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Autore: ellephedre    11/07/2014    9 recensioni
Makoto Kino è innamorata. Gen Masashi la segue a ruota.
Con una relazione nata nella battaglia, non hanno più segreti tra loro, eppure hanno ancora molto da scoprire l'uno sull'altro. E non vedono l'ora di farlo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Makoto/Morea, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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corrente naturale 2

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno

 

Ogni volta che guardava la rosa rossa, Makoto sospirava. Ne accarezzava i petali e si avvicinava per odorarne il profumo. Ricordava le labbra di Gen sulle proprie mentre tenevano insieme lo stelo del fiore, attenti e delicati per non pungersi, nascosti in un angolo della serra.

Era stato un momento perfetto, romantico come lei non avrebbe mai potuto immaginare.

Tutto il loro appuntamento speciale di quel martedì era stato magnifico. Avevano chiacchierato per ore camminando tra i padiglioni della fiera a cui lui l'aveva portata, mentre rimiravano piante e mobili. Makoto aveva osservato il mobilio incantata, Gen con occhio più clinico. Lui si era portato dietro un blocchetto in cui aveva riprodotto i pezzi che aveva preferito, discorrendo poi della qualità di materiali e forme. Era attento quando si trattava di ciò che poteva creare con le mani; non c'era dettaglio che lasciasse al caso.

Nella parte botanica dell'esposizione, la gioia era stata tutta di lei, ma Gen era stato contento di seguirla. Aveva azzeccato il posto in cui portarla e la sua gioia si era mischiata a una buona dose di fierezza. 

'Ho scelto bene, sono stato bravo'.

Makoto glielo aveva letto in faccia più volte e ne aveva sorriso senza farne un segreto. Preso in giro, Gen aveva scrollato le spalle e l'aveva baciata tutte le volte che lei si era trovata in bocca una battuta.

Makoto amava i baci, soprattutto quelli che si erano dati quel giorno. Sfioramenti di labbra morbidi, con assaggi accennati che preludevano a un'intimità a cui non si erano potuti lasciare andare in pubblico. La sensazione di piacere era stata più intensa del normale, il desiderio più dolce e languido nella sua mente. Per lei quell'eccitazione era rappresentata dalla rosa, che era riuscita a mantenere sana e vivace da quando Gen gliel'aveva regalata.

Se solo avesse avuto più spazio sul davanzale della finestra, avrebbe comprato un vaso intero di quei fiori.

Per il futuro, decise, voleva un appartamento con balcone. La sua casa le era sempre piaciuta, così come la sua vita, ma... Ora era diventata avida di felicità e voleva di più. Se lo sarebbe guadagnato con la pasticceria che avrebbe aperto. Con duro lavoro, creatività e impegno, avrebbe raggiunto tutti i suoi obiettivi.

I lavori nel locale erano ultimati, perciò era tempo di dedicarsi alla decorazione degli ambienti - una delle attività più divertenti che potesse immaginare. Le piacevano gli oggetti carini e aggraziati. Quelli per il suo negozio dovevano dare un'idea di accoglienza e semplicità. Avrebbe trascorso molti pomeriggi a cercarli, dopo la scuola.

Sospirò.

Aveva ancora diversi compiti da completare prima della fine delle vacanze. Il giorno precedente era riuscita a finire solo la metà degli esercizi di inglese che le erano stati assegnati.

Concentrò l'attenzione sulla lama della forbice che impugnava in mano e lisciò l'intera lunghezza del nastro che aveva avvolto attorno al pacco, arricciandolo dalla base fino alla punta.

Perfetto. Aveva incartato il regalo di Gen.

Il telefono squillò. Lei andò a prendere il cordless, un occhio puntato sul tavolo in cui aveva lasciato la scatola incartata. Non era sicura di aver azzeccato il dono; poteva solo sperare in bene.

«Pronto?»

«Ciao.»

«Rei.» Sorrise riconoscendola. «Tutto bene?»

«Certo. Ti chiamavo per parlarti del compleanno di Hotaru.»

Ah, giusto. «Quindi Hotaru-chan rimarrà qui a Tokyo per il sei?»

«Sì. Ne ho parlato con suo padre e lui è d'accordo. Ci vedremo di mattina per festeggiare.»

«Dove andiamo?»

«In un parco giochi.»

Possibile? «È un'idea di Minako?»

«No, ci ho pensato io. Vorrei che ci divertissimo tutti senza pensieri, come ragazzini. Porterò personalmente Hotaru sulle giostre più spericolate. Voglio che quella bambina si liberi.»

Sembrava quasi un proposito da sorella maggiore. «È una bella idea. Ci sarà un posto dove potremo mangiare una torta?»

«Ho organizzato tutto. C'è un piccolo chiosco che terrà in frigo un dolce portato da noi. Poi ci offriranno sedie e tavoli per mangiare in compagnia.»

Non avrebbe dovuto dubitare di Rei. «Ci saranno anche Haruka e Michiru?»

«Ho provato a convincerle, ma hanno un posto dove vogliono portare Hotaru di sera. Una cosa da ragazze grandi, hanno detto.»

Erano le solite. «Potrebbero fare anche una cosa da ragazze piccole e venire con noi di mattina.»

«Non dirlo a me; per Michiru la mia idea è infantile. Avresti dovuto sentire come ha sorriso quando gliel'ho detto...»

Lo immaginava: Michiru Kaiou sorrideva sempre degli altri, come se fossero tutti bambini a cui poteva dare un colpetto di incoraggiamento sulla testa. La sua non era superbia, solo una condiscendenza buona, di cui non poteva fare a meno.

«Secondo me non vuole rischiare» proseguì Rei. «Te la immagini Michiru su un ottovolante? Tutta la sua compostezza si scioglierebbe come neve al sole.»

Makoto ridacchiò.

«Usagi l'avrebbe convinta a venire, ma in questi giorni ha in testa solo il suo matrimonio. Ancora non ne ha parlato ai suoi genitori.»

Ahia. «Più Usagi-chan tarda, più sarà difficile.»

«Già, ma lei e Mamoru hanno fissato una cena con i suoi per questo sabato. Ne parleranno allora.»

«Non la invidio.» Makoto aveva avuto a che fare da poco solo con la madre di Gen. Nonostante il buon carattere della signora, ne era ancora terrorizzata. Temeva ciò che era e il modo in cui lei poteva influenzare la visione che Gen aveva del loro rapporto. Da quel che sapeva, il padre di Usagi covava istinti omicidi nei confronti del povero Mamoru.

«A te come va?» domandò Rei. «Domani è il compleanno di Gen, no?»

Già. «Sono preoccupata. Gli ho comprato un regalo, ma non so se è quello giusto.»

«Che cos'è?»

«Un kit di matite da disegno. Al negozio mi hanno detto che sono le più quotate tra i professionisti.»

«... Gen disegna?»

«Sì, per hobby. Fa anche schizzi di progetti architettonici, però... Forse ha già matite come queste. O magari avrebbe preferito qualcosa di più sportivo, per esempio roba per la corsa o per la boxe. Ma non so quali attrezzi ha in casa. O se parliamo di abbigliamento, non so che numero di scarpe porta, né la sua taglia di vestiti...»

«Sarà XXL.»

«Ha le spalle larghe, ma non è grasso.» Infatti si chiedeva come lui riuscisse a trovare degli indumenti da mettersi.

«Scherzavo. Ma perché la scelta del regalo ti mette in ansia?»

«Gen è istintivo, ma valuta tutto. Forse questo regalo così artistico gli farà pensare che io lo ritengo... troppo artistico?» Non aveva un gran vocabolario, continuava a ripetersi.

«Perché sarebbe un male?»

«Non è un male, ma lui ci tiene a non apparire troppo...» Come poteva dirlo?

«Sensibile?»

Esatto! «Ci tiene a sembrarmi un duro.»

Rei si lasciò sfuggire una risatina.

Makoto quasi si risentì. «Non prenderlo in giro.»

«Andiamo. Il tuo ragazzo ha sempre quest'aria da 'spacco il mondo'... È il suo modo di essere. Un po' come Yu, che se gli chiedi una cosa è già pronto a servirti per l'eternità. Pensi di riuscire a manipolarlo?»

«Eh?»

«Gen. Se trovi il modo giusto di trattarlo, lo rendi felice e al contempo gli fai fare quello che vuoi tu quando ti serve. Così tutti contenti.»

Quel ragionamento era proprio da Rei. «Non penso di avere tanta presa su di lui.»

«Non fare l'ingenua. Quando vi ho visti insieme, lui ti seguiva come un Akita fedele. Sono animali possessivi ed esigenti, ma completamente leali.»

Era una buona descrizione per Gen. «Hai dei consigli da darmi?»

«Biancheria intima.»

Lei avvampò sulle guance. «Eh?»

«Uno come lui sarà sicuramente una persona molto visiva e fisica.»

«... Come fai a dirlo?»

«Quando eravamo a casa di Mamoru e tu eri mezza inferma e in pigiama, il tuo Gen ti guardava la scollatura.»

Makoto volle morire d'imbarazzo.

«Sfrutta i tuoi punti di forza, Mako-chan. Non vederla come furbizia da parte tua; alla fine, sarai tu quella che si sentirà soggiogata. Piacevolmente, si intende.»

Le uscì un sospiro incredulo. «Wow.»

«Che cosa?»

«Stiamo parlando dei nostri fidanzati. Mi sentivo un po' esclusa sapendo che lo facevi solo con Usagi ed Ami.» Ora anche lei era come loro, finalmente.

«Con Ami non si parla molto di queste cose. Anche se alcune volte quella ragazza se ne viene fuori con certe osservazioni... Con Usagi stai attenta: è così candida su quello che accade tra lei e Mamoru che finirai col volerle dire tutto anche tu.»

«Tutto cosa?»

«Capirai poi. Comunque io sono la regina per quel che riguarda le strategie amorose. Chiedi a me ogni volta che vuoi un consiglio.»

«Lo farò.»

Rei ne fu soddisfatta. «Allora domani passerai tutta la giornata con Gen?»

«Quasi tutta, sì. Per la festa di Hotaru, sai già l'ora?»

«Ci troviamo davanti al parco di Ueno alle dieci, va bene?»

«Certo.»

«Ah, un'ultima cosa. Con gli uomini funziona anche la strategia dell'attesa.»

Già. Lei l'aveva messa in atto involontariamente. «Non sono molto brava a frenare Gen.»

«Lo so, sei capitolata in meno di un mese. Ma puoi sempre esercitarti.»

Makoto si divertì. «Non arriverò mai ai tuoi quattro anni.»

Rei ringhiò. «Questa battuta è vecchia

Ma era ancora uno spasso. «Devi imparare a riderne come Yuichiro. Ci vediamo sabato.»

«Sì» sospirò Rei. «A sabato. 'Notte.»

«'Notte. E grazie.»

Makoto riattaccò e guardò il soffitto, raccogliendo le idee. Ora le rimaneva solo da preparare le torte.

Aveva fatto due passi verso la cucina quando il telefono squillò di nuovo. Provò a indovinare chi era, un giochetto mentale in cui si dilettava di tanto in tanto.

Questa è Minako.

Almeno, avrebbe voluto che fosse lei, poiché in quei giorni la sentiva distante. «Pronto?»

«Ciao.»

La voce maschile la fece sciogliere sulla moquette di casa. «Ciao

Aveva davvero usato quel tono da gattina smielata?

All'altro capo del telefono, Gen rise piao. «Stai per andare a dormire?»

«È presto, sono le dieci. Mi preparo a farti una torta per domani.»

«Hm. Non farla per tutta la mia famiglia. Mia madre ne comprerà una.»

«Be', non voglio scavalcarla, però... Mi ingrazio lei e le tue sorelle se vi offro un altro dolce, giusto? Avevo pensato di fare una piccola torta per me e per te, poi una torta grande da farti portare a casa. La tua famiglia potrà mangiarla con calma; non ci metterò su panna o altre cose che vanno facilmente a male.»

«Shori si è messa a dieta.»

«Ah.»

«Apposta per il mio compleanno. Ha detto di dover far spazio per la torta che tu avresti sicuramente preparato.»

Makoto scoppiò a ridere.

Udì il sorriso sereno di Gen, un suono quieto che le fece desiderare di averlo con lei già quella sera.

«Domani pranzi con la tua famiglia» gli disse. «La sera sarà per noi?»

«Sì. Non vedo l'ora.»

Anche lei, a tal punto che volle essere audace. «Io e te, domani... Recupereremo il tempo perso.»

«Non è stato tempo perso. Ma questo proposito mi vede in prima linea, con un'armata di impazienza alle spalle.»

Lei poteva descrivere nello stesso modo il proprio entusiasmo. «In realtà, già oggi... Ma sono solo ventiquattrore in più di attesa.»

Lui fece una pausa. «Già oggi, cosa?»

«Ehm...» Non seppe come spiegargli. «Voglio dire che non ci sono più ostacoli. Sono spariti questa mattina.»

Gen non parlò e Makoto pensò di avergli fornito troppi dettagli. «Gen?»

«Sono le dieci e cinque.»

«Sì» mormorò perplessa, guardando l'orologio.

«Se corro, sono a casa tua in mezz'ora.»

Eh?

«Non hai sonno, vero?»

No, ma... «Non ho ancora fatto la torta.»

«Ho più foga che fame.»

Makoto esplose in una risata così forte che dovette coprirsi la bocca.

Gen non era stato da meno con le risa. «Vado ad avvertire mia madre. Sarò lì tra poco.»

Cosa? Lui avrebbe detto a sua madre che stava uscendo alle dieci di sera per venire da lei? La signora l'avrebbe creduta una ragazza promiscua, o troppo facile, sicuramente molto innamorata, ma... «Gen.»

Tu-tu-tu.

Sospirando, Makoto chiuse la chiamata e fece dei calcoli mentali. Doveva essere come Creamy Mami e compiere un prodigio: preparare una torta, farsi il bagno e cambiarsi in mezz'ora.

Al lavoro!

   

Trentotto minuti dopo era davanti al cassetto della biancheria a rimuginare, coi capelli appena asciugati. Squillò il citofono.

«Ahhh!»

Corse a rispondere. «Sì!» si limitò a dire, premendo il pulsante di apertura. Tornò al cassetto e afferrò le prime mutandine carine che si trovò davanti. Solo quando le ebbe indosso notò che il reggiseno coordinato non era in vista, probabilmente disperso nella cesta delle cose da lavare.

Udì i passi di Gen fuori dall'appartamento, che per la fretta colpivano lo zerbino mandandolo a sbattere contro la porta.

Dato che non c'era più tempo, annodò la vestaglia alla vita, provando a coprire con le braccia le punte dei seni ben visibili sotto la stoffa. In quello stato era praticamente seminuda, ma lei avrebbe voluto essere sensuale, non sfacciata. Mesta, si diresse alla porta.

Poteva chiedere a Gen il tempo per terminare di cambiarsi?

Lui lo avrebbe trovato inutile, considerato che si sarebbero spogliati di lì a poco. Lei voleva farlo - bramava di farlo - ma...

Si nascose dietro la porta mentre gli apriva. «Ciao...»

Gen entrò. La sua felicità si attenuò quando notò che di lei poteva vedere solo la testa. «Ciao» la salutò. «Tutto a posto?»

«Non ho finito di vestirmi.» Tenne le braccia intorno al torso mentre si appoggiava con la schiena alla porta, per chiuderla.

Lui tolse le scarpe e fece scattare la serratura. «Okay.» La osservò, confuso ma non smanioso quanto lei aveva pensato.

Si guardarono per qualche istante.

Togliendo la giacca, Gen sollevò le sopracciglia, divertito. «Puoi vestirti, sai? Non ti mangio.»

Lei voleva essere mangiata, solo che...

Lui agitò le narici e guardò verso la cucina. «Sei riuscita a preparare la torta.»

«Sì, è in forno. Per questo non ho avuto il tempo di...»

«Non hai avuto tempo perché sono arrivato troppo in fretta.»

Già. «Non ti sembra sciocco se vado in bagno a mettermi qualcosa? Anche se dopo...»

Lui non rispose a voce. Si limitò a contemplare la sua esitazione, adorandola.

Coi dubbi dissolti, Makoto fece un passo avanti e lo abbracciò.

L'odore del collo di lui, il respiro che le sfiorava la tempia, le braccia che la stringevano, il seno senza costrizioni contro il suo petto... Non voleva più altri vestiti, ne voleva di meno. Desiderava stringerlo senza più smettere.

Gen le aveva preso la testa in una mano. Stava affondando il naso nei suoi capelli. «Così diventa difficile aspettare.»

Lei inspirò, sorridendo contro il suo orecchio. Non disse niente; cercò di provare invece di pensare, l'unica cosa giusta da fare quando erano insieme.

Notò un taglietto fresco e minuscolo sulla guancia di lui. «Oh.» Sfiorò la pelle su quel punto.

Gen capì. «Colpa del rasoio. L'ho usato in fretta stasera.»

Immaginarlo di corsa mentre si sistemava per venire da lei la riempì di dolcezza. «Vieni.» Si separò da lui senza incontrare proteste - i loro due corpi in sintonia nell'essenza, a discapito della distanza.

Tenendolo per mano, lo condusse verso il comodino accanto al letto, dove girò la manopola che regolava l'intensità della lampada. La accese.

«Tira la tenda» disse a Gen, riferendosi al pannello rigido che separava la zona del letto da quella della cucina. Non lo usava spesso, ma a volte era bello creare atmosfera dividendo gli ambienti. Avevano almeno venti minuti prima che la torta finisse di cuocere.

Quando lui ebbe dispiegato per intero il pannello semi-trasparente, lei spense la luce sul soffitto e allargò le braccia, invitandolo ad avvicinarsi.

Nella penombra trovare Gen sotto le proprie mani fu prezioso, importante. Rispose al bacio che lui cercò. Lo accarezzò sulle spalle, sul petto, tracciando i contorni di ogni rilievo. Aveva desiderio di lentezza, di scoperta.

Senza fretta, cominciò a spogliarlo della felpa, lasciando salire l'indumento sopra lo stomaco di lui e tirandolo su, oltre le braccia. Era lei a guidare i loro movimenti; Gen la lasciava fare nonostante il respiro spezzato e veloce, visibile nei suoi muscoli tesi.

A torso nudo, lui le cercò il ventre con la mano, infilando le dita nell'apertura della vestaglia.

«No» protestò lei, serena. «Ho poche cose addosso.»

Gen non capì perché quello fosse un problema, ma Makoto lo fece sedere sul letto. Armeggiò delicatamente con la zip dei pantaloni che lui indossava, stuzzicandolo con un'unghia sullo stomaco rigido. Gen si tenne a stento dritto sulle braccia - una reazione adorabile, sensuale, che le suscitò una vampata di calore al basso ventre.

Gli aprì la patta dei pantaloni e lo spinse ad andare ancora più indietro. Si appoggiò con le ginocchia sul materasso, sopra di lui, dove si tenne ferma per un istante.

Gen provò a toccarla, ma lei gli prese le mani, stringendole.

In quel momento lo possedeva: possedeva i sensi di lui, nonché il corpo che la bramava e la cercava. Aveva l'amore di Gen, così come la bocca calda a pochi centimetri dalla sua, che con un bacio era capace di stordirla.

Non resistette. Chinò la testa e mischiò i loro respiri. A labbra schiuse si trovarono con un assaggio veloce, che strappò a entrambi il respiro.

Lei non comandò più, si offrì.

Si beò delle mani di lui tra i capelli, che le scioglievano la coda. Aderì al suo corpo languida, abbandonata, in attesa di sentirlo aumentare la pressione tra di loro con i palmi aperti sui fianchi, che forti la afferravano.

In due si sdraiarono lentamente, prima di lato e poi lui sopra di lei, la bocca di Gen che la percorreva sul petto mentre le scioglieva il nodo della vestaglia.

Con le palpebre abbassate, tremanti, Makoto non guardò lui, ma la parete tenue della stanza. La vide sfocarsi mentre il suo corpo ribolliva e Gen la trovava su un seno nudo, prendendone la punta in bocca. Lui esclamò qualcosa, un suono debole che uscì anche a lei nell'ardore del momento, mentre si contorceva per la delizia.

Si strofinò a lui con le gambe, col bacino, scivolandogli con le dita sulla schiena. La sua mente si annebbiò. Cercò un bacio necessario e vi affondò dentro. Si mosse con Gen mentre sospiravano e continuavano a premere l'una sull'altro le labbra, affamati di sapore.

Non notò quando terminarono di spogliarsi: le sembrò solo che i vestiti di entrambi fossero d'un tratto spariti. Il proprio corpo non ebbe più senso come entità unica finché lui non la trovò con una mano tra le gambe e, alitandole sul collo, leccandola sui capezzoli, iniziò a muovere su di lei un dito in un minuscolo cerchio, premendo dove il piacere le accendeva tutti i nervi.

Makoto vibrò, tenendosi ferma a forza, in offerta per la mano di lui, incantenata. Interruppe l'estasi solo quando fu giusto incastrarsi a Gen, stringendogli le spalle con le mani e annullandosi insieme. Durò tanto, o così le parve. Il tempo si mosse in una realtà diversa dalla loro.

Ogni bacio umido, ogni dondolio intenso, ogni affondo dentro il suo corpo... Ne volle sempre uno di più, anche quando si riempì e si saziò di lui, rimanendo a stento con le forze per accarezzargli un braccio.

Adagiati l'uno di fianco all'altra, in pace, riposarono.

Il sonno non la prese. Girandosi, respirò contro il petto di Gen, sistemando pigramente l'orecchio dove gli batteva il cuore. Il ritmo del suo battito la cullò.

Sveglio, lui la tenne contro il petto a lungo prima di abbassarsi, sorridere e baciarla di nuovo.

Makoto lo fece sdraiare sulla schiena, delicatamente. Lo guardò, lo adorò.

Non poteva esserci momento più bello, più perfetto, in una singola vita umana.

DRIIINN!

Sussultò assieme a lui. 

«Il forno» disse, esplodendo in una risatina.

Scivolò via dal letto, afferrando per un lembo la vestaglia e scostando il pannello rigido. Si diresse in cucina. «Ah...» Per un momento faticò a ricordarsi cosa doveva fare con la torta. Si coprì malamente il corpo e, afferrando una presina, aprì l'anta del forno.

Il profumo del dolce si librò nell'aria. L'odore era ricco e invitante. «È venuta bene» informò Gen.

«Lo sento da qui.»

Proteggendo l'altra mano con un guanto, Makoto tirò fuori la torta e la sistemò sul bancone.

Trovandosela davanti, rifletté: aveva pensato di rimanere sveglia finché la torta non si fosse raffreddata, ma... Prese l'orologio da polso che aveva sul tavolino, settò l'ora e coprì la torta con un telo. «Domani la decoro.»

«Cosa hai fatto?»

«Devo metterla in un contenitore quando si è raffreddata.»

Tornò indietro, verso il letto. Appena riuscì a toccarla, Gen le tolse la vestaglia.

«Ancora?» commentò lei, senza riuscire a mettere forza nella protesta.

Lui scrollò le spalle. «Mi piaci senza niente addosso.» La fece sdraiare accanto a sé, sotto le coperte, e la guardò. Era felice.

A lei sfuggì uno sbadiglio.

Prima che fosse riuscito a riderne, Gen l'aveva imitata.

«Ecco il sonno» disse Makoto, andandogli più vicino.

«Succede quando si fa bene l'amore.»

Lei sorrise in silenzio. Amava sentirlo parlare in quel modo. Quello che avevano condiviso non era stato solo sesso; si era trattato di un'esperienza completa, la prima di moltissime altre.

Appoggiò la testa nell'incavo del suo collo. «Buonanotte.»

«... ti sveglierai tra poco? Non farlo.»

«Lasciami il mio lavoro di cuoca.»

Sorrisero e Gen si rassegnò. «Allora buonanotte, per ora.» La baciò sui capelli.

Dormirono.

   


     

Era molto tempo, pensò Gen, che non si svegliava con la luce del sole così forte sugli occhi.

Si era fatto tardi, forse erano già le nove.

Voltò la testa.

Cauto, liberò il polso intorpidito dalla testa di Makoto, prendendosi un momento per far sparire il formicolio.

Prima di ripensarci, rotolò su un fianco e ricadde in piedi sul pavimento, alzandosi. Aveva bisogno di andare in bagno.

Vagò nudo per l'appartamento, entrando nell'unica altra stanza della casa.

Tra le quattro mura di piastrelle, rabbrividì per il gelo: di mattina quel bagno era ghiacciato.

Mezzo addormentato, si risvegliò quando ebbe finito e si sistemò davanti al lavabo. Girò la chiave del rubinetto, cominciando a lavare le mani e sciacquando la bocca. Alzando la testa, si osservò allo specchio e stiracchiò soddisfatto le braccia.

Era stata una grande notte.

Non gli era dispiaciuto nemmeno essere svegliato dall'orologio che Makoto aveva settato. Quando l'aveva riavuta tra le braccia, dopo pochi minuti, il calore dei loro corpi uniti lo aveva fatto riaddormentare in un momento.

Uscì dal bagno e nel tragitto verso il letto raccolse i pantaloni che erano finiti a terra. Li piegò in due su una sedia, poi cercò la felpa e le calze.

A Makoto non piaceva il disordine. Con un appartamento tanto piccolo era naturale: non c'era molto spazio per muoversi.

La osservò. Ancora profondamente addormentata, lei era sdraiata a pancia in su, le labbra aperte e le braccia allargate libere, infreddolite. La pelle d'oca si interrompeva sulle spalle, ma Makoto doveva sentire freddo anche sul petto, fino a dove era scoperta.

Lui tornò a sdraiarsi nella parte di letto in cui si era svegliato. Cercò di non spostare troppo il peso sul materasso, ma lei ricadde ugualmente con la testa verso una spalla. Immobile, lui attese il respiro successivo.

Le narici di lei si erano mosse appena. Makoto non ebbe altre reazioni: il suo sonno era rimasto profondo.

Gen osservò lo sfarfallio delle ciglia scure sulle sue guance. Erano delicate e folte, belle come le labbra semiaperte che di mattina sembravano più paffute e carnose. Con quel colore rosa scuro, invitavano a morderle piano, leccandole.

Piegando la testa Makoto aveva esposto all'aria un lato del collo, una parte che lui sapeva sensibile e morbida. Le spalle di lei terminavano con la sottolineatura del deltoide, le linee del muscolo visibili sotto la pelle, persino a riposo. Le clavicole erano...

Be', non aveva mai badato a delle clavicole, ma voleva riempire di baci l'avvallamento tra quelle ossa.

Poi... poi il corpo di lei finiva lì. La trapunta le proteggeva i seni, una situazione a cui lui pose rimedio tirando un poco l'ammasso di stoffa verso il basso, fino a scoprire le punte di carne turgide che svettavano sul suo petto. A bocca aperta, rimirò i due personali doni divini che gli aveva concesso il cielo.

Incredibile. Non aveva mai visto due tette tanto perfette, gonfie e sode anche da sdraiate.

Al contatto con l'aria i capezzoli di Makoto iniziarono a diventare ancora più duri, facendogli venire l'acquolina in bocca. Avevano una dimensione ideale: sui due monti di carne non erano bottoni troppo piccoli che gli sfuggivano dalle dita, bensì estremità deliziose che si adattavano ai suoi polpastrelli quando lui le stuzzicava.

L'areola... Gen ne aveva viste di grandi, piccole, normali, belle. Quelle di Makoto erano una corona, che gli indicavano dove toccarla per farla gridare. Non che lui l'avesse fatta urlare fino a quel momento, non per davvero.

Lei inspirò di nuovo e Gen le lanciò una rapida occhiata.

Makoto dormiva ancora.

Lui riabbassò gli occhi: quei seni gli riempivano le mani. Per tutta la vita aveva pensato di preferire seni di dimensioni ridotte, che non cadevano mai e rimanevano alti senza aiuto, ma nel corpo di Makoto si era compiuto un miracolo: lei aveva due globi rotondi che si adagiavano sul petto fieri e svettanti, creando una scollatura che con certi reggiseni... Fortunatamente, a lei non piacevano gli scolli a triangolo, o lui non avrebbe avuto pace immaginandola in giro vestita in quel modo.

«... cosa stai guardando?»

Colto sul fatto, sorrise impenitente. «Te.»

«Io sto più sopra» mormorò lei.

Divertito, lui la guardò negli occhi verdi. «Sì.» Appena sveglia, lei era una visione. «Sei anche qui.» 

Makoto si adagiò su un fianco, coprendosi il petto con un braccio. Col movimento creò involontariamente due curve talmente provocanti, talmente belle...

«Ehi» lo chiamò.

«Hm?»

«Ma guarda quanto ti piacciono.»

Non lo avrebbe negato. «È vero.»

Mangiandosi un labbro, Makoto si coprì anche con l'altro braccio. «Anche io li trovo belli, però...» Rise piano. «Sembra che appena mi giro, tu li guardi.»

«Non è così.» Si concentrava anche su altre parti del corpo di lei: la rientranza dei fianchi verso la vita, le gambe lunghe, il magnifico sedere... Ma se a pochi centimetri dal viso aveva quei due bei seni nudi, la sua attenzione era tutta per loro.

Makoto lo osservava, muovendo le dita sul proprio sterno, indecisa. «Se questa è la tua parte preferita...»

Non era così. «È sempre stata il fondoschiena» confessò. «Sei tu quella che mi sta facendo cambiare idea.» Sotto la trapunta la trovò sulla curva del fianco.

«Ti piace il sedere?» Makoto voltò la testa, per guardarsi. «Non lo tocchi mai.»

Lui la smentì in quel momento, facendola saltare sul letto.

«Ehi!»

Gen trattenne i singulti di divertimento. «Hai visto come reagisci?»

«Mi hai sorpreso! Dev'essere una cosa più tranquilla, dolce...»

Be', ma così c'era un problema. «Col tuo sedere non mi vengono in mente idee molto dolci.»

In Makoto il rossore partì dal petto e risalì veloce lungo il collo, invadendole le guance.

Lui abbassò la testa, baciandola sul collo, usando la lingua per assaggiarle la pelle salata. Il retrogusto dolce invase tutte le sue papille gustative. Cominciò a scendere oltre la linea delle clavicole. «Tanti auguri a me.»

Makoto sobbalzò. Lui si sentì afferrato per le spalle. Si ritrovò atterrato - schiena contro il letto, inerme come un pupazzo.

«Me n'ero dimenticata!» Da novella Ercole, Makoto divenne un concentrato di arti morbidi e leggeri, che calarono su di lui assieme a una carezza sulla fronte. «Buon compleanno.» Lo disse con un sospiro, baciandolo sulla tempia, sulla guancia, sulle labbra.

Ti amo da impazzire, pensò Gen.

Era tempo di dimostrarglielo.

La strinse per la vita, portandola ad appoggiarsi su di lui col petto. La sensazione dei capezzoli duri contro i suoi pettorali fu paradisiaca.

«... ti piace?» gli domandò lei.

Lui la guardò negli occhi. Muto, annuì.

Usando le braccia per sostenersi, Makoto si morse un labbro prima di decidere come procedere. Scivolò su di lui verso l'alto, sfiorandolo con la punta dei seni sulla faccia. Rise quando lo sentì rilasciare un sospiro. «Sono la mia arma segreta?»

«Ne hai tante» confermò lui. Poi si assicurò di avere una buona presa sulla sua vita e ribaltò entrambi, facendola sdraiare sulla schiena.

Makoto era curiosa. «Cosa fai?»

«Realizzo una fantasia.» Armeggiò con le gambe di lei, aprendole e piegandone una di lato.

«... quale?»

Le si spezzò il respiro quando lui si appoggiò contro la sua apertura, senza entrare. Voleva essere certo che lei fosse abbastanza bagnata, ma soprattutto voleva far fremere entrambi per l'anticipazione. Con una coscia aveva spinto un ginocchio di Makoto verso l'alto. Vi incastrò sotto il braccio.

«Così è...» Makoto interruppe il mormorio quando con le dita lui tracciò delle linee sul suo stomaco, fino al basso ventre. Infine, inarcò verso l'alto l'intero bacino.

«Funzionerà bene» le spiegò lui.

«... Come?»

«Tra poco lo scopri.» Scese con la mano. Con le nocche la sfiorò tra le pieghe del sesso, insistendo, cercando del fluido fresco.

Makoto fece forza con le braccia e lo attirò sopra di sé, per avere la sua bocca. Mentre la baciava lui la chiudeva col corpo in una gabbia. Sperimentò ancora una volta che lei non aveva alcun problema di flessibilità, ma cercò di non pesarle troppo sulla coscia. Per uscire da quella posizione, separò le pieghe tra le gambe di lei con le dita, accarezzando. Makoto si tese.

Lui le appoggiò un bacio sotto la mascella. «Voglio che sia più intenso.» Riuscì ad allontanarsi, tornando dritto.

Makoto lo strinse per un avambraccio, cercando di trattenerlo. «Ma mi piace quando mi stai sopra.»

Lui raggiunse la massima durezza in un secondo. «Lo so.» Le prese un seno in mano, incapace di resistere. «Questo sarà meglio.» Dondolando coi fianchi, si strofinò contro il centro di lei, la carne calda e soffice che non gli opponeva resistenza. La consistenza in quel punto era divina: non c'era niente di più liscio, setoso, tenero di...

Tornò a respirare. La vista non lo aiutava a ricordarsi di prendere aria. Sdraiata, Makoto si agitava dolcemente, graffiando con una mano le lenzuola.

Lui sentì la sensazione di umido che aveva cercato, solo un goccio, ma si ritrasse quanto bastava e afferrò Makoto per la vita. Quando trovò l'incastro, fece forza sulla presa e scivolò, affondò - la stretta rovente che gli strappava un suono dalla gola.

Aprì gli occhi.

Sembrava sempre la prima volta - con le gambe di lei aperte, il suo viso travolto, conquistato, e l'interno di quel corpo che lo spremeva inconsciamente, troppo energico e femminile per starsene inerme ad aspettarlo.

Lui represse l'istinto di gettare la testa all'indietro e spingere come un forsennato. Guardò gli occhi di Makoto, il colore, la pupilla nera e larga.

Non chiuderli.

Si ritrasse ed entrò di nuovo, modellandola attorno a sé, premendo.

Lei abbassò le palpebre, tentando il controllo del respiro. Il suo petto era irrorato di sangue, i suoi capezzoli gonfi.

Lui ne sfiorò uno con due dita. «Okay.» Non seppe perché lo disse. Andava tutto bene, era ovvio. Con l'altro braccio spinse sotto il ginocchio piegato di lei, raddrizzandolo fino ad avere un polpaccio sulla spalla.

«Aspetta...»

Scosse la testa. Chiuse come poteva la connessione tra cervello e nervi del basso ventre, e con la spinta dei fianchi iniziò a imporre un ritmo.

Piano, ma non troppo. L'importante era la costanza, la resistenza. Era proprio quella che faceva fremere Makoto di disperazione.

«Gen...»

Lo so, lo so. Anzi, no.

Si fermò e, sollevando il bacino unito di entrambi, prese l'altra gamba di lei e la spostò sotto di sé. In quella posizione non poteva sedersi e doveva appoggiarsi completamente sulle ginocchia, ma non aveva importanza. Erano incastrati come due forbici. Sconvolta, Makoto piegò il torso di lato.

Lui le strinse una coscia contro lo stomaco, riprendendo a entrare dentro di lei, trovando profondità nuove e ancora più bagnate.

«Ah!» gemette Makoto. Provò a coprirsi la bocca con le dita, poi rinunciò a farlo e serrò i denti.

Lui tremò. Non l'aveva mai avuta tanto completamente, tanto bene... Rallentò il movimento e si impose un ordine. Costanza, ritmo. E attenzione, perché appena riprese a immergersi nel corpo di lei provò a capire dove fosse il punto giusto che-

Makoto ricadde con la testa sul letto, ansimando.

Lui capì di aver trovato la zona che cercava e, concentrato, la tormentò con perseveranza e forza contenuta.

Makoto spalancò gli occhi. Mise un palmo sulle proprie labbra, senza premere abbastanza da coprire i suoni. Con l'altra mano stava per strappare la federa del cuscino.

Su di sé Gen cominciò a sentire la morsa di muscoli spugnosi che si stringevano. Cambiò l'angolazione, di pochissimo, per provare a sfiorarla sul clitoride col pube.

Makoto sobbalzò col bacino, gridò. In risposta il suo ventre lo attanagliò con una tale forza che... Il nodo di muscoli si sciolse e pulsò forte intorno a lui. A occhi chiusi Gen seguì l'estasi di quel ritmo, serrando i denti, provando a non perdere.

Solo un altro po', resisti!

Lo aiutò ad andare avanti l'incredulità dei gemiti di lei, che Makoto stava provando a tenere bassi in mezzo alla corrente di follia. Erano suoni di abbandono totale, di rapimento.

Lei ne ruppe uno più alto, capitolando di nuovo, e Gen seppe che poteva lasciarsi andare. Le sue anche non gli appartennero più: cercarono più frizione, più pressione, e altro calore in lei, premendo. Dentro Makoto erano sensazioni massime: non c'era nessuna plastica a impedirgli di sentire che lei era la cosa più perfetta e assoluta, la più magnifica che...

Aprì gli occhi mentre si liberava. La vista di Makoto sdraiata su un fianco, che ancora tremando lo guardava, fu il pugno definitivo per lui, o forse la carezza finale. In lei rilasciò tensione, controllo, volontà. Se ne andò tutto quanto, salvo la soddisfazione immensa di sentire quanto di umido e denso le stava immettendo in corpo.

Con le membra prosciugate di forze, faticò a districarsi dalle sue gambe senza schiacciarla. Si aiutò con le braccia per spostarsi di lato e sdraiarsi sulla schiena.

Lo invase la più grande sensazione di benessere che avesse mai conosciuto.

Inerme, per lunghi momenti, respirò beatitudine.

Accanto a lui Makoto ansimava forte.

Qualcosa gli toccò un braccio: lei si stava spostando sul materasso.

Lui trovò la forza di voltare la testa.

Makoto lo guardava, in ansia.

«... cosa?» le domandò. Riuscì a rotolare su un fianco.

Lei aderì al suo corpo, abbracciandolo.

Gen la coprì con una mano sulla schiena. «Cosa?» domandò di nuovo. Mosse le dita sulla pelle di lei, cercando un brivido, una risposta.

«... niente.» Makoto appoggiò la guancia contro il suo petto e gli circondò un fianco con la gamba, cercando...

Lui ebbe un dubbio. «Non ti è piaciuto?» Non aveva senso.

«No, certo. Ma mi mancava... questo.»

Stare abbracciati?

Comprese. Quella era una reazione normale: le donne volevano spesso essere abbracciate alla fine, soprattutto quando il rapporto era stato intenso.

«Certo» le disse all'orecchio, combattendo contro un attacco di sonno.

Strofinò la guancia contro la tempia di lei, riempiendosi le narici del suo profumo, ora mischiato a quello di un lieve sudore. Era stato lui a causarlo.

Makoto sollevò la testa. Aveva ancora uno sguardo che si attendeva qualcosa.

Gen glielo diede con un bacio leggero, che lei continuò e aprì in un sorriso felice, finalmente appagato.

Era quella la contentezza che lui voleva vedere nel suo viso. «Ti amo» le disse.

Avendo sentito tutto quello di cui aveva bisogno, Makoto si rifugiò contro di lui. «Anche io.»

Riposarono.

  


  

Makoto terminò di versare lo strato di cioccolato sopra la torta che aveva preparato per la famiglia Masashi. Le mancava da aggiungere una spruzzata di palline bianche per creare un disegno e la scritta, "Buon compleanno, Gen!"

L'idea la faceva fremere di gioia.

In bagno l'acqua smise di scorrere. Gen aveva terminato di farsi la doccia.

Lei si era fatta il bagno solo la sera prima, ma aveva dovuto ripeterlo quella mattina. Due sessioni di soddisfacente intimità tendevano ad avere degli effetti sul fisico di una persona. Di uno si era resa conto solo di recente: la volta che lei e Gen avevano usato il preservativo, non aveva dovuto curarsi di cosa sarebbe... be', di cosa sarebbe uscito da lei dopo essere entrato. Come una sciocca, si era autoconvinta che il suo corpo avrebbe assorbito qualunque inconveniente.

C'erano altre cose che non sapeva?

Magari poteva parlarne con Rei, e soprattutto con Usagi. Forse Ami avrebbe saputo consigliarle un buon libro in merito.

Di certo Gen aveva esperienza - troppa per lei. Non si era ancora fatta un'idea chiara di cosa aveva provato con lui un'ora prima, su quel letto.

Due orgasmi, ovviamente. O forse era stato uno solo con due picchi, ma comunque l'esperienza era stata...

Strofinò le cosce tra loro, sentendole molli. Ricordava ancora l'intensità delle contrazioni del ventre, la ferocia della stretta ritmica dei muscoli.

Chiuse gli occhi.

Aveva urlato. Le mura del suo appartamento non erano spesse, i vicini potevano averla sentita.

Sprofondò nella vergogna.

Se una cosa simile si ripeteva, lei doveva... Be', innanzitutto doveva far capire a Gen come si era sentita.

Provare tanto piacere era una cosa buona, sconvolgente, meravigliosa, ma... Qualcosa in lei - una parte forte di lei - aveva preferito l'esperienza quando c'era stata meno tecnica e più sentimento. Forse per Gen c'era stato tanto sentimento comunque, ma a lei erano mancati gli abbracci, guardarlo negli occhi, baciarlo mentre non pensavano a niente nel diventare una cosa sola, stando in completo contatto.

Invece quella mattina lui era rimasto molto concentrato. Più che su di lei, sulla posizione dei loro corpi, su cosa fare e quando farlo. Era riuscito molto bene nel suo intento, ma... Non era così che lei voleva fare l'amore con lui. Quelle erano situazioni che potevano riproporre tra loro tra qualche tempo, qualche volta.

Guardò la porta del bagno.

Non voleva scontentarlo, ma ci teneva a fargli capire quanto avesse apprezzato le loro esperienze precedenti. Lei non aveva bisogno di sforzidi grandi tecniche. Trovava importante avere l'abbandono di lui, tutta la sua testa, senza immaginare nemmeno per un istante che Gen stesse consciamente usando arti che aveva imparato con altre persone.

Voleva averlo tutto per sé. Voleva essere speciale e unica ai suoi occhi, in ogni modo.

La porta del bagno si aprì. Gen uscì con un asciugamano in testa. «Anche oggi i miei capelli hanno un profumo da donna.»

La connessione la intenerì. Avere qualcosa di suo su di lui. «La prossima volta posso comprare uno shampoo da uomo.» Si bloccò.

Aveva appena detto che gli avrebbe preso qualcosa da tenere nel suo appartamento, di fatto legandolo a quella casa.

Lui non comprese i suoi dubbi. «Prendo io lo shampoo. Se c'è un buco in quell'armadio, ti lascio un cambio di emergenza, così posso venire a passare la notte qui senza troppi piani.»

Lei si alleggerì di un peso. «Pensavo che... Di solito a un ragazzo non piace quando lei cerca di parlare di cose come spazzolini, o vestiti da tenere in casa...» Gli uomini si sentivano ingabbiati.

Strofinando la testa umida con l'asciugamano, Gen rise. «Tu guardi troppi drama.»

Eh no, non era così ingenua. Quelli non erano concetti che esistevano solo negli sceneggiati. «Tu non ti sei mai sentito così?»

Gen prese la domanda sul serio. «Sì. Ma questa volta ho chiesto io un posto nell'armadio.» Si avvicinò e la baciò velocemente sulla bocca. «Se cominci a sentirti intrappolata, dimmelo.»

Felice, lei si allungò a prendergli il phon. «Ecco.»

«Grazie.» Lui fece per tornare in bagno, poi si fermò. «Ascolta... hai tempo prima di pranzo?»

Naturalmente sì, quella giornata era dedicata a lui. «Per cosa?»

«Vorrei andare al cimitero, a trovare mio padre.»

Makoto lo guardò negli occhi. Gen abbassò i suoi verso il pavimento. «Ho pensato... Voglio andarci oggi, prima di tornare a casa. Con te, se non è una cosa pesante.»

«Certo» disse lei. Aspettò di vederlo alzare la testa per sorridere. «Vengo sicuramente.»

Sollevato e ancora incerto, Gen si diresse verso il bagno. «Asciugo i capelli.»

Lei annuì e lo lasciò andare via.

  

«L'anno scorso ho ricevuto una moto per il mio compleanno» le raccontò Gen, in macchina. «Era da parte di entrambi i miei genitori, ma era mio padre a sapere quanto ci tenessi. Stavo risparmiando per comprarla. Lui mi aveva detto che dovevo farcela da solo. Poi quella mattina mi porta sulla strada fuori casa, mi dà delle chiavi in mano e mi indica la moto. Pensavo che stesse scherzando. Mi sono sentito... Come un bambino, credo. Sai, quando sei ancora sicuro che possono arrivare sorprese enormi che non ti aspetti? Man mano che passano gli anni, ti rendi conto che devi lavorare per ottenere quello che desideri, però, a volte, chi ti vuole bene riesce a farti ricordare il passato.»

Makoto annuì. Le si spezzò cuore pensando che lui aveva dovuto vendere quella moto pochi mesi dopo, per racimolare il denaro necessario per mantenere la propria famiglia. Ma a Gen non sembrava importare. Di prezioso gli era rimasto quel ricordo. Lui sorrideva pensandoci, guardando oltre il parabrezza.

«I miei hanno litigato a marzo. Erano in una fase di stagna: mia madre si lamentava che non uscivano mai, perché mio padre era sempre stanco per fare tutto quando tornava dal lavoro... Era vero, a volte lui era in coma e trovava le energie solo per mettersi davanti alla tv. Ha lavorato tanto per finire di pagare la casa. Mi ricordo di quanto i miei genitori fossero tesi allora e poi di come abbiano fatto pace. Non so in che modo.» Rise. «A partire da aprile, papà ha rallentato il ritmo. Si è preso più giorni liberi. A giugno lui e mia madre hanno fatto una vacanza di due settimane. Io sono rimasto a casa a occuparmi di Shori e Miki. Mi sentivo così adulto e responsabile.»  Il suo nuovo sorriso fu amaro, ironico.

Gen divenne quieto. «Gli ultimi mesi sono stati buoni per papà.» Si immise nella strada di ingresso al parcheggio del cimitero.

Makoto non disse niente quando trovarono posto e iniziarono a scendere calmi, senza fretta.

Fece il giro del furgone. Gen l'aveva aspettata per cominciare ad avanzare.

«Tornerò questa domenica» continuò lui. «Con mamma, Shori e Miki. Ma prima volevo...»

«Oggi è una giornata speciale.»

Gen annuì. La guardò e si accese un poco. «Tante cose sono cambiate nella mia vita.» La prese per mano. «Volevo che lui vedesse la più importante.»

Le indicò con la testa la direzione su cui incamminarsi e Makoto lo seguì.

Il cimitero era un posto vasto, sobrio e calmo. Era simile - pensò lei - al luogo in cui erano stati seppelliti simbolicamente i suoi genitori, nella prefettura in cui avevano vissuto insieme. Sua nonna riposava in un cimitero più piccolo invece, proprio lì a Tokyo.

Makoto non andava spesso a trovarla. Davanti alla lapide il vuoto che aveva sentito era stato feroce in passato, ma a nonna Junko era sempre piaciuto vederla sorridente. Makoto pensava a lei quando le cose andavano bene; le sembrava il modo più giusto per ricordarla e onorarla.

Le mancavano i suoi genitori. Nonostante tutti gli anni che erano passati, la loro morte non era ancora un evento chiuso nella sua testa. Forse perché non c'era stato un saluto, né un'avvisaglia di quello che sarebbe successo - un orribile incidente aereo. Ricordava i loro abbracci, quando poteva. Sempre più spesso immaginava di poter tornare indietro e dire loro addio, per fissarsi in testa i loro volti mentre le trasmettevano con una sola espressione quello che avevano provato per lei in dieci anni di vita.

Con Gen camminarono lungo stradine ordinate, su un percorso che lui conosceva a memoria.

«Ecco» disse infine lui, lasciandola andare e ponendosi in piedi da solo davanti a una lapide circondata da piccoli fiori colorati. La contemplò.

Makoto rimase indietro, a leggere la scritta. 

Akito Masashi

Data di nascita e di morte. Poche cifre che racchiudevano una vita colma di esperienze: amori, dolori, errori, vittorie, impegno, lavoro. L'intera esistenza di una persona che era riuscita a circondarsi di una famiglia.

Padre e marito amato

Fece un passo verso Gen e lui incrociò il braccio col suo, senza chiudere la stretta. Lei gli sfiorò le dita.

«Makoto» mormorò lui. Non si era rivolto a lei, stava facendo un discorso silenzioso.

Makoto lo sentì emettere un sospiro debole e adagiò la testa contro la sua spalla, accarezzandogli il braccio con entrambe le mani. Lui piegò la faccia verso i suoi capelli.

Lei non lo sentì piangere, ma seppe che lui lo stava facendo, che stava ricordando e sentendo, ancora una volta, il dolore per tutto quello che non avrebbe mai più vissuto con suo padre.

In piedi su quel prato, lei lo accompagnò nella sua sofferenza.

    


    

Di pomeriggio Makoto si ritrovò da sola, con una nuova piccola torta già preparata e Gen che era tornato a casa a festeggiare con la sua famiglia.

Era giusta la breve separazione, per poi rivedersi solo quella sera. Nemmeno Gen aveva capito di aver bisogno di un po' di spazio, ma Makoto lo aveva intuito al posto suo: lui aveva già fatto molto nel soffrire con lei per una perdita tanto personale.

Prese il comunicatore Sailor. Aveva voglia di parlare con... «Usagi?»

Il volto di lei apparve sul piccolo schermo. «Mako-chan! Come stai?»

Era contenta di non averla allarmata. «Scusa se sto usando il comunicatore per chiamarti, ma...»

«Figurati! Sono utili, no? Poi non mi avresti trovata in casa. Sono in giro a fare shopping!»

Oh. «Dove?»

«Qui a Juuban! Vuoi raggiungermi? Mi sto prendendo una fetta di torta al Crown.»

Non avrebbe potuto chiedere di meglio. «Sarò lì tra poco.»

«Magnifico, ti aspetto!»

    

Entrando nel locale, Makoto avvistò Usagi ed ebbe la sensazione di vedere al contempo la ragazza che conosceva e una persona nuova. Usagi Tsukino sorseggiava un frappé da una cannuccia - un gesto usuale per lei - ma guardava fuori dalla finestra, assorta e grave in volto. Aveva preoccupazioni ed esperienze che non poteva più permettersi di dimenticare.

Era passato tanto tempo da quando erano venute per la prima volta in quel posto, entrambe ragazzine delle medie oppresse da un destino più grande di loro, ma ancora spensierate.

«Usagi-chan.»

Lei la vide e si illuminò. «Makoto!» Balzò in avanti. «Che bello che tu sia qui!»

Usagi la faceva sempre sentire come se fosse un regalo alla sua giornata. «Siamo fortunate ad essere entrambe libere oggi.»

«Eh, già.» Usagi si sedette al suo fianco.. «Uno penserebbe che durante le vacanze ci sia solo tempo libero, ma Rei si sta buttando sullo studio per l'esame di ammissione, Minako è in giro a diventare una stella ed Ami... hai sentito? È in Italia

Quello sì che si chiamava un uso intelligente dei loro poteri sovrannaturali.

Usagi sospirò. «Peccato che Mamo-chan stia già lavorando, altrimenti tutti insieme avremmo potuto... Sai, nascosti in un angoletto del bosco Hikawa» si avvicinò fino a sussurrare, «noi trasformate in guerriere Sailor e pam! Teletrasporto! Ci saremmo trovati tutti nel posto dei nostri sogni.»

Makoto sorrise. «Non saremmo stati d'accordo su un solo luogo.»

«Hai ragione. Io in questi giorni ho voglia di spiaggia!»

Usagi era senza dubbio una creatura estiva. «A me invece non sarebbe dispiaciuta una baita in montagna. Magari in Europa...» Tra alte vette innevate, al caldo davanti a un camino...

Usagi rilasciò un sospiro felice. «È così bello sognare, ma soprattutto sapere di poter rendere quei sogni realtà.» Riflettendoci, lei si intristì.

«Cosa c'è che non va? Il tuo matrimonio?»

Usagi glielo confermò con un cenno della testa. «Non è una felicità completa finché sono costretta a nasconderla. Sabato ne parlerò a mamma e papà. So già che mio padre non reagirà bene, ma anche mamma ha cominciato a farmi strani discorsi... Mi ha parlato dell'importanza di aspettare e darsi tempo quando una coppia è giovane.»

Era naturale. «Non scoppieranno di felicità all'annuncio, Usagi, ma è meglio che lo sappiano comunque. Come mai state aspettando per dirglielo?»

«Mamo-chan non riesce a tornare a casa a un'ora decente in questa settimana. Lo stanno uccidendo di lavoro.»

Giusto. E, se ricordava bene, in quell'ufficio Mamoru aveva già ottenuto tutta la comprensione possibile nell'ultima settimana di dicembre - durante le battaglie - con assenze o uscite anticipate. Non c'erano alternative, dunque. «Rei mi ha detto che cenerete a casa dei tuoi sabato.»

«La sera della verità» annuì Usagi. «Mi innervosisce non poter dire niente prima. Devo stare attenta a togliere e a rimettere l'anello.» Ci giocò in quel momento, accarezzando i due piccoli diamanti. «Inoltre... Mi sembra di avere dentro questa cascata di felicità da tenere bloccata a tutti i costi. Oggi ho provato a sfogarmi con gli acquisti.»

Giusto, Makoto aveva visto i sacchetti. «Che cosa hai comprato?»

Usagi li aprì senza entusiasmo. «Cose carine, ma non speciali.» Le mostrò una camicia bianca, con un bello scollo a V, decorata con un filo rosa sul colletto. «Poi c'è questa gonnellina.» Era un capo bordeaux, la tinta unita e scura inusuale per Usagi.

«Hai bisogno di idee?» tentò Makoto. Provò a darle la sua. «Io stavo pensando di andare...» si guardò attorno, controllando che fossero sole, «ehm, in un negozio di biancheria intima.»

Usagi spalancò gli occhi. «Oh, ah! Aspetta! Dov'è Gen?»

«Ehm...» Naturalmente era stata individuata subito la ragione della sua idea.

«Voglio dire, perché non sei con lui? Oggi non è il suo compleanno?»

«Sì, siamo già stati insieme questa mattina. Adesso Gen è con la sua famiglia, ci rivedremo questa sera. Ceniamo fuori.»

Usagi rilasciò un sospiro. «Per fortuna! Pensavo che aveste litigato.»

Davano quell'impressione?

Usagi sbatté una mano in aria. «Nahh, sono io che di solito mi innervosisco in queste occasioni! Sai che non do mai il tormento a Mamo-chan, ma quando arriva il mio compleanno...»

Sì, lo sapeva. Usagi tendeva a crearsi molte aspettative, ma soprattutto a pretendere che Mamoru le indovinasse tutte.

Makoto sorrise. «Va tutto bene tra me e Gen. Solo che...»

Usagi si sporse verso di lei. «Solo che, cosa?»

Usagi sarebbe stata la voce dell'esperienza. «Ecco, ti è mai capitato che Mamoru...» No, non voleva immaginare lui, solo attingere dalla conoscenza di Usagi in fatto di relazioni. «Ti sei mai sentita come se voi due aveste vissuto insieme una cosa bella ma che ti ha lasciata... stranita?»

Serafica, Usagi sbatté le palpebre, in attesa di sentirla elaborare.

Makoto si rannicchiò nelle spalle, imbarazzata. «Mi riferisco a una cosa.... sessuale.»

Usagi spalancò la bocca, incredula.

Ehi, stava ridendo di lei!

«No, no! Non rido perché...» Usagi si fece ancora più vicina. «Wow. Così presto?»

Makoto ebbe l'impressione che si fossero comprese benissimo sull'argomento. «Già.»

«Per forza. Gen saprà tante di quelle cose...»

Era stata Usagi a chiedergli assieme a Rei quante ragazze lui avesse avuto in passato, durante una specie di terzo grado che Gen aveva accettato solo perché aveva fatto a sua volta domande sulla loro condizione di Sailor.

Usagi rimuginò. «Ma cosa ti ha fatto?»

Makoto combatté con tutte le proprie forze per frenare il rossore. «Non è... cioè, tutti e due... Era solo una posizione strana.»

«Da dietro?»

Non avrebbe mai immaginato Usagi tanto diretta su certe questioni. «Veramente...»

«La prima volta che Mamo-chan l'ha fatto, non sapevo cosa pensare. Perché era stato quasi impersonale, però-»

Sì! «Impersonale! Come se fossimo più due corpi invece che io e lui.» Ma come stava parlando?

«Ma certo.» Usagi era comprensiva. «Però, allo stesso tempo, è stato più intenso di tutte le volte precedenti, no?»

Lei non voleva pensarla così. «Intenso come sensazioni, ma come sentimenti...»

«Sei solo confusa, Mako-chan. Quando non lo guardi negli occhi, non sai cosa sta pensando lui e sei sola con te stessa. Per questo le sensazioni sono più forti: niente ti distrae. Se non lo conosci ancora bene, può sembrarti che sia solo un esercizio fisico, però... Mamo-chan mi ha detto che era come un regalo, per la fiducia che gli stavo dando. Quindi per lui c'era ancora più emozione.»

Sorpresa, Makoto valutò la nuova prospettiva.

«Ma se Gen avesse aspettato qualche altra settimana» continuò Usagi, «tu non ci staresti pensando tanto. Almeno ne è valsa la pena?»

Per il modo in cui sorrideva, Usagi sembrava già conoscere la risposta.

Makoto sentì un gran caldo al viso. «Sì, anche se non è stato... da dietro.»

«Oh. Cioè?»

Sotto la linea del tavolo, Makoto usò le dita di due mani per dimostrare.

Usagi si era sporta in avanti. «Ah, sì! Lo abbiamo fatto!»

Makoto avvampò. Dubitava che in due anni e mezzo ci fosse qualcosa che Usagi e Mamoru non avessero fatto insieme.

«In quella posizione c'è molta pressione su...» Usagi smise di parlare e rise. «Dài, ti prendo in giro! Non scenderò così nel dettaglio. Comunque non fare quella faccia: ormai sei entrata anche tu nel club di noi pervertite. Manca Minako, poi devo solo convincere Ami a lasciarsi andare e...»

Il capo di quel club sembrava proprio Usagi.

Usagi le sparò con una mano, imitando la loro amica venusiana. «Ehi, è stata tua l'idea del negozio di biancheria intima! Ed è ottima! Ecco dove posso prendere qualcosa di speciale! Magari proprio per il matrimonio.» Occhieggiò le proprie buste. «Hai fame?»

«No, ma...»

«Allora andiamo! Ti offro qualcosa per strada, ho deciso cosa voglio prendere!»

Ridendo, Makoto si ritrovò trascinata fuori dal Crown.

    

Era entrata una sola volta in quel negozio. L'aspetto sofisticato le aveva fatto pensare a prezzi elevati, ma soprattutto a uno stile lontano da lei: in passato non le erano serviti capi sensuali, fatti per attirare l'attenzione. Solo di recente aveva provato qualche acquisto azzardato in fatto di biancheria, una scelta vincente: almeno aveva avuto qualcosa da indossare durante la sua prima notte con Gen.

Oltrepassò le porte, curiosa, ammaliata dai colori tenui e dalla disposizione ordinata degli indumenti. Ogni modello aveva il suo stand e perciò risultava ancora più prezioso alla vista. Provò a guardare qualche etichetta, controllando le taglie. Le sue speranze si infransero contro un muro di delusione. Si era dimenticata del suo solito problema: non era semplice trovare biancheria intima della sua misura.

«Coppa D?» La commessa fece una smorfia davanti alla domanda. «Non abbiamo molto qua fuori, ma forse in magazzino...»

Quasi sicuramente neanche in retrobottega avevano qualcosa, ma Makoto volle tentare comunque. «Se potesse aiutarmi...»

«Vedo cosa posso fare.» Solerte, l'addetta al negozio sparì.

Makoto si unì a Usagi. Deliziata, lei toccava tutti i modelli; poteva permettersi di indossarli.

«Ah!» Usagi teneva tra le mani un reggiseno di pizzo azzurro. «Com'è carino questo!»

«Sicuramente ti sta.» Makoto era invidiosa.

Usagi notò il suo sospiro. «Come mai questa voce?»

«Scusami, è solo che... mi piace tutto, ma non mi entra quasi niente. La commessa è andata a vedere se trova qualcosa per me.»

«Ohhh.» La delusione di Usagi fu quasi pari alla sua. Poi le guardò il seno. «Be', pensandoci, non è facile compatirti.»

Makoto si imbronciò. «Non ha senso che sia bello se non posso vestirlo bene.»

«Su, ogni donna ha qualcosa per cui soffrire! A me stanno tutti questi» Usagi le indicò con la mano larga ogni reggiseno del negozio, «ma continuo a desiderare che mangiando mi cresca la ciccia sul petto. Poi ci sei tu che non hai bisogno di altro volume, ma desideri ardentemente modelli che ti donino e che non trovi.» Usagi si accese come una lampadina. «Chiama Ami!»

«Eh?»

«All'estero la tua taglia non è più comune? Chiedile di prenderti qualcosa come souvenir!»

Oh. Magari non come souvenir, ma se avesse detto ad Ami che le rimborsava la spesa... Già, l'idea di Usagi era geniale. «Hai ragione!» Lo avrebbe fatto una volta tornata a casa.

Usagi stava già pensando ad altro. «Hai visto se c'è una parte dedicata ai corredi da sposa?»

Le sembrava di aver visto molto bianco su una parete. «Là sul retro.»

Usagi sgusciò via proprio mentre tornava la commessa. 

«È il suo giorno fortunato!»

Makoto non credette alle proprie orecchie. «Davvero?»

La signorina annuì. «La nostra nuova manager ha deciso di variare il campionario. Ha la sua stessa taglia, sa? Ha pensato di specializzare il nostro negozio offrendo una maggiore varietà nella dimensione delle coppe.»

Oh! Se le avesse fatto vedere qualcosa che non fosse di cotone e a tinta unita, avrebbe fatto di lei una loro cliente per la vita! 

La commessa la condusse al bancone. «Sono solo una decina di modelli, ma spero che siano di suo gusto.»

Per Makoto dieci era come dire mille.

Quando avvistò il modello in seta nera con fili d'argento, seppe di aver trovato quello che faceva al caso suo.

         

«È proprio bello» Usagi guardava con aria sognante il suo sacchetto chiuso.

«Lo so.» Raramente Makoto era stata tanto soddisfatta di un acquisto. «Anche il completino che hai preso tu è bellissimo.»

«È solo il primo di una lunga serie.» Usagi sollevò il pugno in aria, poi si sgonfiò come un palloncino. La sua andatura perse la cadenza del salto e Makoto seppe che stava per sentire qualcosa di serio da lei.

«Tutti i soldi che ho vengono da qualcun altro, sai?» Usagi guardò mesta il marciapiede. «Se li finisco, l'unica scelta che ho è chiederne altri. Non li ho guadagnati.»

Era normale, lei era ancora giovane.

«Mi sto per sposare, Mako-chan. Dovrei essere in grado di mantenermi da sola almeno per le piccole spese.»

 Questo era vero. «Stai pensando di trovare un lavoro?»

«Luna dice che non è una buona idea adesso. Sarò impegnata a organizzare il matrimonio, però...» Usagi scosse la testa. «Non lo so, ci devo pensare. Mi sembra importante cambiare la mia situazione.»

«Quando andrai all'università, avrai più tempo.»

«Hai ragione.»

Makoto ebbe voglia di abbracciarla. «Sei matura già nel capire l'importanza di lavorare.»

«Ma è giusto che stia pensando solo a me stessa? Dopo tutto quello che è successo?»

Aveva davanti una futura regina ora. «Hai sacrificato tanto. Hai bisogno di riconquistare un po' di serenità.» Le massaggiò la schiena. «Non c'è qualcosa che adesso tu possa fare per il mondo, perciò non c'è niente di male se pensi a rilassarti e al matrimonio che sogni da sempre.» Guardò Usagi negli occhi e per un momento, ancora una volta, non le parve vero. «Usagi-chan. Stai per sposarti.»

Riaccese la gioia di lei. «Ti ricordi?» Usagi tremò col sorriso. «Quella volta abbiamo comprato una rivista per spose; abbiamo commentato le pagine tutto il pomeriggio!»

Makoto aveva in mente quella giornata lontana come se fosse ieri. «Adesso per te è un desiderio che sta diventando realtà.» Chiuse Usagi in un abbraccio forte. «Te lo meriti. Tra qualche giorno penserai al resto, ma per ora... permettiti di essere felice.»

«Non farmi piangere!»

Si staccarono ridendo, con Usagi commossa. «Non voglio essere la sola che sta bene! Ci ho pensato e ho capito meglio cosa volevi dirmi prima.»

Oh? Si riferiva al discorso a...?

«Imponiti, Mako-chan!»

«Eh?»

«Scommetto che stai cercando di essere tanto dolce e carina con Gen. È il tuo solito blocco, ma tu sei più di questo! Non frenarti, mostrati come sei. Vedrai che così ti sentirai padrona della situazione. Farai cose ancora più perverse senza vergognartene!»

Makoto controllò disperata i loro dintorni. «Shh!»

Usagi ridacchiò. «Mi ascolterai?»

«Ah...» Se l'aveva capita bene, sì, ma... «Non è che mi freni di proposito.»

«Certo, certo. Lui ha più esperienza, ma tu hai forza di volontà. Inoltre, ora sai quanto possa essere piacevole essere sopraffatta dalle sensazioni. Fallo a lui.»

Makoto ebbe un ricordo e si leccò un labbro. «In realtà...»

Usagi spalancò gli occhi. «Lo hai già fatto?»

Be', sì. «Durante la prima notte.»

La risatina di Usagi fu deliziosa. «Ti ho sottovalutata!»

Nelle vene Makoto sentì scorrere una sensazione di potenza quasi dimenticata. «Hai ragione. Ascolterò il tuo consiglio.»

«Ascolta solo la tua natura. Stanotte vinceranno le donne!»

Makoto preferì non chiederle cosa volesse dire. Rise e continuò la sua passeggiata con lei.

     


      

Rivedendo Makoto quella sera, Gen rimase senza parole. Sotto il capotto nero, che sottolineava la vita, non vedeva niente del corpo di lei, ma nella luce della sera risaltava il rossetto rosso che Makoto aveva messo sulle labbra. Lei aveva sciolto i capelli e i suoi occhi verdi sembravano più accesi e brillanti circondati com'erano di scuro.

Quando fu a pochi centimetri da lui, Gen si aspettò di vederla arrossire e abbassare lo sguardo, ma Makoto lo fissò in aperta contemplazione. Gli mise una mano sulla spalla e lo fece chinare, per baciarlo su una guancia. Il colore della sua bocca sottolineò il suo sorriso. «Ho portato una cosa» gli sussurrò.

Lui non smise di guardarla in faccia. 

Lei gli mise davanti agli occhi un piccolo panno. Glielo appoggiò sulla guancia, strofinando piano la superficie umida contro la sua pelle.

«Per pulirti quando servirà.» Makoto tirò fuori anche un piccolo tubo decorato, il rossetto incriminato. «Questo invece è per sporcarti.»

Gen si fece rigido nei lombi. «Ah-ha.»

Makoto sorrise, tornando se stessa. «Dove andiamo?»

«Di sopra?»

Lei scosse la testa. «Dopo.» Sollevando le braccia, gli fece vedere i sacchetti di carta voluminosi che lui non aveva neanche notato.

«Qui ci sono il tuo regalo e la nostra torta. Andiamo a scartarli in un ristorante.»

Infatti lui ne aveva scelto uno, ma in quel momento... Chiuse gli occhi e provò a far funzionare il cervello. «Va bene, andiamo.»

Mentre si voltava per fare il giro del furgone, Makoto lo afferrò per un braccio. «Ti ho colpito?»

Lui adorò quella domanda. «Sì.» Si chinò per avere un bacio, ma Makoto si ritrasse.

«Pazienza.» Lei risplendeva. «Sarà tutto migliore con un po' di attesa.»

Incredulo, Gen le aprì la portiera. Makoto stava cercando di... conquistarlo.

Cercando di non farsi vedere, sorrise felice mentre si dirigeva dalla propria parte della macchina.

    

«Sei tu a tuo agio qui» le disse, seduti al tavolo del ristorante. Era un posto tranquillo, che fino a quella sera lui aveva visto solo dall'esterno. L'atmosfera del luogo gli era parsa giusta quando un pomeriggio, fermo a un semaforo, aveva visto due tavoli dalle finestre, entrambi occupati da coppie diverse in età e aspetto, simili solo nell'atteggiamento casuale con cui si concentravano sul partner che avevano davanti. Un posto per coppie, aveva pensato, e gli era venuta subito in mente Makoto.

Aveva provato a descriverle sommariamente il tipo di ristorante. Lei ora si adattava al luogo meravigliosamente con il vestito semplice, nero, che le avvolgeva il corpo.

«Sembra che sia a mio agio?» ripeté Makoto, tagliando con delicatezza la carne sul piatto. «Mi piace sentirmi diversa a volte.»

Più che diversa, lei gli sembrava solo nuova. Ogni volta che credeva di averla capita, e di essere contento di quello che aveva trovato, veniva sorpreso con la visione di un altro lato di lei che ancora non comprendeva.

La luce negli occhi di Makoto non era cambiata. «Non sembra che io stia recitando?»

Gli piaceva sedare quell'insicurezza. «No.»

«Non ho avuto molto a che fare col mondo degli adulti... Ma poi penso, 'Sono adulta anche io ormai'. Quindi oggi ho voluto mettermi queste cose che mi fanno sentire... come sono quando mi trovo con te. Grande.»

Lui si riempì. Di cosa non lo seppe, ma 'amore' era una parola troppo blanda. «Lo sei.»

Makoto sorrise. «Lo vedo quando mi guardi.»

Lei passava dall'incertezza a un tono da seduttrice nata che gli stava facendo venire voglia di chiedere velocemente il conto.

Guardò il proprio piatto mezzo pieno e si affrettò a terminare di mangiare.

«Oggi mi sono vista con Usagi.»

La ascoltò. 

Makoto rifletté tra sé. «Lei sta cercando di pensare ai problemi di tutti i giorni, al suo matrimonio... Ma si sente in colpa per non preoccuparsi di cose più serie.» Makoto sapeva già che i tavoli accanto a loro erano occupati, perciò non entrò nei dettagli. «Mi ha fatto pensare. Forse c'è qualcosa di sbagliato nel modo in cui voglio affrontare i prossimi tre anni della mia vita.»

Gen la fissò.

«Aprirò la pasticceria» gli confermò Makoto. «Ma non so ancora di preciso cos'altro fare per prepararmi a quello che verrà dopo. Non vorrei continuare ad agire come se, dimenticandomene, sarà tutto a posto alla fine.»

Non c'era un commento che lui avesse da offrire su quella faccenda.

Makoto studiava la sua reazione. «Non ne parlerò molto con te in futuro. So che...»

«Non hai bisogno di evitarlo.» Lui non era così debole.

Makoto comprese la sua disposizione sull'argomento. «Ci penserò ogni tanto. A volte vorrò parlarne. Siccome non avrò il ruolo di Usagi e non ho capacità di comando come Rei, o l'intelligenza di Ami... non sarà una cosa che entrerà tanto nella mia vita. Non ho neanche la presenza di Minako, perciò... dovrò trovare un mio posto all'interno di questo futuro. Questo non cambierà la mia esistenza di tutti i giorni, per adesso. Forse sarò solo una ragazza che comincerà a leggere molte riviste e a guardare programmi politici noiosi e complicati.»

«Posso subire questa tortura con te.»

«Avrò paura di opprimerti, Gen. Ma mi sembrava giusto parlarne, almeno una volta.»

Se serviva a tranquillizzarla, lei aveva fatto bene. «Non mi sottovalutare.»

«Non è così.» Makoto scosse la testa. «È solo una cosa che volevo dire. Io sarò anche tutto questo in futuro, nel bene e nel male.»

«Nel bene» precisò lui.

Lei fu felice. «E tu? Stai finendo il terzo anno. Comincerai a cercare un lavoro nel tuo campo?»

Makoto stava cambiando argomento. Gen lo accettò. «Col rimborso dell'assicurazione la mia famiglia è al sicuro ora. Ma c'è la ditta di mio padre. Ci sono Watanabe, Sato e Nakamura. Devo trovare qualcuno che mi rimpiazzi nel gestirli.» Il pensiero non era piacevole come aveva pensato un tempo.

«Ti sei affezionato al lavoro? A loro?»

«Li conosco da una vita. È strana l'idea di lasciar andare... questo.» Un altro pezzo di suo padre, la ditta che lui aveva tirato su dal nulla e gestito per vent'anni.

«Datti tempo.»

Sì, aveva bisogno di capire cos'era meglio fare. Voleva sentire di prendere la decisione giusta per le persone di cui si era reso direttamente responsabile. «Devo pensare a loro.»

Makoto si incuriosì. «A loro tre va bene? Non ti hanno mai visto come un bambino? In questi ultimi mesi, voglio dire.»

No. «È successo in fretta. Sono andato a sostituire mio padre quattro giorni dopo che lui se n'era andato. Non c'era nessuno che sapesse posare un parquet e io avevo bisogno di qualcosa da fare. Loro, di qualcuno che li guidasse. Andava bene chiunque a quel punto: mio padre non era solo il loro datore di lavoro, erano amici da anni. Serviva normalità. Senza parlarne, ho presto il suo posto e abbiamo provato ad andare avanti come se nulla fosse cambiato.» Loro lo avevano sostenuto, senza saperlo.

«Sei stato molto bravo.»

Avrebbe dovuto suonargli banale come complimento, ma gli sembrò di sentirlo dire da un'altra voce - maschile e più adulta - e si ritrovò con un groppo duro alla gola.

Addolorata, Makoto cercò il suo sguardo. Lo incrociò e provò a sorridere. «Ho un negligée sotto il vestito.»

Gli sfuggì una risata incredula. «Cosa?»

Lei arrossì. «Non so se si chiama così perché è corto, comunque... l'ho comprato oggi. L'ho indossato.»

I pensieri di Gen virarono in una direzione completamente nuova. «Ah-ha.»

Makoto afferrò la confezione in cui aveva chiuso il suo regalo, usandola per coprirsi il petto. «Prima devi aprire questo. E dobbiamo mangiare la torta.»

«Non sto dicendo niente» sorrise lui.

Lei era divertita. «Non hai bisogno di farlo.» Appoggiò il regalo sul tavolo. «Spero che ti piaccia. Ma se ho sbagliato, la prossima volta farò meglio.»

«Non hai sbagliato.»

«Come fai a saperlo?»

«Quel regalo fa il rumore di matite che sbattono l'una contro l'altra. A meno che non sia un set per colorare...»

Lei si disperò. «Non è giusto! Hai già capito!»

Non era un problema. «Farò la faccia sorpresa quando lo apro. Tu tieni pronta una di quelle salviette, dovrai pulirmi la bocca. Non sto bene col rossetto.»

Makoto ridacchiò e lui fu contento. Quello era davvero uno dei migliori compleanni che avesse mai trascorso.

Non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio.

     

Nella strada verso casa, con Makoto fecero un gioco: sulla bocca non erano permessi baci, solo sfioramenti e respiri. Il collo invece era territorio libero. Fuori dalla porta di lei, Gen le massaggiò la base della nuca con le dita, solleticando con le labbra la pelle sotto il suo orecchio. «Perché non apri la porta?»

Makoto non stava girando la chiave. «Mi distrai.»

Lui rinnovò i propri sforzi.

Lei riprese il controllo della mano e fece scattare la serratura. Entrando in casa, lo tenne lontano con le dita aperte sul petto, accendendo la luce. Si sfilò il cappotto, appendendolo veloce alla parete. Non smetteva di guardarlo e di sorridere mentre toglieva le scarpe coi tacchi, perdendo quei pochi centimetri che l'avevano resa ancora più accessibile per lui.

Gen tolse a sua volta la giacca e si liberò dei mocassini in cuoio. L'attesa era migliore quando stava per essere annullata.

Avanzò mentre Makoto indietreggiava.

«Fino a dove scapperai?» le domandò.

Lei scrollò le spalle. Rise nell'abbraccio con cui lui la prese e il bacio che seguì... Gen si sporcò di rosso tutta la faccia, volentieri. La cosa che lo eccitò di più non fu il sapore, ma i suoni che fece Makoto - respiri spezzati, gemiti sommessi che trasmettevano tutto il desiderio di lei. Il suo corpo era morbido, perfetto contro di lui. Si focalizzò sulle gambe di lei - che non aveva mai dimenticato - e con due mani cercò l'orlo della sua gonna, sollevandolo piano, accarezzando la carne nella salita.

Makoto si allontanò di nuovo, con una macchia di colore sbiadita sulla bocca.

Sfatta di passione, lei era tremendamente bella.

Camminando all'indietro Makoto salì sul letto e lo invitò ad avvicinarsi. Lui non se lo fece ripetere due volte e la raggiunse.

«Usa solo le mani» gli disse lei.

Un piccolo ordine che lo infiammò ancora di più.

Acconsentendo a tenersi distante, riportò le dita sulle sue gambe, tirando su la gonna, lentamente. Voleva godersi il momento.

Gli venne un infarto alla vista delle autoreggenti. Makoto si frenò dal dire qualcosa - una giustificazione, forse. Ma quelle erano calze normali e lui non avrebbe mai pensato che finissero sotto la coscia, dove erano la cosa più sexy ed eccitante che... Cambiò idea quando le alzò il vestito oltre la vita, scoprendo degli slip di seta neri, con un piccolo gioiello sul ventre. Il tessuto era identico sul negligée che dal petto si apriva a metà sul suo stomaco, in due lembi volanti.

Makoto terminò di spogliarsi da sola, sostituendosi alle mani che lui aveva lasciato ferme sulla sua vita. Accettò una carezza sul ventre, rimanendo ferma.

Travoltò, Gen provò a farla sdraiare, ma lei si oppose. «No.» Premette sulle sue spalle e li tenne entrambi dritti. «Prina togliti i vestiti.»

Lui si liberò di camicia, cintura, pantaloni e calze in un tempo inferiore ai sette secondi.

Makoto rise di gusto. «Così va meglio.» Aprì le braccia e lo accolse. Sul letto ribaltò la loro posizione e gli cadde sopra.

Lui respirò l'odore dei suoi capelli. «Sei così buona.»

«... come persona?»

«Buona da mangiare.»

Makoto rise e si sollevò su di lui, seduta. Allungandosi di lato, accese la lampada e spense la luce sul soffitto.

Gen le accarezzò il ventre; l'ombelico era incorniciato da quel meraviglioso indumento aperto agganciato alle spalle da due fili neri, i seni sostenuti da un reggipetto nero. Makoto portò un braccio dietro la schiena e fece saltare il gancio. «Con questo negligée bisognerebbe dormire» mormorò, abbassando delicatamente le spalline del reggiseno, facendo attenzione a non lasciar scendere la camiciola. «Ma non potevo andare in giro senza niente sotto.»

Il pensiero di lei seminuda gli tolse il fiato. La afferrò forte sui fianchi mentre Makoto si gettava alle spalle il reggiseno scuro. Lei si abbassò e i suoi seni liberi lo sfiorarono sul petto. Solo quel che le rimaneva addosso del negligée separava le loro carni. 

Makoto gli passò le dita tra i capelli. Sospirò mentre le mani di lui la percorrevano lungo il torso, salendo. «Aiutami a togliere le calze.» Seduta su di lui, portò le gambe verso le sue spalle, appoggiandosi con tutto il peso del bacino proprio sul suo basso ventre.

Lei notò la sua reazione. «È piacevole?» Dondolò coi fianchi sul rigonfiamento di lui.

Per Gen parlò la bocca aperta.

Senza dire niente, lei portò le mani alla fascia scura della calza sulla gamba destra; cominciò a srotolarla verso il ginocchio.

Lui la aiutò con l'altra gamba, passandole le mani sulla coscia, scendendo sul polpaccio. A piede libero le massaggiò la pianta col pollice, causandole un sorriso.

«Soffri il solletico?» le domandò.

Ricordò l'ultima volta che l'aveva toccata in quel modo, per guarirle la ferita causata da un coccio di ceramica.

«Non lì.» Makoto ritrasse la gamba e si sollevò in ginocchio su di lui. Per la prima volta, sembrò incerta. «Voglio fare una cosa.»

Gen teneva le dita sull'elastico dei suoi slip. Lei poteva pretendere il mondo in quel momento. «Cosa?»

«Questa volta voglio essere io quella che si muove.»

Se l'aveva capita bene, l'idea era geniale. «Certo.»

«Guidami, ma con le parole.» Makoto infilò un dito sotto l'elastico dei propri slip, trovando il proprio centro. A gola secca lui si unì a quella carezza, lei che sospirava e cominciava a muoversi contro la sua mano, facendosi sentire per intero, bollente e già un poco umida. Makoto si adagiò piano sopra di lui, provando a togliersi confusamente le mutandine. Gen non la aiutò, continuando ad accarezzarla tra le gambe.

Con un sorriso spezzato, lei imprigionò la sua mano accanto alla testa. «Faccio io.» Lo baciò. Lui affondò nel calore delle sue labbra, della sua lingua, finché il palmo di lei non lo trovò sull'erezione e massaggiò. A occhi aperti sentì che Makoto passava a baciarlo sulla guancia, strofinandoglisi addosso con tutto il corpo mentre non smetteva di stimolarlo.

Lei cominciò ad abbassargli i boxer. «Tira su il sedere.»

Divertito, lui eseguì e cooperò con lei per sfilare l'indumento, finché giunti alle ginocchia ci pensò da solo.

Makoto si sollevò sulle braccia. Era nervosa, ma non disse una parola mentre si sbilanciava all'indietro e lo prendeva in mano, aprendosi per trovare il punto giusto di contatto, la propria apertura - in quel momento il regalo più intimo che potesse fargli.

Qualunque cosa farai, andrà bene. Lo avrebbe detto a voce in un'altra occasione, ma la vide così determinata che non le fece il torto di rassicurarla o darle consigli. Makoto era dotata di un istinto naturale che doveva solo scoprire.

Anche lei resistette all'uso delle parole. Lo accolse nel proprio ventre, abbassandosi piano.

Entrambi strinsero i denti.

Makoto aveva pensato che si sarebbe sentita al comando, forte, ma in quella posizione era più scoperta e disarmata che mai.

Va bene? Una donna sensuale, che conquistava, non lo avrebbe chiesto.

Studiò la sensazione di avere Gen in sé, col peso del proprio corpo che premeva su entrambi. Non riusciva ancora a racchiuderlo completamente; per quel minimo di esperienza che aveva acquisito, sapeva che ci voleva più insistenza per trovare un'unione completa. 

Si sollevò su di lui e scese di nuovo. Era eccitante vedere come Gen la guardava.

Ora ci riesco. Con una terza spinta verso il basso fece aderire completamente i loro bacini, una scoperta che la sconvolse.

Si era sentita come punta.

Forse, se andava avanti col peso...

Lo strofinio sulla parte alta tra le gambe le fece sfuggire un ansito.

Aprì gli occhi.

Aveva il controllo di quel piacere, ma anche di Gen che quieto, appassionato, la osservava. Per lui quell'ultimo movimento non era stato altrettanto sconcertante.

«Fallo ancora» le disse lui. Poiché le aveva chiesto di guidarla, Makoto obbedì, dondolando coi fianchi.

Serrò le palpebre mentre la mano di Gen la aiutava a sostenere il peso del torso premendo su un suo seno, le altre dita che la cercavano sullo stomaco. Sorrise e gemette quando lui la stuzzicò sull'ombelico.

«Qui invece provi solletico?»

Lei annuì a bocca aperta, spostandogli la mano. Portò il suo palmo alle labbra, baciandolo.

Incapace di fermarsi, assaggiò la delizia estrema dello sfregamento tra i loro corpi, dentro e fuori, trovando un ritmo con le ànche.

Guardò Gen. Osservandolo in viso trovò la volontà per smettere.

«Perché?» domandò lui.

Lei appoggiò le mani sul suo stomaco. «Non sono io che devo impazzire.»

Si sollevò e scese su di lui. Come premio ebbe il modo in cui Gen si tese. Inglobandolo di nuovo, fu attenta a stringerlo forte coi muscoli. Lui scattò ad afferrarle i fianchi, ma lei proseguì senza sosta, aumentando il ritmo quando lo vide gettare all'indietro la testa. Bramosa, si sporse in avanti e lo mordicchiò sul collo.

Gen la prese per la vita, per capovolgerla, ma Makoto usò la propria forza e mantenne entrambi dove stavano, lui soggiogato e a sua completa disposizione. «Senti com'è» mormorò, stringendolo dentro di sé, per fargli capire quanto potere avesse su quello che lui provava. Quelle sensazioni erano sue; lei poteva esaltarle, comandarle, per non farlo più pensare a niente.

Non lo fermò quando iniziò ad agitare i fianchi, sollevandosi a ritmo con lei. Fu una reazione istintiva, naturale, che la fece fremere in risposta.

Provò a chiudere gli occhi.

Sentì le mani di Gen sul torso, che prendevano quella specie di negligée di seta, sollevandolo fino a toglierglielo da sopra le braccia. Lui riprese a dondolare con lei, le mani strette sui suoi seni.

Makoto riuscì a mantenere un minimo di manovra, ma erano in due a muoversi ora e gli strofinii contro il proprio bacino si trasformarono in piccoli colpi, mentre le dita di lui sui capezzoli... Invece di opporsi, si abbandonò e fece pressione su ogni spinta.

Sentì la tensione di Gen, che sotto di lei diventava rigido come una tavola prima di afferrarle i fianchi e muoverla scompostamente assieme a lui.

L'orgasmo la colpì feroce, rapido. Trovò immensa soddisfazione nella possibilità di cavalcare al massimo ogni ondata di piacere, con quasi totale libertà di movimento.

Le spinte si quietarono.

Gen era... stravolto. Tremava, ma lei non ebbe pietà e continuò a strofinarsi su di lui, per spremere gli ultimi brividi. Senza fiato, lui accennò a ridere.

Lei si sollevò dal suo corpo. Senza accorgersene gli cadde accanto, più stremata di quanto aveva pensato. Sorrise contro la sua spalla, impossibilmente appagata.

«Sei una potenza» fu il complimento di Gen.

Lei cominciò a sussultare per le risate. 

Lui si adagiò sul fianco. «Dico sul serio.»

«Lo so.»

«Quando ti dai da fare...»

Non c'era bisogno di lodarla tanto. «Anche tu.» Lo baciò leggera sulla bocca e cercò un abbraccio, ubriaca di felicità. Con due dita gli scostò i capelli dalla fronte lievemente umida.

Sedato, Gen la studiava. «Perché stamattina non eri così?»

«Mi hai sorpreso.»

Adorava il modo in cui stavano parlando, a bassa voce, chiusi in un mondo loro.

«Era solo questo?» indagò Gen.

Mentre lo aveva davanti, lei esplorò la profondità di dubbi che aveva cercato di non vedere dentro se stessa. Confessò. «Voglio che tu mi stringa e che mi guardi. Sempre.»

«Ti guardavo, Makoto.» 

«Devi perderti con me quando siamo insieme.» Come succedeva a lei. «Non pensare tanto, non usare tecniche... Non troppe» sorrise. «Amami quando sei con me.»

Gli causò una smorfia di sofferenza. «L'ho fatto. Tutte le volte.»

«Stamattina... amavi quello che stavamo facendo.» Naturalmente ne era innamorata anche lei, ma... «Non sono ancora pronta per...»

«Okay. Ma ho sbagliato a non farti capire, non a...» Gen intrecciò gli occhi coi suoi e concentrato parlò. «Adesso, che respiriamo. Prima, mentre ci muovevamo. È come non smettere mai di ballare con te. Sono cosciente di quello che fai, di quello che senti. Nella mia testa non ci sono più solo io, è sempre una cosa... doppia. Tienilo a mente.»

Era finita in un mare, pensò Makoto, una landa mobile di felicità che la cullava nelle proprie onde. E non era sola.

Abbassò le palpebre e appoggiò la fronte contro quella di lui. 

Il freddo della stanza cominciò a farsi sentire. Si abbracciarono per tenersi al caldo.

«Non ho tanto sonno.»

«È presto» sbadigliò lei. «Abbiamo mangiato da poco.»

«Tu hai sonno.»

«No. Questo è... rimbambimento.»

«Cosa?» sorrise lui.

«Ha un nome? Lo conosco da poco, perciò lo chiamo così.»

«Non so se ha un nome. Quello che gli hai dato è buono.»

Makoto lo guardò in faccia e scoppiò in una risatina. 

«Cosa?»

«Il rossetto.»

Lui le strofinò una guancia. «Anche tu ce l'hai.»

«Aspetta, prendo lo struccatore.»

«Non ti alzare.»

«Solo un attimo.»

Quasi saltellando, Makoto andò in bagno. Prese il liquido struccante, dei dischetti di cotone e infine... Felice, annodò attorno al polso l'elastico per capelli. Tornò indietro. «Non è stato facile evitare di farmi una coda stasera.»

«Stai bene.»

«Sono abituata a tenere i capelli legati. Inoltre...» Gli mostrò la banda con le due sfere verdi. Era stato lui a regalargliela, un mese prima. «Mi piace ancora di più farmi la coda da quando ho questo laccio.»

Gen soffrì, diviso tra tenerezza e rimorso. «Devo farti regali migliori.»

«Era il primo.» Terminò di pulirlo sulla bocca, poi passò a togliere le tracce di colore dal proprio viso. Tornò a sdraiarsi accanto a lui. «Rimarrà un regalo speciale.»

Lui provò a ricordare. «Mi sentivo in colpa. Stavo cercando di non farti pensare che ero stato un idiota.»

Perché l'aveva gettata a terra in combattimento? Inconsciamente, era stato allora che lei aveva cominciato a considerarlo come un potenziale fidanzato. «Io stavo cercando di non pensare che eri giusto per me. Non volevo accorgermene.»

«Ah, sì?»

«Sei stato bravo a insistere.»

«Modestamente...»

Makoto appoggiò la testa sul suo petto. Sul cuore di lui aprì una mano che Gen prese.

Con le dita danzarono un lento privo di ritmo, colmo d'intesa.

"È come non smettere mai di ballare con te."

Al ricordo di quelle parole, innamorata, si addormentò.

   

  

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno - FINE

     


  

 

NdA: in ritardo, ho finito questo episodio. Mi piace, è venuto come volevo, come lo immaginavo da tanto tempo, quasi da quando Makoto e Gen si erano appena messi insieme.

Dedico questa storia a chi ha amato questa coppia come me. In particolare ricordo Rox, thembra, Morea. Ma sento che sto dimenticando qualcuno (perdonate, è l'ora, l'una del mattino) e se è così sappiate che voglio citarvi tutti quanti. Questi due sono insieme, con questo entusiasmo e questa passione, anche grazie a voi, perché da principio con Gen ero convinta di aver creato un personaggio maschile semi-stereotipato, che ho imparato ad amare anche grazie a come me lo avete fatto vedere voi.

Un bacio.

ellephedre

 

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Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno

 

Ogni volta che guardava la rosa rossa, Makoto sospirava. Ne accarezzava i petali, si avvicinava per odorarne il profumo. Ricordava le labbra di Gen sulle proprie mentre tenevano insieme lo stelo del fiore, attenti e delicati per non pungersi, nascosti in un angolo della serra.

Era stato un momento perfetto, romantico come lei non avrebbe mai potuto immaginare.

Tutto il loro appuntamento speciale di quel martedì era stato magnifico. Avevano chiacchierato per ore camminando tra i padiglioni della fiera a cui lui l'aveva portata, mentre rimiravano piante e mobili. Makoto aveva osservato il mobilio incantata, Gen con occhio più clinico. Lui si era portato dietro un blocchetto in cui aveva riprodotto i pezzi che aveva preferito, discorrendo poi della qualità di materiale e forme. Era attento quando si trattava di ciò che poteva creare con le mani; non c'era dettaglio che lasciasse al caso.

Nella parte botanica dell'esposizione, la gioia era stata tutta di Makoto, ma Gen era stato contento di seguirla. Aveva azzeccato il posto in cui portarla e la sua gioia si era mischiata a una buona dose di fierezza.

'Ho scelto bene, sono stato bravo'.

Makoto glielo aveva letto in faccia più volte e ne aveva sorriso senza farne un segreto. Preso in giro, Gen aveva scrollato le spalle e l'aveva baciata tutte le volte che lei si era trovata in bocca una battuta.

Makoto amava i baci, soprattutto quelli che si erano dati quel giorno. Sfioramenti di labbra morbidi, con assaggi accennati che preludevano a un'intimità a cui non si erano potuti lasciare andare in pubblico. La sensazione di piacere era stata più intensa del normale, il desiderio più dolce e languido nella sua mente. Per lei quell'eccitazione era rappresentata dalla rosa, che era riuscita a mantenere sana e vivace da quando Gen gliel'aveva regalata.

Se solo avesse avuto più spazio sul davanzale della finestra, avrebbe comprato un vaso intero di quei fiori.

Per il futuro, decise, voleva un appartamento con balcone. La sua casa le era sempre piaciuta, così come la sua vita, ma... Ora era diventata avida di felicità e voleva di più. Se lo sarebbe guadagnato con la pasticceria che avrebbe aperto. Con duro lavoro, creatività e impegno, avrebbe raggiunto i suoi obiettivi.

I lavori nel locale erano ultimati, perciò era tempo di dedicarsi alla decorazione degli ambienti - una delle attività più divertenti che lei potesse immaginare. Le piacevano gli oggetti carini, aggraziati. Quelli per il suo negozio dovevano dare un'idea di accoglienza e semplicità. Avrebbe trascorso molti pomeriggi a cercarli, dopo la scuola.

Sospirò.

Aveva ancora diversi compiti da completare prima della fine delle vacanze. Il giorno precedente era riuscita a finire solo la metà degli esercizi di inglese che le erano stati assegnati.

Concentrò l'attenzione sulla lama della forbice che impugnava in mano e lisciò l'intera lunghezza del nastro che aveva avvolto attorno al pacco, arricciandolo dalla base fino alla punta.

Perfetto. Aveva incartato bene il regalo di Gen.

Il telefono squillò.

Makoto andò a prendere il cordless, un occhio puntato sul tavolo in cui aveva lasciato la scatola incartata. Non era sicura di aver azzeccato il regalo; poteva solo sperare in bene.

Premette sul tasto di risposta. «Pronto?»

«Ciao.»

«Rei» sorrise. «Tutto bene?»

«Certo. Ti chiamavo per parlarti del compleanno di Hotaru.»

Ah, giusto. «Quindi Hotaru-chan rimarrà qui a Tokyo per il sei?»

«Sì. Ne ho parlato con suo padre e lui è d'accordo. Ci vedremo di mattina per festeggiare.»

«Dove andiamo?»

«In un parco giochi.»

Possibile? «È un'idea di Minako?»

«No, ci ho pensato io. Vorrei che ci divertissimo tutti senza pensieri, come ragazzini. Porterò personalmente Hotaru sulle giostre più spericolate. Voglio che quella bambina si liberi.»

Sembrava quasi un proposito da sorella maggiore. «È una bella idea. Ci sarà un posto dove potremo mangiare una torta?»

«Ho organizzato tutto. C'è un piccolo chiosco che terrà in frigo un dolce portato da noi. Poi ci offriranno sedie e tavoli per mangiare in compagnia.»

Non avrebbe dovuto dubitare di Rei. «Ci saranno anche Haruka e Michiru?»

«Ho provato a convincerle, ma hanno un posto dove vogliono portare Hotaru quella sera. Una cosa da ragazze grandi, hanno detto.»

Erano le solite. «Potrebbero fare anche una cosa da ragazze piccole e venire con noi di mattina.»

«Non dirlo a me. Per Michiru la mia idea è infantile. Avresti dovuto sentire come ha sorriso quando gliel'ho detto...»

Lei lo immaginava: Michiru Kaiou sorrideva sempre degli altri, come se fossero tutti bambini a cui poteva dare un colpetto di incoraggiamento sulla testa. La sua non era superbia, solo una condiscendenza buona, di cui non poteva fare a meno.

«Secondo me non vuole rischiare» proseguì Rei. «Te la immagini Michiru su un ottovolante? Tutta la sua compostezza si scioglierebbe come neve al sole.»

Makoto rise.

«Usagi l'avrebbe convinta a venire, ma in questi giorni ha in testa solo il suo matrimonio. Ancora non ne ha parlato ai suoi genitori.»

Ahia. «Più Usagi-chan tarda, più sarà difficile.»

«Già, ma lei e Mamoru hanno fissato una cena con i suoi per sabato. Ne parleranno quella sera.»

«Non la invidio.» Makoto aveva avuto a che fare da poco solo con la madre di Gen. Nonostante il buon carattere della signora, ne era ancora terrorizzata. Temeva ciò che che lei era e il modo in cui poteva influenzare la visione che Gen aveva del loro rapporto. Da quel che sapeva, il padre di Usagi covava istinti omicidi nei confronti del povero Mamoru.

«A te come va?» domandò Rei. «Domani è il compleanno di Gen, no?»

Già. «Sono preoccupata. Gli ho comprato un regalo, ma non so se è quello giusto.»

«Che cos'è?»

«Un kit di matite da disegno. Al negozio mi hanno detto che sono le più quotate tra i professionisti.»

«... Gen disegna?»

«Sì, per hobby. Fa anche schizzi di progetti architettonici, però... Forse ha già matite come queste. O magari avrebbe preferito qualcosa di più sportivo, per esempio roba per la corsa o per la boxe. Ma non so quali attrezzi ha in casa, o se parliamo di abbigliamento, che numero di scarpe porta, né la sua taglia di vestiti...»

«Sarà XXL.»

«Ha le spalle larghe, ma non è grasso.» Infatti si chiedeva come lui riuscisse a trovare dei vestiti da mettersi.

«Scherzavo. Ma perché la scelta del regalo ti mette in ansia?»

«Gen è istintivo, ma valuta tutto. Forse questo regalo così artistico gli farà pensare che io lo ritengo... troppo artistico?» Non aveva un gran vocabolario, continuava a ripetersi.

«Perché sarebbe un male?»

«Non è un male, ma lui ci tiene a non apparire troppo...» Come poteva dirlo?

«Sensibile?»

Esatto! «Ci tiene a sembrarmi un duro.»

Rei si lasciò sfuggire una risatina.

Makoto quasi si risentì. «Non prenderlo in giro.»

«Andiamo, il tuo ragazzo ha sempre quest'aria da 'spacco il mondo'... È il suo modo di essere. Un po' come Yu, che se gli chiedi una cosa è già pronto a servirti per l'eternità. Pensi di riuscire a manipolarlo?»

«Eh?»

«Gen. Se trovi il modo giusto di trattarlo, lo rendi felice e al contempo gli fai fare quello che vuoi tu quando ti serve. Così,tutti contenti.»

Makoto si divertì. «Non penso di avere tanta presa su di lui.»

«Non fare l'ingenua. Quando vi ho visti insieme, lui ti seguiva come un Akita fedele. Sono animali possessivi ed esigenti, ma completamente leali.»

Era una buona descrizione per Gen. «Hai dei consigli da darmi?»

«Biancheria intima.»

Makoto avvampò sulle guance. «Eh?»

«Uno come lui sarà sicuramente una persona molto visiva e fisica.»

«... Come fai a dirlo?»

«Quando eravamo a casa di Mamoru e tu eri mezza inferma e in pigiama, il tuo Gen ti guardava la scollatura.»

Makoto volle morire d'imbarazzo.

«Sfrutta i tuoi punti di forza, Mako-chan. Non vederla come furbizia da parte tua; alla fine, sarai tu quella che si sentirà soggiogata. Piacevolmente, si intende.»

Lei rilasciò un sospiro incredulo. «Wow.»

«Che cosa?»

«Stiamo parlando dei nostri fidanzati. Mi sentivo un po' esclusa sapendo che lo facevi solo con Usagi ed Ami.» Ora anche lei era come loro, finalmente.

«Con Ami non si parla molto di queste cose. Anche se alcune volte quella ragazza se ne viene fuori con certe osservazioni... Con Usagi stai attenta: è così candida su quello che accade tra lei e Mamoru, che finirai col volerle dire tutto anche tu.»

«Tutto cosa?»

«Capirai poi. Comunque, io sono la regina per quanto riguarda le strategie amorose. Chiedi a me ogni volta che vuoi un consiglio.»

«Lo farò.»

Sentì Rei annuire al telefono. 

«Allora domani passerai tutta la giornata con Gen?»

«Quasi tutta, sì. Per la festa di Hotaru, sai già l'ora?»

«Ci troviamo davanti al parco di Ueno alle dieci, va bene?»

«Certo.»

«Ah, un'ultima cosa. Con gli uomini funziona anche la strategia dell'attesa.»

Già. Lei l'aveva messa in atto involontariamente. «Non sono molto brava a frenare Gen.»

«Lo so, sei capitolata in meno di un mese. Ma puoi sempre esercitarti.»

Makoto si divertì. «Non arriverò mai ai tuoi quattro anni.»

Rei ringhiò. «Questa battuta è vecchia

Ma era ancora uno spasso. «Devi imparare a riderne come Yuichiro. Ci vediamo sabato, allora.»

«Sì» sospirò Rei. «A sabato. 'Notte.»

«'Notte. E grazie.»

Makoto riattaccò felice e guardò il soffitto, raccogliendo le idee. Ora le rimaneva solo da preparare le torte.

Aveva fatto due passi verso la cucina quando il telefono squillò di nuovo. Provò a indovinare chi era, un giochetto mentale in cui si dilettava di tanto in tanto.

Questa è Minako.

Almeno, avrebbe voluto che fosse lei, poiché in quei giorni la sentiva distante. «Pronto?»

«Ciao.»

La voce maschile la fece sciogliere sulla moquette di casa. «Ciao

Aveva davvero usato quel tono da gattina smielata?

All'altro capo del telefono, Gen sorrise. «Stai per andare a dormire?»

«È presto, sono le dieci. Mi preparo a farti una torta per domani.»

«Hm. Non farla per tutta la mia famiglia. Mia madre ne comprerà una.»

Oh. «Be', non voglio scavalcarla, però... Mi ingrazio lei e le tue sorelle se offro loro un altro dolce, giusto? Avevo pensato di fare una piccola torta per me e per te, e una torta grande da farti portare a casa. La tua famiglia potrà mangiarla con calma; non ci metterò su panna o altre cose che vanno facilmente a male.»

«Shori si è messa a dieta.»

«Ah.»

«Apposta per il mio compleanno. Ha detto di dover far spazio per la torta che tu avresti sicuramente preparato.»

Makoto scoppiò a ridere.

Udì il sorriso sereno di Gen, un suono quieto che le fece desiderare di averlo con lei già quella sera.

«Domani pranzi con la tua famiglia» gli disse. «La sera sarà per noi?»

«Sì. Non vedo l'ora.»

Anche lei, a tal punto che volle essere audace. «Io e te, domani... recupereremo il tempo perso.»

«Non è stato tempo perso. Ma per questo proposito mi vedi in prima linea, con un'armata di impazienza alle spalle.»

Poteva descrivere nello stesso modo il proprio entusiasmo. «In realtà, già oggi... Ma sono solo ventiquattrore in più di attesa.»

Lui fece una pausa. «Già oggi, cosa?»

«Ehm...» Non seppe come spiegargli. «Voglio dire che... Non ci sono più ostacoli. Sono spariti questa mattina.»

Gen non parlò e Makoto pensò di avergli fornito troppi dettagli. «Gen?»

«Sono le dieci e cinque.»

«Sì» mormorò perplessa.

«Se corro, sono a casa tua in mezz'ora.»

Eh?

«Non hai sonno, vero?»

No, ma... «Non ho ancora fatto la torta.»

«Ho più foga che fame.»

Makoto esplose in una risata così forte che dovette coprirsi la bocca.

Gen non era stato da meno con le risa. «Vado ad avvertire mia madre. Sarò lì tra poco.»

Cosa? Lui avrebbe detto a sua madre che stava uscendo alle dieci di sera per venire da lei? La signora l'avrebbe creduta una ragazza promiscua, o troppo facile, sicuramente molto innamorata, ma... «Gen.»

Tu-tu-tu.

Sospirando, Makoto chiuse la chiamata e guardò l'ora. Doveva essere come Creamy Mami e compiere un prodigio: preparare una torta, farsi il bagno e cambiarsi in mezz'ora.

Al lavoro!

  

Trentotto minuti dopo era davanti al cassetto della biancheria a rimuginare, coi capelli appena asciugati. Squillò il citofono.

«Ahhh!»

Corse a rispondere. «Sì!» si limitò a dire, premendo il pulsante di apertura. Tornò al cassetto e afferrò le prime mutandine carine che si trovò davanti. Solo quando le ebbe indosso notò che il reggiseno coordinato non era in vista, probabilmente disperso nella cesta delle cose da lavare.

Udì i passi di Gen fuori dall'appartamento, che per la fretta colpivano lo zerbino mandandolo a sbattere contro la porta.

Dato che non c'era più tempo, annodò la vestaglia alla vita, provando a coprire con le braccia le piccole protuberanze sul petto. In quello stato era praticamente seminuda, ma avrebbe voluto essere sensuale, non sfacciata.

Mesta, si diresse alla porta.

Poteva chiedere a Gen il tempo per terminare di cambiarsi?

Lui lo avrebbe trovato inutile, considerato che si sarebbero spogliati di lì a poco. Lei voleva farlo - bramava di farlo - ma...

Si nascose dietro la porta mentre gli apriva. «Ciao...»

Gen entrò. La sua felicità si attenuò quando notò che di lei poteva vedere solo la testa. «Ciao» la salutò. «Tutto a posto?»

«Non ho finito di vestirmi.» Tenne le braccia intorno al torso mentre si appoggiava con la schiena alla porta, per chiuderla.

Lui tolse le scarpe e fece scattare la serratura. «Okay.» La osservò, confuso ma non smanioso quanto Makoto aveva pensato.

Si guardarono per qualche istante.

Togliendo la giacca, Gen sollevò le sopracciglia, divertito. «Puoi vestirti, sai? Non ti mangio.»

Lei voleva essere mangiata, solo che...

Lui mosse le narici e guardò la cucina. «Sei riuscita a preparare la torta.»

«Sì, è in forno. Per questo non ho avuto il tempo di...»

«Non hai avuto tempo perché sono arrivato troppo in fretta.»

Già. «Non ti sembra sciocco se vado in bagno a mettermi qualcosa? Anche se dopo...»

Lui non rispose a voce. Si limitò a contemplare la sua esitazione, adorandola.

I dubbi dissolti, Makoto fece un passo avanti e lo abbracciò.

L'odore del collo di lui, il respiro che le sfiorava la tempia, le braccia che la stringevano, il seno senza costrizioni contro il suo petto... Non voleva più altri vestiti, ne voleva di meno. Desiderava stringerlo senza più smettere.

Gen le aveva preso la testa in una mano. Stava affondando il naso nei suoi capelli. «Così diventa difficile aspettare.»

Lei inspirò, sorridendo contro l'orecchio di lui. Non disse niente; cercò di provare invece di pensare, l'unica cosa giusta da fare quando erano insieme.

Notò un taglietto fresco e minuscolo sulla guancia di lui. «Oh.» Sfiorò la pelle sopra quel punto.

Gen capì. «Colpa del rasoio. L'ho usato in fretta stasera.»

Immaginarlo di corsa mentre si sistemava per venire da lei la riempì di dolcezza. «Vieni.» Si separò da lui senza incontrare resistenza, i loro due corpi in sintonia nell'essenza, a discapito della distanza.

Tenendolo per mano, lo condusse verso il comodino accanto al letto, dove girò la manopola che regolava l'intensità della lampada. La accese.

«Tira la tenda» disse a Gen, riferendosi al pannello rigido che separava la zona del letto da quella della cucina. Non lo usava spesso, ma a volte era bello creare atmosfera dividendo gli ambienti. Avevano almeno venti minuti prima che la torta finisse di cuocere.

Quando lui ebbe dispiegato per intero il pannello semi-trasparente, lei spense la luce sul soffitto e allargò le braccia, invitandolo ad avvicinarsi.

Nella penombra trovare Gen sotto le proprie mani fu prezioso, importante. Rispose al bacio che lui cercò. Lo accarezzò sulle spalle, sul petto, tracciando i contorni di ogni rilievo. Aveva desiderio di lentezza, di scoperta.

Senza fretta, cominciò a spogliarlo della felpa, lasciando salire l'indumento sopra lo stomaco di lui e tirandolo su, oltre le braccia. Era lei a guidare i loro movimenti; Gen la lasciava fare nonostante il respiro spezzato e veloce, visibile nei muscoli tesi.

A torso nudo, lui cercò il suo ventre con la mano, infilando le dita nell'apertura della vestaglia.

«No» protestò lei, serena. «Ho poche cose addosso.»

Gen non capì perché quello fosse un problema, ma Makoto lo fece sedere sul letto e armeggiò delicatamente con la zip dei pantaloni che lui indossava, stuzzicandolo con un'unghia sullo stomaco rigido. Gen si tenne a stento dritto sulle braccia - una reazione adorabile, sensuale, che le suscitò una vampata di calore al bassoventre.

Gli aprì la patta dei pantaloni e lo spinse ad andare più indietro ancora. Si appoggiò con le ginocchia sul materasso, sopra di lui, dove si tenne ferma per un istante.

Gen provò a toccarla, ma lei gli prese le mani, stringendole.

Lo possedeva in quel momento: possedeva i sensi di lui, il corpo che la bramava, che la cercava. Aveva l'amore di Gen, così come la bocca calda a pochi centimetri dalla propria, che con un bacio era capace di stordirla.

Non resistette. Chinò la testa e mischiò i loro respiri. A labbra schiuse si trovarono con un assaggio veloce, che strappò loro il respiro.

Lei non comandò più, si offrì.

Si beò delle mani di lui tra i propri capelli, che le scioglievano la coda. Aderì al suo corpo languida, abbandonata, in attesa di sentirlo aumentare la pressione tra di loro con i palmi aperti sui fianchi, che forti la afferravano.

In due si sdraiarono lentamente, prima di lato e poi lui sopra di lei, la bocca di Gen che la percorreva sul petto mentre le scioglieva il nodo della vestaglia.

Con le palpebre abbassate, tremanti, Makoto non guardò lui, ma la parete tenue della stanza. La vide sfocarsi mentre il suo corpo ribolliva e Gen la trovava su un seno nudo, prendendone la punta in bocca. Lui esclamò qualcosa, un suono debole che uscì anche a lei nell'ardore del momento, mentre si contorceva per la delizia.

Si strofinò a lui con le gambe, col bacino, scivolandogli con le dita sulla schiena. La sua mente si annebbiò. Cercò un bacio necessario; vi affondò dentro. Si mosse con Gen mentre sospiravano, e continuavano a premere l'una sull'altro le labbra, affamati di sapore.

Non notò quando terminarono di spogliarsi; le sembrò solo che i vestiti di entrambi fossero d'un tratto spariti. Il proprio corpo non ebbe senso come entità unica finché lui non la trovò con una mano tra le gambe e, alitandole sul collo, leccandola sui capezzoli, iniziò a muovere su di lei un dito in un minuscolo cerchio, premendo dove il piacere le accendeva tutti i nervi.

Makoto vibrò, tenendosi ferma a forza, in offerta per la mano di lui, incantenata. Interruppe l'estasi solo quando fu giusto incastrarsi a Gen, stringergli le spalle con le mani, annullarsi insieme.

Durò tanto, o così le parve. Il tempo si mosse in una realtà diversa dalla loro.

Ogni bacio umido, ogni dondolio intenso, ogni affondo dentro il suo corpo... Ne volle sempre uno di più, anche quando si riempì e si saziò di lui, lasciandola a stento con le forze per accarezzargli un braccio.

Adagiandosi l'uno di fianco all'altra, in pace, riposarono.

Il sonno non la prese. Girandosi, respirò contro il petto di Gen, sistemando pigramente l'orecchio dove gli batteva il cuore. Il ritmo del battito la cullò.

Sveglio, lui la tenne contro il petto a lungo prima di abbassarsi, sorridere e baciarla di nuovo.

Lei lo fece sdraiare sulla schiena, delicatamente. Lo guardò, lo adorò.

Non poteva esserci momento più bello, più perfetto, in una singola vita umana.

DRIIINN!

Sussultò con lui. 

«Il forno» disse, esplodendo in una risatina.

Scivolò via dal letto, afferrando per un lembo la vestaglia e scostando la tenda rigida. Si diresse in cucina. «Ah...» Per un momento faticò a ricordarsi cosa doveva fare con la torta. Si coprì malamente il corpo e, afferrando una presina, aprì l'anta del forno.

Il profumo del dolce si liberò nell'aria. L'odore era ricco e invitante. «È venuta bene» informò Gen.

«Lo sento da qui.»

Proteggendosi l'altra mano con un guanto, Makoto tirò fuori la torta e la sistemò sul bancone.

Trovandosela davanti, rifletté: aveva pensato di rimanere sveglia finché la torta non si fosse raffreddata, ma... Prese l'orologio da polso che aveva sul tavolino, settò l'ora e coprì la torta con un telo decorato. «Domani la decoro.»

«Cosa hai fatto?»

«Devo metterla in un contenitore quando si è raffreddata.»

Tornò indietro, verso il letto. Appena riuscì a toccarla, Gen le tolse la vestaglia.

«Ancora?» commentò lei, senza riuscire a renderla una protesta.

Lui scrollò le spalle. «Mi piaci senza niente addosso.» La fece sdraiare accanto a sé, sotto le coperte, e la guardò. Era felice.

A lei sfuggì uno sbadiglio.

Prima che fosse riuscito a riderne, Gen l'aveva imitata.

«Ecco il sonno» disse Makoto, andandogli più vicino.

«Succede quando si fa bene l'amore.»

Lei sorrise in silenzio. Amava sentirlo parlare in quel modo. Quello che avevano condiviso non era stato solo sesso; si era trattato di un'esperienza completa, la prima di moltissime altre.

Appoggiò la testa nell'incavo del collo di lui. «Buonanotte.»

«... ti sveglierai tra poco? Non farlo.»

«Lasciami il mio lavoro di cuoca.»

Sorrisero e Gen si rassegnò. «Allora buonanotte, per ora.» La baciò sui capelli.

Dormirono.

  


    

Era molto tempo, pensò Gen, che non si svegliava con la luce del sole così forte sugli occhi.

Si era fatto tardi, forse erano già le nove.

Voltò la testa.

Cauto, liberò il polso intorpidito dalla testa di Makoto, prendendosi un momento per far sparire il formicolio.

Prima di ripensarci, rotolò su un fianco e ricadde in piedi sul pavimento, alzandosi. Aveva bisogno di andare in bagno.

Vagò nudo per l'appartamento, entrando nell'unica altra stanza della casa.

Tra le quattro mura di piastrelle, rabbrividì per il gelo: di mattina quel bagno era ghiacciato.

Mezzo addormentato, si risvegliò quando ebbe finito e si sistemò davanti al lavabo. Girò la chiave del rubinetto, cominciando a lavare le mani e sciacquando la bocca. Alzando la testa, si osservò allo specchio. Stiracchiò soddisfatto le braccia.

Era stata una grande notte.

Non gli era dispiaciuto nemmeno essere svegliato dall'orologio che Makoto aveva settato. Quando l'aveva riavuta tra le braccia, dopo pochi minuti, il calore dei loro corpi uniti lo aveva fatto riaddormentare in un momento.

Uscì dal bagno. Nel tragitto verso il letto raccolse i pantaloni che erano finiti a terra. Li piegò in due su una sedia, poi cercò la felpa e le calze.

A Makoto non piaceva il disordine. Con un appartamento tanto piccolo era naturale: non c'era molto spazio per muoversi.

La osservò. Ancora profondamente addormentata, lei era sdraiata a pancia in su, le labbra aperte e le braccia allargate libere, infreddolite. La pelle d'oca si interrompeva sulle spalle, ma Makoto doveva sentire freddo anche sul petto, fino a dove era scoperta.

Lui tornò a sdraiarsi nella parte di letto in cui si era svegliato. Cercò di non spostare troppo il peso sul materasso, ma lei ricadde ugualmente con la testa verso una spalla. Immobile, lui attese il suo respiro successivo.

Le narici di lei si erano mosse appena. Makoto non ebbe altre reazioni, il suo sonno era rimasto profondo.

Gen osservò lo sfarfallio delle ciglia scure sulle guance di lei. Erano delicate e folte, belle come le labbra semiaperte che di mattina sembravano più paffute e carnose. Con quel colore rosa scuro, invitavano a morderle piano, a leccarle.

Piegando la testa Makoto aveva esposto all'aria un lato del collo, una parte che lui sapeva sensibile e morbida. Le spalle di lei terminavano con la sottolineatura del deltoide, le linee del muscolo quasi visibili sotto la pelle, persino a riposo. Le clavicole erano...

Non aveva mai badato a delle clavicole, ma voleva riempire di baci l'avvallamento tra quelle ossa.

Poi... poi il corpo di lei finiva lì. La trapunta le proteggeva i seni, una situazione a cui lui pose rimedio tirando un poco l'ammasso di stoffa verso il basso, fino a scoprire le punte di carne turgide sul petto. A bocca aperta, rimirò i suoi due personali doni divini.

Incredibile.

Non aveva mai visto due tette tanto perfette, gonfie e sode anche da sdraiate.

Al contatto con l'aria i capezzoli di lei iniziarono a diventare ancora più duri, facendogli venire l'acquolina in bocca. Avevano una dimensione ideale: sui due monti di carne non erano bottoni troppo piccoli che gli sfuggivano dalle dita, bensì estremità deliziose che si adattavano ai suoi polpastrelli quando lui le stuzzicava.

L'areola... Gen ne aveva viste di grandi, piccole, normali, belle. Quelle di Makoto erano una corona, che gli indicavano dove toccarla per farla gridare.

Non che lui l'avesse fatta urlare fino a quel momento, non per davvero.

Makoto inspirò di nuovo e Gen le lanciò una rapida occhiata.

Lei stava ancora dormendo.

Riabbassò gli occhi: quei seni gli riempivano le mani. Per tutta la vita aveva pensato di preferire seni di dimensioni ridotte, che non cadevano mai e rimanevano alti senza aiuto, ma nel corpo di Makoto si era compiuto un miracolo: lei aveva due globi rotondi che si adagiavano sul petto fieri e svettanti, creando una scollatura che con certi reggiseni... Fortunatamente, a lei non piacevano gli scolli a triangolo, o lui non avrebbe avuto pace immaginandola in giro vestita in quel modo.

«... cosa stai guardando?»

Colto sul fatto, sorrise impenitente. «Te.»

«Io sto più sopra» mormorò Makoto.

Divertito, lui la guardò negli occhi verdi. «Sì.» Appena sveglia, lei era una visione. «Sei anche qui.» 

Makoto si adagiò su un fianco, coprendosi il petto con un braccio. Col movimento creò involontariamente due curve talmente provocanti, talmente belle...

«Ehi» lo chiamò lei.

«Hm?»

«Ma guarda quanto ti piacciono.»

Sorrise. «È vero.»

Mangiandosi un labbro, Makoto si coprì anche con l'altro braccio. «Anche io li trovo belli, però...» Rise piano. «Sembra che appena mi giro, tu li guardi.»

«Non è così.» Si concentrava anche su altre parti del corpo di lei: la rientranza dei fianchi verso la vita, le gambe lunghe, quel suo magnifico sedere... Ma se a pochi centimetri dal viso aveva quei due bei seni nudi, la sua attenzione era tutta per loro.

Makoto lo osservava, muovendo le dita sul proprio sterno, indecisa. «Se questa è la tua parte preferita...»

Non era così. «È sempre stata il fondoschiena» sorrise. «Sei tu quella che mi sta facendo cambiare idea.» Sotto la trapunta la trovò sulla curva del fianco.

«Ti piace il sedere?» Makoto voltò la testa, per guardarsi. «Non lo tocchi mai.»

Lui la smentì in quel momento, facendola saltare sul letto.

«Ehi!»

Gen trattenne i singulti di divertimento. «Hai visto come reagisci?»

«Mi hai sorpreso! Dev'essere una cosa più tranquilla, dolce...»

Be', ma così c'era un problema. «Col tuo sedere non mi vengono in mente idee molto dolci.»

In Makoto il rossore partì dal petto e risalì veloce lungo il collo, invadendole le guance.

Lui abbassò la testa, baciandola sul collo, usando la lingua per assaggiarle la pelle salata. Il retrogusto dolce invase tutte le sue papille gustative. Cominciò a scendere oltre la linea delle clavicole. «Tanti auguri a me.»

Makoto sobbalzò. Lui si sentì afferrato per le spalle e si ritrovò atterrato schiena contro il letto, inerme come un pupazzo.

«Me n'ero dimenticata!» Da novella Ercole, Makoto divenne un concentrato di arti morbidi e leggeri, che calarono su di lui assieme a una carezza sulla fronte. «Buon compleanno.» Lo disse con un sospiro, baciandolo sulla tempia, sulla guancia, sulle labbra.

Ti amo da impazzire, pensò Gen.

Era tempo di dimostrarglielo.

La strinse per la vita, portandola ad appoggiarsi su di lui col petto. La sensazione dei capezzoli duri contro i pettorali fu paradisiaca.

«... ti piace?» disse lei.

Lui scattò a guardarla negli occhi. Muto, annuì.

Usando le braccia per sostenersi, Makoto si morse un labbro prima di decidere come procedere. Scivolò su di lui verso l'alto, sfiorandolo con la punta dei seni sulla faccia. Rise quando lo sentì rilasciare un sospiro. «Sono la mia arma segreta?»

«Ne hai tante» confermò lui. Poi si assicurò di avere una buona presa sulla vita di lei e ribaltò entrambi, facendola sdraiare sulla schiena.

Makoto era curiosa. «Cosa fai?»

«Realizzo una fantasia.» Armeggiò con le gambe di lei, aprendole e piegandone una di lato.

«... quale?»

Le si spezzò il respiro quando lui si appoggiò contro la sua apertura, senza entrare. Voleva essere certo che lei fosse abbastanza bagnata, ma soprattutto voleva far fremere entrambi per l'anticipazione.

Con una coscia aveva spinto un ginocchio di Makoto verso l'alto. Vi incastrò sotto il braccio.

«Così è...» Makoto interruppe il mormorio quando con le dita lui tracciò delle linee sul suo stomaco, fino al bassoventre. Lei inarcò verso l'alto l'intero bacino.

«Funzionerà bene» le disse.

«... Come?»

«Tra poco lo scopri.» Scese con la mano. Con le nocche la sfiorò tra le pieghe del sesso, insistendo, cercando del fluido fresco.

Makoto fece forza con le braccia e lo attirò sopra di sé, per avere la sua bocca. Mentre la baciava lui la chiudeva col corpo in una gabbia e sperimentò ancora una volta che lei non aveva alcun problema di flessibilità; cercò ugualmente di non pesarle troppo sulla coscia. Per uscire da quella posizione, separò le labbra tra le gambe di lei con le dita, accarezzando. Makoto si tese.

Lui le appoggiò un bacio sotto la mascella. «Voglio che sia più intenso.» Riuscì ad allontanarsi, tornando dritto.

Makoto lo strinse per un avambraccio, cercando di trattenerlo. «Ma mi piace quando mi stai sopra.»

Lui raggiunse la massima durezza in un secondo. «Lo so.» Le prese un seno in mano, incapace di resistere. «Questo sarà meglio.» Dondolando coi fianchi, si strofinò contro il centro di lei, la carne calda e soffice che non gli opponeva resistenza. La consistenza in quel punto era divina: non c'era niente di più liscio, setoso, tenero di...

Tornò a respirare. La vista non lo aiutava a ricordarsi di prendere aria. Sdraiata, Makoto si agitava dolcemente, graffiando con una mano le lenzuola.

Lui sentì la sensazione di umido che aveva cercato, solo un goccio, ma si ritrasse quanto bastava e afferrò Makoto per la vita. Quando trovò l'incastro, fece forza sulla presa e scivolò, affondò - la stretta rovente che gli strappava un suono dalla gola.

Aprì gli occhi.

Sembrava sempre la prima volta - con le gambe di lei aperte, il suo viso travolto, conquistato, e l'interno di quel corpo che lo spremeva inconsciamente, troppo energico e femminile per starsene inerme ad aspettarlo.

Represse l'istinto di gettare la testa all'indietro e spingere come un forsennato. Guardò gli occhi di Makoto, il colore, la pupilla nera e larga.

Non chiuderli.

Si ritrasse ed entrò di nuovo, modellandola attorno a sé, premendo.

Lei abbassò le palpebre, tentando il controllo del respiro. Il suo petto era irrorato di sangue, i suoi capezzoli gonfi.

Lui ne sfiorò uno con due dita. «Okay.» Non seppe perché lo disse. Andava tutto bene, era ovvio. Con l'altro braccio spinse sotto il ginocchio piegato di lei, raddrizzandolo fino ad avere un polpaccio sulla propria spalla.

«Aspetta...»

Scosse la testa. Chiuse come poteva la connessione tra cervello e nervi del bassoventre, e con la spinta dei fianchi iniziò a imporre un ritmo.

Piano, ma non troppo. L'importante era la costanza, la resistenza. Era proprio quella che faceva fremere Makoto di disperazione.

«Gen...»

Lo so, lo so. Anzi, no.

Si fermò e, sollevando il bacino unito di entrambi, prese l'altra gamba di lei e la spostò sotto di sé. In quella posizione non poteva sedersi e doveva appoggiarsi completamente sulle ginocchia, ma non aveva importanza. Erano incastrati come due forbici. Sconvolta, Makoto piegò il torso di lato.

Lui le strinse una coscia contro lo stomaco, riprendendo a entrare dentro di lei, trovando profondità nuove e ancora più bagnate.

«Ah!» Makoto provò a coprirsi la bocca con le dita. Rinunciò a farlo e serrò i denti.

Lui tremò. Non l'aveva mai avuta tanto completamente, tanto bene... Rallentò il movimento e si impose un ordine. Costanza, ritmo. E attenzione, perché appena riprese a immergersi nel corpo di lei provò a capire dove fosse il punto giusto che-

Makoto ricadde con la testa sul letto, gemendo.

Lui capì di aver trovato quello che cercava e, concentrato, lo tormentò con perseveranza, con forza contenuta.

Lei spalancò gli occhi. Mise un palmo sulle proprie labbra, senza premere abbastanza da coprire i suoni. Con l'altra mano stava per strappare la federa del cuscino.

Su di sé Gen cominciò a sentire la morsa di muscoli spugnosi che si stringevano. Cambiò angolazione, di pochissimo, per provare a sfiorarla sul clitoride.

Makoto sobbalzò col bacino, gridò. In risposta il suo ventre lo attanagliò con una tale forza che... Il nodo di muscoli si sciolse e pulsò forte su di lui. A occhi chiusi Gen seguì l'estasi di quel ritmo, serrando i denti, provando a non perdere.

Solo un altro po', resisti!

Lo aiutò ad andare avanti l'incredulità dei gemiti di lei, che Makoto stava provando a tenere bassi in mezzo alla corrente di follia. Erano suoni di abbandono totale, di rapimento.

Lei ne ruppe uno più alto, capitolando di nuovo, e Gen seppe che poteva lasciarsi andare. Le sue anche non gli appartennero più: cercarono più frizione, più pressione, e altro calore in lei, spingendo. Dentro Makoto erano sensazioni massime: non c'era nessuna plastica a impedirgli di sentire che lei era la cosa più perfetta e assoluta, la più magnifica che...

Aprì gli occhi mentre si liberava. La vista di Makoto sdraiata su un fianco, che ancora tremando lo guardava, fu il pugno definitivo o forse la carezza finale. In lei rilasciò tensione, controllo, volontà. Se ne andò tutto quanto, salvo la soddisfazione immensa di sentire quanto di umido e denso le stava immettendo nel corpo.

Con le membra prosciugate di forze, faticò a districarsi dalle sue gambe senza schiacciarla. Si aiutò con le braccia per spostarsi di lato e sdraiarsi sulla schiena.

Lo invase la più grande sensazione di benessere che avesse mai conosciuto. Inerme, per lunghi momenti, respirò beatitudine.

Accanto a lui Makoto ansimava forte.

Qualcosa gli toccò un braccio: lei si stava spostando sul materasso.

Gen trovò la forza di voltare la testa.

Makoto lo guardava, in ansia.

«... cosa?» le chiese. Riuscì a rotolare su un fianco.

Lei aderì al suo corpo, abbracciandolo.

Gen la coprì con una mano sulla schiena. «Cosa?» domandò di nuovo. Mosse le dita sulla pelle di lei, cercando un brivido, una risposta.

«... niente.» Makoto appoggiò la guancia contro il suo petto e gli circondò un fianco con la gamba, cercando...

Lui ebbe un dubbio. «Non ti è piaciuto?» Non aveva senso.

«No, sì. Ma mi mancava... questo.»

Stare abbracciati?

Ah. Quella era una reazione normale: le donne volevano spesso essere abbracciate alla fine, soprattutto quando il rapporto era stato intenso.

«Certo» le disse all'orecchio, combattendo contro un attacco di sonno.

Strofinò la guancia contro la tempia di lei, riempiendosi le narici del suo profumo, ora mischiato a quello di un lieve sudore. Era stato lui a causarlo.

Makoto sollevò la testa. Aveva ancora occhi che si attendevano qualcosa.

Gen glielo diede con un bacio leggero, che lei continuò e aprì in un sorriso felice, finalmente appagato.

Era quella la contentezza che lui voleva vedere nel suo volto. «Ti amo» le disse.

Avendo sentito tutto quello di cui aveva bisogno, Makoto si rifugiò contro di lui. «Anche io.» Riposò.

 


 

Makoto terminò di versare lo strato di cioccolato sopra la torta che aveva preparato per la famiglia Masashi. Le mancava da aggiungere una spruzzata di palline bianche per creare un disegno e la scritta, "Buon compleanno, Gen!"

L'idea le faceva fremere le mani di gioia.

In bagno l'acqua smise di scorrere. Lui aveva terminato di farsi la doccia.

Lei si era fatta il bagno solo la sera prima, ma aveva dovuto ripeterlo quella mattina. Due sessioni di soddisfacente intimità tendevano ad avere degli effetti sul fisico di una persona. Di uno si era resa conto solo di recente: la volta che lei e Gen avevano usato il preservativo, non aveva dovuto curarsi di cosa sarebbe... be', di cosa sarebbe uscito da lei dopo essere entrato. Come una sciocca, si era autoconvinta che il suo corpo avrebbe assorbito qualunque inconveniente.

C'erano altre cose che non sapeva?

Magari poteva parlarne con Rei, e soprattutto con Usagi. Forse Ami avrebbe saputo consigliarle un buon libro in merito.

Di certo Gen aveva esperienza; troppa per lei.

Non si era ancora fatta un'idea chiara di cosa aveva provato con lui un'ora prima, sul letto.

Due orgasmi, ovviamente. O forse era stato uno solo con due picchi, ma comunque l'esperienza era stata... Strofinò le cosce tra loro, sentendole molli. Ricordava ancora l'intensità delle contrazioni nel ventre, la ferocia della stretta ritmica dei muscoli.

Chiuse gli occhi.

Aveva urlato. Le mura del suo appartamento non erano spesse, i vicini potevano averla sentita.

Sprofondò nella vergogna.

Se una cosa simile si ripeteva, lei doveva... Be', innanzitutto doveva far capire a Gen come si era sentita.

Provare tanto piacere era una cosa buona, sconvolgente, meravigliosa, ma... Qualcosa in lei - una parte forte di lei - aveva preferito l'esperienza quando c'era stata meno tecnica e più sentimento. Forse per Gen c'era stato tanto sentimento comunque, ma a lei erano mancati gli abbracci, guardarlo negli occhi, baciarlo mentre non pensavano a niente nel diventare una cosa sola, stando in completo contatto.

Invece quella mattina lui era rimasto molto concentrato. Più che su di lei, sulla posizione dei loro corpi, su cosa fare e quando farlo. Era riuscito molto bene nel suo intento, ma... Non era così che lei voleva fare l'amore con lui. Quelle erano situazioni che potevano riproporre tra loro tra qualche tempo, qualche volta.

Guardò la porta del bagno.

Non voleva scontentarlo, ma ci teneva a fargli capire quanto avesse apprezzato le loro esperienze precedenti. Lei non aveva bisogno di sforzi, di grandi tecniche. Trovava importante avere l'abbandono di lui, tutta la sua testa, senza immaginare nemmeno per un istante che Gen stesse coscientemente usando arti che aveva imparato con altre persone.

Voleva averlo tutto per sé. Voleva essere speciale e unica ai suoi occhi, in ogni modo.

La porta del bagno si aprì. Gen uscì con un asciugamano in testa, sorridente. «Anche oggi i miei capelli hanno un profumo da donna.»

La connessione la intenerì.

Avere qualcosa di suo su di lui... «La prossima volta posso comprare uno shampoo da uomo.» Si bloccò.

Aveva appena detto che gli avrebbe preso qualcosa da tenere nel suo appartamento, di fatto legandolo a quella casa.

Lui non comprese i suoi dubbi. «Prendo io lo shampoo. Se c'è un buco in quell'armadio, ti lascio un cambio di emergenza, così posso venire a passare la notte qui senza troppi piani.»

Lei si alleggerì di un peso. «Pensavo che... Di solito a un ragazzo non piace quando lei cerca di parlare di cose come spazzolini, o vestiti da tenere in casa...» Gli uomini si sentivano ingabbiati.

Strofinando la testa umida con l'asciugamano, lui rise. «Tu guardi troppi drama.»

Eh no, non era così ingenua. Quelle non erano cose che esistevano solo negli sceneggiati. «Tu non ti sei mai sentito così?»

Gen prese la domanda sul serio. «Sì. Ma questa volta ho chiesto io un posto nell'armadio.» Si avvicinò e la baciò velocemente sulla bocca. «Se cominci a sentirti intrappolata, dimmelo.»

Felice, Makoto si allungò a prendergli il phon. «Ecco.»

«Grazie.» Lui lo prese e fece per tornare in bagno. Si fermò. «Ascolta... hai tempo prima di pranzo?»

Naturalmente sì, quella giornata era dedicata a lui. «Per cosa?»

«Vorrei andare al cimitero. A trovare mio padre.»

Makoto lo guardò negli occhi. Gen abbassò i suoi verso il pavimento. «Ho pensato... Voglio andarci oggi, prima di tornare a casa. Con te, se non è una cosa pesante. Se vuoi.»

«Sì» disse lei. Aspettò di vederlo alzare la testa per sorridere. «Certo che vengo.»

Sollevato e ancora incerto, Gen si diresse verso il bagno. «Asciugo i capelli.»

Lei annuì e lo lasciò andare via.

 

«L'anno scorso ho ricevuto una moto per il mio compleanno» le raccontò Gen, in macchina. «Era da parte di entrambi i miei genitori, ma era mio padre a sapere quanto ci tenessi. Stavo risparmiando per comprarla. Lui mi aveva detto che dovevo farcela da solo. Poi quella mattina mi porta sulla strada fuori casa, mi dà delle chiavi in mano, mi indica la moto... Pensavo che stesse scherzando. Mi sono sentito... Come un bambino, credo. Sai, quando sei ancora sicuro che possono arrivare sorprese enormi che non ti aspetti? Man mano che passano gli anni, ti rendi conto che devi lavorare per ottenere quello che desideri, però, a volte, chi ti vuole bene riesce a farti ricordare che...»

Makoto annuì. Le si spezzò cuore pensando che lui aveva dovuto vendere quella moto pochi mesi dopo, per racimolare il denaro necessario per mantenere la propria famiglia. Ma a Gen non sembrava importare. Di prezioso gli era rimasto quel ricordo. Lui sorrideva piano pensandoci, guardando oltre il parabrezza.

«I miei hanno litigato a marzo. Erano in una fase di stagna: mia madre si lamentava che non uscivano mai, che mio padre era sempre stanco quando tornava dal lavoro... Sì, a volte lui era in coma e trovava le energie solo per mettersi davanti alla tv. Ha lavorato tanto per finire di pagare la casa. Mi ricordo di quanto i miei genitori fossero tesi allora e poi di come abbiano fatto la pace. Non so in che modo.» Rise. «A partire da aprile, papà ha rallentato il ritmo. Si è preso più giorni liberi. A giugno lui e mia madre hanno fatto una vacanza di due settimane. Io sono rimasto a casa a occuparmi di Shori e Miki. Mi sentivo così adulto e responsabile.»  Il nuovo sorriso fu amaro, ironico.

Gen si fece quieto. «Gli ultimi mesi sono stati buoni per papà.» Si immise nella strada di ingresso al parcheggio del cimitero.

Makoto non disse niente quando trovarono posto e iniziarono a scendere calmi, senza fretta.

Fece il giro del furgone. Gen l'aveva aspettata per cominciare ad avanzare.

«Tornerò questa domenica» continuò lui. «Con mamma, Shori e Miki. Ma prima volevo...»

«Oggi è una giornata speciale.»

Gen annuì. La guardò e si accese un poco. «Tante cose sono cambiate nella mia vita.» La prese per una mano. «Volevo che lui vedesse la più importante.»

Le indicò con la testa la direzione e Makoto lo seguì.

Il cimitero era un posto vasto, sobrio, calmo. Era simile - pensò lei - al luogo in cui erano stati seppelliti simbolicamente i suoi genitori, nella prefettura in cui avevano vissuto insieme. Sua nonna riposava in un cimitero più piccolo invece, proprio lì a Tokyo.

Makoto non andava spesso a trovarla. Davanti alla lapide il vuoto che aveva sentito era stato feroce in passato, ma a nonna Junko era sempre piaciuto vederla sorridente. Makoto pensava a lei quando le cose andavano bene; le sembrava il modo più giusto di ricordarla, di onorarla.

Le mancavano i suoi genitori. Nonostante tutti gli anni che erano passati, la loro morte non era ancora un evento chiuso nella sua testa. Forse perché non c'era stato un saluto, né un'avvisaglia di quello che sarebbe successo - un orribile incidente aereo. Ricordava i loro abbracci, quando poteva. Sempre più spesso immaginava di poter tornare indietro e dire loro addio, per fissarsi in testa i loro volti mentre le trasmettevano con una sola espressione quello che avevano provato per lei in dieci anni di vita.

Con Gen camminarono lungo stradine ordinate, su un percorso che lui conosceva a memoria.

«Ecco» disse infine Gen, lasciandola andare e ponendosi in piedi da solo davanti a una lapide circondata da piccoli fiori colorati. La contemplò.

Makoto rimase indietro a leggere la scritta. 

Akito Masashi

Data di nascita e di morte. Poche cifre che racchiudevano una vita colma di esperienze: amore, dolore, errori, vittorie, impegno, lavoro. L'intera esistenza di una persona che era riuscita a circondarsi di una famiglia.

Padre e marito amato

Fece un passo verso Gen e lui incrociò il braccio col suo, senza chiudere la stretta. Gli sfiorò le dita.

«Makoto» mormorò lui. Ma non si era rivolto a lei, stava facendo un discorso silenzioso.

Makoto lo sentì emettere un debole sospiro.

Adagiò la testa contro la sua spalla, accarezzandogli il braccio con entrambe le mani. Lui piegò la faccia verso i suoi capelli.

Lei non lo sentì piangere, ma seppe che lui lo stava facendo, che stava ricordando e sentendo, ancora una volta, il dolore per tutto quello che non avrebbe mai più avuto con suo padre.

In piedi su quel prato, lo accompagnò nella sua sofferenza.

   


   

Di pomeriggio Makoto si ritrovò da sola, con una nuova piccola torta già preparata e Gen che era tornato a casa a festeggiare con la sua famiglia.

Era giusta la breve separazione e poi rivedersi solo quella sera. Nemmeno lui aveva capito di aver bisogno di un po' di spazio, ma Makoto lo aveva intuito al posto suo: Gen aveva già fatto molto nel soffrire con lei per una perdita tanto personale.

Prese il comunicatore Sailor. Aveva voglia di parlare con... «Usagi?»

Il volto di lei apparve sul piccolo schermo. «Mako-chan! Come stai?»

Era contenta di non averla allarmata. «Scusa se sto usando il comunicatore per chiamarti, ma...»

«Figurati! Sono utili, no? Inoltre, non mi avresti trovata in casa. Sono in giro a fare shopping!»

Oh. «Dove?»

«Qui a Juuban! Vuoi raggiungermi? Mi sto prendendo una fetta di torta al Crown.»

Non avrebbe potuto chiedere di meglio. «Sarò lì tra poco.»

«Magnifico, ti aspetto!»

 

Quando, entrando nel locale, Makoto avvistò Usagi, ebbe la sensazione di vedere al contempo la ragazza che conosceva e una persona nuova. Usagi Tsukino sorseggiava un frappé da una cannuccia - un gesto usuale per lei - ma guardava fuori dalla finestra, assorta e grave in volto. Aveva preoccupazioni ed esperienze che non poteva più permettersi di dimenticare.

Era passato tanto tempo da quando erano venute per la prima volta in quel posto, entrambe ragazzine delle medie oppresse da un destino più grande di loro, ma ancora spensierate.

«Usagi-chan.»

Lei la vide e si illuminò. «Makoto!» Si alzò. «Che bello che tu sia qui!»

Usagi la faceva sempre sentire come se fosse un regalo alla propria giornata. «Siamo fortunate ad essere entrambe libere oggi.»

«Eh, sì.» Usagi si sedette con lei. «Uno penserebbe che durante le vacanze ci sia solo tempo libero, ma Rei si sta buttando sullo studio per l'esame di ammissione, Minako è in giro a diventare una stella ed Ami... hai sentito? È in Italia

Quello sì che si chiamava un uso intelligente dei loro poteri sovrannaturali.

Usagi sospirò. «Peccato che Mamo-chan stia già lavorando, altrimenti tutti insieme avremmo potuto... Sai, nascosti in un angoletto del bosco Hikawa» si avvicinò fino a sussurrare, «noi trasformate in guerriere Sailor... Teletrasporto! Ed ecco che ci saremmo trovati tutti nel posto dei nostri sogni.»

Makoto sorrise. «Non saremmo stati d'accordo su un luogo solo.»

«Hai ragione. Io in questi giorni ho voglia di spiaggia!»

Usagi era senza dubbio una creatura estiva. «A me invece non sarebbe dispiaciuta una baita in montagna. Magari in Europa...» Tra alte vette innevate, al caldo davanti a un camino...

Usagi rilasciò un sospiro felice. «È così bello sognare, ma soprattutto sapere di poter rendere quei sogni realtà.» Riflettendoci, si intristì.

«Cosa c'è che non va? Il tuo matrimonio?»

Usagi annuì. «Non è una felicità completa finché sono costretta a nasconderla. Sabato ne parlerò a mamma e papà. So già che mio padre non reagirà bene, ma anche mamma ha cominciato a farmi strani discorsi... Mi ha parlato dell'importanza di aspettare e darsi tempo quando si è una coppia giovane.»

Era naturale. «Non scoppieranno di felicità all'annuncio, Usagi, ma è meglio che lo sappiano comunque. Come mai state aspettando per dirglielo?»

«Mamo-chan non riesce a tornare a casa a un'ora decente in questa settimana. Lo stanno uccidendo di lavoro.»

Giusto. E, se ricordava bene, in quell'ufficio Mamoru aveva già ottenuto tutta la comprensione possibile nell'ultima settimana di dicembre - durante le battaglie - con assenze o uscite anticipate. Non c'erano alternative, dunque. «Rei mi ha detto che cenerete a casa dei tuoi. Sabato?»

«La sera della verità» annuì Usagi. «Mi innervosisce non poter dire niente prima. Devo stare attenta a togliere e a rimettere l'anello.» Ci giocò in quel momento, accarezzando i due piccoli diamanti. «Inoltre... Mi sembra di avere dentro questa cascata di felicità da tenere bloccata a tutti i costi. Oggi ho provato a sfogarmi con gli acquisti.»

Giusto, Makoto aveva visto i sacchetti. «Che cosa hai comprato?»

Usagi li aprì senza entusiasmo. «Cose carine, ma non speciali.» Le mostrò una camicia bianca, con un bello scollo a V, decorata con un filo rosa sul colletto. «Poi c'è questa gonnellina.» Era un capo bordeaux, la tinta unita e scura inusuale per Usagi.

«Hai bisogno di idee?» tentò Makoto. Provò a darle la sua. «Io stavo pensando di andare...» si guardò attorno, controllando che fossero sole, «ehm, in un negozio di biancheria intima.»

Usagi aprì gli occhi in due tempi. «Oh, ah! Aspetta! Dov'è Gen?»

«Ehm...» Naturalmente era stata individuata subito la ragione della sua idea.

«Voglio dire, perché non sei con lui? Oggi non è il suo compleanno?»

«Sì, siamo già stati insieme questa mattina. Adesso Gen è con la sua famiglia, ci rivedremo questa sera. Ceniamo fuori.»

Usagi rilasciò un sospiro. «Per fortuna! Pensavo che aveste litigato.»

Davano quell'impressione?

Usagi sbatté una mano in aria. «Nahh, sono io che di solito mi innervosisco in queste occasioni! Sai che non do mai il tormento a Mamo-chan, ma quando arriva il mio compleanno...»

Sì, lo sapeva. Usagi tendeva a crearsi molte aspettative, ma soprattutto a pretendere che Mamoru le indovinasse tutte.

Makoto sorrise. «Va tutto bene tra me e Gen. Solo che...»

Usagi si sporse verso di lei. «Solo che, cosa?»

Usagi sarebbe stata la voce dell'esperienza. «Ecco, ti è mai capitato che Mamoru...» No, non voleva immaginare lui, solo attingere dalla conoscenza di Usagi in fatto di relazioni. «Ti sei mai sentita come se voi due aveste vissuto insieme una cosa bella ma che ti ha lasciata... stranita?»

Serafica, Usagi sbatté le palpebre, in attesa di sentirla elaborare.

Makoto abbassò la testa. «Una cosa.... sessuale.»

Usagi spalancò la bocca.

Ehi, stava ridendo di lei!

«No, no! Non rido perché...» Usagi si fece ancora più vicina. «Wow. Così presto?»

Makoto ebbe l'impressione che si fossero comprese benissimo sull'argomento. «Sì.»

«Giusto. Gen saprà tante di quelle cose...»

Era stata Usagi a chiedergli assieme a Rei quante ragazze lui avesse avuto in passato, durante una specie di terzo grado che Gen aveva accettato solo perché aveva fatto a sua volta domande sulla loro condizione di Sailor.

Usagi rimuginò. «Ma cosa ti ha fatto?»

Makoto combatté con tutte le proprie forze per frenare il rossore. «Non è... cioè, tutti e due... Era solo una posizione strana.»

«Da dietro?»

Non avrebbe mai immaginato Usagi tanto diretta su certe questioni. «Veramente...»

«La prima volta che Mamo-chan l'ha fatto, non sapevo cosa pensare. Perché era stato quasi impersonale, però-»

Sì! «Impersonale! Come se fossimo più due corpi invece che io e lui.» Ma come stava parlando?

«Ma certo.» Usagi era comprensiva. «Però, allo stesso tempo, è stato più intenso di tutte le volte precedenti, no?»

Lei non voleva pensarla così. «Intenso come sensazioni, ma come sentimenti...»

«Sei solo confusa, Mako-chan. Quando non lo guardi negli occhi, non sai cosa sta pensando lui e sei sola con te stessa. Per questo le sensazioni sono più forti: niente ti distrae. Se non lo conosci ancora bene, può sembrarti che sia solo un esercizio fisico, però... Mamo-chan mi ha detto che era come un regalo, per la fiducia che gli stavo dando. Quindi per lui c'era ancora più emozione.»

Sorpresa, Makoto valutò la nuova prospettiva.

«Ma se Gen avesse aspettato qualche altra settimana» continuò Usagi, «tu non ci staresti pensando tanto. Almeno ne è valsa la pena?»

Per il modo in cui sorrideva, Usagi sembrava già conoscere la risposta.

Makoto sentì un gran caldo in viso. «Sì, anche se non è stato... da dietro.»

«Oh. Cioè?»

Sotto la linea del tavolo, Makoto usò le dita di due mani per dimostrare.

Usagi si era sporta in avanti. «Ah, sì! Lo abbiamo fatto!»

Makoto avvampò. Dubitava che in due anni e mezzo ci fosse qualcosa che Usagi e Mamoru non avessero fatto insieme.

«In quella posizione c'è molta pressione su...» Usagi smise di parlare e rise. «Dài, ti prendo in giro! Non scenderò così nel dettaglio. Comunque, non fare quella faccia: ormai sei entrata anche tu nel club di noi pervertite. Manca Minako, poi devo solo convincere Ami a lasciarsi andare e...»

Il capo di quel club sembrava proprio Usagi.

Usagi le sparò con una mano, imitando Minako. «Ehi, è stata tua l'idea del negozio di biancheria intima! Ed è ottima! Ecco dove posso prendere qualcosa di speciale! Magari proprio per il matrimonio.» Occhieggiò le proprie buste. «Hai fame?»

«No, ma...»

«Allora andiamo! Ti offro qualcosa per strada, ho deciso cosa voglio prendere!»

Ridendo, Makoto si ritrovò trascinata fuori dal Crown.

 

Era entrata una sola volta in quel negozio. L'aspetto sofisticato le aveva fatto pensare a prezzi elevati, ma soprattutto a uno stile lontano da lei: in passato non le erano serviti capi sensuali, fatti per attirare l'attenzione. Solo di recente aveva provato qualche acquisto azzardato di biancheria, una scelta vincente: almeno aveva avuto qualcosa da indossare durante la sua prima notte con Gen.

Oltrepassò le porte, curiosa, ammaliata dai colori tenui e dalla disposizione ordinata degli indumenti. Ogni modello aveva il suo stand e perciò risultava ancora più prezioso alla vista. Provò a guardare qualche etichetta, controllando le taglie.

Le sue migliori speranze si infransero contro un muro di delusione. Si era dimenticata del suo solito problema: non era semplice trovare biancheria intima della sua misura.

«Coppa D?» La commessa fece una smorfia. «Non abbiamo molto qua fuori, ma forse in magazzino...»

Quasi sicuramente neanche in retrobottega avevano qualcosa, ma Makoto volle tentare comunque. «Se potesse aiutarmi...»

«Vedo cosa posso fare.» Solerte, l'addetta al negozio sparì.

Makoto si unì a Usagi. Deliziata, lei toccava tutti i modelli; poteva permettersi di indossarli.

«Ah!» Usagi teneva tra le mani un reggiseno di pizzo azzurro. «Com'è carino questo!»

«Sicuramente ti sta.» Makoto era invidiosa.

Usagi notò il suo sospiro. «Come mai questa voce?»

«Scusami, è solo che... mi piace tutto, ma non mi entra quasi niente. La commessa è andata a vedere se trova qualcosa per me.»

«Ohhh.» La delusione di Usagi fu quasi pari alla sua. Poi le guardò il seno. «Be', pensandoci, non è facile compatirti.»

Makoto si imbronciò. «Non ha senso che sia bello se non posso vestirlo bene.»

«Su, ogni donna ha qualcosa per cui soffrire! A me stanno tutti questi» Usagi le indicò con la mano larga ogni reggiseno del negozio, «ma continuo a desiderare che mangiando mi cresca la ciccia sul petto. Poi ci sei tu che non hai bisogno di altro volume, ma desideri ardentemente modelli che ti donino e che non trovi.» Usagi si accese come una lampadina. «Chiama Ami!»

«Eh?»

«All'estero la tua taglia non è più comune? Chiedile di prenderti qualcosa come souvenir!»

Oh. Magari non come souvenir, ma se avesse detto ad Ami che le rimborsava la spesa... Già, l'idea di Usagi era geniale. «Hai ragione!» Lo avrebbe fatto una volta tornata a casa.

Usagi stava già pensando ad altro. «Hai visto se c'è una parte dedicata ai corredi da sposa?»

Le sembrava di aver visto molto bianco su una parete. «Là sul retro.»

Usagi sgusciò via proprio mentre tornava la commessa. 

«È il suo giorno fortunato!»

Makoto non credette alle proprie orecchie. «Davvero?»

La signorina annuì. «La nostra nuova manager ha deciso di variare il campionario. Ha la sua stessa taglia, sa? Ha pensato di specializzare il nostro negozio offrendo una maggiore varietà nella dimensione delle coppe.»

Oh! Se le avesse fatto vedere qualcosa che non fosse di cotone e a tinta unita, avrebbe fatto di lei una loro cliente per la vita! 

La commessa la condusse al bancone. «Sono solo una decina di modelli, ma spero che siano di suo gusto.»

Per Makoto dieci era come dire mille.

Quando avvistò il modello in seta nera con fili d'argento, seppe di aver trovato quello che faceva al caso suo.

    

«È proprio bello» Usagi guardava con aria sognante il suo sacchetto chiuso.

«Lo so.» Raramente Makoto era stata tanto soddisfatta di un acquisto. «Anche il completino che hai preso tu è bellissimo.»

«È solo il primo di una lunga serie.» Usagi sollevò il pugno in aria, poi si sgonfiò come un palloncino. La sua andatura perse la cadenza del salto e Makoto seppe che stava per sentire qualcosa di serio da lei.

«Tutti i soldi che ho vengono da qualcun altro, sai?» Usagi guardò mesta il marciapiede. «Se li finisco, l'unica scelta che ho è chiederne altri. Non li ho guadagnati.»

Era normale. Lei era ancora giovane.

«Mi sto per sposare, Mako-chan. Dovrei essere in grado di mantenermi da sola almeno per le mie piccole spese.»

 Questo era vero. «Stai pensando di trovare un lavoro?»

«Luna dice che non è una buona idea adesso. Sarò impegnata a organizzare il matrimonio, però...» Usagi scosse la testa. «Non lo so, ci devo pensare. Mi sembra importante cambiare la mia situazione.»

«Quando andrai all'università, avrai più tempo.»

«Hai ragione.»

Makoto ebbe voglia di abbracciarla. «Sei matura già nel capire l'importanza di lavorare.»

«Ma è giusto che stia pensando solo a me stessa? Dopo tutto quello che è successo?»

Aveva davanti una futura regina ora. «Hai sacrificato tanto. Hai bisogno di riconquistare un po' di serenità.» Le massaggiò la schiena. «Non c'è qualcosa che adesso tu possa fare per il mondo, perciò non c'è niente di male se pensi a rilassarti e al matrimonio che sogni da sempre.» Guardò Usagi negli occhi e per un momento, ancora una volta, non le parve vero. «Usagi-chan. Stai per sposarti.»

Riaccese la gioia di lei. «Ti ricordi?» Usagi tremò col sorriso. «Quella volta abbiamo comprato una rivista per spose; abbiamo commentato le pagine tutto il pomeriggio!»

Makoto aveva in mente quella giornata come se fosse ieri. «Adesso per te è un desiderio sta diventando realtà.» Chiuse Usagi in un abbraccio forte. «Te lo meriti. Tra qualche giorno penserai al resto, ma per ora... permettiti di essere felice.»

«Non farmi piangere!»

Si staccarono ridendo, Usagi commossa. «Non voglio essere la sola che sta bene! Ci ho pensato, e ho capito meglio cosa volevi dirmi prima.»

Oh? Si riferiva al discorso a...?

«Imponiti, Mako-chan!»

«Eh?»

«Scommetto che stai cercando di essere tanto dolce e carina con Gen. È il tuo solito blocco, ma tu sei più di questo! Non frenarti, mostrati come sei. Vedrai che così ti sentirai padrona della situazione. Farai cose ancora più perverse senza vergognartene!»

Makoto controllò disperata i loro dintorni. «Shh!»

Usagi ridacchiò. «Mi ascolterai?»

«Ah...» Se l'aveva capita bene, sì, ma... «Non è che mi freni di proposito.»

«Certo, certo. Lui ha più esperienza, ma tu hai forza di volontà. Inoltre, ora sai quanto possa essere piacevole essere sopraffatta dalle sensazioni. Fallo a lui.»

Makoto ebbe un ricordo e si leccò un labbro. «In realtà...»

Usagi spalancò gli occhi. «Lo hai già fatto?»

Be', sì. «Durante la prima notte.»

La risatina di Usagi fu deliziosa. «Ti ho sottovalutata!»

Nelle vene Makoto sentì scorrere una sensazione di potenza quasi dimenticata. «Hai ragione. Ascolterò il tuo consiglio.»

«Ascolta solo la tua natura. Stanotte vinceranno le donne!»

Makoto preferì non chiederle cosa volesse dire. 

Sorrise e continuò la sua passeggiata con Usagi.

   


    

Rivedendo Makoto quella sera, Gen rimase senza parole. Sotto il capotto nero, che sottolineava la vita, non vedeva niente del corpo di lei, ma nella luce della sera risaltava il rossetto rosso che Makoto aveva messo sulle labbra. Lei aveva sciolto i capelli e i suoi occhi verdi sembravano più accesi e brillanti, circondati com'erano di scuro.

Quando fu a pochi centimetri da lui, Gen si aspettò di vederla arrossire e abbassare lo sguardo, ma Makoto lo fissò in aperta contemplazione. Gli mise una mano sulla spalla e lo fece chinare, per baciarlo su una guancia. Il colore della sua bocca sottolineò il sorriso. «Ho portato una cosa» gli sussurrò.

Lui non smise di guardarla in faccia. 

Lei gli mise davanti agli occhi un piccolo panno. Glielo appoggiò sulla guancia, strofinando piano la superficie umida contro la sua pelle.

«Per pulirti quando servirà.» Makoto tirò fuori anche un piccolo tubo decorato, il rossetto incriminato. «Questo invece è per sporcarti.»

Gen si fece rigido nei lombi. «Ah-ha.»

Makoto sorrise, tornando se stessa. «Dove andiamo?»

«Di sopra?»

Lei scosse la testa. «Dopo.» Sollevando le braccia gli fece vedere i sacchetti di carta voluminosi che lui non aveva neanche notato.

«Qui ci sono il tuo regalo e la nostra torta. Andiamo a scartarli in un ristorante.»

Infatti lui ne aveva scelto uno, ma in quel momento... Chiuse gli occhi e provò a far funzionare il cervello. «Va bene, andiamo.»

Mentre si voltava per fare il giro del furgone, Makoto lo afferrò per un braccio. «Ti ho colpito?»

Lui adorò quella domanda. «Sì.» Si chinò per avere un bacio, ma Makoto si ritrasse.

«Pazienza.» Lei risplendeva. «Sarà tutto migliore con un po' di attesa.»

Incredulo, Gen le aprì la portiera. Makoto stava cercando di... conquistarlo.

Cercando di non farsi vedere, sorrise mentre andava dalla propria parte della macchina.

  

«Sei tu a tuo agio qui» le disse, seduti al tavolo del ristorante. Era un posto tranquillo, che fino a quella sera lui aveva visto solo dall'esterno. L'atmosfera del luogo gli era parsa giusta quando un pomeriggio, fermo a un semaforo, aveva visto due tavoli dalle finestre, entrambi occupati da coppie diverse in età e aspetto tra loro, simili solo nell'atteggiamento casuale con cui si concentravano sul partner che avevano davanti. Un posto per coppie, aveva pensato, e gli era venuta subito in mente Makoto.

Aveva provato a descriverle sommariamente il tipo di ristorante. Lei ora si adattava al luogo meravigliosamente con il vestito semplice, nero, che le avvolgeva il corpo.

«Sembra che sia a mio agio?» ripeté Makoto, tagliando con delicatezza la carne sul piatto. «Mi piace sentirmi diversa a volte.»

Più che diversa, lei gli sembrava solo nuova. Ogni volta che credeva di averla capita, e di essere contento di quello che aveva trovato, veniva sorpreso con la visione di un altro lato di lei che ancora non comprendeva.

La luce negli occhi di Makoto non era cambiata. «Non sembra che io stia recitando?»

Gli piaceva sedare quell'insicurezza. «No.»

«Non ho avuto molto a che fare col mondo degli adulti... Ma poi penso, 'Sono adulta anche io ormai'. Quindi oggi ho voluto mettermi queste cose che mi fanno sentire... come sono quando mi trovo con te. Grande.»

Lui si riempì. Di cosa non lo seppe, ma 'amore' era una parola troppo blanda. «Lo sei.»

Makoto sorrise. «Lo vedo quando mi guardi.»

Lei passava dall'incertezza a un tono da seduttrice nata che gli stava facendo venire voglia di chiedere velocemente il conto.

Guardò il proprio piatto mezzo pieno e si affrettò a terminare di mangiare.

«Oggi mi sono vista con Usagi.»

La ascoltò. 

Makoto rifletté tra sé. «Lei sta cercando di pensare ai problemi di tutti i giorni, al suo matrimonio... Ma si sente in colpa per non preoccuparsi di... cose più serie.» Makoto sapeva già che i tavoli accanto a loro erano occupati, perciò non entrò nei dettagli. «Mi ha fatto pensare. Forse c'è qualcosa di sbagliato nel modo in cui voglio affrontare i prossimi tre anni della mia vita.»

Gen la fissò.

«Aprirò la pasticceria» gli confermò Makoto. «Non so ancora di preciso cos'altro fare per prepararmi a quello che verrà dopo, ma... Non vorrei continuare ad agire come se, dimenticandomene, sarà tutto a posto alla fine.»

Non c'era un commento che lui avesse da offrire su quella faccenda.

Makoto studiava la sua reazione. «Non ne parlerò molto con te in futuro. So che...»

«Non hai bisogno di evitarlo.» Lui non era così debole.

Makoto annuì piano. «Ci penserò ogni tanto. A volte vorrò parlarne. Siccome non avrò il ruolo di Usagi e non ho capacità di comando come Rei, o l'intelligenza di Ami... non sarà una cosa che entrerà tanto nella mia vita. Non ho neanche la presenza di Minako, perciò... dovrò trovare un mio posto all'interno di questo futuro. Questo non cambierà la mia esistenza di tutti i giorni, per adesso. Forse, sarò solo una ragazza che comincerà a leggere molte riviste e a guardarsi programmi politici noiosi e complicati.»

«Posso subire questa tortura con te.»

«Avrò paura di opprimerti, Gen. Ma mi sembrava giusto parlarne, almeno una volta.»

Se serviva a tranquillizzarla, lei aveva fatto bene. «Non mi sottovalutare.»

«Non è così.» Makoto scosse la testa. «È solo una cosa che volevo dire. Io sarò anche tutto questo in futuro, nel bene e nel male.»

«Nel bene» precisò lui.

Lei fu felice. «E tu? Stai finendo il terzo anno. Comincerai a cercare un lavoro nel tuo campo?»

Makoto stava cambiando argomento. Gen lo accettò. «Col rimborso dell'assicurazione la mia famiglia è al sicuro ora. Ma c'è la ditta di mio padre. Ci sono Watanabe, Sato e Nakamura. Devo trovare qualcuno che mi rimpiazzi nel gestirli.» Il pensiero non era piacevole come aveva pensato un tempo.

«Ti sei affezionato al lavoro? A loro?»

«Li conosco da una vita. È strana l'idea di lasciar andare... questo.» Un altro pezzo di suo padre, la ditta che lui aveva tirato su dal nulla e gestito per vent'anni.

«Datti tempo.»

Sì, aveva bisogno di capire cos'era meglio fare. Voleva sentire di prendere la decisione giusta per le persone di cui si era reso direttamente responsabile. «Devo pensare a loro.»

Makoto si incuriosì. «A loro tre va bene? Non ti hanno mai visto come un bambino? In questi ultimi mesi, voglio dire.»

No. «È successo in fretta. Sono andato a sostituire mio padre quattro giorni dopo che lui se n'era andato. Non c'era nessuno che sapesse posare un parquet e io avevo bisogno di qualcosa da fare. Loro avevano bisogno di qualcuno che li guidasse. Andava bene chiunque a quel punto: mio padre non era solo il loro datore di lavoro, erano amici da anni. Serviva normalità. Senza parlarne, ho presto il suo posto e abbiamo provato ad andare avanti come se nulla fosse cambiato.» Loro lo avevano sostenuto, senza saperlo.

«Sei stato molto bravo.»

Avrebbe dovuto suonargli banale come complimento, ma gli sembrò di sentirlo dire da un'altra voce - maschile e più adulta - e si ritrovò con un groppo duro alla gola.

Addolorata, Makoto cercò il suo sguardo. Lo incrociò e provò a sorridere. «Ho un negligée sotto il vestito.»

A lui sfuggì una risata incredula. «Cosa?»

Lei arrossì. «Non so se si chiama così perché è corto, comunque... l'ho comprato oggi. L'ho indossato.»

I pensieri di Gen virarono in una nuova direzione. «Ah-ha.»

Makoto afferrò la confezione in cui aveva chiuso il suo regalo, usandola per coprirsi il petto. «Prima devi aprire questo. E dobbiamo mangiare la torta.»

«Non sto dicendo niente» sorrise lui.

Lei era divertita. «Non hai bisogno di farlo.» Appoggiò il regalo sul tavolo. «Spero che ti piaccia. Ma se ho sbagliato... la prossima volta farò meglio.»

«Non hai sbagliato.»

«Come fai a saperlo?»

«Quel regalo fa il rumore di matite che sbattono l'una contro l'altra. A meno che non sia un set per colorare...»

Lei si disperò. «Non è giusto! Hai già capito!»

Non era un problema. «Farò la faccia sorpresa quando lo apro. Tu tieni pronta una di quelle salviette, dovrai pulirmi la bocca. Non sto bene col rossetto.»

Makoto sorrise e lui fu contento. Quello era davvero uno dei migliori compleanni che avesse mai trascorso.

Non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio.

    

Nella strada verso casa, lui e Makoto fecero un gioco: sulla bocca non erano permessi baci, solo sfioramenti, respiri. Il collo invece era territorio libero. Fuori dalla porta di lei, Gen le massaggiò la base della nuca con le dita, solleticando con le labbra la pelle sotto il suo orecchio. «Perché non apri?»

Makoto non stava girando la chiave. «Mi distrai.»

Lui rinnovò i propri sforzi.

Lei riprese il controllo della mano e fece scattare la serratura. Entrando in casa, lo tenne lontano con le dita aperte sul petto, accendendo la luce. Si sfilò il cappotto, appendendolo veloce alla parete. Non smetteva di guardarlo e sorridere mentre si toglieva le scarpe coi tacchi, perdendo quei pochi centimetri che l'avevano resa ancora più accessibile per lui.

Gen tolse a sua volta la giacca, si liberò delle scarpe. L'attesa era migliore quando stava per essere annullata.

Avanzò mentre Makoto indietreggiava.

«Fino a dove scapperai?» le domandò.

Lei scrollò le spalle. Rise nell'abbraccio con cui lui la prese e il bacio che seguì... Gen si sporcò di rosso tutta la faccia, volentieri. La cosa che lo eccitò di più non fu il sapore, ma i suoni che fece Makoto, respiri spezzati, gemiti sommessi che trasmettevano tutto il desiderio di lei. Il suo corpo era morbido, perfetto contro di lui. Si focalizzò sulle gambe di lei - che non aveva mai dimenticato - e con due mani cercò l'orlo della sua gonna, sollevandolo piano, accarezzando.

Makoto si allontanò di nuovo, il viso una macchia di colore sbiadita sulla bocca.

Sfatta di passione, lei era tremendamente bella.

Camminando all'indietro Makoto salì sul letto e lo invitò ad avvicinarsi. Lui non se lo fece ripetere e la raggiunse.

«Usa solo le mani» gli disse lei.

Un piccolo ordine che lo infiammò ancora di più.

Acconsentendo a tenersi distante, riportò le dita sulle gambe di lei, tirando su la gonna, lentamente. Voleva godersi il momento.

Gli venne un infarto alla vista delle autoreggenti. Makoto si frenò dal dire qualcosa - una giustificazione, forse. Ma quelle erano calze normali e lui non avrebbe mai pensato che finissero sotto la coscia, dove erano la cosa più sexy, che... Cambiò idea quando le alzò il vestito oltre la vita, scoprendo degli slip di seta neri, con un piccolo gioiello sul ventre. Il tessuto era identico sui due lembi di indumento che cadevano, aperti, ai lati dello stomaco di lei.

Makoto terminò di spogliarsi da sola, sostituendosi alle sue mani che erano rimaste ferme sulla vita. Accettò una carezza sul ventre, rimanendo ferma.

Travoltò, Gen provò a farla sdraiare, ma lei si oppose. «No.» Premette sulle sue spalle e li tenne entrambi dritti. «Prina togliti i vestiti.»

Lui si liberò di camicia, cintura, pantaloni e calze in un tempo inferiore ai sette secondi.

Makoto si divertì. «Così va meglio.» Aprì le braccia e lo accolse.

Sul letto, ribaltò la loro posizione e gli cadde sopra.

Lui respirò l'odore dei suoi capelli. «Sei così buona.»

«... come persona?»

«Buona da mangiare.»

Makoto rise e si sollevò su di lui, seduta. Allungandosi di lato accese la lampada e spense la luce sul soffitto.

Gen le accarezzò il ventre; l'ombelico era incorniciato da quel meraviglioso indumento aperto senza nome, agganciato alle spalle da due fili neri, i seni sostenuti da un reggipetto nero. Makoto portò un braccio dietro la schiena e fece saltare il gancio.

«Con questo negligée bisognerebbe dormire» mormorò, abbassando delicatamente le spalline del reggiseno, facendo attenzione a non lasciar scendere la camiciola. «Ma non potevo andare in giro senza niente sotto.»

Il pensiero di lei seminuda gli tolse il fiato. La afferrò forte sui fianchi mentre Makoto si gettava alle spalle il reggiseno scuro. Lei si abbassò e i suoi seni liberi lo sfiorarono sul petto, i due triangoli di seta l'unica cosa che separava le loro carni. 

Makoto gli passò le mani tra i capelli. Sospirò mentre le mani di lui la percorrevano lungo il torso, salendo. «Aiutami a togliere le calze.» Seduta su di lui, portò le gambe verso le sue spalle, appoggiandosi con tutto il peso del bacino proprio su...

Lei notò la sua reazione. «È piacevole?» Dondolò coi fianchi sul rigonfiamento di lui.

Per Gen parlò la bocca aperta.

Senza dire niente, Makoto portò le mani alla fascia scura della calza sulla gamba destra; cominciò a srotolarla verso il ginocchio.

Gen la aiutò con l'altra gamba, passandole le mani sulla coscia, sul polpaccio. A piede libero le massaggiò la pianta col pollice, causandole un sorriso.

«Soffri il solletico?» le domandò.

Ricordò l'ultima volta che l'aveva toccata in quel modo, per guarirle la ferita causata da un coccio di ceramica.

«Non lì.» Makoto ritrasse la gamba e si sollevò in ginocchio su di lui. Per la prima volta, sembrò incerta. «Voglio fare una cosa.»

Gen teneva le dita sull'elastico dei suoi slip. Lei poteva pretendere il mondo in quel momento. «Cosa?»

«Questa volta voglio essere io quella che si muove.»

Se l'aveva capita bene, l'idea era geniale. «Certo.»

«Guidami. Con le parole.» Makoto infilò un dito sotto l'elastico dei propri slip. A gola secca lui si unì a quella carezza, lei che sospirava e cominciava a muoversi contro la sua mano, facendosi sentire per intero, bollente e già un poco umida. Makoto si adagiò piano sopra di lui, provando a togliersi confusamente le mutandine. Gen non la aiutò, continuando ad accarezzarla tra le gambe.

Con un sorriso spezzato, lei imprigionò la sua mano accanto alla testa. «Faccio io.» Lo baciò. Lui affondò nel calore delle sue labbra, della sua lingua, finché il palmo di Makoto non lo trovò sull'erezione e massaggiò. A occhi aperti sentì che lei passava a baciarlo sulla guancia, strofinandoglisi addosso con tutto il corpo mentre non smetteva di stimolarlo.

Lei cominciò ad abbassargli i boxer. «Tira su il sedere.»

Divertito, Gen eseguì e cooperò con lei per sfilare l'indumento, finché giunti alle ginocchia ci pensò da solo.

Makoto si sollevò sulle braccia. Era nervosa, ma non disse una parola mentre si sbilanciava all'indietro e lo prendeva in mano, aprendosi per trovare il punto giusto di contatto, la propria apertura - in quel momento il regalo più intimo che potesse fargli.

Qualunque cosa farai, andrà bene. Lo avrebbe detto a voce in un'altra occasione, ma la vide così determinata che non le fece il torto di rassicurarla o darle consigli. Makoto era dotata di un istinto naturale che doveva solo scoprire.

Anche lei resistette all'uso delle parole. Lo accolse nel proprio corpo, abbassandosi piano.

Entrambi strinsero i denti.

    

Makoto aveva pensato che si sarebbe sentita al comando, forte, ma in quella posizione era più scoperta e disarmata che mai.

Va bene? Una donna sensuale, che conquistava, non lo avrebbe chiesto.

Studiò la sensazione di avere Gen in sé, col peso del proprio corpo che premeva su entrambi. Non riusciva ancora a racchiuderlo completamente; per quel minimo di esperienza che aveva acquisito, sapeva che ci voleva più insistenza per trovare un'unione completa. 

Si sollevò su di lui e scese di nuovo. Era eccitante vedere come Gen la guardava.

Ora ci riesco. Con una terza spinta verso il basso fece aderire completamente i loro corpi, una scoperta che la sconvolse.

Si era sentita come punta.

Forse, se andava avanti col peso...

Lo strofinio sulla parte alta tra le gambe le fece sfuggire un ansito.

Aprì gli occhi.

Aveva il controllo di quel piacere, ma anche di Gen che quieto, appassionato, la osservava. Per lui quell'ultimo movimento non era stato altrettanto sconcertante.

«Fallo ancora» le disse lui. Poiché le aveva chiesto di guidarla, Makoto obbedì, dondolando coi fianchi.

Serrò le palpebre mentre la mano di Gen la aiutava a sostenere il peso del torso premendo su un suo seno, le altre dita che la cercavano sullo stomaco. Sorrise e gemette quando lui la stuzzicò sull'ombelico.

«Qui invece provi solletico?»

Lei annuì a bocca aperta, spostandogli la mano. Portò il suo palmo alle labbra, baciandolo.

Incapace di fermarsi, assaggiò la delizia estrema dello sfregamento tra i loro corpi, dentro e fuori, trovando un ritmo con le anche.

Guardò Gen. Osservandolo in viso trovò la volontà per smettere.

«Perché?» domandò lui.

Lei appoggiò le mani sul suo stomaco. «Non sono io che devo impazzire.»

Si sollevò e scese su di lui. Come premio ebbe fu il modo in cui Gen si tese. Inglobandolo di nuovo, fu attenta a stringerlo forte coi muscoli. Lui scattò ad afferrarle i fianchi, ma lei proseguì senza sosta, aumentando il ritmo quando lo vide gettare all'indietro la testa. Bramosa, si sporse in avanti e lo mordicchiò sul collo.

Gen la prese per la vita, per capovolgerla, ma Makoto usò la propria forza e mantenne entrambi dove stavano, lui soggiogato e a sua completa disposizione. «Senti com'è» mormorò, stringendolo dentro di sé, per fargli capire quanto potere avesse su quello che lui provava. Quelle sensazioni erano sue; lei poteva esaltarle, comandarle, per non farlo più pensare a niente.

Non lo fermò quando lui iniziò ad agitare i fianchi, sollevandosi a ritmo con lei. Fu una risposta istintiva, naturale, che la fece fremere in risposta.

Provò a chiudere gli occhi.

Sentì le mani di Gen sul torso, che prendevano quella specie di negligée di seta, sollevandolo fino a toglierglielo da sopra le braccia. Lui riprese a dondolare con lei, le mani strette sui suoi seni.

Makoto riuscì a mantenere un minimo di manovra, ma erano in due a muoversi ora e gli strofinii contro il proprio bacino si trasformarono in piccoli colpi, mentre le dita di lui sui capezzoli... Invece di opporsi, si abbandonò e fece pressione su ogni spinta.

Sentì la tensione di Gen, che sotto di lei diventava rigido come una tavola prima di afferrarle i fianchi e muoverla scompostamente assieme a lui.

L'orgasmo la colpì feroce, rapido. Trovò immensa soddisfazione nella possibilità di cavalcare al massimo ogni ondata di piacere, con quasi totale libertà di movimento.

Le spinte si quietarono.

Gen era... stravolto. Tremava, ma lei non ebbe pietà e continuò a strofinarsi su di lui, per spremere gli ultimi brividi. Senza fiato, lui accennò a ridere.

Lei si sollevò dal suo corpo. Senza accorgersene gli cadde accanto, più stremata di quanto aveva pensato. Sorrise contro la spalla di lui, impossibilmente appagata.

«Sei... una potenza» fu il complimento di Gen.

Lei cominciò a sussultare per le risate. 

Lui si adagiò sul fianco, divertito. «Dico sul serio.»

«Lo so.»

«Quando ti dai da fare...»

Non c'era bisogno di lodarla tanto. «Anche tu.» Lo baciò leggera sulla bocca e cercò un abbraccio, ubriaca di felicità. Con due dita gli scostò i capelli dalla fronte lievemente umida.

Sedato, Gen la studiava. «Perché stamattina non eri così?»

«Mi hai sorpreso.»

Adorava il modo in cui stavano parlando, a bassa voce, chiusi in un mondo loro.

«Era solo questo?» indagò Gen.

Mentre lo aveva davanti, lei esplorò la profondità di dubbi che aveva cercato di non vedere dentro se stessa. Confessò. «Voglio che tu mi stringa. Che mi guardi. Sempre.»

«Ti guardavo, Makoto.» 

«Devi perderti con me quando siamo insieme.» Come succedeva a lei. «Non pensare tanto, non usare tecniche... Non troppe» sorrise. «Amami, quando sei con me.»

Gli causò una smorfia di sofferenza. «L'ho fatto. Tutte le volte.»

«Stamattina... amavi quello che stavamo facendo.» Naturalmente ne era innamorata anche lei, ma... «Non sono ancora pronta per...»

«Okay. Ma ho sbagliato a non farti capire, non a...» Gen mise gli occhi sui suoi e concentrato parlò. «Adesso, che respiriamo. Prima, mentre ci muovevamo. È come non smettere mai di ballare con te. Sono cosciente di quello che fai, di quello che senti. Nella mia testa non ci sono più solo io, è sempre una cosa... doppia. Tienilo a mente.»

Era finita in un mare, pensò Makoto. Una landa mobile di felicità che la cullava nelle proprie onde. E non era sola.

Abbassò le palpebre e appoggiò la fronte contro quella di lui. 

Il freddo della stanza cominciò a farsi sentire. Si abbracciarono per tenersi al caldo.

«Non ho tanto sonno.»

«È presto» sbadigliò lei. «Abbiamo mangiato da poco.»

«Tu hai sonno.»

«No. Questo è... rimbambimento.»

«Cosa?» sorrise lui.

«Ha un nome? Lo conosco da poco, perciò lo chiamo così.»

«Non so se ha un nome. Quello che gli hai dato è buono.»

Makoto lo guardò in faccia e scoppiò in una risatina. 

«Cosa?»

«Il rossetto.»

Lui le strofinò una guancia. «Anche tu ce l'hai.»

«Aspetta, prendo lo struccatore.»

«No, non ti alzare.»

«Solo un attimo.»

Quasi saltellando, Makoto andò in bagno. Prese il liquido struccante, dei dischetti di cotone e infine... Felice, annodò attorno al polso l'elastico per capelli. Tornò indietro. «Non è stato facile evitare di farmi una coda stasera.»

«Stai bene.»

«Sono abituata a tenere i capelli legati. Inoltre...» Gli mostrò la banda con le due sfere verdi. Era stato lui a regalargliela, un mese prima. «Mi piace ancora di più farmi la coda da quando ho questo.»

Gen soffrì, diviso tra tenerezza e rimorso. «Devo farti regali migliori.»

«Era il primo.» Terminò di pulirlo sulla bocca, poi passò a togliere le tracce di colore dal proprio viso. Tornò a sdraiarsi accanto a lui. «Rimarrà un regalo speciale.»

Lui provò a ricordare. «Mi sentivo in colpa. Stavo cercando di non farti pensare che ero un idiota.»

Perché l'aveva gettata a terra in combattimento? Inconsciamente, era stato allora che lei aveva cominciato a considerarlo come potenziale fidanzato. «Io stavo cercando di non pensare che eri giusto per me. Non volevo accorgermene.»

«Ah, sì?»

«Sei stato bravo a insistere.»

«Modestamente...»

Makoto appoggiò la testa sul suo petto. Sul cuore di lui aprì una mano che Gen prese.

Con le dita danzarono un lento privo di ritmo, colmo d'intesa.

"È come non smettere mai di ballare con te."

Al ricordo di quelle parole, innamorata, si addormentò.

  

  

4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno - FINE

     


  

 

NdA: in ritardo, ho finito questo episodio. Mi piace, è venuto come volevo, come lo immaginavo da tanto tempo, quasi da quando Makoto e Gen si erano appena messi insieme.

Dedico questa storia a chi ha amato questa coppia come me. In particolare ricordo Rox, thembra, Morea. Ma sento che sto dimenticando qualcuno (perdonate, è l'ora, l'una del mattino) e se è così sappiate che voglio citarvi tutti quanti. Questi due sono insieme, con questo entusiasmo e questa passione, anche grazie a voi, perché da principio con Gen ero convinta di aver creato un personaggio maschile semi-stereotipato, che ho imparato ad amare anche grazie a come me lo avete fatto vedere voi.

Un bacio.

ellephedre

 

   
 
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