaceri quotidiani, e non riusciva a capire cosa fosse.
Aveva il colore degli occhi uguale a quello dei capelli: senza soffermarsi sulle possibilità genetiche di un avvenimento del genere, l' aveva trovata sempre una cosa molto noiosa. E non si riteneva noiosa, non sempre: non era il massimo nelle poche conversazioni che riusciva a mantenere, ma riusciva ad avere delle idee, a volte, che la lasciavano senza fiato. Idee semplici, a volte segretamente rubate da libri e canzoni, ma riusciva a trasfigurarle di modo che sembrassero solo sue. 
Cercò nell' assenza di qualcuno il significato della sua malinconia, ma non era quello il motivo: cercò di immaginare come sarebbe stato perdere le persona che la circondavano, ma niente si avvicinava a quello che provava. Cercò di incolpare il grande capro espiatorio dell' umanità, e pensò se non si era presa una cotta per qualcuno: non era neanche quello. Il problema, dunque, non erano le persone che mancavano, ma quelle che c' erano. 
Un piccolo dolore colpì la ragazza dietro l' orecchio destro, mentre realizzava la verità. Era la violenza latente delle persone che le stavano più vicina a farle male, ogni giorno un pò. Spesso si era ritrovata a pensare che se quella violenza fosse stata almeno per una volta espressa, avrebbe avuto qualcosa da mostrare, e niente da spiegare, niente al quale dover trovare una giustificazione, ma poi realizzava quanto fosse assurdo un pensiero del genere, e chiedeva mentalmente scusa a tutte quelle persone che quella violenza dovevano viverla senza scelta, anche se lo faceva solo per sentirsi in pace con la parte più superficiale di se stessa. 
Non era mai stata masochista, e aveva una soglia del dolore incredibilmente bassa: non sarebbe mai riuscita a farsi del male da sola, e non avrebbe mai chiesto a qualcuno di farlo, nonostante spesso accadesse che dalle persone meno probabili arrivassero fitte di dolore. Ma non era niente di eccelso, o di non sopportabile: era la vita, in tutte le sue ombre e luci, quella stessa vita che tutti si ritrovavano ad affrontare. 
Non aveva quasi niente di speciale, se non una grande immaginazione, ben coltivata e nutrita da anni di isolamento volontario e da letture più o meno indicate: le bastava una parola, una nota musicale per immaginare dialoghi con sedicenti ragazzi e dolci ragazze che mai avrebbe visto, o incontrato. Ma andava bene così. Tutto quello che pensava di desiderare non lo voleva davvero, sapeva che l' avrebbe rovinato.
Non si considerava stupida. Forse, purtroppo, aveva troppa fiducia nella sua capacità di giudizio, e tanta sicurezza di sè si trasformava nel peggior vizio che poteva avere: la testardaggine. Niente e nessuno le faceva cambiare idea su se stessa, per quanto potesse essere oggettivo. Forse aveva solo paura che se avesse cambiato anche per un secondo prospettiva avrebbe perso anni di lavoro di introspezione.
Come la maggior parte del genere umano, aveva paura dell' ignoto, e non voleva per nessuna ragione affrontare quel mostro che entrava così comodamente sotto il suo letto, e che sembrava aver messo su famiglia: paura dell' amore, delle persone, erano tutte lì, pronte ad uscire. Ma forse, o perchè trovavano in lei una dolce e accondiscendente compagnia, o perchè erano particolarmente gentili, era raro che si facessero vedere tutte assieme, o in maniera troppo brusca. Erano lì, semplicemente, presenza immutabili. 
Non che arrivasse ad odiare davvero il genere umano, o provasse davvero il bisogno di restare completamente sola, per sempre: a volte, non riusciva a guardarsi negli occhi allo specchio e le capitava di piangere un pò, per qualche rimorso, ma niente che una canzone potesse aggiustare, niente che il suo mondo immaginario potesse trasfigurare. 
Credeva in alcuni alti ideali, ed era rassicurante per lei sapere che non gli sarebbero mai appartenuti. A volte scriveva, e poche volte scriveva bene, piccole storie: alcuni le facevano i complimenti per la sua immaginazione, e lei si ritrovava a gongolare silenziosamente pensando che in fondo quella era solo una piccola parte di quello che aveva in testa e che se solo si fosse impegnata un pò di più avrebbe fatto scalpore. Ma la maggior parte delle volte si ritrovava davanti ad un foglio bianco, frustrata per aver perso tutto quello che aveva. 
Non le piaceva la poesia, tutto quell' inutile concettismo e presunzione di saper intrappolare montagne di sentimenti e idee in poche parole artificiosamente disposte su una pagina quasi vuota. 
Che altro?
Pensava sempre di più alla morte, in quel periodo. 
  
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