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Autore: icareformyself    10/07/2014    0 recensioni
Questa è la storia di una ragazza che deve sopportare un duro colpo.
sarà in grado di perdonarla? e di perdonarsi?
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non so cosa fare. Mi prendo la testa fra le mani. La scuoto. I capelli tra le mani, li tiro. Fanno male. Ma non è nulla in confronto a ciò che sento dentro.
Non voglio piangere , ma lo faccio. Non voglio, ma loro, le lacrime, scorrono sulle guance come un fiume in piena. Bruciano e solcano le mie gote, ormai arrossate. Fanno male. Ma non è nulla in confronto a ciò che sento dentro.
Non voglio urlare. So che mi aiuterebbe, ma non voglio. Eppure lo faccio. La gola si sta raschiando. La voce è rauca. Fa male. Ma non è nulla in confronto a ciò che provo dentro.
Se solo tu fossi qui... mi abbracceresti, lo so. Mi stringeresti tra le braccia stanche e delicate. E io sentirei il tuo profumo. Mi aggrapperei a questo e mi sentirei meglio.
Ma tu non sei qui. E fa male. 
Tu non sei qui. E io piango e urlo e stringo i capelli tra le mani, perchè tu non ci sei. E io non so cosa fare, perchè tu non ci sei.
Perchè? Perchè lo hai fatto? Perchè sei andata via? 
Ti odio. Non avresti dovuto farlo! Ha lasciato che lei vincesse. Non hai combattuto. Ti sei lasciata vincere. Mi hai lasciata sola. Te ne sei andata. Lei ti ha uccisa. Ha cominciato dai polmoni: ti avevo detto di smettere di fumare!  Inarrestabile, ha continuato la sua avanzata verso il cuore.
 Non hai combattuto. Ti sei arresa! 
Avrei potuto aiutarti, ma non hai voluto. Hai rifiutato l'idea che la persona a cui hai donato la vita, la donasse a te! Non volevi che vivessi senza una parte di me! Ma adesso vivo senza il mio cuore! 
Sei andata via, e io ti odio per questo!
Ti odio. Avresti dovuto pettinarmi i capelli, come solo tu sai fare. Avresti dovuto coprirmi con papà.
Avresti dovuto sgridarmi: non avresti voluto mentire a papà! Io sarei tornata a casa e tu mi avresti accolto ,tutti i giorni, con il tuo sorriso, quello vero! Mi avresti sgridata,poi, con  severità, per non aver rimesso in ordine i libri di scuola. Mi avresti ordinato di apparecchiare, perchè papà sarebbe arrivato di lì a poco. E io avrei sbuffato, pensando che non non ce la facevo più a sopportarti. Avrei steso la tovaglia sul tavolo con noia e rabbia, sperando di riuscire presto ad andarmene lontano dai tuoi ordini antipatici e dalle tue urla.
Ma adesso, per colpa tua, non potrò più farlo. Perchè tu non ci sei. Perchè lei ha vinto!




Sono tornata a scuola da due giorni. Avevi ragione: le amiche non ti aiutano come invece una mamma  farebbe. Ma tu non ci sei. 
Non fanno altro che abbracciarmi. Ma io non voglio. Le allontano e loro mi guardano con quello sguardo. Lo sguardo che una persona ha quando vede un cane in fin di vita. Lo sguardo di chi ha pietà. Ma io non me ne faccio nulla della loro pietà. Nel limbo, la loro pietà non serve a nulla. Perchè nel  limbo, tu continui ad esserci. E lì,non piango, non urlo e non mi stringo i capelli tra le mani.
Ogni giorno, da quando non ci sei, la casa mi sembra vuota e straripante di silenzio. 
Ogni giorno, da quando non ci sei, io sono vuota e straripante di silenzio.
Ogni giorno, da quando non ci sei, chiudo gli occhi arrossati e ti immagino. Ti immagino in cucina, ti immagino mentre lavori a maglia , ti immagino mentre accendi il camino perchè fa troppo freddo. E allora mi alzo, indosso una tua felpa , e accendo il fuoco nel camino, mi avvolgo nel tuo plaid preferito e mi accoccolo sul tappeto morbido che hai voluto per il tuo trentacinquesimo compleanno. 
Poi piango e ti abbraccio tra le lacrime.



Sono passati tre mesi e zia , tua sorella, ha deciso che tre mesi sono abbastanza, che non devo 
crogiolarmi nel dolore della tua morte. Lei ha deciso che ne ha abbastanza, di vedere me e papà con i musi lunghi. Ha detto che io e papà avremmo dovuto trasferirci da lei. Ma io non voglio.
Non voglio vivere lontano da te, da quello che era il tuo letto e lontana dalle tue ceneri.
Non voglio, le ho urlato. Ma lei mi ha guardata con quello sguardo, mi ha abbracciata e ha fatto quello che tu non puoi più fare, mi ha accarezzato i capelli tra le mani e mi ha consolata. Poi, ha pianto. Ha pianto con me. Con me,si è accasciata sul pavimento e con me ha pianto , ha urlato e si è stretta i capelli tra le mani.
 E allora ho capito, non sono sola.



Correva tra le spighe, la bambina di girasoli. Correva e si disinteressava dei raschi sulla pelle. Correva e sorrideva. Correva e il sole le bagnava il visino paffuto. Allargava le braccia, imitando un aliante: immaginava di volare. Una colomba era ferma al di là del fiume, nel campo dei girasoli.
Era bianca, ma le grandi ali, alle loro estremità, erano di carbone. Guardandola meglio, le sembrava che la colomba bianca, dovesse dirle qualcosa di importante. E le cose importanti non si urlano da una riva ad un'altra, si sussurrano nell'orecchio, perchè nessun altro lo deve sapere. E allora le gambine cominciarono a muoversi e improvvisamente la bambina di girasoli era già vicina alle grandi ali della colomba che fremendo, la guardava. E allora la bambina gioiosa si avvicinò con l'orecchio al becco dorato dell'animale, in attesa di conoscere il grande mistero. Ignorava la realtà. La colomba le sussurrò che le voleva bene e questo scaldò il piccolo cuore di girasole. Ma il piccolo girasole, presto, si sarebbe chiuso come una tartaruga vicino ad un leone.
La colomba cominciò improvvisamente a cantare ignara, forse, di ciò che stava per accadere. Cantava e pian piano spiegava le sue grandi ali. Cantava e abbracciava il suo piccolo girasole. Cantava. Cantava anche quando l'aquila scese in picchiata e con i suoi artigli la intrappolò per portarla via con sè, lontano dal piccolo girasole che ora cominciava piano piano ad appassire.

Sono fradicia quando mi sveglio di soprassalto. È la quarta volta che faccio questo sogno, più precisamente è il quarto martedì che il piccolo girasole appassisce alla vista dell'aquila che porta via la sua amata colomba. E anche se ne ho capito il senso, penso che ne dovrei parlare con la strizzacervelli. Dovrei ascoltarla e cominciare a prendere le pillole, anche se so che alla fine ne diventerei dipendente. Guardo la sveglia elettrica, cavolo, sono le 7:46. il bus sarà alla fine del vialetto tra dieci minuti esatti e io sarò ancora una volta in ritardo e ancora una volta zia dovrà accompagnarmi a scuola. Corro per le scale in equilibrio precario, a causa della felpa che cerco di indossare, mentre indosso ad una ad una le sneakers nuove che zia mi ha comprato ormai un mese fa, come regalo di benvenuto. Saluto tutti in fretta e furia, afferrando alla cieca ora la giacca a vento ora muffins che mangerò sul bus, ammesso che lo riesca a prendere.
Ho il fiato corto, quando salgo sulla barca di Caronte e mentre cerco di riacquistare il giusto ritmo cardiaco cerco un posto libero tra le anime dannate, che con me traghettano verso l'inferno. Qui, sulla barca di Caronte, sto bene, perchè qui nessuno pensa a me, a come potrei sentirmi, perchè qui sono solo quella che arriva sempre in ritardo. Mi siedo sullo scomodo sedile in prima fila, accanto ad una ragazza dai capelli color rame, che come me sembra avere il peso del mondo sulle spalle. é nuova, non l'avevo mai vista prima. È china su di un libro fatto di immagini meravigliose e paradisiache, di mondi lontani, di terre deserte. Mi accorgo di fissare intensamente il libro solo quando questo si chiude bruscamente. Allora alzo il capo e la guardo e, in lei rivedo gli stessi occhi blu di mia madre, caldi e amorevoli, che, preoccupati, mi sorridono. SALVE SONO L' "AUTRICE" DI QUESTA STORIA! VOLEVO SOLO RINGRAZIARVI PER AVER LETTO LA MIA PICCOLA STORIA, SPERO VI SIA PIACIUTA ALMENO UN PO' DI QUANTO SIA PIACIUTO A ME SCRIVERLA. SPERO RECENSIATE, UN ABBRACCIO!
  
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