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Autore: EmmaStarr    11/07/2014    4 recensioni
{Annie/Finnick {AU!giorni nostri {Fluff, slice of life
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La luce non è gialla. Dovevo chiarire questo concetto, perché sembrano tutti assurdamente convinti che, quando dico che vedo le luci, io intenda tante piccole palline gialle in giro per casa.
Non è che vedo le luci fluttuare nel nulla: io le vedo
dentro le cose, dentro le persone: è la loro luce, la luce che possiedono, quella che riesco a vedere.
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Annie Cresta ha sempre avuto una grande passione per il disegno, oltre che per i tatuaggi: aveva intenzione di diventare tatuatrice insieme al grande amore della sua vita, Finnick, quando fa un misterioso incidente. Dopo essere rimasta in coma per nove mesi, si risveglia con un nuovo, incredibile potere: riesce a vedere la luce delle cose e delle persone intorno a lei.
Decide quindi di scrivere un libro in cui narrerà la sua storia, una storia che parla di disegni, inchiostro e luci.
Siete pronti a entrare nella sua testa e capire cos'è davvero la "Casa delle Stelle"?
* * *
Partecipa al quarto turno del contest "1 su 24 ce la FA!" indetto da ManuFury
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che ho preso in mano la matita per disegnare avevo tre anni e ancora non vedevo le luci.

Ero molto piccola, e più che un disegno uscì uno scarabocchio tutto confuso e ingarbugliato, ma per una bambina di quell'età era un disegno assolutamente normale.

Oh, così non va bene, non posso iniziare usando la parola normale. È così rigida, squadrata. Con tutti quei suoni duri e ruvidi, è decisamente una parola grigia. La signorina Stewart dice che le parole non hanno nessun colore, ma lei non capisce niente di niente. Finnick dice che ho appena scritto una cosa scortese, ma che posso farci? Sto scrivendo il mio libro. E non è un libro qualunque, no: è un libro che parla di disegni, inchiostro e luci. Disegni perché mi piace disegnare. Inchiostro perché presto aprirò un negozio di tatuaggi (la signorina Stewart continua a dire che non posso, ma Finnick dice di sì, e io credo più a Finnick che alla signorina Stewart). Luci... perché io le vedo. Tutte.

Questo libro ha anche un titolo. Ora lo scrivo qui, grande, con l'inchiostro azzurro:

 

 

La Casa delle Stelle

 

 

Ogni volta che Finnick mi presta un libro dal titolo strano mi chiedo sempre cosa c'entri con la storia. Spesso non si capisce fino alla fine del libro. Ho pensato che potevo provarci anch'io: scriverò il mio libro con questo titolo strano, così voi che state leggendo vi chiederete cosa sia la casa delle stelle, che significato abbia. E so come funziona, oh, lo so: questo piccolo dubbio vi resterà in un angolino della mente mentre leggerete la mia storia, e non ci penserete fino a quando non incontrerete nel testo qualcosa che vi farà pensare alle stelle o a una casa. Ed ecco che si aprirà un piccolo cassetto della vostra mente -una luce, ma di questo parlerò poi- e schioccherete le dita pensando: ecco perché!

Oppure siete persone frettolose, banali, serie e insulse che non hanno tempo di fare attenzione ai titoli delle storie, che non li guardano e non li ricordano mai. In questo caso, per favore, chiudete questo libro e ridatemelo: non voglio che lo abbiate voi.

Io scrivo per le persone della luce, voi non capireste niente di niente.
Finnick dice che dovrei spiegarvi chi sono le persone della luce, ma ci arriverò tra un po', perché quando ho chiesto a Johanna come dovevo scrivere il libro, lei mi ha detto: “Parti dall'inizio. Non sopporto il casino che si fa quando si comincia a rimescolare l'ordine degli eventi.”

Ed io voglio assolutamente che Johanna legga questo libro perché, a parte Finnick, lei è la persona della luce più luminosa che conosca.

Quindi parto dall'inizio. Non è proprio un capitolo uno, perché ho già scritto quasi una pagina di introduzione, perciò ho deciso di intitolare ogni capitolo con il nome di un colore.

Questo si chiama Bianco.

 

Avevo sei anni e stavo per andare in prima elementare. Ero felice perché Finnick sarebbe stato in classe con me, e Finnick è la persona migliore che conosca.

Era tutto bellissimo, quasi accecante. Ai tempi ovviamente non vedevo bene la luce, però sapevo tutto dei colori: disegnare era la mia passione, anche Finnick diceva che ero bravissima. C'era un ragazzino dell'asilo, Fred, che al mio compleanno mi aveva regalato un album da disegno: io l'avevo già riempito tutto. Continuavo a disegnare grandi girandole e stelle e animali e fiori... Mi piaceva disegnare, l'ho già detto?
Finnick dice di andare al dunque, giusto. Avevo intenzione di diventare una disegnatrice molto brava, ma ancora non c'eravamo, perché volevo disegnare sui fogli di carta. Però non era colpa mia, cercate di capire, ero giovane: non appena ho scoperto di cosa erano fatti i fogli di carta sono inorridita.

La nostra maestra si faceva chiamare signorina Jane. Era molto dolce, me la ricordo bene: ci fece subito una lezione sugli alberi e la carta, e io giurai a me stessa che non avrei mai più sprecato la carta per un motivo così sciocco come disegnarci sopra.

Insomma, veniva dagli alberi! Io e Finnick passavamo intere giornate sugli alberi del giardino dietro casa. Era un giardino enorme, una cosa meravigliosa, e ci divertivamo da morire. Sì, insomma: ci arrampicavamo, giocavamo ai pirati e una volta abbiamo anche costruito una casa sull'albero. Se eravamo stanchi ci sdraiavamo semplicemente all'ombra degli alberi per riposarci e in quei momenti, anche se ancora non lo sapevo, inseguivo la luce.

Ma allora, dall'alto dei miei sei anni, mi sono chiesta: se non disegnerò mai più sui fogli di carta, su cosa potrò farlo?

Non è stato difficile trovare posti adatti. È stato più difficile trovare posti che gli adulti ritenessero adatti, dice Finnick, e ha ragione: per terra non andava bene. Sui banchi non andava bene. Sui muri non andava bene. E a me disegnare mancava moltissimo!

Stavo davvero male. Era tutto vuoto intorno a me, tutto bianco. Poi, un giorno, mi è esplosa una penna in tasca. L'ho tirata fuori prima che sporcasse troppo il mio vestito (era azzurro chiaro, ampio, con delle tasche molto grandi. Ora è azzurro macchiato di blu, ma sembra fatto apposta, quindi non l'ho ancora buttato): mi sono sporcata tutte le mani con l'inchiostro blu. Era una strana sensazione, fresca, libera.

Ho iniziato a disegnare stelle, fiori, bambini sulle mani, poi sulle braccia e sulle gambe, fin dove arrivavo. Poi anche sulle braccia di Finnick. Era una sensazione bellissima, ed ero tanto, tanto felice. Finché mi lavavo, agli adulti andava bene. E se facevo disegni particolarmente belli, potevo fotografarli con la macchina fotografica di Finnick.

Fu allora che decisi che lavoro fare. Sarei diventata una che faceva disegni sul corpo delle persone, ne ero convinta. Scoprii che c'era un nome per le persone che facevano questo lavoro: tatuatore. Beh, io sarei diventata la tatuatrice più brava del mondo.

Poi vidi le luci, e cambiò ogni cosa.

 

Capitolo Blu.

Ho letto tanti libri in cui al protagonista succede la stessa cosa che è successa a me. Dicono che sia utile per capire. Ma io non ne ho bisogno, insomma, ho già capito tutto: mentre andavo a scuola, il quindici Marzo del mio ultimo anno delle medie, una macchina ha voltato in quella curva (mamma lo diceva sempre di fare attenzione, che quel punto era pericoloso perché gli automobilisti non ci vedevano. Però ci sono cose che semplicemente non puoi evitare). E poi... poi c'è stata quella cosa che si chiama coma, che in realtà e solo un sonno molto, molto lungo. È proprio come dormire: a volte senti quasi le voci di chi è vicino a te, a volte sogni, a volte è semplicemente tutto vuoto.

Nei libri che ho letto, il protagonista vedeva tutto bianco o tutto nero. Io ero immersa nel blu, blu come il fondo del mare, blu come la penna che mi era esplosa nella tasca, blu come la calma.

Ero calma, e non accennavo a svegliarmi.

Poi, piano piano, sono arrivate le luci. Credevo che fosse un sogno -era tutto un sogno, a quei tempi-, ma le luci rimanevano lì. È difficile da spiegare, e quando ci provo non ci crede nessuno. Solo Finnick, e un po' anche Johanna. Una volta Katniss ha sospirato borbottando che tutto è possibile, e Peeta ha sorriso e mi ha offerto un biscotto. Sono state le risposte più gentili che io abbia mai ottenuto.

Però è successo davvero, capite? Le luci erano dappertutto. Nel mare, sulle montagne, sotto gli alberi, nelle persone. C'era tutto il mondo, dentro i miei occhi in quel letto d'ospedale. Ogni luce era diversa, e non serviva che posassi gli occhi su un oggetto per percepire la sua luce.

Ad un certo punto le luci hanno iniziato a cantare.

Cioè, io lo chiamo canto: era -è- una specie di melodia sussurrata con le labbra chiuse, un suono delicato, lento, dolce, e nessuna luce cantava uguale alle altre.

Mi svegliai seguendo il canto triste di una luce dai capelli rossi e gli occhi verdi che sembrava chiamarmi: quando aprii gli occhi, Finnick mi si buttò letteralmente addosso.

Avevo perso nove mesi, tredici giorni, cinque ore, otto minuti e quarantadue secondi di vita con gli occhi chiusi in quel lettino, ma ne era valsa la pena: per poco non esplosi dallo stupore quando mi accorsi che le vedevo ancora. Tutte. Si sovrapponevano alle immagini reali, tutte le luci che avevo visto mentre non potevo aprire gli occhi. E sentivo il loro canto, anche se flebile, anche se oscurato dai rumori del mondo.

Ero raggiante, e la prima cosa che cercai di fare fu di spiegare a Finnick quello che era successo, ma lui fece una cosa stupenda e inaspettata che fece passare in secondo piano tutta la storia delle luci: mi baciò.

Fu il nostro primo bacio, e adesso lui sta arrossendo e dice che questo non c'entra e non dovrei scriverlo, ma non fa niente: è una parte di me, è una parte della mia storia. Insomma, questo è il mio libro o no?

E fu così che iniziai il mio viaggio alla scoperta del mondo della luce.

 

Capitolo Giallo.

La luce non è gialla. Dovevo chiarire questo concetto, perché sembrano tutti assurdamente convinti che, quando dico che vedo le luci, io intenda tante piccole palline gialle in giro per casa.

Non è che vedo le luci fluttuare nel nulla: io le vedo dentro le cose, dentro le persone: è la loro luce, la luce che possiedono, quella che riesco a vedere.

Mi piace il giallo perché è un colore sveglio, allegro, curioso. In quel periodo, quando mi risvegliai, ero curiosissima di esplorare tutte le novità di quel mondo pieno di luci che mi si prospettava davanti. Non facevo che sperimentare, guardarmi intorno, imparare nuove cose. La gente diceva che era normale, a seguito di un coma, tutto questo desiderio di conoscere, di vedere. Ma si sbagliavano: io non sentivo nostalgia di niente, volevo solo vedere le luci.

Scoprii che due cose perfettamente uguali potevano avere luci diverse: la luce di uno dei miei pennarelli era molto più forte e bella di quella dei pennarelli di Lynn McMillan, la mia compagna di banco. Per forza: lei usava i pennarelli così, tanto per fare. Io li amavo tutti, perché con loro davo vita alle mie storie.

Gli alberi avevano una luce forte, che irradiava sicurezza. Scoprii che avvicinandosi ad un qualcosa che aveva una luce forte, ci si sentiva meglio: questo lo percepiva anche Finnick, che non vedeva nessuna luce. È questo il motivo per cui ci piace andare al mare, o arrampicarmi sugli alberi, o nascondermi nelle grotte: sono tutti posti che possiedono una luce fortissima, bella.

Un'altra cosa che imparai fu che non avevo bisogno di tenere gli occhi aperti, per vedere la luce delle cose. Finnick mi chiudeva gli occhi con una benda e mi portava davanti degli oggetti, come i miei libri o dei sassi, e sapevo dirgli che cos'erano. Certo, solo se li avevo già visti una volta: non posso riconoscere luci che non ho mai visto. Quando ci abbiamo provato, ho saputo solo dire: “è un oggetto dalla luce chiara e delicata, azzurrina, che canta in modo molto dolce”. Era un pupazzetto da appendere agli zaini, Finnick me lo regalò proprio quel giorno.

Un'altra scoperta incredibile furono le persone della luce. Quando vidi Finnick appena sveglia non ci feci troppo caso, ma davvero, le altre persone rispetto a lui avevano una luce praticamente nulla. La sua luce era prorompente, forte, sbarazzina, grande. Andare in giro con lui significava camminare di fianco ad un faro in un mondo di lucciole.

Non saprei dire il perché, il criterio, ma sono cose che si sentono e basta: Finnick è una persona della luce.

Mi è capitato raramente di incontrare altre persone della luce. La maggior parte delle volte avviene mentre cammino per strada: di colpo vengo assalita da quella luce abbagliante, e strattono il braccio di Finnick per indicargli che lì, proprio lì davanti a noi, sta passando una persona meravigliosa.

Le persone della luce possono essere tante, diversificate, e comportarsi in modi diversi. Una è la mia vecchia dottoressa, quella che mi ha visitata nei miei primi mesi di coma. Era andata all'estero, e appena è tornata mi ha praticamente abbagliata.

A volte le vedo mentre cammino per la strada da sola, e allora mi metto a seguirle: è così che ho conosciuto Johanna. Si è voltata di scatto dopo un po' che la seguivo e mi ha chiesto perché cazzo le stessi andando dietro come un cagnolino. Lo so, Finnick, ma è così che me l'ha detto: questo libro deve riportare un'accurata descrizione dei fatti.

Io le ho spiegato la faccenda delle luci, e le ho detto che la sua luce era praticamente abbagliante, che mi aveva colpita e che quindi era sicuramente una splendida persona. L'ha presa bene, insomma, si è limitata a stringersi nelle spalle e a cacciarmi via. Però io l'ho seguita lo stesso, ho visto dove abitava e il giorno dopo sono tornata da lei. Alla fine siamo più o meno diventate amiche: Finnick ha interceduto un po', e secondo me è proprio perché entrambi hanno una luce immensa che riescono ad andare d'accordo.

A volte mi chiedo come sia la mia, di luce. È l'unica che non vedo. Mi piacerebbe essere una persona della luce, ma forse il fatto è che chi vede le luci non può emetterne una propria. Spero di no: le persone della luce sono tutte buone e grandi. Vorrei essere come loro.

Ma la scoperta più sensazionale riguardante le luci è senza dubbio l'inchiostro. Ho già detto che volevo fare la tatuatrice, no? Beh, la prima cosa che ho fatto quando mi sono svegliata è stata disegnare. Ho preso il mio pennarello azzurro -Finnick li aveva lasciati sul tavolino della stanza, tutti in ordine- e ho disegnato una grande stella celeste sul polso. Perché una stella era la cosa più luminosa che mi era venuta in mente.

Beh, che ci crediate o no, la stella si è messa a ridere. Rideva forte, e ballava, e la luce che possedeva non accennava a diminuire. Era sempre più luminosa, sempre di più. Ho disegnato tante altre stelle, e anche loro ridevano, e cantavano, e si muovevano. Era proprio una danza, una danza sfrenata, magica, bellissima. Ed emettevano luce, tanta, tanta luce.

Ho deciso che farò la tatuatrice anche perché vedere le stelle danzare è qualcosa di emozionante, di stupendo. Finnick non le può vedere, ma dice che la mia espressione mentre le guardo è già abbastanza: le stelle, dice Finnick, le vede dentro ai miei occhi.

 

Capitolo Rosso.

La prima a preoccuparsi fu la mamma, quando iniziò a farmi domande sulle luci sempre più spesso.

Io rispondevo, ma a ogni risposta lei si incupiva sempre più, e io proprio non capivo: dicevo la verità, no? E stavo bene. Più che bene: avevo Finnick, Johanna, Katniss, Peeta (che erano miei amici, più o meno: cercavo di avvicinarmi a loro perché erano persone della luce), ero viva. E vedevo le luci, ed ero felice.

Poco a poco anche papà diventò sempre più distante, e a scuola gli insegnanti mi guardavano sempre storto. Le luci non mi aiutavano con lo studio, purtroppo, ma andavo sempre meglio di Finnick: per quanto sia stupendo, non si può dire che a scuola fosse una cima. Scusa, Finnick, ma il mio libro deve raccontare la verità.

Il fatto che andassi più o meno bene in tutto, però, non bastò a impedire che la professoressa White telefonasse ai miei dicendo che “raccontavo cose strane ai compagni” e “sembravo costantemente su un altro pianeta”.

Provai a spiegare un'altra volta ai miei la faccenda delle luci, gli dissi che sarei diventata una tatuatrice perché volevo vedere la luce delle stelle che danzavano tra le mani, ma loro non capivano. E fu così che fui costretta a vedere la signorina Stewart, psicologa, per degli incontri di due ore al lunedì, mercoledì e venerdì. La luce delle persone che non sono della luce è spesso fioca, ma la sua, oh, era praticamente nulla. Non penso di aver mai visto una persona più spenta di lei.

All'inizio si mostrava tanto carina e gentile, poi iniziai a parlarle delle luci e mi aggredì dicendo che non era vero. Che le uniche luci che esistevano erano quelle date dalle onde elettromagnetiche o cose di questo genere, che le stelle non danzavano e che il mondo era, e cito a memoria, “esattamente uguale a come lo vedono tutte le persone normali”.

Mi sono arrabbiata. Sì, mi sono proprio arrabbiata. Ho preso due biglie di quelle che porto sempre con me (mi piacciono tanto, quegli affarini tutti lisci e sfavillanti) e gliele ho date, poi le ho chiesto di tenerne una in mano senza dirmi quale. Le ho detto che se non avessi indovinato qual era, l'avrei piantata con la storia delle luci. Lei mi ha guardato molto male, poi però ha preso la biglia arancione (quello dalla luce allegra e sfavillante), tenendo dietro la schiena quella nera (la sua luce era cupa e lucida, come una nota molto bassa). Indovinai tutte le volte, anche se non vedevo con gli occhi quale biglia stesse stringendo: vedevo le loro luci, le vedevo, e cercai di spiegarglielo meglio che potevo.

Non mi credette mai (aveva la verità davanti agli occhi e non mi credette mai), ma che non ero normale non me lo disse più. Non che mi sarei offesa, eh.

Però, ogni volta che parlavo del fatto che sarei diventata tatuatrice, stringeva le labbra e diceva che non era un lavoro adatto a una signorina di buona famiglia.

Io volevo disegnare le stelle, non chiedevo altro.

Ho intitolato questo capitolo “Rosso” perché proprio quella sera rovesciai un barattolo di inchiostro rosso sul questionario orientativo per il giorno seguente. Io amo l'inchiostro, lo amo davvero, ma in quel momento mi sentii persa: la professoressa non era tanto il tipo da accettare scuse come “il mio futuro lavoro da tatuatrice si è preso il questionario sul mio futuro”, quindi dovevo rifarlo tutto daccapo.

Telefonai a Finnick e lui mi disse che potevo andare da lui a farlo, visto che l'aveva già finito e i suoi non erano in casa.

Così andai.

Finnick fu davvero gentile, fece un sacco di fotocopie e in qualche modo riuscimmo a rifare tutto daccapo. C'era solo una parte che ancora dovevo riempire, la domanda 13-b: “E perché vorresti fare un lavoro del genere?”. (Quella di prima era “che lavoro vorresti fare da grande?”, e ovviamente avevo scritto tatuatrice.) Come potevo spiegare in tre righe e mezza tutta la questione delle stelle e delle luci?

– Prova a cercare un motivo alternativo. Non lo so, perché hai visto un film. Non serve che gli dici la verità, tanto al novantanove percento non capirebbero niente. – propose Finnick, mordicchiando la sua penna rossa. È un vizio che abbiamo in comune, quello di mordicchiare le penne: la gente ci dice sempre che è bene non farlo perché si rischia di ingerire dell'inchiostro, ma io non potrei essere più felice di avere una parte di quella magia dentro di me.

– Non lo so, magari basta dire che non sopporto l'idea di disegnare sulla carta. Anche questo è vero. – ho rilanciato io, ma ancora mancava qualcosa. Non mi sarei sentita soddisfatta a dare una motivazione del genere.

Siamo rimasti zitti per un po'. Eravamo sdraiati in giardino, come facevamo ogni volta che c'era bel tempo: accendevamo la luce dei portici e poi studiavamo sui tavoli o direttamente tuffandoci nell'erba, come quella sera. Ero davvero, davvero felice. Alzai lo sguardo così, tanto per fare, e mi sorpresi nel vedere tutte quelle stelle sopra di noi. – Sono belle, eh? – disse Finnick, come leggendomi nel pensiero.

Io annuii piano. – Finnick... secondo te anche a loro piacerebbe danzare? – domandai poi, concentrata. In fondo, le stelle che disegnavo io sulla pelle delle persone danzavano e sembravano felici (se le disegnavo sulla carta non danzavano, però. Un motivo ci doveva essere).

Lui inarcò un sopracciglio. – Dici che non danzano?

Ecco perché mi piace Finnick, capite? Sa sempre come stupirmi. E poi dovrei essere io quella strana. – Nessuno le vede danzare. – obiettai debolmente. In realtà aveva ragione lui: come potevo essere sicura che...

– Nessuno le vede di notte! Magari di giorno non fanno che ballare come delle pazze, te l'immagini? – ridacchiò Finnick, allegro. – Certo, ci vorrebbe una sala da ballo bella grande.

Sentivo gli occhi brillare: avevo appena avuto un'idea. – Ce l'abbiamo, la sala da ballo! – esclamai, eccitata. – Voglio dire, ce l'avremo: ogni volta che disegno una stella sul corpo di una persona, la stella si mette a danzare, quindi... Magari era una stella del cielo che durante il giorno viene sui corpi delle persone per danzare un po', ti pare? Più ne disegno, più possono danzare. Quindi devo assolutamente diventare tatuatrice, così le stelle avranno un posto accogliente dove poter ballare e... perché ridi, è una cosa stupida? – mi preoccupai, notando la sua espressione. Intendiamoci, era bellissimo -sta arrossendo, sta arrossendo-, però avevo paura che mi stesse prendendo per matta.

Mi baciò e mi prese il volto fra le mani. – È geniale. Sei incredibile, come fai... Ti amo, Annie.

Io l'ho stretto forte e ho sussurrato: – Anch'io, tantissimo.

Un po' cliché, se volete la mia, però cosa possiamo farci? È la verità. Quello che successe dopo fu tutto molto confuso e splendido, ma Finnick dice che non posso scrivere cos'è successo o si butterà giù dal fiume. Lo sa benissimo che questo libro lo leggerà anche Johanna, in fondo.
Il mattino dopo l'erba era fresca e il cielo azzurro. Ed eravamo in ritardo. La risposta alla domanda 13-b l'avevo scritta di fretta, mentre correvo, ma ne ero assolutamente soddisfatta: “per dare una casa alle stelle”.

 

Capitolo Verde.

Il verde è il colore della speranza, della menta, della giovinezza e del nostro giardino. Vi sembrerà assurdo, ma è con questo colore che voglio finire il mio libro.

Lo so, questo libro è piccolo e racconta una storia piccola, perché cosa sono io in confronto alle migliaia di migliaia di luci che costellano il mondo? Queste sono solo pagine. Pagine che voleranno, bruceranno, spariranno e non verranno lette, e chi le leggerà se ne dimenticherà e un giorno nessuno saprà mai che sono esistite.

Però io sono qui, adesso, in questo posto. Ho scritto questo libro con Finnick nel monolocale che condividevamo fino alla fine dei lavori, e dalla finestra riuscivamo a vedere il procedere della ristrutturazione.

Ci siamo diplomati, ma non credo che andremo al college: la nostra vita è qui. Abbiamo lavorato un sacco, e persino i miei genitori si sono decisi a darci una mano quando hanno capito che la storia delle luci significava davvero molto, per me. E che ero felice.

Ora, ora mentre sto scrivendo queste parole che sicuramente verranno tutte storte perché sto scrivendo in piedi, stiamo per cominciare. Tra cinque minuti chiuderò questo quaderno e lo infilerò nella borsa, poi prenderò la mano di Finnick. So che sarà lì, e non potrei chiedere niente di più. Perché lo amo, lo amo, lo amo da impazzire e finalmente, ora che non sta leggendo, posso scriverlo quanto voglio, e ringraziarlo per esserci stato sempre, anche quando gli altri gli dicevano di lasciare stare una pazza come me o quando avevo bisogno e lo chiamavo e lui veniva, al diavolo tutto. È l'amore della mia vita e non potrei immaginare di fare quello che sto per fare senza di lui.

Entreremo attraverso quella porta, tireremo su le imposte e la vetrina sarà visibile al pubblico. Eh, sì: ce l'abbiamo fatta, apriamo il nostro negozio di tatuaggi. Io sono la tatuatrice ufficiale, lui fa un po' tutto il resto, anche se ufficialmente si occupa della manutenzione. All'inizio gli ho chiesto se gli andava davvero bene così, e lui ha detto che dalla vita non chiedeva altro che avere la possibilità di vedere le stelle nei miei occhi tutti i giorni.

Ah, a proposito di stelle! Tanto lo so che l'avevate già capito. Quando ho iniziato a parlare di stelle disegnate sulla mano, vi è suonato un campanello. E al momento dei questionario eravate già lì, pronti a gridare: “la casa delle stelle! È il titolo, è il titolo!”. È una cosa in cui credo davvero tanto, perché questa, questa che sto per inziare, è un'avventura che non sarebbe mai iniziata senza quell'idea di quattro anni fa, quando, sdraiati sotto il cielo stellato, io e Finnick abbiamo fatto l'amore per la prima volta. Una casa per tutte le stelle che vogliono danzare.

È l'insegna, sapete? L'insegna del mio negozio: la Casa delle Stelle. In azzurro. Se ti credi di essere una persona della luce anche tu, allora per favore, vieni a cercarmi.

Una teoria che mi sono fatta col tempo è che le persone della luce una volta siano state delle stelle, in un altro mondo, in un'altra vita. Delle stelle. E una parte di questa loro identità sopravvive nella loro luce che solo io riesco a vedere. Quindi, come dire, se ti senti vuoto, se hai bisogno di una mano, vieni alla Casa delle Stelle: è anche casa tua, in fondo. E, se ne avrai voglia, qui da noi potrai danzare tutto il tempo che vorrai.

 

 

 

 

 

Annie Cresta, 28/6/2014

 

 

 

 

 

Spazio per le impressioni dei lettori

 

Annie,

Tutto quello che voglio dirti te lo dirò a casa, quindi preparati. Trovo solo che questo libro sia... stupefacente, fresco, dolce, profondo e libero, un po' come te. Sono io che devo dirti grazie, grazie per tutto: sei la cosa migliore che mi sarebbe mai potuta capitare. Ti amo anch'io.

Per sempre tuo,

Finnick

 

 

Allora, parliamone.

Hai avuto un minimo di buonsenso e ti sei attenuta ai fatti in ordine cronologico come ti avevo suggerito, quindi ho letto tutta questa roba e il mio nome è apparso sì e no quattro volte. Immagino che sia stata una bella palla da scrivere, e credo di aver trovato cinque o sei argomenti in più da usare contro Finnick. In ogni caso grazie di avermelo fatto leggere, è un bel libro. Segnatelo, perché non lo ripeterò più.

Johanna

 

 

Hai scritto un capolavoro, Annie.

Hai fatto come ti avevo chiesto e non hai scritto niente su di me, anche se avresti voluto: te ne sono grata. Ho seguito questa storia fin dall'inizio, e non ho mai dubitato di te. Ora va' e vivi la tua vita senza rimpianti o esitazioni: la tua vecchia nonna sarà sempre qui quando avrai bisogno di una cioccolata calda o di un consiglio.

Con amore,

Nonna Mags

 

 

Cara Annie,

Abbiamo letto questo libro tutto d'un fiato, davvero. Secondo Katniss è praticamente la cosa migliore che abbia letto, ma non te lo dirà mai per via di quel suo orgoglio, già. Ti dispiacerebbe lasciarcene una copia? Ci farebbe molto piacere. Vorremmo che il nostro bambino lo leggesse, appena cresciuto un po'.

Sei speciale, non cambiare mai.

Katniss e Peeta

 

 

Mamma,

Sono andato in soffitta e ho trovato questo. Non ci potevo credere, quando ho letto tutte queste cose!

Sei stupenda. Appena torno giù ti abbraccerò e tu ti chiederai: perché mi abbraccia? E io ti metterò in mano questo libro e lo rileggeremo insieme: mi metterò in braccio a te come quando ero piccolo e tu mi dirai se anch'io sono una persona della luce come papà.

Ti voglio tanto bene, mamma, proprio tanto. Sei stata forte e coraggiosa a dare una casa alle stelle che volevano danzare. La prossima volta che vengo in negozio possiamo ballare un po'? Come quand'ero piccolo. Allora era diverso, non capivo: ora lo so.

Anch'io voglio vivere il mio sogno, come hai fatto tu.

Con affetto,

Tommy

 

 




























Angolo autrice:
È ufficiale, a furia di scrivere di Annie diventerò pazza anch'io. Oh, amen: dopotutto, c'è sempre un che di magico nelle persone come lei, non trovate?
Ho scritto questa storia per il quarto turno del contest "1 su 24 ce la FA!" di Manufury, e l'obbligo era "Il protagonista sogna di diventare tatuatore (+ 1 punto se riesce nell'impresa)".
Spero davvero che vi sia piaciuto: il fatto che il figlio di Annie e Finnick si chiama Tommy e che Mags sia la nonna di Annie sono un po' delle costanti nelle mie fanfiction/AU, spero che non vi sembrino troppo assurde...
Grazie a chiunque sia arrivato fin qui, se mi lascerete una recensione mi farete estremamente felice! ^^
Un bacione, vostra
Emma ^^
  
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