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Autore: grazinat17    11/07/2014    0 recensioni
Un bambino di 8 anni si trova a compiere un odissea fantastica per cercare di salvare suo fratello undicenne da una malattia cardiaca.
Un' epopea marittima dal nord al più profondo sud della Puglia.
Genere: Drammatico, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lorenzo aprì gli occhi.
 Il suo sonno fu interrotto dalle voci dei suoi genitori che discutevano animatamente al piano inferiore. Si voltò di lato, inforcò gli occhiali e li indossò per riuscire a leggere l’ora scritta sulla sveglia di Topolino posta al suo fianco.
Erano appena le sei e diciotto del mattino, il sole d’agosto filtrava deciso tra gli spiragli della serranda. Era il quindici di agosto e, come tradizione richiedeva, batteva un sole cocente già alle prime ore del mattino.
Ferragosto è sinonimo di mare, di festa e di vacanza e, nonostante Lorenzo abitasse a Vieste, destinazione ambita dai vacanzieri di tutta Italia, c’era poco da festeggiare per la sua famiglia Il quindici di agosto, come gli ultimi quaranta giorni, l’avrebbero trascorso facendo la spola tra casa e ospedale.
Il suo fratellone aveva undici anni, ben tre e mezzo più di Lorenzo e, dalla nascita, i medici gli avevano riscontrato una malformazione al cuore; Lorenzo non ricordava il nome della malattia ma sapeva che era molto grave.
Guardò il letto vuoto al suo fianco e sospirò. Adorava suo fratello e gli mancava da morire, era più di un mese che si alzava la mattina senza vedere il suo confortante sorriso, senza poter giocare o litigare con lui, ma era la notte che la sua assenza lo attanagliava di più, perché sovente, quando i suoi genitori spegnevano le luci e intimavano loro di dormire, lui accendeva il lumicino di fianco al suo letto e gli raccontava delle storie che inventava di volta in volta. Era bravissimo a farlo, il suo forte erano le storie di paura, quelle che mamma e papà non volevano che gli raccontasse perché lo ritenevano ancora piccolo e impressionabile.
Lui però non era piccolo, aveva quasi otto anni e non aveva paura dei racconti di Pierpaolo, anzi li adorava a tal punto che spesso era lui a chiedere di esporglieli prima di addormentarsi.
La sua storia preferita narrava di un bambino di otto anni che, sfidato dagli amici, decideva di passare la notte nella casa stregata del paese. La dimora era enorme e piene di insidie, i mostri inseguivano il protagonista perché volevano divorare i suoi occhi, dei quali erano ghiotti, ma lui riusciva a nascondersi nella cripta dove i mostri maligni tenevano prigioniero il più forte dei mostri, con tre occhi e un solo orecchio, alto e possente ma, al contrario del suo aspetto, aveva un animo dolce e gentile e, quando il ragazzino lo aiutava a rompere le catene che lo tenevano imprigionato, lui lo aiutava a fuggire. Il protagonista vorrebbe che il mostro andasse a vivere con lui,ma lui rifiutò sostenendo che in un mondo di umani un mostro come lui sarebbe perseguitato e ancora una volta imprigionato.
Adorava questa storia, più volte aveva richiesto al fratello di raccontargliela tanto che fu costretto a scriverla per non dimenticarla ed esporla al meglio.
I racconti di Pierpaolo erano avvincenti e mettevano i brividi, e mai Lorenzo si era addormentato senza che la storia fosse finita. A volte, quando diventavano troppo spaventose, alzava inconsapevolmente le coperte fin sopra i capelli ma mai aveva smesso di ascoltarle. Lui era grande ormai, non aveva paura.
Si alzò e posò i piedi scalzi a terra, poi si inginocchiò, poso i gomiti sul suo letto, guardò la foto della Madonna incorniciata sul muro e pregò.
Non pregò per se, da Gesù non voleva regali o buoni voti a scuola come tutti i ragazzini della sua età, lui pregò come sempre, da un mese a questa parte, per suo fratello. L’ unica sua richiesta a Dio era di far star bene Pierpaolo e di farlo tornar presto a casa sua.
Fece il segno della croce e si alzò.
I suoi erano ancora al piano inferiore che discutevano animatamente. Non riusciva a sentire le loro parole ma era certo di conoscere l’argomento della loro discussione e, dal loro tono di voce, si intuiva che le cose forse non stavano andando per il verso giusto.
Pierpaolo si era trascinato la malattia per tutti gli undici anni della sua vita, ma fino ad un mese prima non aveva mai avuto grossi problemi; certo ogni mese andava in ospedale per accertamenti e gli era stato severamente vietato di fare attività fisica a scuola e con gli amici, ma fino ad allora era stato sempre bene.
Pierpaolo era un ragazzo ubbidiente, era sempre attento agli accorgimenti di medici e genitori. Lorenzo ricordava che solo una volta un anno fa circa, suo fratello si era fatto convincere dagli amici e aveva giocato per una mezz’ oretta a calcio nel campetto della scuola. Pierpaolo resse mezz’ ora e giocò davvero bene, lui restò li a guardarlo e aveva tifato per lui, aveva addirittura segnato un gol e Lorenzo fù talmente fiero di lui. Poi il suo cuore non resse, si accasciò a terra svenuto. L’ ambulanza lo portò in ospedale. Per fortuna non era niente di grave, si riprese in poco tempo. Era solo affaticato, sostennero i medici, ma suo padre in ospedale, prima che Pierpaolo rinvenisse, gli aveva urlato che doveva essere più responsabile. Doveva stare attento a suo fratello, avrebbe dovuto fermarlo, non farlo giocare. Invece lui era stato li, come un mammalucco (parole di suo padre) a guardarlo morire.
Lorenzo si sentì in colpa e ancora adesso rimpiangeva di non averlo fermato o di non aver attempo avvisato i suoi.
Se l’avesse fatto magari non avrebbe avuto questo secondo crollo.
Pierpaolo tornò a casa dopo soli tre giorni, più in forma che mai, fino a che, il mese scorso, i suoi genitori ebbero una chiamata dal preside della sua scuola che li informò che Pierpaolo era svenuto durante le lezioni e che era stato portato in ospedale.
Da quel giorno Pierpaolo non era più tornato a casa, tutti i giorni andava con suo padre a trovarlo ma lo vedeva sempre più debole e triste. Spesso quando rientrava dalle quotidiane visite Lorenzo piangeva. Voleva suo fratello, voleva potergli stare accanto e voleva ancora ascoltare le sue storie.
Da due giorni poi suo padre non lo portava con se in ospedale, gli aveva confidato che Pierpaolo era a coma e Lorenzo gli aveva chiesto:
- L’ hanno trasferito? Dov’ è questo paese? E’ lontano?
Il padre aveva risposto con un sorriso triste:
- In coma vuol dire che si è addormentato e quindi è inutile che tu venga.
- Ma possiamo svegliarlo? Voglio solo salutarlo e dargli un bacio.
Suo padre non rispose, cambiò discorso riferendogli che stava arrivando la baby sitter e di stare buono con lei.
Lorenzo si sentì offeso, era grande e non aveva bisogno di baby sitter, ma non disse niente e fece il buono come gli era stato richiesto.
Ora invece era li, incerto sul da farsi. Non osava disturbare i suoi ma voleva a tutti i costi conoscere la situazione di suo fratello. Prese il coraggio a due mani e, ancora scalzo, in punta di piedi scese i gradini che lo portavano dabbasso.
Le voci si fecero più chiare e si accorse che sua madre piangeva. Le gambe cominciarono a tremargli, il timore che Pierpaolo fosse peggiorato lo colpì come una potente martellata sulle ginocchia ma Lorenzo resistette e continuò a scendere in silenzio.
Adesso era a pochi gradini dal piano inferiore e riusciva a sentir bene i discorsi dei suoi genitori anche se non riusciva a capire bene il senso delle loro parole. Era per fortuna ancora invisibile ai loro occhi, altrimenti sicuramente avrebbero smesso di parlare. Lorenzo invece voleva sapere la verità.
Suo padre disse che Pierpaolo era ancora a coma e che la situazione non era per niente migliorata, anzi nella notte era stato male, aveva avuto una crisi. Cadridica? Cadirica? Lorenzo non aveva capito ne tantomeno sapeva cosa significasse.
Erano riusciti a farlo riprendere ma aveva urgente bisogno di tre piante? Aveva capito bene? Lorenzo non ne era certo ma non poteva certo chiedere conferma a qualcuno.
La cosa più angosciante e che gettò sua madre nello sconforto più totale era che in ospedale c’era poco personale medico quel giorno, per via della festa e il medico che avrebbe dovuto usare queste tre piante, un certo dottor Angelo Ludovico era in ferie a Santa Maria di Leuca e sarebbe stato irreperibile per tutta la settimana. Suo fratello invece aveva bisogno oggi di queste tre piante e non c’era nessun medico che poteva aiutarlo.
Poi ci furono quelle parole. Quelle parole che gettarono sua madre in ginocchio e che impietrirono Lorenzo.
Pierpaolo potrebbe morire oggi.
Due lacrime scesero inevitabilmente sulle guance di Lorenzo.
Non era possibile. Suo fratello poteva morire. Come avrebbe fatto senza di lui? Chi lo avrebbe aiutato a fare i compiti? Chi gli avrebbe raccontato le storie che tanto amava? Chi avrebbe giocato con lui?
Un altro pensiero gli si insinuò in testa. Questo pensiero gli fece stringere i pugni tanto da far male: come poteva questo dottor Ludovico starsene in vacanza contento e beato quando sapeva di essere l’unico ad avere queste tre piante che potevano salvare suo fratello?
Non riusciva a capacitarsi del fatto che potesse esistere gente tanto egoista, come poteva questo medico vivere con il rimorso di essere l’unico al mondo in grado di guarire il cuore della gente grazie a queste sue maledette piante e invece starsene in vacanza, magari su una barca a ridere e scherzare baldanzoso?
Doveva fare qualcosa, l’unico medico che poteva aiutare suo fratello non voleva farlo e Dio, a quanto pareva, non aveva ascoltato le sue preghiere. Era arrabbiato (adirato Lorenzo, si dice adirato gli ripeteva la maestra) ma al catechismo aveva imparato una massima che si stava rivelando la più grande delle verità: aiutati che il ciel ti aiuta.
Non poteva aspettarsi l’aiuto di medici, di amici o di Dio. Toccava a lui attivarsi per far star bene suo fratello.
Suo padre aveva anche lui cominciato a piangere, poi tirò su col naso e rivolgendosi a sua madre disse:
- Vado su a svegliare Lorenzo. Gli dico che noi stiamo andando in ospedale, meglio che lui non venga. E’ troppo piccolo.
Lorenzo sobbalzò e una rabbia selvaggia gli montò in corpo: come poteva suo padre non volerlo portare da Pierpaolo pur sapendo che poteva essere l’ ultima occasione per salutarlo? Come poteva essere cosi egoista?
Ma non poteva dirglielo, anche se avrebbe voluto urlarglielo, l’ unica cosa da fare era tornare in camera sua per non essere scoperto.
Si asciugò le lacrime e in punta di piedi tornò in camera sua, tolse in fretta e furia gli occhiali e si infilò nel letto fingendo di dormire.
Suo padre arrivò dopo pochi minuti. Gli scrollò una spalla e lui, da bravo attore, gli rivolse un perfetto volto di un bambino in semi veglia.
- Lorenzo ascolta: io e tua madre dobbiamo correre in ospedale perché tuo fratello non sta per niente bene. Non possiamo portarti, forse verrò a prenderti dopo. Tu resta qui e continua a dormire, è ancora presto. Quando ti svegli sarai solo, è festa e la baby sitter non può venire. Tu per favore fa il buono, non farmi rimpiangere di averti lasciato solo. Fa colazione se vuoi, ci sono i biscotti nella dispensa. Devi cavartela da solo.
Lorenzo avrebbe voluto urlargli tutta la sua rabbia ma respirò tre volte a fondo e sussurrò soltanto:
- Ok.
- Fa il bravo –  ripetè suo padre e lo baciò su una guancia.
Lorenzo chiuse gli occhi fingendo di dormire e aspettò di sentire la porta d’ingesso che si chiudeva.
 
 
 
 
 
 
 
 
Lorenzo aprì gli occhi.
Era solo in casa ma stavolta non avrebbe potuto obbedire al padre. Non poteva fare il buono e non poteva starsene a casa con le mani in mano. Avrebbe aiutato suo fratello. Ad ogni costo, ma in realtà non sapeva da dove cominciare.
La tristezza lo avvolse. Ripensò a Pierpaolo, ai suoi occhi, alla sua dolcezza e alla sua intelligenza. Lui al suo posto avrebbe saputo cosa fare. Pierpaolo era sempre stato il più sveglio tra i due, e non solo perché era più grande, il suo fratellone sapeva sempre cosa fare e non avrebbe perso tempo a piangere come una donnicciola come stava invece facendo lui.
Si alzò dal letto e si trascinò fino in bagno, fece pipi e si guardò allo specchio prima di lavarsi i denti. I suoi occhi erano rossi e gonfi e le sue lacrime continuavano ad uscire ineluttabili, tentò di fermarle ma era impossibile quanto lo sarebbe stato tentar di drenare il Niagara.
La sua immagine rifletteva un ragazzino fragile, inerme e piagnucolone che a malapena riusciva ad affrontare la routine scolastica, come poteva affrontare questo? Come gli era balzata in testa l’idea di essere in grado di aiutare suo fratello?
Tornò sul letto, riuscì a riacquistare lucidità e a smettere temporaneamente di piangere. Tentò di fare il punto della situazione.
Suo fratello stava male e rischiava di morire. Al pensiero le lacrime bussarono ancora ma Lorenzo tenne duro e le ricacciò dentro. Doveva restare lucido. Aveva bisogno di tre piante ma non sapeva quali, ciò che sapeva era che queste erano in possesso solo di questo dottor Ludovico o, quanto meno, era l’unico a saperle combinare per comporre la medicina che avrebbe salvato suo fratello. Quindi l’ obiettivo era trovare il dottor Ludovico e convincerlo a tornare a Vieste per preparare la medicina che avrebbe salvato suo fratello.
Suo padre aveva detto, con un tono di stizza, che era in vacanza a Santa Maria di Leuca, Lorenzo sapeva bene dove si trovava, non perché ci era stato, semplicemente perché non molti mesi prima la sua maestra aveva riferito alla classe che questo era il paese più a est d’Italia ed era quindi il primo paese che vedeva albeggiare il sole al mattino. Questo lo aveva affascinato parecchio.
Sapeva quindi che anche Santa Maria di Leuca era in Puglia ma non conosceva nient’ altro. Quanto distava? Come avrebbe trovato la strada? Come avrebbe raggiunto il paese? Era più facilmente raggiungibile per terra o via mare?
… il mare, forse era questa la soluzione.
Lorenzo fece un grande sorriso. Finalmente sapeva cosa fare. Ora sapeva come aiutare suo fratello e, come al solito, era stato proprio Pierpaolo a indurlo alla soluzione.
Doveva sbrigarsi, erano quasi le sei e mezza e doveva raggiungere il mare il prima possibile. Non era lontano e conosceva la strada, arrivarci a piedi non sarebbe stato difficile, ci era andato milioni di volte ma non era mai andato senza i suoi genitori o  suo fratello a vegliare sui suoi passi; ma non era più un bambino,doveva imparare a essere responsabile di se stesso.
Si armò di coraggio e cominciò a vestirsi, tolse le mutande che indossava e mise il costume, mentre lo faceva un groppo in gola gli tolse il respiro: ciò che avrebbe fatto non era facile, i rischi erano enormi ma non si sarebbe tirato indietro, avrebbe fatto tutto per il bene di Pierpaolo e questa era l’unica via. Era grande ormai, non doveva aver paura.
Indossò una magliettina e dei pantaloncini. Mise le scarpe senza calze e prese lo zainetto. Dal bagno prelevò un asciugamani e dallo sgabuzzino pinne e boccaglio. Era tutto ciò di cui aveva bisogno.
No, un ultima cosa mancava e la trovò nel cassetto del comodino di suo fratello: era il quaderno sul quale suo fratello aveva scritto la sua storia preferita. Lo prese e lo infilò nello zaino; lo avrebbe usato come talismano per la sua impresa o semplicemente come incoraggiamento ad andare fino in fondo.
Lorenzo chiuse la porta alle spalle, ed era fuori, per la prima volta da solo. Fece un grande sospiro come se stesse per immergersi in apnea e scese i tre gradini che lo separavano dal marciapiede.
Il cuore gli batteva a mille all’ ora ma era risoluto. Sarebbe andato fino in fondo, ciò che stava per fare era difficile ma giusto. Era la sua ultima possibilità, l’ultima chance anche per suo fratello.
Dopo qualche metri ebbe un sussulto, si accorse di non aver preso le chiavi di casa; non sarebbe potuto rientrare. I suoi genitori si sarebbero arrabbiati (adirati Lorenzo, adirati) parecchio.
Scrollò le spalle; pazienza, non era importante. Ora aveva ben altre gatte da pelare e, pur di far star bene suo fratello avrebbe sopportato anche mille rimproveri dai suoi genitori; d’altro canto se ciò che aveva in mente avesse funzionato sarebbero stati fieri di lui e avrebbero di certo perdonato questa escursione.
C’ era da attraversare la strada. Le parole di suo padre gli tornarono in mente:
“Ricorda Lorenzo, bisogna stare attenti. Guardare prima a destra e poi a sinistra e attraversare solo se non ci sono macchine o sono lontane.”
Lorenzo mise i piedi all’ estremità del marciapiede e guardò da ambo i lati. Le auto sfrecciavano veloci e un brivido gli corse lungo la schiena. Immaginò la mano di Pierpaolo che stringeva la sua e lo aiutava ad attraversare. Si sentì più sicuro. Si affidò a suo fratello e attraversò.
La strada era familiare ed erano ancora le sette del mattino, perciò poche anime girovagavano per le strade. Meglio cosi; i rischi di essere fermato da qualche adulto impiccione erano ridotti al minimo.
Aveva ancora un po’ di strada da percorrere, cosi fece un altro sospiro, immaginò Pierpaolo al suo fianco e accelerò il passo.
Arrivò in spiaggia in quindici minuti circa. La sabbia era pulita e brillava come un immensa distesa d’oro. Solo due ombrelloni erano aperti e due famiglie felici e spensierate si godevano le loro vacanze.
Un po’ le invidiò. Per lui non c’era nessuna vacanza in programma; a lui toccava affrontare un impresa titanica che avrebbe potuto costargli la vita.
D’ improvviso si sentì piccolo. Un incapace bambino che non era in grado di fare ciò che è giusto, un marmocchio inutile e egoista che aveva paura di mettere in gioco la propria vita per salvare quella di una persona a cui voleva bene.
La rabbia lo invase, strinse i pugni e digrignò i denti tanto da far male. Aveva quasi otto anni ormai e non doveva aver paura.
In tv spesso ragazzi della sua età erano costretti a combattere mostri, cacciare alieni o scappare da nemici armati, un tuffo in acqua non era poi granchè a confronto.
Lorenzo si avviò deciso verso il mare, tenendosi lontano dai pochi ombrelloni in spiaggia.
Il mare era fantastico, l’acqua era limpida e poco mossa, erano poche le onde che si infrangevano a riva. Meglio cosi, si sentì fortunato, un mare agitato avrebbe reso l’impresa ancora più difficile.
Posò lo zaino sulla sabbia e tolse le scarpe. La sabbia era calda nonostante fossero passate le sette da poche decine di minuti. Tolse occhiali, maglietta e pantaloncini e restò in costume da bagno. Si alzò e scrutò il mare alla ricerca del suo traguardo.
Eccole li. Le dieci boe da raggiungere.
Era stato un estate fa che Pierpaolo gli aveva confidato il segreto, ora Lorenzo era li, a distanza di un anno, pronto a sfidare il mare e raggiungere le boe per aiutare suo fratello.
Era luglio dell’ anno scorso ed era li, in quello stesso mare che giocava con suo fratello. Sua madre e suo padre erano sotto l’ ombrellone e svogliatamente, ad intervalli di pochi minuti, intimavano loro di non allontanarsi. Pierpaolo stava ostinatamente tentando di insegnargli a nuotare.
Ci vollero parecchie lezioni, ma quel giorno Lorenzo finalmente era riuscito a galleggiare e a fare qualche bracciata. Era fiero di se stesso e lo era anche Pierpaolo.
- Sono contento che stai imparando a nuotare, quando saprai farlo bene potrai anche tu esprimere il desiderio.
-Quale desiderio? – chiese Lorenzo affascinato – di cosa stai parlando?
- Ricordi l’anno scorso quando mamma e papà il giorno del mio compleanno mi hanno regalato il portatile? Io sapevo già che quello sarebbe stato il mio regalo perché avevo espresso il desiderio della boa.
-Ildesideriodellaboa? – ripetè affascinato Lorenzo tutto d’ un fiato.
- Ti spiego. Se qualcuno riesce a raggiungere una delle dieci boe ancorate li, può esprimere un desiderio che verrà esaudito.
- Ma dici sul serio? Non mi prendi in giro? – fece Lorenzo con circospezione.
- No,te l’assicuro, possa un fulmine cadere adesso e fulminarmi all’ istante. Io l’ estate scorsa ho chiesto il pc portatile per il mio compleanno e l’ho avuto.
- E allora perché non ci provano tutti a toccarle? – chiese Lorenzo ancora dubbioso.
- Semplice, perché bisogna arrivarci tutto d’ un fiato, senza mai fermarsi e poi non è che siamo in tanti a sapere questo segreto. Ora tu lo sai, impara bene a nuotare cosi anche tu potrai esprimere il tuo desiderio.
- Mmm, non lo so …
Pierpaolo allora lo interruppe:
- Ho capito, esprimerò io per te il desiderio e ti farò ricredere. Il tuo compleanno è a fine agosto giusto? Cosa vorresti in regalo?
Lorenzo sobbalzò eccitato, ci pensò su e esclamò:
- Un monopattino nuovo. Anzi no. Voglio una bicicletta tutta mia. Si,si sono stanco di usare quella tua vecchia.
-Ok, esprimerò il desiderio che ti venga regalata una bici nuova.
- Ma … se ti vede papà si arrabbierà?
- Non preoccuparti. Tu preparati ad avere la bicicletta e basta.
Lorenzo non fiatò, vide il fratello tuffarsi e sparire sotto l’acqua. Ricomparì dopo qualche metro e cominciò a nuotare verso la boa.
- Pierpaolo dove vai? – urlò suo padre dalla spiaggia. Il suo tono era colmo di rabbia e preoccupazione. Fece volare le ciabatte dai piedi e si tuffò in acqua anche lui.
Pierpaolo continuava a nuotare. Lorenzo non sapeva se non avesse sentito i richiami di suo padre e li avesse semplicemente ignorati. Lui restò li, si limitò a tifare per suo fratello in silenzio.
Pierpaolo era un buon nuotatore, ma suo padre aveva oltre vent’ anni più di lui e un corpo più grande, in poco tempo dimezzò il distacco che lo separava dal figlio.
Pierpaolo era a pochi metri dalle boe, aveva rallentato ma non si era mai fermato, Lorenzo era trepidante. Mancava davvero poco e avrebbe espresso il desiderio.
Mancava una bracciata, poi pochi centimetri e .. suo padre tirò Pierpaolo per un braccio e lo portò a se. Lo strinse al petto e gli urlò:
- Cosa diavolo ti è venuto in mente? Dove stavi andando? Non ricordi che sei malato e non devi fare sforzi?
- Volevo toccare la boa, tutto qui – si giustificò il figlio.
Suo padre aprì il palmo della mano e sembrava che stesse per colpirlo. Lorenzo chiuse gli occhi in attesa dello schiaffo e si sentì profondamente in colpa. Aprì gli occhi poco dopo perché non ci fu alcuno schiocco di mani sul volto.
- Andiamo sulla sabbia – si limitò a dire rassegnato suo padre – ti porto io tu non fare sforzi.
Il padre prese in braccio Pierpaolo e, quando gli furono di fianco, lui gli strizzò un occhio e gli sorrise.
A due passi dalla spiaggia li attendeva sua madre in lacrime, abbracciò il figlio e iniziò la sua ramanzina.
Una decina di minuti dopo, quando le acque furono chete Pierpaolo gli sorrise e disse:
- L’ ho toccata. Ad agosto avrai la tua bicicletta.
Nei giorni successivi il dubbio attanagliò Lorenzo, finchè il ventotto agosto suo padre tornò con una muntain bike nuova di zecca tutta per lui.
- Grazie – urlò contento Lorenzo e abbracciò Pierpaolo fortissimo.
Suo padre non riuscì a celare la sua perplessità, ovviamente era lui che avrebbe meritato l’ abbraccio.
Dopo suo fratello Lorenzo abbracciò anche suo padre e sua madre anche se il loro ruolo era stato alquanto secondario.
Ora su quella spiaggia non aveva alcun dubbio. Avrebbe nuotato e avrebbe espresso il desideriodellaboa.
Da laggiù sembravano davvero lontane; certo era passato un anno e sapeva nuotare  meglio ma l’impresa era comunque ardua e alquanto pericolosa.
Non doveva pensarci troppo, doveva solo agire e far star bene suo fratello.
Per prima cosa doveva pensare a come formulare il desiderio. Suo fratello infatti gli aveva in seguito spiegato che arrivati alla boa si deve immaginare cosa si desidera. Sarebbe stato un azzardo chiedere di far guarire il cuore di suo fratello perché non aveva idea di come fosse fatto un cuore, ne cosa bisognava fare per guarirlo. Ciò che poteva chiedere era di trovarsi di fronte al dottor Ludovico. Certo non conosceva il suo volto ma decise di pensare intensamente a un camice e a quel nome: dottor Angelo Ludovico. Forse il desideriodellaboa lo avrebbe trasportato a Santa Maria di Leuca sulla barca (non sapeva il motivo ma immaginava il dottore armeggiato su una grande barca bianca)e li sarebbe riuscito a convincerlo a tornare in fretta e furia a Vieste e di usare le tre piante per guarire suo fratello.
Aprì lo zaino, sfilò le pinne e le mise ai piedi. Prese il boccaglio poi decise di non usarlo. Suo fratello gli aveva riferito che bisognava arrivarci tutto d’un fiato, forse l’ uso del boccaglio non era consentito, magari avrebbe reso vano il desiderio. Meglio non rischiare. Dallo zaino estrasse anche il quaderno di Pierpaolo, lo aprì e lesse le prime righe della sua storia preferita.
Le lacrime scesero inevitabili mentre il dito scorreva sulla grafia perfetta del fratello.
Lorenzo chiuse il quaderno con riluttanza, ma doveva andare. Non poteva perdere altro tempo, doveva sbrigarsi prima che la spiaggia cominciasse ad affollarsi.
Entrò titubante in acqua e continuò a fissare il suo obbiettivo: quelle lontanissime e magiche boe rosse.
L’acqua dopo due passi gli arrivò sopra le caviglie e dopo dieci aveva già superato le ginocchia. L’acqua era fredda e Lorenzo tremava ma non era il freddo a provocargli i brividi, ma la paura di fallire; il timore di non riuscire ad arrivare alle boe, l’ angoscia di non poter salvare suo fratello e, non da meno, la paura di annegare.
L’ acqua gli arrivò all’ ombelico. Ora piangeva forte, singhiozzava addirittura ma non fermò il suo incedere. Era forte, era grande ormai e suo fratello gli aveva indicato la strada, gli aveva anche insegnato a nuotare. Poteva, anzi doveva farcela.
L’ acqua gli arrivò alle spalle. Ormai era quasi ora di tuffarsi e nuotare ma le boe erano ancora lontane. Quanto? Centinaia? Migliaia di chilometri? Lorenzo non sapeva dirlo, non aveva ancora imparato a riconoscere bene le distanze.
L’acqua sfiorava ormai la sua bocca. Era inutile anche camminare sulle punte, era ora di tuffarsi. Non riusciva a capire nemmeno se stesse ancora piangendo, ormai lacrime e acqua erano un tutt’ uno. Si fermò. Ora veniva il difficile. Bisognava trattenere il fiato e tuffarsi, sapeva che le pinne lo avrebbero aiutato a nuotare, ma non le aveva mai usate prima d’ ora, doveva fidarsi sulla parola. Le boe si muovevano su e giù al passaggio delle piccole onde e lo stesso faceva lui quando queste lo raggiungevano. Chiuse gli occhi, pensò a suo fratello e trattenne l’immagine fissa nella mente. Solo lui avrebbe potuto infondergli il coraggio di tuffarsi.  
Pierpaolo rimase li nella sua mente, con quel suo sorriso dolce e familiare. Era immobile, come se la sua mente gli avesse scattato una foto. Una bellissima foto.
Lorenzo non pensò più, tenne gli occhi chiusi, trattenne il fiato e si tuffò.
La spinta delle gambe fu convincente e riuscì all’ inizio a muoversi di qualche metro grazie al solo slancio, cominciò poi a muovere le gambe. Le pinne diedero più forza alle sue sgambate. Ne fu sollevato. Cominciò a muovere le braccia, e a spingersi in superficie. L’aria cominciò a mancargli ma doveva resistere. Doveva arrivare li tutto d’un fiato. Aprì gli occhi, sapeva di aver percorso qualche metro ma le boe sembravano ancora molto, troppo lontane. Non doveva demordere, doveva farlo per Pierpaolo.
Ancora una bracciata. I suoi polmoni richiedevano ossigeno e i muscoli di gambe e braccia cominciavano a farsi più pesanti, sentiva che le forze lo stavano abbandonando.
Un’ altra bracciata. La richiesta d’ ossigeno si fece ancora più forte, sentiva i polmoni bruciare nel petto, ma non poteva fermarsi o desistere e respirare. Non gli era consentito.
Ancora una bracciata. Le boe gli parvero più vicine ma erano sfocate, la vista gli si stava annebbiando. Le onde le facevano sobbalzare su e giù in un ballo ipnotico. Ormai le braccia e le gambe sembravano pesare due tonnellate, era diventato quasi impossibile muoverle, ma era il petto il vero problema,un bruciore fortissimo gli partì dal bassoventre e si estese per tutto il corpo. Non riuscì a trattenersi, aprì la bocca e inalò ossigeno. Appena lo fece il rammarico fu grande, smise di nuotare un secondo e andò a fondo bevendo una grande boccata d’acqua salata.
Riprese a muoversi ma cominciò a tossire. Sarebbe arrivato sino in fondo. Aveva respirato, vero,  ma il desideriodellaboa avrebbe capito. Sarebbe stato magnanimo. Tossi ancora e proprio allora un onda passò gettando altra acqua salata nella bocca di Lorenzo che andò a fondo e bevve ancora. Riuscì a risalire. Si accorse che le boe erano solo a qualche metro, ma la tosse era ormai incontrollabile e, come se non bastasse, cominciarono i conati di vomito. Tentò un’ altra bracciata,ma non riuscì, e tornò a fondo, con un ultimo sforzo cercò di tirar fuori almeno la testa ma prima di riuscirci i polmoni richiesero ossigeno, Lorenzo aprì la bocca ma offrì loro solo acqua.
Il suo corpo fu invaso da spasmi. Prima di chiudere gli occhi alzò lo sguardo e si accorse di essere proprio sotto una delle boe. Con un estremo, ultimo sforzo alzò un baccio, lo allungò e mentre gli occhi si chiudevano sentì qualcosa di duro sotto le dita. L’ aveva toccata o era solo immaginazione? Non lo sapeva. Chiuse gli occhi e pensò al dottor Angelo Ludovico. Chiese al desideriodellaboa di poterlo incontrare. Lo desiderò fortemente prima che il suo corpo smettesse di muoversi.
 
 
Lorenzo aprì gli occhi.
Il sole lo accecò e gli rese difficile capire cosa ci fosse intorno a lui. Sentiva di essere tutto bagnato, di essere steso su un suolo spigoloso e di essere vicino al mare. Riusciva a percepirne l’odore e il suolo delle onde infrangersi sugli scogli in lontananza.
Cosa era accaduto? Dove si trovava?
Cercò di alzarsi ma il suo corpo sembrava non voler rispondere alle sue volontà, cercò allora di ricordare cosa gli fosse accaduto e  aspettò che gli occhi si abituassero alla luce abbagliante del sole.
L’immagine di Pierpaolo si stagnò nella sua mente e il suo ricordo gli infuse profonda tristezza; d’ un tratto ricordò. Ricordò di essere uscito di casa, di essere andato al mare e di aver cercato di arrivare alla boa magica per esprimere il desiderio.
Il corpo di Lorenzo diventò di pietra: aveva anche ricordato di aver bevuto molta acqua e di essere colato a picco.
Si alzò di scatto e urlò di paura.
- ei ei ei, cosa hai da urlare tanto figliuolo?
Lorenzo si voltò ancor più spaventato.
C’era un anziano signore al suo fianco. Era lui ad aver parlato. Era un uomo molto vecchio, Lorenzo era certissimo che fosse la persona più vecchia che avesse mai visto, forse addirittura il più vecchio del mondo.
Il vecchio era basso e ingobbito, in testa aveva pochi capelli grigi. I suoi occhi erano grigi e lo fissavano come se riuscissero a vedere sia fuori che dentro di lui. Era magro, quasi scheletrico, Lorenzo pensò che se fosse arrivata una folata di vento più forte sarebbe volato via come un palloncino. Le gambe erano malferme e si reggeva grazie a un bastone.
Dopo aver detto quelle parole si avvicinò lentamente verso Lorenzo che, al contrario indietreggiò e chiese balbettante:
-T- tu chi sei? Cosa vuoi da me?
-La domande importanti sono chi sei tu? E cosa vuoi davvero?
Lorenzo era frastornato e non capì le parole del vecchio.
- Sono morto vero? Tu sei Gesù?
Il vecchio scoppiò in una forte risata che sembrava non terminare mai, finchè non si trasformò in una tosse catarrosa. Il vecchio signore tirò su col naso e sputò per terra prima di asserire ancora ridacchiando:
- Non sono Gesù ne la Madonna ne la Santissima Trinità e anche se questo è un posto bellissimo non credo che tu sia in Paradiso.
Lorenzo si guardò intorno per la prima volta, capì di essere in cima a un altissimo scoglio, attorno a lui solo altri scogli e un paesaggio marino a lui familiare anche se ben diverso dalla sua Vieste. In lontananza si estendeva il paese con tante case bianche molto vicine tra loro, alcune si affacciavano a strapiombo sul mare che scorreva ovviamente anche sotto di lui. L’acqua era limpida e il mare mosso, onde altissime si infrangevano sugli scogli.
Lorenzo non ebbe più dubbi, era stato li più volte perché i suoi zii avevano casa li e spesso venivano a far loro visita in estate: era a Polignano  a mare. Si accorse di conoscere anche lo scoglio su cui era in questo momento; era certo si trattasse dello picco più alto del paese, quello da cui saltavano i tuffatori durante le gare a cui più volte aveva assistito affascinato. Si sentì ancora più confuso.
-Che ci faccio qui? Come ci sono arrivato?
Il vecchio era l’unica persona a distanza di chilometri e tornò a deridere i suoi dubbi. Ancora una volta la tosse smorzò le sue risa. Sputò ancora e questo confermò a Lorenzo che non si trattasse di certo di Gesù Cristo.
- Non chiedere a me cosa fai qui figliuolo, e cascasse il cielo se io sappia come sei arrivato. Te lo ripeto figliuolo, la cosa importante è sapere chi sei tu e cosa vuoi?
- I – io sono Lorenzo – farfugliò confuso il ragazzino poi pensò a suo fratello e alla sua missione e continuò stavolta sicuro – io cerco il dottor Angelo Ludovico perché è l’ unico che può salvare la vita a mio fratello. E’ l’ unico ad avere tre piante miracolose che possono farlo guarire.
Il volto del vecchio si incupì, squadrò Lorenzo dalla testa ai piedi cercando quasi di leggergli dentro per captare la sua sincerità.
Passarono parecchi secondi poi domandò.
-Vuoi bene a tuo fratello, vero figliuolo?
Lorenzo non ebbe alcuna esitazione e rispose:
- Si, tantissimo.
- Faresti tutto per lui?
Lorenzo ricordò il suo tentativo disperato per esprimere il desideriodellaboa e rispose ancora di si.
- Metteresti in gioco la tua vita per lui?
Lorenzo stava per rispondere di averlo già fatto e che forse aveva forse perfino toccato la boa ma preferì tenere tutto per se e rispose di si per la terza volta.
- Bravo figliuolo – disse camminando ingobbito verso di lui – sei proprio un bravo ragazzo.- Voglio aiutarti.
Toccò Lorenzo sulla schiena e un brivido caldo gli percorse il corpo, forse era stato il contatto con le sue mani dure e rugose forse soltanto era un brivido di speranza che si riaccendeva in lui.
- Affacciato dallo scoglio.
Lorenzo quasi ipnotizzato si avvicinò al bordo senza pensarci. Arrivò fino al bordo e guardò giù. Ricordava che lo scoglio era alto, quando in compagnia di suo padre e suo fratello aveva ammirato i tuffatori professionisti lanciarsi e fare piroette e salti mortali prima di atterrare in acqua, più volte si era domandato come fosse possibile lanciarsi senza paura da un altezza cosi elevata. Ora invece era li e si accorse che lo scoglio era ancor più alto di quanto ricordasse. Sotto di lui le onde si infrangevano selvagge sui numerosi scogli che spuntavano appuntiti.
Il suono delle onde sugli scogli era quasi un incitamento per lui, sembrava lo stessero chiamando. Un richiamo tanto soave quanto malvagio, come il canto delle sirene che incoraggiavano Ulisse a lasciare tutto e abbandonarsi a loro.
Lorenzo ebbe paura.
Le gambe iniziarono a tremargli e diventarono malferme quanto quelle del vecchio dietro di lui, la prospettiva di ciò che l’ anziano signore gli avrebbe chiesto lo atterrì.
Aveva appena rischiato la vita e ora doveva di nuovo metterla in gioco. D’ un tratto si accorse di non essere poi cosi grande. Aveva sette anni e i ragazzini della sua età a quest’ ora o dormivano o erano davanti la tv a guardare i cartoni animati.
- Co- cosa d-devo fare? – chiese visibilmente scosso Lorenzo anche se immaginava quale sarebbe stata la risposta del vecchio.
- Cosa lo chiedi a fare? Lo sai benissimo mister. Adesso tocca a te. Te l’ho già detto, pensa a ciò che vuoi davvero.
Lorenzo tornò a guardare il mare. Il salto da fare era spaventoso, di centinaia di metri, forse di chilometri, Lorenzo non poteva dirlo con precisione, non conosceva le distanze. Sapeva che aveva paura. Aveva paura di saltare, di sbattere la testa contro qualche scoglio sporgente, di essere travolto dalle onde e soprattutto di affogare.
Aveva già assaporato quella sensazione e non era affatto piacevole, tutt’ altro.
“Pensa a ciò che vuoi davvero”.
Le parole del vecchio gli tornarono alla mente e con loro comparve anche l’immagine di suo fratello, l’immagine serena di Pierpaolo che sorride, finalmente libero dalla malattia.
Era questo quello che desiderava, lo agognava più di ogni altra cosa, era la cosa più importante del mondo. Forse più della sua vita.
Si voltò cercando lo sguardo del vecchio, per ricevere un incoraggiamento o magari solo per un saluto prima del salto.
Il vecchio era sparito. Non c’era più a vista d’occhio, eppure camminava lentamente tanto quanto una tartaruga zoppa, come era possibile che fosse sparito? Come era possibile che lui fosse li? Perché era li sul ciglio del picco più alto del paese?
Ma non era più tempo per le domande. Era il tempo per saltare; cosi Lorenzo chiuse gli occhi fece un respiro profondo e saltò.
 
 
Lorenzo aprì gli occhi.
Un cerchio sembrava attanagliare la sua testa, e come una pressa la stringeva. Sembrava che il cervello gli stesse per schizzare fuori dalle orecchie.
Lorenzo non riuscì a trattenersi e urlò. Un urlo di dolore forte e lungo ma nessuno accorse in suo aiuto.
Non c’ era suo padre a soccorrerlo come spesso accadeva di notte, quando un incubo inquietava i suoi sogni e si destava urlando, suo padre accorreva scalzo e lo stringeva a se non prima di averlo tranquillizzato e cacciato via i mostri dal suo armadio.
Lorenzo adesso invece era solo e questo non era un incubo, non c’era nessun mostro immaginario nell’ armadio e non poteva certo risolvere i suoi problemi sgattaiolando nel caldo lettone dei suoi.
Era di nuovo steso, ancora bagnato e come prima il sole d’agosto accecava i suoi occhi e peggiorava il suo mal di testa.
L’ urlo cessò con un colpo di tosse, poi voltò la testa da un lato e vomitò.
Lorenzo non capiva, e il mal di testa non aiutava a riflettere. La cosa certa era che non era più sullo scoglio di Polignano e, per fortuna o purtroppo, non era nel mare o spiaccicato su uno scoglio.
Tentò di alzarsi, poggiò le mani a terra e fece forza. Le gambe gli tremarono, stettero su per un po’, poi cedettero e si ritrovò in ginocchio sulla sabbia.
Lo scoglio era sparito, non c’erano più le case in lontananza ed il mare era a pochi passi da lui e non c’era un abisso a separarli.
D’ un tratto si rilassò, per un secondo pensò di essere sulla familiare spiaggia di Vieste. Era a casa.
Questo pensiero durò davvero pochi secondi ma, nonostante la lancinante emicrania, era lampante che quel posto era tutt’ altro che familiare e quello di essere a casa era stato solo un appiglio a cui si erano aggrappato la sua giovane mente e la sua razionalità.
Era su una spiaggia, questo era certo ma tutto era diverso dal paesaggio splendente di Vieste,a partire dalla consistenza della sabbia sotto le sue ginocchia.
Cercò di rilassarsi e non fu facile, ci vollero molti minuti prima che gli occhi mettessero a fuoco questo nuovo paesaggio, prima che le sue tempie smettessero di pulsare e che le sue lacrime smettessero di inondare il suo viso.
La spiaggia su cui si trovava era sporca, c’erano pezzi di legno, mozziconi di sigarette e cartacce ovunque. Non molto lontano dai suoi piedi pezzi di carbone terminavano svogliatamente di spegnersi, evidentemente un gruppo di ragazzi aveva da poche ore terminato un falò, magari c’era stata allegria, una chitarra e tanta birra; a Lorenzo scappò un sarcastico sorriso. Quanto era lontano tutto questo da lui? Aveva bisogno di tornare alla realtà.
Dietro di lui la spiaggia si estendeva per molti metri e finiva in una fitta distesa di piante e rovi: vegetazione perfetta per una spiaggia cosi sporca e spettrale. Di fronte a lui c’era il mare, anche questo molto differente da quello della sua Vieste. L’acqua era stagnante, molto sporca soprattutto a riva dove un groviglio di alghe la colorava di verde scuro. Il mare era mosso e le piccole ma numerose onde si infrangevano a riva e lasciavano sulla battigia detriti di alghe secche.
Dopo il tappeto di alghe la situazione non migliorava. Come la spiaggia anche il mare era stato scambiato per una discarica, si potevano scorgere buste di plastica, lattine di Coca Cola e altri detriti dalle fattezze inqualificabili galleggiare in quello che dovrebbe essere luogo di divertimento estivo per grandi e bambini.
Lorenzo finalmente riuscì ad alzarsi. Le gambe gli tremavano, stavano per cedere ancora ma fu la paura di cadere su qualche detrito o, ancora peggio, su qualche pezzo di vetro sporgente a infondergli la forza di restare in piedi.
Era la prima volta che si trovava su quella spiaggia ma credeva, anzi era certo di sapere dove si trovava. Erano stati i suoi genitori a parlargliene non molto tempo fa e, ciò che vedeva, coincideva in tutto e per tutto con la descrizione dei suoi genitori della spiaggia di Chiatona.
Gli avevano raccontato che ci erano stati anni prima, quando lui ancora non era nato e Pierpaolo era ancora piccolo. Sua madre gli descrisse disgustata lo squallido spettacolo di una spiaggia brutalizzata dalla ignoranza e maleducazione della gente che la utilizzavano quasi come una discarica e non capiva come le famiglie potessero continuare a scegliere Chiatona come meta per una piacevole giornata di mare.
La cosa peggiore era, aveva poi aggiunto, che lo squallore non si limitava alla spiaggia. Anche il mare non era stato risparmiato dall’ inciviltà della gente che l’aveva inquinato con ogni genere di materiale. A tutto questo si aggiungeva l’incuria dei gestori della spiaggia che nemmeno tentavano di pulire e di porre rimedi a tale scempio.
Lorenzo ricordò che gli parlarono di Chiatona proprio quando era sulla spiaggia del suo paese e aveva incautamente gettato la carta di un ghiacciolo sulla sabbia. Dopo questo racconto la madre si era raccomandata che non facesse mai più una cosa del genere per non far diventare Vieste come Chiatona.
Ma cosa ci faceva li? Come ci era arrivato?
Le domande restarono nella sua mente senza tramutarsi in parole. D’altro canto a chi poteva rivolgerle? Era solo e non c’era anima viva su quella spiaggia (o forse dovrebbe dire discarica) e nessuno poteva azzardare spiegazioni ai suoi interrogativi.
Lorenzo era perplesso, non sapeva cosa fare e soprattutto come tornare a casa.
L’ immagine di suo fratello ritornò davanti ai suoi occhi, ma stavolta non era la foto di Pierpaolo felice, ma il ricordo di suo fratello inchiodato dalla malattia nel letto dell’ ospedale, in quella immagine Pierpaolo si stringeva il petto dal lato sinistro e aveva in viso una smorfia di dolore.
Non poteva tornare a casa. Doveva aiutare suo fratello e non sarebbe tornato senza esserci riuscito. Non sapeva perché era a Chiatona, non sapeva come ci era arrivato, e soprattutto non sapeva in quale parte del mondo si trovasse ma sentiva che doveva essere li, c’era una mano invisibile, una volontà divina che lo stava spostando da una casella all’ altra come una pedina del Monopoli e a lui non restava che lasciarsi guidare.
C’ era un’ altra prova da superare e l’avrebbe affrontata per quanto pericolosa questa fosse; doveva farlo per Pierpaolo e non c’era tempo da perdere.
Si guardò intorno e cercò di stabilire quale fosse la nuova prova da affrontare, guardò a destra e sinistra e nessun detrito gli suggerì cosa fare, poi guardò in mare e scorse a largo sulla sua destra una piccola barca di legno. Non riusciva a stabilire se fosse ancorata o meno, fatto sta che era li immobile e danzava sulle continue onde che attraversavano il mare. Lorenzo era certo, doveva raggiungerla.
L’ impresa non sembrava difficile, non conosceva le distanze ma ad occhio la barca era molto più vicina rispetto alle boe affrontate a Vieste e questo gli fece tirare un sospiro di sollievo. Ce l’avrebbe fatta, stavolta era risoluto.
Si spostò a piedi sulla sua destra cercando a fatica di evitare il pattume sparso sulla spiaggia. Addirittura dovette evitare un pannolino sporco.
Ora aveva la barca di fronte, era sempre li immobile, non si era mossa di un metro per fortuna. A nuoto avrebbe dovuto facilmente raggiungerla, l’unica difficoltà da affrontare a quanto pareva erano le alghe a riva.
Stava per mettere il primo piede in acqua poi ricordò un altro aneddoto riguardo Chiatona raccontato da sua madre: l’ acqua di quel mare era tempestata di meduse e una l’aveva anche pizzicata. Appena ebbe questo ricordo si accorse che poco più a destra erano spiaggiate due meduse morte e secche trascinate dalle onde.
Lo sconforto gli piombò addosso. Anche questa prova si stava rivelando ardua, ma avrebbe affrontato le meduse. Non era mai stato pizzicato, ma non credeva sarebbe stato più doloroso che essere punti da una formica dalla testa rossa, e quel dolore l’aveva già subito e con coraggio sopportato.
Mise il primo piede in acqua. Era calda, sembrava di essere entrati in un tegame pieno di brodo. Subito le alghe circondarono i suoi piedi. La sensazione era sgradevole, sembrava di camminare in uno stagno e, passo dopo passo, le alghe si attaccavano al suo corpo. Prima le caviglie, poi le cosce e per finire la pancia. Cercare di evitarle o di toglierle era impossibile, ne arrivavano altre a sostituire le prime. Quando l’acqua gli arrivò sopra l’ombelico il tappeto di alghe si diradò e l’acqua  diventò più pulita. Ovviamente nemmeno si avvicinava al chiarore e alla trasparenza del mare di Vieste, l’acqua di Chiatona era molto più scura tanto da non riuscire a vedere i piedi. Una busta di plastica gli sfiorò il braccio e lo fece sobbalzare temendo che fosse una medusa. Più avanti galleggiava qualcosa di una forma indefinita e Lorenzo sperò che non fossero escrementi umani. Un passo e un altro, l’ acqua ormai gli sfiorava il mento, era ora di buttarsi, respirò forte prima di trattenere il fiato e.. sentì un dolore immenso partire dalla caviglia e prendere tutta la gamba. Il dolore lo fece piegare, gli si aprì la bocca ma non riuscì ad urlare e un sorso d’acqua salata gli invase la gola.
Lorenzo alzò la testa sputò e tossì, il dolore alla gamba era intenso ed era centomila volte più forte di quello provato dal pizzico delle formiche dalla testa rossa.
Cominciò a piangere senza nemmeno accorgersene. Guardò la barca che sembrava deriderlo e prendersi gioco di lui: non era lontana, sarebbero bastate dieci bracciate, forse quindici. Doveva arrivarci, doveva farlo per Pierpaolo.
Si tuffò, ma non riuscì a darsi molta spinta per via della gamba dolente.
 Prima un pizzico, poi un altro. Uno sul fianco e l’altro sul braccio sinistro.
Lorenzo andò a fondo. Riuscì a tenere la bocca chiusa e stavolta non bevve ma quando riuscì a mettere la testa fuori dall’ acqua urlò il suo dolore e tornò a piangere. Pensò di tornare indietro dove i piedi toccavano la sabbia ma si accorse che la barca non era lontana, doveva proseguire.
Era difficile restare a galla, il piede punto gli doleva da morire, e adesso anche il fianco e il braccio pulsavano il loro dolore. Tentò una nuova bracciata ma il braccio non si mosse e bevve ancora acqua salata. Cominciò a tossire, uno, due, tre colpi di tosse e solo quando questa cessò si accorse di aver fatto altre tre bracciate.
La barca era a meno di un metro quando altre tre meduse lo pizzicarono quasi contemporaneamente. Uno sulla pancia vicino l’ombelico, uno al piede e il terzo, il più doloroso, sulla guancia.
Stavolta non riuscì a non aprire la bocca, il corpo gli si irrigidì e affondò.
Sentì il corpo contorcersi, i polmoni riempirsi di acqua e riuscì a percepire anche la vita che lo stava abbandonando. Guardò in su e si accorse di essere proprio sotto la barca. Prima che la vista gli si offuscasse notò che nessuna ancora teneva ferma la barca e nonostante tutto era ferma li. Non capiva come fosse possibile, lo percepì come una magia o un miracolo divino.
Aiutati che il ciel ti aiuta.
Il cielo gli aveva mandato la barca, ora spettava a lui aiutare se stesso a salire.
I suoi piedi toccarono il suolo sabbioso. L’acqua non era poi cosi alta, Lorenzo raccolse in se delle forze che non credeva di avere e piegò le gambe e si tirò su con tutta la sua forza, allungò le mani e riuscì ad aggrapparsi alla barca.
Si tirò su con un urlo liberatorio. Non sentì nemmeno il dolore al piede per un nuovo pizzico di una medusa.
Riuscì a lasciarsi cadere sulla piccola barca,l’ urlo cessò e lasciò il posto alle lacrime di gioia e dolore.
Sentiva la sua pelle bruciare, come se dell’ acido gli fosse stato versato su tutto il corpo. Non riuscì a trattenere la vescica e, dopo circa tre anni dall’ ultima volta, si fece la pipì addosso; poi gli occhi si fecero pesanti e si chiusero. Lorenzo svenne.
 
 
 
 
 
Lorenzo aprì gli occhi.
Stavolta era a faccia in giù e quasi baciava la bianca superficie liscia.
Sputò dell’ acqua dalla bocca e tossì. Come al solito era frastornato come dopo una lotta con Mike Tyson e, ovviamente, non aveva la più pallida idea di dove diavolo fosse.
Tornò a tossire, evidentemente aveva bevuto troppa acqua. La tosse sembrava non volesse finire, si sentiva quasi soffocare, poi udì una voce alle sue spalle:
- Stai bene ragazzino? Come sei arrivato qui?
Lorenzo non riuscì a girarsi in direzione dell’ interlocutore, ma questi lo raggiunse,lo prese saldamente sotto le ascelle e lo tirò su:
- Tranquillo, sono un medico – lo tranquillizzò.
Il dottore era alle sue spalle, gli piegò la testa, gli strinse le mani al petto e spinse forte. La pressione esercitata gli fece sputare tutta l’acqua che aveva ingerito.
La tosse passò, Lorenzo ritrovò un po’ di lucidità, girò la testa con l’intenzione di ringraziare il suo soccorritore ma le parole gli si bloccarono in gola e non riuscirono ad uscire. Lorenzo rimase attonito e anche il respiro gli si bloccò.
Si accorse di essere sulla prua di una grande imbarcazione bianca armeggiata in un limpido mare, il dottore che l’ aveva soccorso era un uomo sulla sessantina, piuttosto alto, ordinati capelli grigi, un viso intelligente e gli occhi contornati da un paio di lenti sottili. Sotto il naso aveva dei baffi dello stesso colore dei capelli. Il viso era liscio e pulito, non un cenno di barba.
L’ uomo indossava un camice e aveva uno stetoscopio al collo, ma era la targhetta che aveva sul lato destro del camice ciò che aveva tolto il respiro a Lorenzo; c’era il nome del medico, c’era scritto Dott. A. Ludovico.
Lorenzo ebbe un mancamento, il dottor Ludovico lo prese al volo prima che potesse cadere e lo fece sedere. Lorenzo lasciò che il dottore agisse sul suo corpo senza commentare. Non aveva la forza per parlare o per reagire.
Sentì il freddo stetoscopio poggiarsi sulla sua schiena poi il dottore sentenziò:
-  Battito e respiro regolari. Starai benone ragazzo.
Finalmente il groppo in gola scese e Lorenzo riuscì a biascicare:
- Lei è il dottor Ludovico? Angelo Ludovico, giusto?
Il dottore girò e si posizionò proprio di fronte a lui, e guardandolo negli occhi rispose:
- Si, sono proprio io, e tu chi sei? Come sei arrivato qui?
Lorenzo scoppiò a piangere. Un pianto liberatorio, si alzò ma cadde sulle ginocchia, decise di non alzarsi il che rese ancora più straziante la sua supplica.
- La cerco da tanto tempo, non può immaginare nemmeno cosa ho dovuto fare per raggiungerla. Ho bisogno di lei, ho bisogno che torni a Vieste e che curi mio fratello Pierpaolo che è malato di cuore, solo lei ha le tre piante che possono guarirlo, per favore, non mi dica di no. Mio fratello può morire!
Pronunciando quest’ ultima parola, il pianto aumentò d’intensità. Lorenzo alzò lo sguardo e, con gli occhi pieni di lacrime, guardò speranzoso il dottor Ludovico che parve titubante poi disse:
- Ma qui siamo a Santa Maria di Leuca e Vieste è lontana e per di più sono in vacanza..
Lorenzo subito interruppe il medico, si alzò prese il camice dai lembi e strattonandolo gli urlò:
- Cosa mi frega della vacanza? Mio fratello può morire, vuole capirlo? Solo lei può aiutarlo e sta qui a pensare alle vacanze. Non vuole aiutarlo? Mi dia le tre piante e le darò ad un altro medico che potrà curarlo.
Il dottore scoppiò a ridere, sembrava davvero divertito e Lorenzo non riusciva a comprendere perché le sue disperate suppliche potessero dargli tanto buonumore.
La voglia di colpirlo con un pugno sotto al mento gli salì dentro e forse l’avrebbe fatto se il medico non avesse aggiunto:
- Voi le tre piante? Prendile, sono dietro li dietro di te.
Indicò un punto alle sue spalle e Lorenzo si girò. Lo stupore gli fece sgranare gli occhi, il cuore si riempì di gioia. Finalmente ce l’aveva fatta: poco lontano da lui, dentro tre vasi gialli spuntavano tre piante alte circa trenta centimetri una di colore verde, l’altra rossa e l’altra blu. Le foglie erano molto simili, sembravano tre gemelle la cui unica differenza era quella cromatica.
Il medico continuò:
- Puoi prenderle, ma sappi che nessun medico saprà come usarle. Sono l’unico al mondo capace di combinarle e guarire la gente.
Il tono alquanto saccente del medico innervosì Lorenzo a dismisura, lasciò i lembi del camice e con una forza e una rabbia che non credeva di possedere ordinò:
- Ora tu prendi queste tre piante e vieni con me a Vieste a guarire Pierpaolo.
Il dottore cambiò espressione, forse sorpreso dalla forza d’animo del ragazzino. Si tolse gli occhiali e li pulì con il lembo del camice, li rimise e enunciò:
- Ok, mi hai convinto. Aiuterò tuo fratello.
Lorenzo stava per esultare ma il dottore aggiunse:
- Ad una sola condizione però. Io faccio una cosa per te e tu ne fai una per me.
Le parole del medico suonarono come una benedizione, non gli importava cosa avrebbe chiesto in cambio, gli avrebbe dato tutto ciò che desiderava, anche cento milioni di miliardi di euro. La vita di suo fratello non aveva prezzo.
- Va bene – rispose – Cosa vuole che faccia?
Il dottore sorrise:
- Voglio che salti.
- Così?
Lorenzo piegò le gambe e saltò su se stesso due volte.
Il dottor Ludovico rise poi spiegò:
- No, voglio che tu salti da li.
Indicò sulla sua destra un trampolino. Il sangue di Lorenzo si gelò nelle vene.
Il medico si avviò verso il trampolino e Lorenzo lo seguì.
- Se vuoi che aiuti tuo fratello con le tre piante devi saltare dal trampolino e stare in acqua per un minuto, io conterò i secondi.
Arrivati al trampolino Lorenzo si sporse e guardò giù il mare in cui avrebbe dovuto tuffarsi. L’acqua era limpida e splendente, ben diversa da quella di Chiatona, tuffarsi sarebbe stato un piacere anche perché numerosi pesci sguazzavano nell’ acqua.
Un solo minuto. Niente di difficile. Ce l’avrebbe fatta.
- Ok – rispose Lorenzo e mise il piede sul primo dei tre gradini che salivano sul trampolino.
- Prima di tuffarti devo avvisarti che i pesci che vedi sono delle torpedini.
- Torpi-che?
- Delle torpedini. Dei pesci che emettono scariche elettriche. Dovrai tuffarti e stare un minuto in acqua. Solo se ce la farai aiuterò tuo fratello.
A Lorenzo crollò il mondo addosso. Dopo il desideriodellaboa, il tuffo dallo scoglio di Polignano e le meduse di Chiatona, ancora una volta doveva mettere in gioco la sua vita. Ancora una volta doveva soffrire.
- Bè, cosa aspetti? – lo incitò il medico – non ho mica tempo da perdere, e nemmeno tuo fratello credo abbia molto tempo.
Una rabbia selvaggia animò Lorenzo, il medico sembrava si stesse prendendosi gioco di lui e di suo fratello; non riusciva a sopportarlo. Avrebbe voluto sputargli in faccia, ma non avrebbe mai compromesso la vita di suo fratello, lui era l’unico che poteva aiutarlo. Doveva sottostare al suo volere.
Lorenzo saltò.
 Al contrario di Chiatona l’acqua era fresca.Il balzo fece scendere Lorenzo di qualche metro e quando stava per risalire sentì la prima scossa partirgli dalla coscia e arrivare sino la cima dei capelli. Lorenzo cercò di non aprire la bocca ma non ci riuscì e ancora una volta urlò quando era ancora con la testa sott’ acqua.
Dopo la prima scossa ce ne fu un'altra, e un’ altra ancora. Il corpo di Lorenzo si contorceva e, ogni spasmo, si tramutava in un urlo, il che significava un sorso d’acqua salata.
Lorenzo riuscì per un secondo a uscire la testa in superficie, in quel brevissimo lasso di tempo respirò e udì il medico contare:
- Uno, due, tre. Ragazzo non mollare. Libera.
Poi ancora la testa sott’ acqua. Nuotare era impossibile, le braccia e le gambe erano bloccate dalle potenti scosse ricevute.
Sentì qualcosa sfiorargli la pancia e subito dopo una nuova scossa il che implicava un’ altra buona dose di dolore e un’ altro sorso d’acqua.
Lorenzo riuscì caparbiamente a riemergere per qualche secondo, prestò ascolto alle parole del medico per capire per quanto tempo doveva ancora sopportare questa tortura, ma ciò che sentì fu ancora:
- .. Due, tre. Ragazzo sii forte, non mollare. Libera.
Ancora la testa sotto l’acqua, cercò di capire quanti secondi fossero passati e perché stesse contando in quel modo, ma pensare non era facile, la vista ormai gli si stava annebbiando e i muscoli erano pesanti come macigni. Stavolta non ce l’avrebbe fatta, il dolore era davvero insopportabile: Ripensò a suo fratello, la sua immagine risultò sbiadita. Gli chiese mentalmente scusa per non essere riuscito ad aiutarlo. Suo padre aveva avuto ragione: era un mammalucco, non sarebbe stato in grado di salvare il suo fratellone.
Ancora una scossa.
Senza alcuna forza neanche per urlare il suo volto riaffiorò dall’ acqua, avrebbe dovuto respirare ma i polmoni restarono immobili. Non inalarono aria.
Riuscì opacamente a scrutare il dottor Ludovico, aveva messo la mascherina che i medici della televisione usano quando stanno operando e continuava a ripetere:
- Ragazzo resta con me, resisti, non mollare. Uno, due, tre. Libera.
Nonostante l’incitamento del medico, Lorenzo non riuscì a lottare ancora. Prima che gli occhi si chiudessero sentì un fastidioso e continuo fischio nelle orecchie, molto simile a quello di una televisione quando si è fermi su un canale senza segnale.
Una singola lacrima scese sulla guancia di Lorenzo, poi le palpebre si fecero pesanti e gli occhi si chiusero.
 
 
 
 
 
Lorenzo aprì gli occhi.
Anche stavolta una luce abbagliante lo accecò ma questa luce era ben diversa da quella del sole.
Il suono continuava insistente a ronzargli nelle orecchie, era insopportabile.
Lorenzo era frastornato. Dove si trovava stavolta? Cosa aveva ancora in serbo la mano invisibile per lui?
Si accorse di non essere solo.
Molte voci in sottofondo e tanti rumori metallici, oltre quel maledettissimo e insopportabile suono.
Non riusciva a muoversi e la luce abbagliante gli rendeva impossibile stabilire chi c’era intorno a lui.
D’ un tratto riconobbe la voce del dottor Ludovico, ma stavolta non lo incitava, si limitò a dire rassegnato:
- Basta cosi, non ce l’ha fatta.
A quelle parole seguì un lungo silenzio, rimase solo il fischio continuo a tenergli compagnia.
- Datemi l’ ora del decesso. Vado io a dirlo ai genitori.
Seguì una voce femminile che dichiarò, con la voce rotta dal pianto, che erano le nove e ventisette del quindici agosto.
Gli occhi cominciarono ad abituarsi alla luce e i muscoli iniziarono a sciogliersi. Le parole del dottor Ludovico lo avevano spaventato.
Chi era deceduto?
Tentò di alzarsi ma ogni sforzo fu vano.
Intorno a lui delle ombre si muovevano ma era tutto sfocato, i suoi occhi erano ancora abbagliati da una luce proveniente da una lampada puntata su di lui.
Il dottor Ludovico aveva parlato di un decesso. Un pensiero malevolo raggelò il sangue di Lorenzo. Che stesse parlando di Pierpaolo?
Non era possibile. La sua mente rifiutava tale idea. Lui aveva combattuto, aveva rischiato più volte la vita, Dio non poteva averlo voluto con se e soprattutto non poteva essersi preso cosi diabolicamente gioco di lui.
Poggiò le mani sulla superficie metallica e spinse con tutta la forza che aveva. Sentì ogni muscolo del suo corpo urlare di dolore, era come se il suo corpo fosse stato incollato alla superficie metallica su cui era steso e ora la sua pelle si stesse lacerando nel tentativo di tirarsi su.
Finalmente riuscì a mettersi seduto, si accorse di essere ancora vestito con il solo costume da bagno e scoprì di essere in una stanza d’ ospedale.
I medici girovagavano per la stanza in silenzio, intravide il dottor Ludovico che usciva dalla stanza.
Scese giù con un salto dal lettino metallico ma i suoi piedi non toccarono terra. Rimase sospeso a pochi centimetri dal suolo, come uno dei supereroi dei fumetti che ammirava tanto.
Lorenzo non riusciva a capire. Come era possibile questo?
Un medico gli si avvicinò, Lorenzo stava per parlargli e chiedergli spiegazioni ma lui si limitò a pigiare un bottone rosso su uno schermo di fianco al letto e si allontanò.
Finalmente l’ odioso fischio si era fermato. Poteva ragionare a mente lucida.
Sempre levitando riuscì a girarsi.
Il suo corpo giaceva su quel lettino metallico. I suoi occhi erano chiusi e la sua pelle bianca come mai era stata.
Lorenzo indietreggiò nell’ aria, allontanandosi il più possibile da quella visione.
Che significava tutto questo? Come era possibile che vedesse il suo corpo esanime?
Pensò che tutto questo fosse un brutto sogno. Un orribile incubo da cui si sarebbe presto svegliato, avrebbe urlato e chiamato suo padre e gli avrebbe raccontato di aver sognato la malattia di Pierpaolo, di aver creduto di affogare più volte, di aver visto addirittura la sua morte.
Suo padre l’avrebbe abbracciato e avrebbero riso insieme, poi sarebbero andati a fare colazione.
Lorenzo non ebbe bisogno di pizzicarsi per capire che non si trattava di un sogno. Tutto ciò che lo circondava era tangibile e reale.
D’ un tratto capì. Era morto e il medico aveva annunciato il suo decesso, non quello di Pierpaolo.
Lorenzo pianse. Il pianto racchiudeva certamente la paura di ciò che era accaduto e di ciò che l’attendeva ma soprattutto piangeva perché aveva fallito. Non aveva toccato nessuna maledetta boa e non aveva contattato nessun medico. Il dottor Ludovico e le sue tre piante erano ancora a Santa Maria di Leuca.
Tutto ciò che gli era accaduto era un’ avventura infernale, magari una prova divina per capire se era pronto per il paradiso o sarebbe stato sbattuto negli inferi.
D’ un tratto ricordò di aver visto il dottor Ludovico uscire dalla stanza. Forse non era stato tutto un sogno, forse il dottor Ludovico esisteva davvero ed era li per salvare suo fratello.
A fatica riuscì a portare i piedi nudi a terra ma non percepì alcun sensazione di freddo o caldo; ma non c’era tempo per badarci. Lorenzo corse fuori.
Non si fermò neppure quando attraversò la porta senza averla aperta,  voltò lo sguardo da ambo i lati e vide il dottor Ludovico che si allontanava nel corridoio alla sua destra, gli corse dietro cercando di evitare malati e infermieri che percorrevano il corridoio. Solo fugacemente si accorse di non provare alcun contatto quando il suo corpo colpiva quello di qualcun altro.
Il dottor Ludovico aprì una porta e scomparve dietro di essa, Lorenzo accelerò e stavolta non cercò nemmeno di aprirla, la attraverso con un solo passo.
Si ritrovò nell’ androne d’attesa dell’ ospedale, lo riconosceva perché ci era stato quasi tutti i giorni da un mese a questa parte: era nell’ ospedale di Vieste.
Il dottor Ludovico era in piedi e, di fronte a lui, c’erano suo padre e sua madre.
Entrambi avevano il viso scavato e gli occhi gonfi dal pianto. Il cuore di Lorenzo andò in frantumi quando intuì di essere lui la causa della sofferenza dei suoi genitori.
Avrebbe voluto gettarsi ai loro piedi, avrebbe voluto abbracciarli e gridare loro che stava bene, che era li vicino a loro ma sapeva che era inutile. Non potevano vederlo ne sentirlo. Restò immobile, in lacrime e, insieme ai suoi genitori, ascoltò le parole del medico:
- Mi dispiace, Lorenzo non ce l’ha fatta.
Sua madre si accasciò a terra, suo padre la tenne per le mani ma non tentò di tirarla su. Lorenzo non aveva mai sentito sua madre piangere in quel modo, anzi quelle urla strazianti di dolore non le aveva mai sentite prima d’ ora e sapeva che non le avrebbe dimenticate tanto facilmente.
Anche suo padre piangeva e guardando il dottore chiese:
- Perché? Perché l’ ha fatto? Perché è andato da solo a mare? Perché si è buttato?
Il dottore parve non scomporsi ma anche la sua voce esprimeva commozione e cordoglio:
- Non so dirvi il perché, ciò che so che suo figlio intorno alle sette e trenta di questa mattina è entrato in acqua e ha cominciato a nuotare. Un uomo che era li per pescare lo ha visto annaspare e l’ ha raggiunto,l’ ha portato sulla spiaggia e ha chiamato l’ambulanza.
Lorenzo ha bevuto molta acqua e i polmoni sono risultati da subito gravemente compromessi. In sala operatoria abbiamo fatto il possibile ma non c’è stato nulla da fare. Mi dispiace.
Sua madre si piegò su se stessa e sbattè più volte i pugni a terra. Suo padre le prese le mani e cercò di tirarla su.
- Lasciami stare. E’ tutta colpa mia. Non dovevamo lasciarlo da solo.
Quelle parole ebbero l’effetto di una pugnalata al cuore per Lorenzo. Anche lui si inginocchio e con il suo viso quasi sfiorava quello della madre.
- Mamma non è colpa tua – mormorò singhiozzando – volevo solo aiutare Pierpaolo. E’ solo colpa mia. Non ce l’ho fatta mamma, mi dispiace tanto. E’ colpa mia.
Di certo sua madre non potè ascoltare quelle parole, ma il suo pianto d’ un tratto si spezzò, Lorenzo volle credere che avesse in qualche modo percepito la sua presenza.
Sua madre trovò la forza di rialzarsi, si resse in piede e strinse la mano di suo padre. Anche Lorenzo si rimise in piedi e per la prima volta si accorse di non aver di fronte il dottor Ludovico.
Il viso e le fattezze erano le stesse del medico che aveva visto nel suo sogno o, meglio, nella sua avventura extra corporea ma la targhetta appuntata al camice gli indicava di aver di fronte il dottor L. Sardo.
Lorenzo d’ un tratto capì di non essersi mai mosso da Vieste e che la sua mente aveva creato una realtà parallela mischiando ciò che stava avvenendo intorno a lui con elementi presi in prestito dalla sua memoria, conditi con una buona dose di fantasia.
Molto probabilmente le scosse delle torpedini erano in realtà quelle del defibrillatore, il fischio nelle orecchie prima di affogare era certamente quello della macchina a cui era collegato che non percepiva più il battito del suo cuore.
E magari il vecchio sulla costa di Polignano era in realtà il pescatore che aveva cercato di salvarlo dall’ annegamento a Vieste. Mentre il resto della sua odissea era stata pura e semplice fantasia.
Forse questo significava essere a coma (“in coma” aveva corretto suo padre), magari anche suo fratello era impantanato in una odissea virtuale come era capitato a lui.
Sperò con tutte le sue forze che Pierpaolo si rivelasse più forte di quanto lui era stato e che riuscisse in ciò che lui aveva fallito: sopravvivere.
Di colpo si sentì in collera con suo fratello; gli aveva mentito! Non esisteva alcun desideriodellaboa, e quella bugia l’aveva condotto alla morte. Come aveva potuto mentire cosi spudoratamente?
- Forse .. forse .. è colpa tua se sono morto! – sputò quelle parole ad alta voce, ma si pentì di averle pronunciate un attimo dopo averle dette, ringraziò il cielo che nessuno avesse potuto sentirle.
Avrebbe voluto andare in bagno e sciacquare quella bocca blasfema che aveva osato pronunciare quelle parole. Suo fratello non aveva alcuna colpa e non avrebbe mai osato prenderlo in giro, la colpa era tutta sua che non era riuscito a toccare quella boa. Mesi prima suo fratello l’aveva toccata e aveva chiesto la bicicletta per lui, perciò non aveva mentito; la colpa era tutta sua che era un mammalucco come suo padre aveva detto.
Il dottor Sardo porse un fazzolettino a sua madre che si asciugò le lacrime, poi con la voce strozzata dalla commozione mormorò:
- Ora devo avere la vostra massima attenzione, ho bisogno che siate lucidi perché devo parlarvi di una questione delicata e, vi giuro, mi dispiace dover essere portavoce di altre disgrazie, ma non ho tempo da perdere.
Ci fu un attimo di silenzio in cui forse il medico si aspettava una reazione dei suoi, ma non ci fu e allora continuò:
- Pierpaolo rischia di non superare la notte, abbiamo aspettato un cuore compatibile ma, per adesso, non abbiamo avuto alcun risultato. Il gruppo sanguineo di suo figlio è zero negativo e,come sapete, trovare un organo compatibile è impresa ardua.
L’idea di perdere entrambi i figli nella stessa giornata avrebbe stroncato qualsiasi genitori, Lorenzo invece vide suo padre e sua madre stringersi sempre più forte, quel giorno imparò che l’amore, quando tutto è perduto, è l’ unica cosa che ci tiene in vita. Si sentì orgoglioso dei suoi genitori.
- Ora, vi chiedo cortesemente di ascoltare le mie parole. Abbiamo controllato il gruppo sanguineo di Lorenzo e abbiamo visto che è lo stesso di Pierpaolo, inoltre per fortuna l’acqua non ha compromesso gravemente il suo cuore. Ora ciò che vi chiedo è che mi concediate l’autorizzazione a espiantare il cuore di Lorenzo per tentare di salvare la vita di Pierpaolo. Voglio però precisarvi che non abbiamo la certezza che l’operazione abbia buon fine, comunque il cuore di Lorenzo è danneggiato ed è in ogni caso più piccolo di quello di un ragazzo di undici anni, i rischi del rigetto sono comunque elevati.
Vi ho presentato la situazione in ogni aspetto, ora ciò che vi chiedo è l’autorizzazione al trapianto.
Lorenzo restò impietrito, un lampo gli colpì la mente e si sentì profondamente stupido. Stamattina la parola pronunciata da suo padre era “trapianto” e non “tre piante”. Aveva frainteso tutto e la sua stupidità lo aveva condotto alla morte. Anche se avesse toccato la boa il desiderio sarebbe andato perso. Come poteva essere stato cosi stupido? Come poteva aver creduto a piante magiche e dottori malvagi?
Il suo apporto era stato inutile e aveva perso la sua vita per niente, stava per sprofondare nello sconforto ma decise di restare con il cuore sereno e di concentrarsi solo su Pierpaolo, anzi sui suoi genitori. Sperò con tutto se stesso che dicessero di si, che lasciassero che il suo cuore battesse nel petto di suo fratello, solo cosi la sua morte avrebbe avuto un senso e, magari sarebbe stato in grado da morto, di fare ciò che non gli era riuscito da vivo.
Vide i suoi genitori guardarsi, le loro mani erano ancora unite e le loro lacrime parevano scorrere all’ unisono poi suo padre ruppe il silenzio e sussurrò:
- Facciamolo per Lorenzo. Amava suo fratello e sono certo che se non dessimo il consenso sarebbe in collera con noi. Lui salverà Pierpaolo. Questo sarà il suo miracolo, non permetterà mai che il suo cuore non funzioni.
Lorenzo pianse. Non credeva che le anime ne fossero in grado, fatto sta che sentiva le lacrime scendere sulle sue guance. Erano calde come lo sarebbero state se fosse stato vivo.
Non sapeva se in qualche modo, magari per volontà divina, avesse suggerito quelle parole a suo padre, ma lui aveva detto per filo e per segno ciò che Lorenzo pensava.
Volontà di Dio o semplice affetto paterno non importava, ciò che contava era che il suo cuore tornasse a battere per suo fratello. Sentì di colpo di non essere morto invano, anzi fu felice: magari non avrebbe più rivisto i suoi genitori ma avrebbe contribuito alla vita di suo fratello e un pezzo di lui avrebbe vissuto in lui.
- Si – fece sua madre – Lorenzo vorrebbe questo, ne sono certa anche io.
Il medico sorrise e dichiarò:
- Non conoscevo Lorenzo ma da come ne parlate non riesco a non ammirarlo. Non so perché abbia compiuto il folle gesto, ma credo, sento fortemente da credente e da medico che non è stato una marachella da ragazzino, ma il disperato tentativo di aiutare suo fratello. Sento che è tutto scritto, tutto collegato e questa è la volontà di Dio.
Ora piangeva anche il dottor Sardo e anche lui strinse le mani ai suoi genitori.
- Lorenzo è un angelo. – mormorò sua madre.
Lorenzo pianse con loro.
Dopo alcuni minuti il medico lasciò le mani dei suoi genitori e spiegò:
- Bisogna fare in fretta; ho già allertato il chirurgo disponibile, il dottor Girardi. Purtroppo il primario di cardiologia, il dottor Ludovico, che voi ben conoscete, non è reperibile, ma vi assicuro che il dottor Girardi è altrettanto bravo. Se c’è una persona che può salvare Pierpaolo è lui.
Sua madre lasciò le mani di suo marito e abbracciò il medico, avvicinò la bocca al suo orecchio e sussurrò:
- Lascio il cuore di Lorenzo e la vita di Pierpaolo nelle vostre mani. Non mi importa chi si occuperà del trapianto. Ha ragione lei, è tutta volontà di Dio.
Il dottor Sardo ricambiò l’abbraccio poi si congedò:
- Scappo allora, purtroppo non posso farvi entrare a salutare i vostri figli, vi consiglio di andare a casa a riposare, prima di andare però vi prego di pazientare qui in sala attesa ancora un po’ perché arriverà un collega che vi porterà il modello per l’autorizzazione al trapianto da firmare.
- Non si preoccupi, noi di qui non ci muoviamo fino a quando non rivedremo Pierpaolo riaprire gli occhi – specificò risoluto sua madre.
Il medico sembrò voler aggiungere qualcosa, invece si asciugò le lacrime e scappò via.
Dopo meno di mezz’ ora arrivò un medico con il modulo di autorizzazione al trapianto. Suo padre lo firmò senza nemmeno leggerlo. Il medico li informò che il cuore di Lorenzo era pronto e che entro mezzogiorno sarebbe iniziato il trapianto di Pierpaolo.
Lorenzo rimase nell’ androne insieme ai suoi genitori. Entrambi restarono quasi tutto il tempo seduti senza parlare. Lorenzo si sedette sulla poltrona proprio in mezzo ai suoi genitori; avrebbe voluto stringere le loro mani e infondere loro coraggio ma non poteva e se ne rattristò. Quando i suoi si strinsero in un abbraccio, Lorenzo era li in mezzo e, non sapeva se era solo la sua immaginazione, ma riuscì a percepire il calore dei loro corpi. Anche sua madre ebbe la stessa sensazione infatti esclamò:
- Lorenzo è qui.
Non aggiunse altro, e suo padre non smentì.
Verso le quattro del pomeriggio un medico venne ad avvertirli che l’ operazione era ancora in corso ma che tutto procedeva per il meglio, consigliò anche ai suoi di andare a riposare o di mangiare qualcosa. Suo padre rispose gentilmente di si ma in realtà rimasero li.
Sull’ angolo destro dell’ androne si ergeva una statua raffigurante Maria con in braccio Gesù bambino, Lorenzo si avvicinò e iniziò la sua preghiera.
Cominciò con un Ave Maria, poi parlò alla Santa Vergine:
- Madonnina, perdonami per tutti i peccati che ho commesso. Lo so, non sono sempre stato buono, e spesso ho fatto arrab.. adirare i miei genitori ma ti giuro che sono pentito. So di non essere stato perfetto e spesso ho marinato la messa o ho parlato con gli amici mentre il prete parlava ma sono pentito anche di questo, spero potrai perdonarmi. Sai, ho tanta paura per ciò che mi aspetta, non so se andrò in paradiso ma Ti chiedo di accompagnarmi e di tenermi la mano in qualsiasi posto mi spetti. So che dovrò affrontare tutto senza mamma e papà e ho paura, e in fondo mi hanno detto al catechismo che anche Tu sei mia madre, avrò bisogno di te. Ma solo all’ inizio, poi riuscirò a stare da solo. Sono grande io.
Poi ti chiedo di far star bene sia mamma che papà, spiega loro che non hanno nessuna colpa, la mia morte è solo frutto delle mie azioni. Aiutali a vivere felici e sereni anche senza di me.
Più di ogni altra cosa poi, aiuta Pierpaolo; lui è bravo e merita di vivere, sii gentile, fallo star bene e fai in modo che viva felice anche lui.
Chiuse la preghiera con un Padre Nostro e, solo quando si voltò, si accorse che sua madre era in ginocchio dietro di lui e anche lei pregava in silenzio.
Alle otto di sera un medico li informò che l’intervento era riuscito, che era andato tutto per il meglio e adesso l’ unica cosa da fare era aspettare e sperare che Pierpaolo si risvegliasse e che il suo corpo non rigettasse il nuovo cuore.
Verso le ventuno Lorenzo cominciò a sentire una strana sensazione. Sentiva di essere richiamato dall’ alto. Ma non c’era nessuna voce divina o luce celestiale, sentiva come se ci fosse un gigantesco aspirapolvere invisibile sopra di lui che stesse cercando di risucchiarlo dentro se.
- Per favore Dio – supplicò – dammi il tempo di vedere Pierpaolo sveglio e di poterlo salutare.
La sensazione di venir risucchiato però non cessò e Lorenzo dovette concentrare tutta la sua forza nei piedi per tenerli inchiodati al suolo.
Alle ventuno e cinquanta i medici informarono i suoi genitori che l’ anestesia stava per terminare il suo effetto e che potevano entrare in stanza di Pierpaolo.
Anche Lorenzo andò con loro ma camminare era difficile, l’aspirapolvere incombeva.
Pierpaolo era pallido, aveva una flebo al braccio destro e dal petto partivano dei cavi che finivano ad una macchina che emetteva bip a intervalli regolari. Dormiva ancora.
Dopo le ventidue il risucchio dell’ aspirapolvere divenne più forte, Lorenzo tentò di aggrapparsi al letto ma ovviamente gli era impossibile.
- Dio,per favore aspetta ancora un po’, fammi dare un ultimo saluto ai miei genitori e a Pierpaolo; poi verrò da Te.
Lorenzo piangeva mentre supplicava quelle parole.
Di colpo il risucchio si fermò, Lorenzo si avvicinò a suo padre che era seduto su una sedia e gli baciò la guancia. Un brivido percorse il suo corpo subito dopo.
Sua madre era seduta al suo fianco e la baciò in testa.
- Ciao mamma – sussurrò. Una lacrima le scese dal viso di lei.
Si avvicinò al letto di Pierpaolo, si sporse per riuscire a baciarlo e le sue labbra toccarono le sue ciglia.
- Addio Pierpaolo, so che starai bene.
Le palpebre di Pierpaolo si mossero, uno,due tre battiti.
Suo padre e sua madre si alzarono dalla sedia e speranzosi si avvicinarono al letto. In quel momento l’aspirapolvere tornò a risucchiarlo ma con una maggiore intensità, Lorenzo si lasciò trasportare.
Gli occhi di Pierpaolo si riaprirono quando Lorenzo aveva già attraversato il tetto dell’ ospedale, era già nell’ atmosfera tra le bianche nuvole e ancora saliva.
Cinque furono le parole che pronunciò sottovoce appena sveglio ma furono ben chiare anche alla mamma e al papà:
- Addio Lorenzo. Grazie di tutto.
Quelle parole non si sa come arrivarono alle orecchie di Lorenzo forti e chiare.
Lorenzo sorrise. Il desideriodellaboa aveva funzionato.
 
   
 
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