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Autore: Hermione Weasley    09/07/2014    7 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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12

 

You're like a mirror, reflecting me
Takes one to know one, so take it from me
You've been lonely
You've been lonely, too long

(The Civil Wars – Dust to Dust)

 

Il corridoio antistante l'ufficio del direttore Fury era gremito di gente che Clint non aveva mai visto prima d'allora.

“Wow. Credi che ci abbia convocati insieme a questi qua?”

Natasha pareva perplessa tanto quanto lui. “Non hanno l'aria di essere stati convocati.”

No, a dir la verità sembravano principalmente incazzati. Chi più, chi meno, sfoggiavano tutti espressioni contrite, pallide, sudaticce o direttamente furenti. Dovevano avere a che fare con la freschissima nomina del nuovo vice direttore dello SHIELD: da cinque minuti e trentasette secondi esatti, l'agente Maria Hill ricopriva quel ruolo di diritto. Una scelta che era risultata una sorpresa più o meno per tutti: alcuni più compiaciuti di altri.

“Non ricordo di aver dato a nessuno di voi il permesso di contestarmi.” La voce del direttore Fury sovrastò bruscamente il coro di dissensi, che – solo sentendolo parlare – perse non pochi membri. “Se avete bisogno di dirmi qualcosa, prendete un appuntamento. La mia segretaria è da quella parte,” indicò un punto non meglio definito alla fine del corridoio. “Anche se ci tengo a farvi sapere che preferirei mandarvi altrove.”

Clint aveva malamente trattenuto una risata, subito ricacciata indietro dall'occhiata penetrante che il direttore scagliò nella loro direzione: Fury sapeva come sfruttare a pieno le potenzialità del suo unico, implacabile occhio.

“Barton, Romanoff, nel mio ufficio adesso.” L'ordine rimbalzò tra i corpi che ostruivano il passaggio. Senza farselo ripetere due volte attraversarono quel mare di gente, fino ad approdare alla loro sudatissima meta. Sudata perché Clint era decisamente agitato dalla prospettiva di un tu per tu con il direttore... anche se era più che altro un tu per tu per tu, dato che l'incontro prevedeva anche la presenza di Natasha. La quale, per la cronaca, non sembrava minimamente preoccupata dalla prospettiva di restare rinchiusa nella stessa stanza con Fury, per una quantità di tempo indefinito.

Ebbe qualche difficoltà a chiudere la porta senza pestare i piedi a nessuno. Natasha lo cavò agilmente dall'impiccio, sbattendola di prepotenza senza alcun riguardo per nessuno. (Sparse grida di dolore li raggiunsero dall'altro lato: la donna le ignorò con estrema nonchalance.)

“Sarò breve,” Fury era già arrivato al dunque. Clint aveva ben capito che il suo stile non includeva nessuna... fase preparatoria. “Le vostre ultime missioni si sono concluse tutte con successo e in tempi straordinariamente brevi...”

“Grazie, signore,” non aveva finito di pronunciare quelle parole, che aveva già capito di aver parlato troppo presto.

“... nonostante questo, le iniziative personali continuano fastidiosamente ad abbondare,” lo sguardo di Fury era come un dannato martello pneumatico nella sua psiche. “Disobbedire agli ordini non è accettabile. E dato che le infrazioni si sono ripetute nel tempo...”

“Oh, andiamo, signore!” Clint si era azzardato ad intervenire... di nuovo. “Magari il motivo per cui abbiamo ottenuto così tanti successi è che non prendiamo gli ordini alla lettera,” era piuttosto sicuro che Natasha gli stesse rivolgendo un'occhiata allarmata, “magari è proprio questo il nostro punto forte,” se gli sguardi avessero potuto uccidere, Clint si rendeva perfettamente conto che sarebbe già stato morto da un pezzo. “Ahm... signore,” si ricordò di aggiungere, senza migliorare granché la situazione.

Fury aveva aggirato la sua scrivania e si stava muovendo a passo di marcia nella sua direzione, un'espressione tutt'altro che rassicurante sul volto. Gli si fermò a pochissimi centimetri di distanza, fissandolo dritto negli occhi (Clint sarebbe diventato strabico se avesse continuato per molto!). Inutile dire che quelle particolari circostanze non promettevano niente di buono. Che era molto probabilmente sul punto di essere licenziato. Che sarebbe stato costretto a trovarsi un lavoro alternativo. Qualcosa come barista, commesso, netturbino. Dopotutto, era bravissimo a centrare i cestini della spazzatura quando gettava la sua immondizia. Trattenne il respiro, finché...

“Sono d'accordo.” Pronunciate quelle tre misere parole, Fury si era allontanato di nuovo, riprendendo a misurare il suo ufficio con ampi passi.

Clint si sentiva sul punto di vomitare. Era d'accordo? Che cazzo significava che era... d'accordo? E perché era suonata come un'intimidazione bella e buona?

“Siete stati promossi al livello sette,” li informò in tono asciutto e professionale. “Avrete più libertà nella scelta delle strategie da adottare, più voce in capitolo, ma continuerete ad essere supervisionati,” aggiunse, stavolta con una velata minaccia. “Soprattutto, per accontentarvi, non sarete più provvisti di piani di estrazione.”

“Eh?” Sempre lui ad aver espresso la sua perplessità, Natasha continuava a stare zitta.

“Mi hai sentito bene Barton. Non era quello che volevi?” Recuperò due cartelline dalla scrivania, porgendone una ad entrambi. “Adesso potrai reinterpretare a tuo piacimento tutti gli ordini che preferisci.” Se ci fosse stato chiunque altro al posto del direttore, a quel punto Clint si sarebbe aspettato un sorriso a presa di culo.

“Strike Team Delta?” Natasha aveva passato rapidamente in rassegna il primo file del fascicolo.

“E' il vostro nome operativo.”

“Non possiamo neppure sceglierci un nome?”

“Se riesci a dirmene uno migliore nei prossimi due secondi...”

“Un nido per due,” rispose senza neppure pensarci, gelando sul posto sia Fury, che Natasha, che se stesso. Seriamente? Tutto era meglio di 'un nido per due'. “Perché... s-sia i falchi che i ragni fanno... f-fanno i nidi,” tentò di spiegare la scelta, peggiorando ulteriormente la situazione.

“Spero che non sia necessaria una risposta...” Il direttore sembrava essersi fatto ancora più minaccioso del solito.

“No, signore.” Che lasciassero a Fury il compito di informare i suoi sottoposti di una promozione, facendola suonare come una marea di guai non richiesta! O magari la promozione era la punizione. Subdolo, Nick, complimenti.

“Ottimo. E adesso uscite di qui.”

Si assicurarono che il direttore non dovesse ripeterlo due volte.

“Un nido per due, ah?” Natasha, che stava palesemente tentando di trattenere un sorriso (o forse una risata?), non aveva perso tempo per rigirare il coltello nella piaga.

“Sta' zitta,” la rimbrottò mentre attraversavano il corridoio, adesso semi-deserto (fatta eccezione per un paio di sfegatati irriducibili ancora fermi contro la parete). “Insomma, un mese di riposo forzato. Cos'è che farai?”

“Non lo so,” la donna si strinse nelle spalle. “Magari ne approfitto per andare a comprare i mobili.”

“Che tipo di mobili?”

“Mobili. Per la casa.”

“Non hai dei mobili in casa?”

“No.”

“Come fai a vivere senza mobili?” Era davvero perplesso: si immaginò l'appartamento di Natasha come una serie di tre stanze vuote, imbiancate di fresco, un materasso abbandonato in un angolo e pile di libri sparsi ovunque.

“Non lo so, lo faccio e basta.”

“Ce l'hai un letto?” Si informò, giusto per capire se la sua visione corrispondesse a realtà.

“Certo che ce l'ho un letto.”

Si immobilizzò prima di poter ricominciare a tartassarla di domande inutili: gli sembrava più tranquilla e rilassata del solito e non aveva alcuna intenzione di rovinarle l'umore, né di privarsi di quel raro spettacolo.

“Suppongo che ci vedremo tra qualche settimana,” era stata di nuovo lei a parlare.

“Suppongo,” le sorrise.

“Non essere triste,” lo prese in giro. “Non credevo che non vedessi l'ora di essere fatto a pezzi.”

“Scusa?”

“Sì, nel senso,” oh, adesso sì che stava disperatamente tentando di non mettersi a ridere, “lo sappiamo chi è il migliore tra noi due, no?”

“Certo. Sono io.”

“Come no, Barton.”

“Non credo che mi piaccia il tuo tono, Romanoff.”

“Staremo a vedere,” aveva dichiarato, allontanandosi di qualche passo. “Goditela finché dura.”

“Sei una donna crudele.”

“La peggiore, te l'ho detto,” un rapido cenno di saluto. “Poi non dire che non ti avevo avvisato!”

La vide sparire, portata via da una fila di musi lunghi in giacca e cravatta in uscita da chissà che riunione. Gli ci volle un po' per togliersi quello stupido sorriso dalla faccia.

 

*

Lhasa, Cina

 

“Tredici a otto, Barton,” la voce fastidiosamente cantilenante di Natasha lo raggiunse mentre si stava togliendo quel che rimaneva del gilet della sua divisa.

“Prego?”

“Tredici a otto. Il numero di uomini che ho atterrato, contro il numero di uomini che hai atterrato tu. Ho vinto.”

“Quella è stata solo fortuna,” ci tenne a precisare, fingendo totale disinteresse per la questione. “La fortuna del principiante.”

“Dovresti pagare pegno.”

“Pagare pegno per cosa?”

“Per aver perso.”

“Tipo obbligo o verità?” Natasha non sembrava essere a conoscenza di quel particolare, apparentemente innocuo, strumento di tortura.

“Verità,” fu lei a decidere.

“Verità su cosa?

“Su di te. Una interessante però,” l'avvertì, un'espressione minacciosa sul volto.

Clint sembrò pensarci su un attimo. “Il viola è il mio colore preferito,” finì col dire.

“Questo ti sembrerebbe un segreto? Hai tutte le mutande viola.”

“Sono boxer, Natasha.”

“Mutande. Mutande viola,” insisté.

Si strinse nelle spalle, rivolgendole un sorrisetto insopportabile. “Sarai più fortunata la prossima volta.”

 

*

Acapulco, Messico

 

“No. Il tizio che ha battuto la testa inciampando sul corpo del collega non conta.”

“Conta se sono stata io a rendere inoffensivo il collega,” puntualizzò Natasha.

“Siamo sette ad otto, te ne rendi conto? Saremmo pari se tu sapessi perdere.”

“A me non piace perdere.”

“A chi credi che piaccia perdere?” Il rumore provocato dal ruotare furibondo delle pale dell'elicottero, li costringeva ad urlare.

“A te, spero. O passeresti un sacco di tempo a deprimerti.”

“Non sei affatto divertente, Romanoff.”

“Non dirlo come se fosse un insulto.”

“Sono stato sposato,” aveva appena rivelato il segreto a tradimento, a voce bassissima, impossibile da registrare a meno che...

“Sei stato spostato?” No, che era uno spostato lo sapevano più o meno tutti.

“Spo-sa-to.”

“Sposato? Con cosa?”

“Con una persona,” indossò la sua espressione più contrita.

“Una persona viva?” La perplessità di Natasha gli risultava un tantino comica.

“No, era morta. Ho una mummia in casa. Ci amiamo... e in più non devo comprare la carta igienica.”

“Ora ha senso.”

Non era sicuro di esserselo immaginato o meno, ma gli sembrava che, dopo la rivelazione, la donna lo guardasse in modo diverso. Se non altro era riuscito a zittirla...

 

*

Castra, Cile

 

Clint le incombeva addosso come un dannato avvoltoio. L'aveva seguita fin nell'infermeria dell'helicarrier, l'aveva osservata con aria compiaciuta mentre le ricucivano un taglio sul braccio, si era assicurato di ricomparire nel suo campo visivo quando meno se l'aspettava, quando lo sforzo di ignorarlo era arrivato al suo limite.

“Ho un gatto,” dichiarò seccamente. Dal suo tono si sarebbe detto che aveva appena scagliato un anatema mortale contro tutta la sua famiglia, più che avergli rivelato una verità sul suo conto.

“Un gatto, davvero?” La cosa sembrava sorprenderlo sinceramente. “Come si chiama?”

“Non lo so.” Questo non l'aveva impressionato.

“Hai un gatto ma non sai come si chiama?”

Natasha alzò gli occhi al soffitto, ottenendo solamente di venire accecata dalle luci al neon che illuminavano il lettino su cui era seduta.

“Non è tecnicamente mio, ma della signora che sta al piano di sotto.”

“Il suo gatto viene a farti visita?”

“Qualcosa del genere.”

“E la signora?”

Si incupì appena: non aveva intenzione di rivelargli che trascorreva numerosi pomeriggi in compagnia della signora Phyllida, nel suo appartamento ripieno di centrini e l'odore di burro penetrato a vita nelle pareti. Ma lo sguardo di Clint non le lasciava scampo: con quel ventitrè a undici, l'aveva a dir poco stracciata.

“Anche la signora.”

“Dovresti davvero uscire più spesso, Nat,” le suggerì, mettendosi a ridere.

Venne inspiegabilmente da ridere anche a lei.

 

*

 

Lione, Francia

 

“Hai l'aria di uno che sta per vomitare.”

Rialzò lo sguardo dal suo piatto di escargot, lanciando un'occhiata di panico misto a disgusto in direzione di Natasha.

“Te l'avevo detto di non ordinare indicando un punto a caso del menù,” infierì, facendolo sentire estremamente stupido.

“Mi spieghi perché abbiamo deciso di mangiare al ristorante?”

“Perché abbiamo ancora quattro ore di tempo prima che qualcuno ci venga a prendere,” gli rammentò. “E tu ti sei stufato di spaghetti in scatola, come hai tenuto a sottolineare,” il tono di Natasha lasciava trasparire tutta la sua esasperazione.

“Come pensano che gente come noi possa sopravvivere cibandosi di quella robaccia?” Le case sicure dello SHIELD ne erano praticamente rimpinzate: carne in scatola, spaghetti in scatola, fagioli in scatola, frutta in scatola, rompimento-di-palle in scatola. Clint era decisamente più propenso ad usare tutte quelle lattine come armi improprie, piuttosto che a doverci pranzare.

“C'è roba più schifosa nella tua dispensa, Barton,” Natasha aveva riabbassato lo sguardo sul suo piatto, una quiche che non doveva ispirarla granché.

“Come fai a sapere quello che c'è nella mia dispensa?”

“Cercavo qualcosa di commestibile, l'ultima volta che sono venuta a casa tua.”

Non che la cosa lo sorprendesse, era più che altro abituato ad ordinare al take away o a scendere al ristorante cinese sotto casa.

“Ricordami perché eri a casa mia?”

“Perché avevi perso il tuo badge.”

“Oh, ora rammento.” L'avevano ritrovato tra le pieghe del divano, insieme ad una quantità imbarazzante di briciole e rifiuti di varia natura.

Un brusco sospiro di Natasha lo riportò alla realtà, strappandolo alle sue elucubrazioni.

“Che ne dici se andiamo a mangiare da qualche altra parte? Offro io.”

“Da qualche altra parte, tipo?”

“Non lo so. Giapponese, italiano, messicano...”

“Ti piace la cucina esotica?”

La donna si strinse nelle spalle a mo' di risposta, senza scucirsi più di tanto.

“Ho vinto io,” le fece presente, appoggiando i gomiti sul tavolo (li ritrasse in fretta e furia quando gli ricadde lo sguardo sulle lumache morte), “potresti anche elaborare.” Non aveva sudato così tanto per ottenere quel quindici a dodici per niente!

“Il greco e l'indiano sono i miei preferiti,” gli concesse.

“Non ti piacciono pallidi, ah?”

Natasha lo incenerì con lo sguardo.

“A volte mi chiedo com'è possibile che nessuno ti abbia ancora soffocato nel sonno,” ci tenne a precisare mentre si rimetteva in piedi.

“Oh, non è che non ci abbiano provato. E' che si commuovono a vedermi dormire come un angioletto.”

“Perché non ti hanno sentito russare.”

“Senti chi parla!” Le puntò un dito contro, invitandola – al tempo stesso – a precederlo fuori dal quell'infimo ristorante di periferia.

“Tappati la bocca, Barton, io non russo.”

“Ricordami di registrarti, la prossima volta.”

 

*

 

Vienna, Austria

 

“Lo sai da cosa nascono le palle di Mozart?”

Appostato sul livello più alto del dietro-le-quinte dello Staatsoper di Vienna, Clint stava decidendo se si trattasse o meno della missione più noiosa della sua vita. Si ficcò in bocca l'ennesima gomma da masticare, combattendo il tedio con quel malsano ruminare. Stava tenendo d'occhio uno dei palchi più prestigiosi del teatro, ben attento a che il diplomatico giapponese sotto tiro non si facesse venire strane idee riguardo la sua bellissima accompagnatrice (una Natasha che si era casualmente persa mentre cercava disperatamente il suo posto e che il valente ambasciatore aveva coraggiosamente salvato, invitandola insistentemente a seguire l'opera dal suo esclusivissimo punto di vista).

La vide scuotere il capo, in un impercettibile diniego, gli occhi fissi sulla scena, completamente assorbita dagli eventi in corso.

“Dal fatto che Mozart si rompeva le palle assistendo alle sue stesse opere,” commentò col tono di una professionalissima guida turistica.

La donna si appoggiò al parapetto del balcone, mettendo in evidenza i seni strizzati dall'abito verde scuro da sera che indossava. Era tutta una complicata mossa per dissimulare il divertimento e attirare al tempo stesso l'attenzione del funzionario al suo fianco.

Clint sorrise tra sé, compiaciuto della sua reazione. D'altro canto, si era reso conto che più gli risultava difficile ignorare l'attuale aspetto di Natasha, più si sentiva ispirato a sparare stronzate.

L'ambasciatore si stava facendo molti meno problemi, evidentemente più interessato alla generosa scollatura della donna che alle vicende del povero Don Giovanni. Clint trovava la storia di un tizio capelluto che si divertiva a rimorchiare tutto ciò che respirava, piuttosto calzante.

“Le piace?” Il giapponese si era rivolto a Natasha in un tedesco affettato.

“Moltissimo. Anche se preferisco Puccini,” la sua calibrata risposta.

“L'hai detto per finta o per davvero?” Clint aveva arricciato il naso, continuando a masticare furiosamente il suo chewing-gum.

“Sul serio,” aveva aggiunto Natasha, facendola suonare come un generale appendice a completamento della precedente risposta.

Ew. La prossima volta andiamo al cinema.”

 

*

Aden, Yemen

 

Io l'ho colpito con la freccia-taser!”

“Sì, ma sono stata io a dargli il colpo di grazia, rammenti?”

Clint aveva stretto le labbra fino a ridurle ad una linea sottile, rivolgendole un'occhiata carica di disappunto. Natasha si sentì moralmente obbligata ad arrendersi: quello era il problema delle missioni che prevedevano un solo obbiettivo per due predatori.

“Una verità a testa,” propose, cercando di smussare gli angoli della trattativa. Clint aveva assottigliato lo sguardo e la stava fissando come in attesa di subodorare una trappola.

Dopo un lunghissimo momento di silenzio, scartando l'ipotesi del tranello, si decise ad accettare. “Va bene. Vai prima tu e fa' che sia una cosa interessante.” Parve ripensarci. “Compromettente,” si corresse.

Natasha valutò per un istante i parametri della richiesta, non del tutto certa di poterla esaudire. Qualcosa di compromettente ed interessante.

“Stai meglio nudo che vestito,” sentenziò, serissima, in un banalissimo tentativo di destabilizzarlo.

“Nat, questo non è un segreto. Lo sanno tutti che nudo sono una favola.” Natasha si rese conto di aver fallito miseramente. “E' più che altro un dato di fatto.”

“Sai anche cosa lo è? Che sei insopportabile.”

“Vero anche questo.” Intrecciò le braccia al petto, continuando a guardarla, in attesa. “Allora?”

“Mi piace sentirti cantare,” si ritrovò a dire, dopo aver passato inutilmente in rassegna una lista infinita di verità del tutto irrilevanti.

“Quando mi hai sentito cantare?” Pareva perplesso.

“Canti in continuazione. Sotto la doccia, mentre piloti il quinjet, quando pulisci le tue frecce...” Qualcosa le disse che questo l'aveva destabilizzato più di tutto il resto. Clint si limitò a prendere atto di quella confessione con un leggero colpo di tosse.

“Tocca a te,” ci tenne a rammentargli. “Compromettente ed interessante.”

Clint, scompigliandosi i capelli, si mise a riflettere. Le sembrava di poter sentire il rumore degli ingranaggi del suo cervello in movimento. Gli ci volle un minuto buono per decidersi a scegliere una tra le tante verità che gli dovevano essere venute in mente.

“Mi sono ferito di proposito per essere congedato dall'esercito.”

Natasha rimase a guardarlo, colta alla sprovvista. L'espressione prosciugata di qualsiasi divertimento, una risposta sarcastica a morirle sulla punta della lingua.

“Lo odiavi così tanto?”

Clint si strinse nelle spalle, concedendole uno di quei suoi sorrisi malinconici che le facevano arricciare lo stomaco. “Odiavo qualsiasi cosa.”

 

*

 

Isole Svalbard, Norvegia

 

Natasha stava tentando di regolare la cadenza del proprio respiro, il gelo, tagliente ed intenso, a riempirle il naso, la gola, il petto. L'esplosione della base operativa di un gruppo di bio-terroristi non aveva fatto proprio niente per migliorare l'andamento di quella missione. Si era slogata una caviglia, lussata una spalla, aveva riportato ferite sparse più o meno ovunque. Neanche Clint se la passava troppo bene: se non fossero riusciti a tenersi al caldo per tutta la notte, l'ipotermia l'avrebbe ucciso prima del sorgere del sole. Era seduto in disparte nella piccola grotta che avevano scelto come rifugio – tutt'altro che ideale – per la notte, impegnato nel tentativo di accendere il fuoco.

“Lasciami provare,” si offrì di farlo al suo posto, ammucchiando i rametti che erano frettolosamente riusciti a raccogliere sulla via di fuga.

“Detesto questo posto,” sbuffò, nascondendo le mani nelle tasche del piumino aderente su cui campeggiava il profilo dell'aquila dello SHIELD.

“Dobbiamo solo resistere fino all'alba.”

“Mi si congeleranno le palle, da qui all'alba.”

“Io continuo a sperare nella lingua.”

“Speri che la mia lingua ti salvi?” Nonostante la situazione fosse più che disperata, Clint non sembrava aver perso il suo buon umore. “Non sarebbe la prima volta che compie dei veri e propri miracoli,” erano un paio di minuti buoni che tremava incontrollabilmente.

“No, spero si congeli,” ribatté, sforzandosi di nascondere la preoccupazione che minacciava di riempirle lo stomaco, farle perdere lucidità.

“Hai vinto tu, stavolta. Sono io che dovrei rivelarti i miei più oscuri segreti.”

“Ma se è esploso tutto?”

“Bè, sei stata tu a far scappare quel dannato bombarolo, quindi tecnicamente...”

Gli lanciò un'occhiata di sottecchi mentre le fiamme attecchivano – finalmente – alla poca legna che avevano a disposizione. Sarebbero sicuramente stati costretti a passare gran parte della lunghissima notte davanti a loro al buio, al freddo.

“Va bene. Allora tocca a te.”

“Vediamo...” si teneva il labbro inferiore tra i denti mentre lo sguardo vagava sul soffitto minimamente illuminato della grotta, in cerca di ispirazione. “C'è qualcosa che vuoi sapere di preciso?”

Natasha si strinse nelle spalle: c'erano tante cose che la incuriosivano di Clint, cose che l'uomo non aveva avuto il tempo, l'occasione o forse la voglia di rivelarle. Il silenzio si prolungò per qualche secondo di troppo, il vento ululava all'esterno, trasportando rumori che non promettevano niente di buono.

“Se dovessi mettere la tua vita nelle mie mani...”

“Mi fiderei?” Clint terminò la frase per lei. “Certo che mi fido. Credo di essermi fidato fin da subito.”

Il concetto le risuonava talmente estraneo, che era sul punto di convincersi che la stesse prendendo in giro. “Perché?”

“Perché tendo ad essere un completo coglione,” le sorrise debolmente. “Però, alle volte, ci vedo giusto,” un leggero sospiro, “con te, ci ho visto giusto.”

Natasha trattenne il respiro, limitandosi ad annuire una sola volta.

Sperò ardentemente che la sua fiducia non fosse malriposta.

 

*

 

Erano passati due anni, sette mesi, svariate missioni e infiniti segreti confessati più o meno spontaneamente, dal loro secondo incontro sull'helicarrier.



****************
 


E a questo punto avevo bisogno di un espediente che mi permettesse di saltare un po' di tempo e ricongiungergi "più o meno" (ma non ancora :P) alle prime rispettive apparizioni di Clint e Natasha nell'MCU canonico (anche se non dedicherò molto spazio a nessuna delle due cose).
Per il giochetto "chi ne atterra di più vince un segreto" mi sono appellata all'animo cazzaro di Natasha, che c'è, esiste e Captain America: The Winter Soldier (da cui tra l'altro mi sono presa la libertà di riprendere - ve ne sarete accorti! - qualche citazione qua e là!) ce ne ha dato la riprova :P tra l'altro, ho come la netta impressione che Natasha non si lascerebbe sfuggire una gara (tantomeno con Clint) per niente al mondo. Non credo nemmeno che gli avrebbe raccontato chissà che cosa senza un particolare incentivo... quindi due piccioni con una fava, come si suol dire :P
Menzione d'onore a Nick Fury che continuo a divertirmi malamente a scrivere XD
Ancora tanti ringraziamenti a chi sta seguendo questa storia, la legge e commenta \O/ Vi ringrazio tantissssimo.
E grazie (x1000) ad Eli! (Madò Eli ste cose son stancanti XD la prossima volta mettiamo un disclaimer all'inizio ahah) Perché sta scrivendo a manetta e io sono tanto felicIeeee (*pssssst* Light Years *pssssst*)
Bè, per ora è tutto! Passo e chiudo ;)
S.

 
  
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