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Autore: Rin_Chan64    10/07/2014    3 recensioni
[Cloè\\\\\\\\\\\\\\\'s Requiem[Requiem for Chloe]]
{[Cloè's Requiem][Giochi di formattazione][Prima in Fandom][Beta-Readerata]}
"Aveva semplicemente deciso di migliorare sempre di più, senza uno scopo preciso, ed anche se sapeva che lì non ci feceva niente, continuava a starci appunto per questo. Era un'ossessione.
Aveva il collo ricurvo, la schiena a pezzi, gli occhi spalancati ed uno stano sorriso che di felice non aveva niente."
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE!!
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Nubarin e Nanashi no Chiyo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringrazio infinitamente la Mamma per aver accettato di essere la mia Beta-Reader!
 
Note di pugnali.

L'ombra. La persona lì dietro. Il Suo fratellino.

Pensava questo mentre che, più con rabbia che con passione, premeva i tasti di quel pianoforte.
Sera e mattina, mattina e sera; davanti a quella magica scatola nera.
Ma ormai, era convinto che lì non faceva altro che rovinare il pavimento. Ma lì restava, doveva. Anche se non era lui quello costreto, dopotutto. L'aveva deciso lui stesso.
Aveva semplicemente deciso di migliorare sempre di più, senza uno scopo preciso, ed anche se sapeva che lì non ci feceva niente, continuava a starci appunto per questo. Era un'ossessione.
Aveva il collo ricurvo, la schiena a pezzi, gli occhi spalancati ed uno stano sorriso che di felice non aveva niente. Una nota, un'altra, andava sempre più giù, poi sbagliava. Sempre con la stessa espressione, gettava la faccia sul pianoforte.
Non sapeva cosa maledire, chi maledire, se maledire. Non sapeva di chi era la colpa.
Vendetta, ecco cosa voleva.
Vendetta pura.
Si raddrizzava, e continuava a suonare imperterrito. "Pratica" era l'unica parola che gli passava per la testa, anche se non sapeva se lo aiutava o lo scoraggiava, o gli faceva arrivare la sanità mentale sempre più giù, come le note.
Come se non bastasse, arriva lui. Entra nella stanza. Come osa entrare in quella stanza!
Assumendo la faccia più calma che quel momento potesse permettere, continuò a suonare con lo stile, ma non la bravura, di un grande musicista.
Chissà cosa pensava suo fratello. Magari che era migliorato. Non doveva pensare così, non doveva permettersi di decidere se il lavoro del suo fratellino fosse un nonnulla o un comleto disastro!
La sua mente era totalmente assente.
Schiacciata da pensieri pessimisti, dall'ora tarda e da quelle note, la testa non reggeva.
Non stava guardando quello che suonava, guardava nel vuoto. Guardava nel tasto centrale. Sapeva tutto a memoria: la quindicesima nota la doveva beccare un po' più a sinistra, la diciottesima la doveva allungare troppo, ed alla ventiduesima doveva sbagliare clamorosamente.
Commentava con un:-Oh.- per non perdere completamente il controllo davanti a lui.
Ad un certo punto, suo fratello si avvicinò alla sua destra. Disse alcune parole sfocate, come le cose che vedeva. Non gli doveva rivolgere la parola. Non con quel tono. Non in quel momento. Non QUELLE parole.
-Non serve... Basta...- mormorò con lo sguardo basso.
Ma insisteva. Quelle sillabe lente uscite da quella bocca non andavano messe in quel modo, non andavano messe.
Suonò alcune note a casaccio, facendo per catapultare il pianoforte. Si alzò, e rivolse lo sguardo verso di lui.
Occhi affaticati, testa sempre curva, fronte coperta dai capelli ed uno strano sorriso, che di felice non aveva niente. Con un bagliore negli occhi, si limitò a confinarsi in quello che era in suo potere, urlando cinque parole.
-NON. TOCCARE. IL. MIO. PI.A.NO!
Quello che successe dopo, per lui, erano dettagli. Gli diceva cose che per lui, forse avevano senso, ma non per suo fratello. Le parole uscivano da sole, si sparpagliavano. Aveva sempre la stessa faccia, ed avanzava di un passo ad ogni frase.
Non gli sarebbe importato se il fratello fosse scappato. Gli avrebbe urlato dietro.
Ma glielo doveva dire.
Non vedeva le reazioni del fratello, non le sentiva. Forse era impaurito. O scocciato. O perplesso, da quanto suo fratellino potesse essere scarso e idiota.
Le sue urla superavano ogni suono. Non si sentiva niente. Le immagini si facevano sempre più sfocate.
Poi, se ne andò. Quella non era stata affatto una liberazione, era solo un ricordargli che aveva tantissime altre cose da dire. Parole che facevano male ad entrambi.
Nel mentre, si risedette nella sedia. Aveva l'intenzione di continuare fino al giorno dopo. Era la cosa che gli riusciva meglio, e la faceva molto male.
E gli faceva molto male.
Ogni nota era una pugnalata nello stomaco.
Una. Due. Tre. Quattro.
Cinque. Sei. Sette.
Otto. Nove.
Ventidue.
Sbagliato. Al cuore.
Si abbandonò completamente sul pianoforte. La testa era piana zeppa di cose che avrebbe voluto urlare. Le mani erano consumate dall'odio. Si contorcava, ridendo. Chiuse gli occhi per la prima volta in quella notte, e questo non ha fatto altro che fargli notare quanto facevano male. Quindi, li riaprì. E restò così, a cercare di rimettere in ordine la sua confusione mentale, ritrovando ricordi più amari del presente.
Non si addormentò, perchè prima veniva la "Pratica".
  
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