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Autore: Alina Alboran    09/07/2014    0 recensioni
Perché tutti erano così egoisti? Perché pensavano solo a se stessi, al loro dolore e alla loro rabbia?
Non erano le persone che sempre le ripetevano di amarla incondizionatamente?
Non era lui quello che aveva giurato che un giorno l’avrebbe sposata?
Non era lui quello che si preoccupava per lei ogni volta che rincasava più tardi del solito?
∞∞∞
Aveva bisogno del loro appoggio, non della loro disapprovazione.
Sapeva di aver sbagliato.
Ma il dolore degli altri non era minimamente paragonabile al suo di dolore.
Lei avrebbe vissuto con quel peso sulla coscienza.
Lei avrebbe rivisto quella notte ogni volta che avrebbe chiuso gli occhi.
Lei.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rewind

 

Delusione.
Dolore.
Paura.
Rabbia.
Angoscia.

Perché tutti erano così egoisti? Perché pensavano solo a se stessi, al loro dolore e alla loro rabbia?
Non erano le persone che sempre le ripetevano di amarla incondizionatamente?
Non era lui quello che aveva giurato che un giorno l’avrebbe sposata?
Non era lui quello che si preoccupava per lei ogni volta che rincasava più tardi del solito?
Aveva bisogno del loro appoggio, non della loro disapprovazione.

Si sentiva vuota e incompresa.
Sola e abbandonata.

Sapeva di aver sbagliato.
Ma il dolore degli altri non era minimamente paragonabile al suo di dolore.
Lei avrebbe vissuto con quel peso sulla coscienza.
Lei avrebbe rivisto quella notte ogni volta che avrebbe chiuso gli occhi.
Lei.

Con il tempo li aveva capiti e non li giudicava più: erano delusi e volevano solo andare avanti.

Era colpevole e non cercava scuse. Avrebbe solo voluto sentirsi dire: “Va tutto bene. Sistemeremo tutto”.
E invece niente si poteva più sistemare.

Non ricordava molto di quella notte. Solo immagini scollegate tra loro ma che erano il suo incubo costante.
Ricordava degli occhi.
Freddi.
Inespressivi.
Inconsapevoli.

Suo padre, con le lacrime agli occhi, le disse di volerle bene.
Sua madre la abbracciò stretta, cullandola nell’auto della polizia.
Fabio le disse che non l’avrebbe mai perdonata.
Il suo ragazzo la guardò deluso e, in quei pochi minuti che le avevano concesso con lui, aveva visto tutto il  suo amore svanire.

Quella fu l’ultima volta che il padre le disse di volerle bene, che la madre la abbracciò e che Fabio, suo fratello, la guardò.

Federico invece le era rimasto accanto solo altri due mesi e poi l’aveva lasciata. Come tutti d’altronde.
Da quel giorno sono passati undici anni e, secondo la legge, ha scontato la sua pena.

Ora sta ritornando a casa.
È impreparata. Ha paura.
Non sa come comportarsi o cosa dire.
Cammina sulle strade di Firenze e ha l’impressione che tutti la guardino, la indichino e che la riconoscano come un’assassina.
Si guarda le mani. Le sente sporche di sangue.
Un sangue che non esiste veramente ma che non ha mai smesso di torturarla.
Quella notte ci sono stati due morti. E non sa se la fidanzata di suo fratello è tra quelli.
I suoi genitori non glielo hanno mai detto e lei non ha mai chiesto.
L’ultima volta che aveva avuto sue notizie –due mesi dopo la conclusione dell’udienza –era ancora in gravi condizioni e i medici non potevano prevedere se si sarebbe salvata.

È arrivata davanti al portone di casa. Sta per suonare il campanello ma, quando sente la voce di un bambino di circa cinque anni che cerca di attirare l’attenzione del padre, nello stesso parco in cui ha trascorso i momenti più belli della sua infanzia, si blocca e si gira.
Quello che vede le blocca il respiro.


Un bambino, dallo sguardo vivace ed espressivo, le viene incontro camminando mano nella mano con il padre.
Senza nemmeno accorgersene gli occhi le si riempiono di lacrime ma, sbattendo ripetutamente le palpebre, si rifiuta di farle scendere.
Sente di non averne il diritto;
di rovinare un momento di felicità tra padre e figlio.


Suo fratello la guarda, e per pochi minuti arresta il suo passo.
Si rispecchiano uno negli occhi dell’altra, e nemmeno le insistenze del bambino sembra avere effetto sul giovane padre tanto simile a suo figlio.
“Hanno lo stesso colore dei capelli e gli stessi zigomi”, nota la donna.
Gli occhi velati di lacrime e il cuore più leggero.
«Fabio, sei rimasto imbambolato? Sali in casa ché si raffredda».
La voce della donna le sembra conosciuta, ma non ha il coraggio di alzare la testa e di confermare la sua tesi.
La paura di una delusione è troppo grande.
Non vuole avere la conferma di aver ucciso il primo amore di suo fratello.
L’uomo sembra risvegliarsi dal momentaneo stato di trance e, passo dopo passo, si ritrovano uno davanti all’altra.
«Ciao». Vorrebbe dire altro ma ha la voce secca e, ne è certa, non riuscirebbe ad aggiungere nulla.
Fabio non le risponde.
Mentre la supera le loro mani si toccano ed entrambi, in un istante, sentono il cuore in gola e le lacrime che aveva inutilmente cercato di trattenere le scivolano silenziose sugli zigomi ossuti.
«Papà, chi era quella donna?».
«Nessuno», sente rispondere prima che il portone si richiuda alle spalle del fratello.
Dovrebbe allontanarsi.
Si siede invece su una panchina nel parco. È egoista e vuole conservare il ricordo di suo fratello felice accanto alla moglie e al figlio.
Dopo una decina di minuti sente il rumore di alcune risate.
Alza la testa e, dalla finestra aperta, vede suo nipote baciare dolcemente la guancia di una bambina di forse due anni e una donna che abbraccia e bacia entrambi sulla fronte.
Sul viso, tra le lacrime, spunta l’ombra di un sorriso: suo fratello è di nuovo felice.
Pochi istanti dopo l’uomo, lanciandole un ultimo sguardo, chiude la finestra, escludendola per sempre dalla sua vita.
Si alza dalla panchina e, tra le strade affollate di Firenze, chiama la madre dicendole di essere finalmente libera.

   
 
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