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Autore: xitsgabs    10/07/2014    5 recensioni
E se Clary fosse stata rapita da Valentine da bambina? E se Jocelyn fosse riuscita a tenersi il figlio maschio? E se Jonathan non avesse la più pallida idea di dove possa trovarsi la tanto amata sorella?
DAL PROLOGO;
Di lei aveva ormai ricordi sfocati: la sua risata cristallina, le notti passate insieme quando si svegliava per un cattivo sogno e voleva la protezione del fratello maggiore, lei che si spazzolava con attenzione i capelli davanti allo specchio ... la vetrata che andava in frantumi, le urla di sua madre, Valentine che prendeva i due figli in braccio, lui che riusciva a scappare e Clarissa intrappolata fra le braccia del padre.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood, Jonathan, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Valentine Morgenstern
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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01. Di spazzole inutili e ricordi distorti.

Jonathan aprì gli occhi lentamente: si sentiva stordito come se avesse battuto con violenza la testa sul pavimento e tutta la stanza sembrava girare. Voltò leggermente il capo e urlò nel ritrovarsi Jace che lo fissava con sguardo intenso.

«Per l’Angelo, Jace! Ero così sicuro che fossi etero!» esclamò coprendosi con il lenzuolo. La situazione era comica ed entrambi avrebbero riso se non ci fosse stata quella perenne tensione nell’aria.

«Mi sto chiedendo se sei coglione o cosa.» disse con sguardo pensieroso il ragazzo, seduto sulla sedia accanto al letto. Jonathan si sentì offeso da tale affermazione ma fece un meccanico cenno del capo, invitandolo a continuare a parlare. «Tu uccidi demoni da anni: hai rischiato di morire più e più volte e se non è ancora successo è perché Raziel ha avuto pietà di te. I migliori demoni non sono riusciti a farti secco, eppure sei svenuto al pensiero che tua sorella possa essere diventata ...»

«...malvagia? Fanatica? Demoniaca?» completò Jonathan, fissando il soffitto con una preoccupazione che si infiltrava nell’aria della stanza.

Jace sospirò e si abbandonò sulla sedia. «Andiamo, John: è Clary» disse il ragazzo e l’amico fu quasi sicuro di aver visto un luccichio negli occhi dorati dell’altro mentre pronunciava il nome di Clarissa. Jace abbassò immediatamente lo sguardo e si alzò, muovendosi verso la porta e, una volta aperta, si voltò per salutarlo. «Vado ad aiutare gli altri con le ricerche, tu riposa. Se c’è qualche novità corro a dirtelo.»

«Spero di vederti al più presto.» disse Jonathan con un groppo in gola. La voce gli tremava e Jace, accorgendosene, decise comunque di non dir altro. Pensò a come sarebbe stato per lui perdere Isabelle e non riuscire a ritrovarla per dieci anni, nonostante le continue ricerche a cui si dedicava. Sarebbe stato orribile.

***

Il filo tremava sotto i suoi piedi scalzi e fu spaventata al pensiero che potesse non reggerla e spezzarsi, facendola cadere. Era una paura razionalmente sciocca, dato che aveva tutte le protezioni possibili – come una corda attaccata al suo corpo – che le impedivano di cadere, ma le vertigini doveva ancora superarle.

«Okay, ferma.» disse Valentine, così lentamente che Clary quasi non lo sentì. Si fermò e voltò il viso verso il padre. «Adesso salta e ricorda: sei leggera quanto vuoi essere» disse e la ragazza annuì.

Aveva fatto quell’esercizio tantissime volte e più o meno riusciva a cavarsela, anche se voleva continuare a migliorare. Si concentrò più che poteva e saltò: si librò nell’aria con la leggerezza di una farfalla e riuscì ad atterrare a terra, in piedi, in pochissimi secondi.

Valentine sorrise e la liberò dalla protezione della corda, dandole poi una pacca leggera sulla spalla. «Bravissima, adesso prendi il tuo album da disegno ed esercitati ancora con le rune.» le ordinò il padre e lei annuì, andando subito a fare come le era stato chiesto.

Arrivata in camera sua aprì la porta e si guardò attorno. Nonostante fossero passati dieci anni, quella stanza le dava sempre un senso di anonimità e le sembrava, quindi, sconosciuta: le pareti erano bianche, bianche come quelle di un ospedale e la finestra era altissima e larghissima ad arco, il letto era a una piazza e mezza – Clary andava benissimo in quel letto perché, essendo minuta, aveva tanto spazio per muoversi – con delle coperte beige e nere e poi c’era l’unica cosa di quella stanza che sentiva come se facesse parte della sua famiglia: la libreria. Era grande e di legno e lì erano riposti i vari libri – tutti di materie scolastiche come Storia delle Rune, Il Codice, Come Suonare il Pianoforte, Greco antico, Latino, Italiano, Francese, Tedesco e altre lingue – e poi c’erano i vari blocchi da disegno.

Prese quello nuovo e lo aprì davanti a lei, cominciando a disegnare una runa sconosciuta che le girava in testa da qualche giorno.

Chiuse gli occhi, lasciando che le mani si muovessero con la matita sul foglio: la runa era fatta da linee spezzate chiuse che, se Clary non fosse stata convinta di una loro sconosciuta utilità, avrebbe scambiato per scarabocchi.

Dopo pochi secondi, però, la runa scomparve lasciando spazio a un prato verde primaverile: lì seduti su un telo c’erano due bambini, un maschio e una femmina. Clarissa si riconobbe nella bambina dalle treccine rosse e gli occhi verdi mentre il ragazzino affianco a lei, biondo e con la pelle pallida, le ricordò suo fratello Jonathan, morto in un incidente insieme alla madre – stando alle parole di Valentine – ma non era sicura fosse lui, perché il ricordo sembrava alquanto danneggiato.

Davanti a loro due c’erano due blocchi da disegno: in uno c’era raffigurata una bellissima farfalla colorata,  mentre nell’altro vi era una casetta in bianco e nero, disegnata piuttosto male – non che la farfalla di Clarissa fosse perfetta, ma almeno lei aveva la mano ferma –.

«Wow, che bel disegno!» la voce era acuta e dolce, proveniente da un bambino maschio. Quando Clarissa si voltò restò a fissare il viso del bambino: ricordò di aver pensato che era bello, proprio come il bambolotto che sua madre le aveva regalato per Natale. Aveva i capelli biondi come il fratello, la pelle era anch’essa bianca ma di un bianco più luminoso rispetto a quello di Jonathan e aveva un sorriso dolce, nonostante l’incisivo mancante. La Clary sedicenne rise al ricordo, sentendo il cuore battere più di quanto non avrebbe dovuto.

Il ricordo svanì così com’era arrivato e Clary si sentì stordita e smarrita per qualche secondo, prima di riscuotersi e chiedersi cosa era successo e perché si era fermata dal disegno.

***

«La spazzola non va bene.» sentenziò Magnus sedendosi, stanco, sul divano della biblioteca e Jace sgranò gli occhi avvicinandosi velocemente a lui.

«Deve andare bene: è l’unica cosa che possediamo!» esclamò passandosi le mani fra i capelli biondi e poggiandosi al muro.

«Ti dico che non va bene: evidentemente Clarissa non era così tanto legata a quell’oggetto o, perlomeno, non lo era abbastanza. Non avete nient’altro?» domandò, pur conoscendone già la risposta. Sospirò quando Jace scosse la testa. «Se io fossi un padre con una figlia scomparsa, non terrei di suo soltanto una spazzola: ti consiglio di chiamare Jocelyn e chiedere loro qualcosa.»

***

Jocelyn era distesa sul letto con un libro fra le mani; pensò che dovesse essere bello, ma era difficile da dire perché i suoi occhi scorrevano sulle pagine senza leggere le parole e il suo unico pensiero era che, in trentacinque della sua vita, era riuscita a perdere un marito, una figlia e tutta la felicità e l’allegria che aveva quando era solo una ragazzina senza pensieri futili per la testa – come fidanzarsi col ragazzo più popolare della scuola –. D’altro canto, se non avesse sposato Valentine non avrebbe avuto Clarissa e Jonathan, ma dopo il rapimento della sua figlia minore gli era rimasto solo il primogenito: ricordava quando la sera, prima di far addormentare i suoi figli, leggeva loro le fiabe che tanto amava quando aveva la loro età, quando usciva e comprava loro i pupazzi più carini e morbidi e li vedeva stringere i loro preferiti mentre dormivano.

«Jocelyn!» la voce di Jace penetrò nella stanza nel momento in cui lui aprì la porta dopo aver bussato. La donna si mise a sedere sul letto e lo guardò alzando un sopracciglio, incuriosita.

«Jace, hai bisogno di qualcosa?»

«La spazzola non va bene» me ne ero accorta avrebbe voluto Jocelyn ma decise solo di annuire e di alzarsi. «Abbiamo bisogno di un’altra cosa. Qualcosa da cui Clary non si separava mai e che per lei era più importante di una spazzola. Potresti ... avere qualcosa del genere?»

Jocelyn si prese qualche secondo per pensare, poi scosse la testa. «Dopo il rapimento di Clary, Valentine distrusse la casa e io non presi niente se non Jonathan. Non sono più tornata lì.» confessò, passandosi una mano fra i capelli rossi e desiderò, futilmente, di sapere se sua figlia stesse ancora mantenendo il colore naturale o se, come qualunque altra sedicenne, si stesse rovinando i capelli con tinture di colori vivaci. «Ma forse ...»

«Forse?» la incitò Jace avvicinandosi e sedendosi sulla sedia di fianco al letto.

Il ricordo più dolce che Jocelyn aveva riguardava Jonathan, un pomeriggio dopo essere tornato da scuola. Lei uscì di casa per ringraziare Stephen Herondale che si era preso la briga di portare a casa anche il suo bambino poiché quel giorno lei non poteva, avendo Clarissa a casa con la febbre. Quando tornò in camera vide la scena più bella che avesse mai visto: Jonathan aveva portato a sua sorella una collanina con al centro un piccolo orso di peluche e l’aveva abbracciata. Clary non si allontanò mai da quella collana, fino al giorno del rapimento. O meglio, la mattina. Quella mattina passò la giornata a casa del migliore amico, il figlio di un Cacciatore molto bravo, grande amico di Jocelyn. Quando Clarissa tornò disse di averla dimenticata a casa del ragazzino.

«Simon!»

  
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