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Autore: Aluah    11/07/2014    4 recensioni
Quella domanda se l'era sentita ripetere migliaia di volte. La cosa curiosa era che a tutti aveva dato una risposta diversa,mai sincera, un po' inventata, un po' assemblata dai commenti che le erano stati fatti nel corso degli anni. C'era a chi aveva propinato una scusa banale come la distanza, il poco tempo o la mancanza di comunicazione, altri che aveva convinto che fosse stata lei a lasciarlo andare, volontariamente.
La sequela di " bullshit ", così come lei le chiamava, che aveva stilato avrebbe fatto impallidire Pinocchio.
E non per nulla, era il suo cartone preferito.
Ma poteva mentire a lui? Forse, avrebbe potuto anche provarci. Ma a che sarebbe servito mentire ad un prete [...]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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shikaino





ANGOLO DELL' AUTRICE:
Allora, io sono una di quelle che quando vede l'angolo dell'autore a inizio storia lo salta a piè pari. Vi pregherei invece di fermarvi un attimo.
Ho fatto una scelta azzardata per questa storia, trasformando Naruto in un prete. Pazza? Si, non convinceva nemmeno me. Ma credo che Naruto sia un buon ascoltatore, in questo caso mi sembrava carino trasformarlo in prete.
Non voglio offendere nessuna religione o cavolate simili.
Se vi sentite offesi, chiudete la storia e passate oltre.
Alu.








TROPPO.








- E come è successo? -
Quella domanda se l'era sentita ripetere migliaia di volte. La cosa curiosa era che a tutti aveva dato una risposta diversa,mai sincera, un po' inventata, un po' assemblata dai commenti che le erano stati fatti nel corso degli anni.  C'era a chi aveva propinato una scusa banale come la distanza, il poco tempo o la mancanza di comunicazione, altri che aveva convinto che fosse stata lei a lasciarlo andare, volontariamente.
La sequela di " bullshit ", così come lei le chiamava, che aveva stilato avrebbe fatto impallidire Pinocchio.
E non per nulla, era il suo cartone preferito.
Ma poteva mentire a lui? Forse, avrebbe potuto anche provarci. Ma a che sarebbe servito mentire ad un prete quando lassù qualcuno ben sapeva come effettivamente erano andate le cose? obiettivamente anche ai suoi occhi sembrava un ragionamento molto stupido.
- L'ho tradito. - rispose - Ho infranto una promessa e non posso biasimarlo per non avermi dato l'ennesima possibilità da sprecare. -
In coda,  alla cassa di quell'unico supermercato di China Town aperto la domenica mattina, aspettava che il cassiere mezzo addormentato finisse di servire la ragazzina davanti a lei: niente tette, qualche brufolo e apparecchio ai denti, una quindicenne che ancora, del suo aspetto non se ne curava.
Che bell'età.
Non aveva propriamente capito come lei e quello strano prete platinato fossero finiti a discutere del suo mancato matrimonio; stava insultando le sue caramelle rosa ree di costare troppo, suscitando l'ilarità di quello, quando improvvisamente l'immagine, la solita immagine l'aveva scaraventata alla parete e presa a sberle.  E aveva fatto nuovamente male.

"Perchè lo hai fatto?"
E piangeva.
" Vattene."
E non reagiva.
" E' finita"
Ed era morta, con il sapore di caramella in bocca.


Era certa che fosse stato il suo sguardo vacuo ad attirare l'attenzione dell'uomo. Sbuffò.
- Capisco. - disse quello, monotono.
Anche quel verbo non le era nuovo; tutti capivano, nessuno faceva nulla per far capire le cose anche a lei.
- E che ne sai lei dell'amore? - domandò piccata. Quando era ferita, attaccava, lo faceva da sempre, con chiunque. Se la prendeva anche con i morti, con suo padre, con il primo passante che le capitava a tiro.
- Il collare che porto non mi impedisce di aver amato qualcuno sa? -
E si sentì infinitamente stupida. Aveva sempre considerato i preti come abitanti di un universo a parte, fatto di messe ed omelie, nessuna traccia di umanità se non nelle loro sembianze. Non aveva mai pensato che, prima di prendere la drastica decisione di votarsi corpo e mente alla religione, avessero potuto provare uno scorcio della vita che ogni uomo si concede di vivere. Dovevano anche loro essere cresciuti, essersi presi la prima cotta, la prima sbandata.
Perchè probabilmente non si sceglie di diventare prete a 18 anni.
- Mi scusi. - sussurrò, sistemando la spesa sul rullo rotante della casa. La sua linguaccia un giorno l' avrebbe messa nei guai.
- Ci si fa l'abitudine sa? - nemmeno un accenno di irritazione nella sua voce - Mi chiamo Naruto. -
Un prete platinato, bello come il sole e pure socievole. Ci avrebbe anche potuto fare un pensierino se le circostanze non glielo avessero ovviamente impedito.
- Ino. -
Gli strinse la mano, coccolata dal sorriso che le aveva rivolto dopo le presentazioni reciproche. Se le fosse avanzato del tempo gli avrebbe anche chiesto per quale motivo quel raggio di sole incarnato in un ragazzo tanto bello, avesse deciso di entrare in seminario. Non aveva mai avuto nulla contro gli uomini di chiesa, anzi, nel suo piccolo aveva da sempre ammirato il loro coraggio.
Ma quegli occhi, azzurri e blu, le facevano pensare che ci fosse altro, molto altro.
Aveva un buon odore di pulito, misto ad incenso e alla vecchia colonia che usava anche suo padre. Ne conservava gelosamente la boccetta vuota nel cassetto dei calzini, era il suo piccolo cimelio che la teneva attaccata al mondo impedendole di compiere qualche azione stupida. Nascosta nel suo comodino verde e giallo con mille adesivi di cani e gatti, le ricordava che c'era qualcuno che da lassù vegliava su di lei, le aveva dato una possibilità, la vita.
- E mi dica, cosa l'ha portata ad infrangere quella promessa? -
Sorrise, non seppe fare altro. Neppure le faceva piacere quella domanda in verità. Guardò il cassiere che canticchiava 21 Guns dei Green Day a fior di labbra, muovendo la testa a ritmo con la batteria che gli risuonava nelle orecchie, al sicuro nel suo mondo fatto di auricolari e musica. Non lo aveva mai visto senza, a pensarci bene, sempre preso a sognare a ritmo con la chitarra elettrica di qualche cantante pazzo. Se avesse avuto un figlio probabilmente sarebbe stato molto simile a lui.
Forse avrebbe preferito i Linkin Park, ma poco sarebbe cambiato.
- Dobbiamo proprio discuterne qui? -
Non che i surgelati dei banconi non le ispirassero confessioni private o profonde rivelazioni, ma di certo non aveva ami pensato che quando finalmente avrebbe ammesso tutti i suoi sbagli, lo avrebbe fatto con un prete, al supermercato, mentre la donnina della pubblicità dei tampax la fissava dall' alto del cartellone sopra le corsie.
- I piselli la intimoriscono? -
Non sapeva che i preti potessero fare doppi sensi.  E rise, e lo fece di gusto, con le lacrime agli occhi, pensando ad un esercito di verdure che la minacciava di tacere con mitra e coltellacci. Si ricompose giusto quando il primo ricordo cominciò a scalare il muro nel quale li aveva confinati, tutti, dal loro primo bacio in compagnia di quella vecchia calcolatrice, alla proposta di matrimonio mentre giocava al pc.
Erano forse, nella storia del genere umano, le prime volte meno riuscite, da annoverare come disastri colossali o epiche figuracce.
Eppure lei allora era felice, a condividere la sua relazione con un vecchio pc e qualche joystick di troppo.
- Avevo promesso che non avrei mai più fatto uso di cocaina, ma ci sono ricascata il giorno del mio addio al nubilato. -
 
- Solo una dai! -
Quella falsa amica.
- Cosa potrebbe mai succedere? -
Troppo tempo senza, la voglia, le luci, la vita.
E lei aveva ceduto.
Quella sottile linea bianca.

- Ero troppo ubriaca, allegra, giovane ed incosciente per capire che tutte le corde hanno un limite di sopportazione. Ero troppo e tutto nella stessa sera, troppo bambina per innamorami come avrei dovuto. Ero troppo tutto, tranne intelligente. -
Aveva distrutto una decina di sacchetti di plastica nel mentre, armeggiandovi per sfogare quei residui di rabbia di cui forse non si sarebbe mai liberata. Aver buttato al vento anni di fidanzamento in poco più di dieci minuti era l'unica cosa della sua vita che non si sarebbe mai perdonata, nemmeno quando un giorno, forse, qualcuno le avrebbe detto ancora che l'amava.
Aveva sempre sentito dire che il primo amore di una donna è uno solo, e altre cagate simili. del suo primo amore, primo anno del liceo, nemmeno ricordava il nome; eppure era certa di essersi presa una bella sbandata per quel tipo tutto muscoli e battutacce.
Shikamaru era stato il suo terzo amore. Improvviso, improvvisato, improvvisamente. E le stava pure antipatico.
Aveva creduto che il suo destino fosse già stato scritto anni addietro, quando aveva forse quattordici anni: tutte le ragazze bionde e sexy, stando i film, trovavano un ricco ex capitano della squadra di football con cui condividere il resto della loro esistenza.
Un amante di tanto in tanto.
Una carta di credito a colmare i vuoti.
Lui, beh, non se lo sarebbe mai aspettata, e nel suo progetto, non era minimamente rientrato.
- Com'è iniziato tutto? -
Dovette respirare per ricacciare indietro i lacrimoni, e improvvisamente il soffitto divenne una calamita per i suoi occhi.
- Le va un caffè? -
Naruto le sorrise mentre glielo domandava, pagando oltre alla sua verdura scolorita, anche quel poco di spesa che lei aveva fatto. Non si era mai visto un prete che comperava tampax, caramelle a forma di maialino e una bottiglia di vodka alla menta, ma quel giorno tutto stava andando alla deriva, dal suo appuntamento con l'estetista alle convenzioni.
Uscirono dal negozio, incamminandosi verso la caffetteria alla fine della strada. Non era la migliore della città e nemmeno la più rinomata, non c'era mai entrata nemmeno per sbaglio a pensarci, preferendo a quella vecchia insegna scolorita quella più moderna di Arnold. Sapeva solo che dietro al bancone stavano due fratelli, fieri inventori di un nuovo sport ancora poco conosciuto, il lancio delle suppellettili.
Forse una volta aveva tentato di entrare in quel posto, ma una tazzina volante scaraventata a pochi centimetri dal suo volto le avevano fatto cambiare idea.
" Carpe diem " si chiamava, e forse lei quel giorno credeva vendessero pesce fresco.
Eppure seguì quel prete, nel più religioso dei silenzi, ammirando la spontaneità con cui sorrideva alla gente. Era incredibile quante persone lo ricambiassero, si fermassero a parlare con lui, scambiassero volentieri due parole. Quando lei girava per strada non riceveva mai un sorriso, forse qualche fischio e una ventina di palpate al fondo schiena, ma mai un sorriso, nemmeno per sbaglio.
Entrarono nel locale facendo tintinnare il campanellino sopra la porta. Nessun oggetto questa volta le transitò nel campo visivo, anzi, l'atmosfera sembrava quasi accogliente. Sentì l'uomo che la guidava salutarne uno che parlottava al telefonino con una certa Tsunade.
Parlava di rane e tette mentre torturava i suoi baffi troppo lunghi e troppo bianchi. Anche lui era troppo; la camicia troppo rosa, i pantaloni troppo azzurri, troppo amore nei suoi occhi con cui fissava il caffè, pensando probabilmente alla donna all'altro capo della cornetta.
Naruto le indicò l'ultimo tavolino della fila che costeggiava le finestre, prendendo posto per primo. Si muoveva come se lo facesse da sempre, una routine ben consolidata in quello spezio che puzzava di caffeina e ciambelle bruciate.
Cercò di farsi scudo con il foglio del menù, desiderosa di guardarsi attorno senza sembrare una bambina impicciona.
- E' bianco sa? -
Mugugnò in risposta a quella specie di domanda.
- Il foglio che sta stringendo tra le mani, è bianco. I proprietari giocano al risparmio da quando campano di quel che guadagnano. Ma le consiglio il cappuccino, è molto buono! -
Obiettivamente quel pezzo di carta recava solo una scritta a pennarello,  " Ordinate. ", si, con tanto di punto molesto alla fine della parola. Il bon ton doveva essere sconosciuto ai proprietari, o forse erano di talmente poche parole che sprecarsi a descrivere altro oltre ciò che volevano gli sembrava superfluo.
- Le piacciono i pomodori? - chiese improvvisamente, notando solo allora la massiccia quantità di pallotte rosse che sbucava dal sacchetto della spesa del prete. Se suo padre fosse stato ancora in vita, avrebbe commentato sostenendo l'importanza di abbondare con frutta e verdura e ridurre il consumo di sushi, che sostentava si mangiasse con pepe, limone, disinfettante e contenesse scorie radioattive.
- Non particolarmente, ma fanno bene al corpo e alla mente. -
- Le proprietà curative dei pomodori mi erano ancora sconosciute. -
- Ti fai nuovi amici Naruto? - una voce si intromise nella loro conversazione, e la irritò, non poco. Aveva una punta di saccenza, una di egoismo ed un'altra di strafottenza. Una forse anche di rabbia, anzi, più di una.
- Ciao Sas'ke! -
Era il saluto più ingenuo che avesse mai sentito, fatto con il tono più limpido che le sue orecchie avessero mai percepito. C'era racchiuso tanto di quell'affetto da poter sembrare amore.
Il moro la squadrò, sbuffando una specie di saluto ed annotando qualcosa sul taccuino che reggeva in mano. Aveva gli occhi neri, una polo troppo grande e dei jeans troppo stretti. Quel giorno tutto era troppo e lei non era abbastanza.
Rispose ad un insulto che arrivò dalla cucina, dopodiché le si rivolse, chiedendole non troppo cortesemente che cosa volesse prendere. Il tutto squadrandola ca capo a piedi, con particolare attenzione dedicata alle sue all star dei tempi del liceo con palloncini e coniglietti. Avevano più buchi quelle sneakers di quanti non ne avesse uno scolapasta, ma le ricordavano tempi migliori, e non riusciva a buttarle, nemmeno impegnandosi. Era arrivata ad inseguire il camion della spazzature per tutta la quattordicesima pregandolo di fermarsi e di scaricare tutti i sacchetti che aveva raccolto. Aveva detto all' autista che era una questione di vita o di morte.
Non avrebbe mai dimenticato la sua faccia quando l' aveva vista estrarre del cumulo di spazzatura delle scarpe logore e maleodoranti.
- Mi hanno consigliato il cappuccino. - disse con un filo di voce, temendo una frecciatina lampo.
Non arrivò fortunatamente, ma lo stesso non si potè dire per la stilettata al cuore.
Mentre scriveva, aveva intravisto sul suo polso un piccolo tatuaggio, un simbolo comunissimo e conosciutissimo, un semplice pi-greco, realizzato con linee sottili ma decise che su quella pelle nivea creavano un contrasto piacevole.
Anni fa nemmeno lo avrebbe riconosciuto, non sapeva nemmeno cosa fosse un pi-greco; quando vedeva quel simbolo lo ignorava semplicemente. Se non sapeva, nella sua logica, il problema non sussisteva.
La vana illusione di una bambina viziata.
Era invece divenuto ben presto un problema, quando il suo prof di matematica, ai tempi del liceo, l'aveva caldamente invitata a farsi una cultura anziché passare le giornate a farsi i capelli. Sospettava avesse detto capelli solo per rispetto nei suoi confronti, pensando invece altro.
E l'aveva conosciuto così.
Un nerd innamorato del calcolo combinatorio e League of Legends, quel granello di polvere passato inosservato nella massa di palestrati frequentatori del liceo.

- E questo cosa sarebbe? -
Gli era caduta la mandibola.
- Si chiama pi, pi-greco. Stringigli la mano e presentati. -
Lo aveva ribaltato dalla sedia.
E lei l'aveva seguito.

- Stavamo dicendo? -
respirò, chiudendo la porta che si era aperta ed aprendone un'altra, meno personale. Aveva 22 anni e una vita perfetta allora, non un bastardino che le macchiava il divano e troppa vodka sopra al frigo.
- Ho fatto uso di cocaina dai 16 ai 19 anni. La prima volta che l'ho provata non mi era sembrata questa gran trasgressione, mi ricordavo come mi chiamavo e riuscivo ancora ad ammazzare le zanzare. Eppure mi ero sentita bene, una sensazione piacevole, che ho continuato a ricercare, sempre di più, sempre più spesso. A 18 anni l'ho conosciuto, era il classico ragazzo troppo intelligente per essere felice, ed io l'oca di turno che doveva recuperare una materia prima di venire bocciata. -
Le sembrò una commedia da cinema di bassa qualità, quei film che finiscono per essere trasmessi in terza serata su canali improponibili con attricette che nessuno conosce. Il prete in tutto questo l'aveva ascoltata senza fiatare, guardandola con interesse, lo stesso riservato a chi ha troppo da dire ma nessuna parola per farlo.
- Se l'annoio basta che me lo dica. -
Quello scosse la testa, invitandola a proseguire.
- Mi ha insegnato la matematica, ricostruita e distrutta di nuovo, riscoprire la play station e impedito di drogarmi. Mi ha presentata quel bivio davanti a cui nessuno mi aveva mai messa, lui o la droga. E avevo scelto lui, avrei sempre scelto lui. -
La tazza di caffè le venne sbattuta davanti con una foga tale da farla sussultare. Di fronte a lei due occhi azzurri persi nella scodella di ramen fumante apparsa sul tavolo assieme al suo cappuccino, talmente blu da ricordarle il mare dove da bambina suo padre la portava sempre, quello bello, con la casetta sulla spiaggia dove lei giocava con l'amichetta Sakura.
- Ma poi è successo quel che è successo. - concluse, assaggiando la schiuma di latte che ricopriva il caffè.

- Che schifo il latte! Io quel coso non lo bevo! -
Lui lo beveva dal cartone.
E lei era schifata.
- Sai che il cappuccino che stai bevendo contiene latte? -
Un attimo di silenzio.
- Non usare la tua intelligenza contro di me! -
E la furia.

- Mi scusi, le ho rubato del tempo, probabilmente aveva di meglio da fare che ascoltare le mie confessioni. -
Naruto smise di nuotare nel ramen e iniziò a fissarla, prima inespressivo, poi sorridente, comprensivo, amico. Era come se la capisse.
Spostò poi lo sguardo sul barista che litigava con una caffettiera troppo vecchia per poter reggere ancora la portata di caffè che venivano consumati in un giorno, sopravvissuta forse per miracolo. Lo guardava con una simpatia a lei famigliare.
Lo guardava nello stesso modo in cui lei guardava Shikamaru quando lo incrociava per strada, a braccetto con la donna con la quale l'aveva rimpiazzata. Girava con una ventiquattrore nera ed un completo elegante, Balckberry in mano e occhiali da sole. Non gli aveva mai più rivisto gli occhi.
Se le fosse stato concesso li avrebbe trovati pieni di rimpianto e rimorsi, insieme a tutto l'amore del mondo.
Ma questo lei non lo avrebbe mai saputo.
Sapeva solo che quando la incrociava tendeva ad attraversare la strada, cambiare direzione, chiamare un taxi. La evitava come se lei avesse la peste, deluso dalla donna che aveva amato e lo aveva tradito. Forse beveva per dimenticare il fatto che lui non l'avrebbe mai perdonata, o forse per convincersi che tutto questo non fosse mai successo: nessuna storia d'amore, nessun cuore spezzato, nessun ragazzo con la coda che l'aveva curata e uccisa a coltellate nel cuore.

Un messaggio.
Due messaggi.
Tre telefonate.
Mille lettere.
Nessuna risposta.

Insomma, quella luce la conosceva bene.
Era la stessa che tutte le mattine vedeva nei suoi occhi quando si specchiava, quella di chi ha perso qualcosa facendo una determinata scelta, pentendosi forse, ma continuando ad amare quel lato del passato da cui non si sarebbe mai staccato.
Forse non era stato il suo sguardo vacuo ad attirare l'attenzione del prete, ma quella stessa luce che man mano si spegneva, quella della speranza di cancellare, distruggere, ricominciare, senza mettere una pietra sopra, perchè quella pietra non sarebbe dovuta servire.
Aveva sempre pensato che nessuno l'avrebbe mai capita, perchè nessuno nel suo immaginario avrebbe mai potuto perdere qualcuno di così importante come era stato Shikamaru per lei. Eppure si sbagliava, ancora una volta.
Quel prete era forse stato troppo precipitoso, troppo testardo, troppo impulsivo o forse, troppo innamorato, non l'avrebbe mai saputo. Sapeva però di aver qualcosa in comune, con lui, con il vecchietto che parlava di tette e ranocchie e anche con quel barista strafottente che lanciava suppellettili con una pessima mira.
Erano tutti troppo per qualcun altro, ma non abbastanza coraggiosi da tagliare il filo che li avrebbe sempre uniti. 
Era un circolo vizioso che tirava dentro tutti, dal primo all'ultimo.
Il minimo comune denominatore stava nel rimpianto.
Troppe persone con un nome comune.








   
 
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