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Autore: Blackvirgo    29/08/2008    7 recensioni
La principessa aveva l'aspetto di una bambina. E i bambini sognano. Ma Emeraude era una donna. E gli adulti fanno spesso degli incubi. Ed Emeraude, la donna con l'aspetto di una bambina, aveva sognato, per lunghi anni. E poi era caduta. Ma non si era svegliata.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Clef, Emeraude, Zagato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La principessa aveva l'aspetto di una bambina.

E i bambini sognano.

Sognano quello che sentono bello. E, a volte, sognano anche quello che viene detto loro di sognare.

Emeraude aveva sempre fatto solo questo: sognava. Ad occhi aperti. Di giorno e di notte.

I suoi sogni e quelli degli altri.

Ma Emeraude era una donna.

E gli adulti fanno spesso degli incubi. Immagini terribili in cui il proprio mondo cade a pezzi e correre non serve a nulla perché non esiste nessun luogo sicuro. Persino quella mano che si protendeva per sorreggerci è avvizzita, dissolta nel buio che ci accerchia.

E poi si cade. Sempre. E ci risveglia.

Ed Emeraude, la donna con l'aspetto di una bambina, aveva sognato, per lunghi anni. E poi era caduta. Ma non si era svegliata.

Le avevano detto di sognare un mondo fatto di luce e gioia e lei lo aveva fatto, perché era un bel sogno. Le fecero vedere quello che aveva sognato e quello che vide le piacque. Poi le avevano detto che lei era l'unica ad avere il potere di veder realizzati i propri desideri, di creare dal nulla quei prati verdi e morbidi, quel cielo tanto azzurro da sembrare lo specchio del mare, quelle montagne che volavano.

E la bambina si era sentita lusingata. Si era sentita privilegiata. Era unica e lo sapeva.

Le avevano spiegato che poteva creare un mondo, che doveva farlo. Che era un grande onore.

E lei aveva continuato a sognare i suoi sogni.

Un giorno si era stancata di vedere il sole strappare bagliori alle montagne sospese nel cielo. Aveva fatto delle grandi e soffici nuvole bianche che galleggiavano nel cielo limpido e sembravano così tenere che avrebbe voluto toccarle. Immaginò che potessero sbriciolarsi pian piano e scendere ad avvolgerla nella morbidezza di un abbraccio che nessuno le concedeva.

E fu così che su Sephiro si vide, per la prima volta, la neve.

Ma questo spaventò tutti, dai popolani ai saggi, perché nessuno comprendeva la fantasia di una bambina che voleva toccare con mano ciò che lei stessa aveva creato.

E mentre Emeraude sorrideva felice e ballava insieme ai suoi fiocchi di nuvola arrivarono monaci e saggi, sacerdoti ed evocatori, maghi e guerrieri. E rimasero ad ammirare la felicità di una bambina mentre un popolo si disperava.

Solo per un momento.

Lo stesso tempo che Emeraude impiegò a tramutare la soffice neve in lacrime ghiacciate, le bianche nuvole in nera tempesta, il sole gentile nel feroce fulmine.

Fu allora che qualcuno la prese per mano: ne riconobbe il tocco gentile, ma non apparteneva all'uomo che conosceva. Quella mano era piccola quanto la sua, e quegli occhi profondi e saggi la guardavano alla stessa altezza dei suoi, ora arrossati e consumati dalle lacrime. Emeraude lo guardò confusa: Clef era alto e, nonostante il peso dei suoi anni, camminava sempre dritto brandendo il suo bastone come una lancia, non certo come il sostegno di un vecchio. Eppure quegli occhi erano i suoi, così come la sua presa salda che la conduceva attraverso i corridoi del castello e su per quelle lunghissime scale, fino alla torre, più alta per mostrarle com'era Sephiro sotto quella nuova forma.

Ed Emeraude ne ebbe paura e i suoi singhiozzi disperati divennero tuoni che squarciavano quel cielo nero dilaniato dai lampi. Clef le mostrò gli abitanti di Sephiro e la principessa bambina toccò con mano la loro paura – che era anche la sua –, ascoltò il pianto di altri bambini stretti alle proprie madri che avevano finito le parole per consolarli e infine sentì le preghiere di coloro che la veneravano come una piccola dea, che pregavano per la sua salute, per la sua incolumità. Perché loro dipendevano da lei.

In quel momento anche Clef iniziò a parlare e le disse che, sì, lei era unica, era speciale, era privilegiata a possedere un così grande dono e che doveva imparare ad utilizzarlo, perché il suo compito era creare un mondo, stabilire un equilibrio e mantenerlo. E le raccontò di quanto fossero belli i sogni che aveva fatto in passato, della felicità di quelle persone disperate, dell'amore con cui ricambiavano la bellezza del mondo che lei creava per loro.

Emeraude, che in cuor suo sapeva di contraccambiare quell'amore, aggrappata alla mano di Clef, iniziò a calmarsi e così la bufera: squarci di cielo azzurro apparivano fra le nuvole, sprazzi di sole tornavano a illuminare i prati e i boschi.

E gli abitanti di Sephiro uscivano dalle proprie dimore e festeggiavano e rendevano grazie alla principessa bambina che vegliava su di loro.

Solo quando tutto tornò alla normalità, Emeraude lasciò andare la mano del monaco e rimase a lungo, accanto a lui, in silenzio, a osservare quel pianeta quieto e pacifico, dove uomini e donne, fate e folletti, sfingi e dragoni vivevano in assoluta armonia.

Solo una cosa era cambiata, lassù nel nord, dove il suo occhio non si era mai spinto: una foresta era nata. E chiunque la evitava se poteva perché dicevano che era maledetta perché era comparsa il giorno in cui Sephiro stava per finire. E si raccontava che ogni sorta di orrore si aggirasse in quei boschi e che su quei mostri nessuno avesse potere perché in quel luogo la magia non era altro che parole mormorate al vento e la spada non serviva perché i corpi di quelle creature erano come ombre che si tagliano e poi si ricuciono da sole.

La chiamarono la Foresta del Silenzio perché pochi furono coloro che riemersero dalle sue profondità e, di quei pochi, nessuno volle mai raccontare gli orrori che avevano affrontato.

In quanto al suo nome, pare che sia nata con essa. E che, improvvisamente, tutti lo conoscessero senza bisogno di impararlo.

Fu in quel momento che la principessa Emeraude comprese che lei era Sephiro e che Sephiro era lei. Nel momento in cui cominciò a scendere la lunga scalinata, lasciando dietro di sé la propria infanzia, accanto a un vecchio che aveva lo spirito di un bambino, ma che aveva ormai dimenticato cosa significhi esserlo.

Eppure aveva deciso di mantenere le sembianze di una fanciulla. Perché questo doveva essere Sephiro: puro e dolce e morbido come il corpo di una bambina.

Che amava solo perchè amare è bello.

Che non aveva il diritto di sognare per se stessa, perché l'unica se stessa che doveva conoscere era Sephiro.

Che non aveva il diritto di diventare una donna. Perché gli adulti non si limitano a sognare: vivono. E lei ha visto come si fa: è circondata da gente che vive. Da gente che lotta. Che crea e distrugge l'armonia del proprio piccolo e immenso mondo. Perché al mondo vero – quello grande – ci pensa lei.

Eppure, senza accorgersene, è diventata donna. Ha capito che il grande onore di cui le parlavano quando era bambina era in realtà un grande sacrificio, una prigione di cristallo. Non le avevano detto che il cristallo taglia, quello l'ha capito da sola.

Ma Emeraude è nata per servire, anche questo l'ha capito durante le sue lunghe ora di preghiera. Perché, diventando adulti, anche i sogni cambiano nome.

Poi arrivò colui che aveva imparato la Magia delle Tenebre in onore della sua principessa. In memoria del giorno in cui la disperazione era diventata tempesta e si era riversata su Sephiro.

Il sacerdote Zagart stava accanto a lei ogni momento, perché vederla sorridere gli scaldava il cuore e, nel sostenere la sua principessa durante le preghiere quotidiane, pensava di poter aiutare Emeraude a sostenere la sua solitudine.

E così avvenne.

Tanto che la principessa dall'aspetto di una bambina e dal cuore di una donna dimenticò di essere Sephiro e si iniziò ad essere Emeraude.

Ma non dimenticò il significato del suo onore, del suo sacrificio. Non dimenticò mai di essere unica.

Nei suoi lunghi anni di preghiera aveva imparato che il destino degli esseri unici è la solitudine.

Ricordava perfettamente cosa vide dalla torre più alta del suo castello durante quella tempesta che aveva creato quasi per gioco tanto tempo prima.

I bambini giocano. Gli adulti fanno sul serio.

E se allora le era bastato smettere di piangere per far di nuovo brillare il sole, sapeva che questa volta non sarebbe stato sufficiente.

È facile decidere di fuggire dalla tristezza, è umano scendere a compromessi per evitarla, per estirparla dal nostro animo.

Ma non è possibile fuggire dalla felicità. C'è qualcosa di profondamente egoistico, intrinseco alla natura umana stessa e alla sua sopravvivenza che porta chiunque a cercare la felicità. A svegliarsi al mattino per cominciare a rincorrerla, per lottare per averla e per mantenerla, a lottare doppiamente – o morire – quando si perde.

Ed Emeraude, a cui avevano tolto il diritto di essere una donna, si comportò come una bambina.

Non volle rinunciare a nulla.

Non volle distruggere Sephiro per la propria felicità, ma non volle neppure perderla.

E così la principessa Emeraude decise che, se non poteva lasciare che la felicità l'accompagnasse nella vita, l'avrebbe avuta come compagna nella morte.

Clef capì. Subito. Cercò di dissuaderla, ma sapeva con inoppugnabile certezza che Emeraude non avrebbe mai cambiato idea. Lo sapeva con la certezza di chi pone il proprio dovere davanti alla sua stessa vita. E capì anche che questo ultimo atto non era solo per Sephiro: era anche l'ultimo disperato tentativo di essere felice.

Zagart era un uomo. Un uomo innamorato. E un sacerdote guerriero. Il suo dovere era di proteggere Emeraude. Per lui Sephiro poteva anche sparire. Perché lui che aveva visto Emeraude nella principessa fanciulla, aveva visto la donna e non aveva visto Sephiro.

Dicono che lottò valorosamente e che una lacrima solcò il suo viso quando cadde, rimproverandosi di aver fallito sia come uomo innamorato che come sacerdote e sussurrando al vento il suo amore per Emeraude. Il cielo era nero sopra di lui, i tuoni squarciavano l'aria e i fulmini tagliavano il cielo.

Dicono che Emeraude sorridesse quando cadde sul suo amato. Dopo essersi lanciata sulla spada che brandivano le tre ragazze venute da un altro mondo, in un gesto che sarebbe parso un abbraccio e un ringraziamento se non fosse stato macchiato da tanto sangue.

Dicono che dopo Emeraude molte cose cambiarono. Dicono che chi le successe non accettò quell'enorme sacrificio, ma chiese ad ogni abitante di unire i loro piccoli grandi mondi per costruire nuovamente Sephiro. A ognuno l'onere e l'onore per la propria terra.

E, infine, dicono anche che Sephiro tornò allo stesso splendore in cui viveva ai tempi di Emeraude e di Zagart.

Ma della Foresta del Silenzio rimase solo la leggenda.

   
 
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