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Autore: ehytherejay    12/07/2014    0 recensioni
“Ma che cosa…” pensò stranito. Aggrottò le sopracciglia, sentendo il suo stesso cervello cominciare a macinare ipotesi ad una velocità impressionante. Le sue nocche erano appena guarite; nessun preavviso, semplicemente un attimo prima erano ridotte a brandelli e quello dopo erano come nuove. E lui non era un licantropo. Com’era possibile, dunque?
//Scritta a caso.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era nero. Nero di rabbia. Continuava a fare avanti e indietro nello spogliatoio vuoto. Aveva solo voglia di dare un pugno alla prima cosa che gli fosse capitata sotto mano. Sperava ardentemente che quella “cosa” potesse essere Derek Hale, ma si ritrovò poggiato al lavandino, il peso della testa abbandonato e le mani strette alla ceramica fredda. Lo aveva chiuso lì dentro, “è per il tuo bene” aveva osato dire. Non gli interessava il suo bene, lui voleva solo salvare suo padre. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, tentando di scaricare la rabbia in qualche modo, ma quando il forte rumore di qualcosa che si frantumava gli stonò le orecchie saltò all’indietro, inciampando in una panca e capitolando a terra. Rialzandosi dolorante, l’eco della ceramica infranta rimbombava ancora nelle sue orecchie, vide quello che prima era il lavabo in briciole tintinnanti per terra. Sgranò gli occhi. Si alzò cauto e si inginocchiò vicino al disastro che lui aveva causato. Sfiorò con le dita i cocci, ancora incredulo di ciò che aveva davanti agli occhi.
Certo i lavandini non erano bastoncini che si spezzavano per un po’ di pressione, soprattutto se erano le sue braccia a darne, le sue magroline e sottili e per niente forti braccia. Eppure quei pezzi bianchi non mentivano, aveva appena frantumato un lavandino. Con gli occhi ancora spalancati, illuminati da una luce nuova, si guardò le mani, stupito. Mosse le dita, le chiuse a pugno. Si alzò e guardò il suo riflesso nello specchio che aveva accompagnato il lavandino fino a quel momento; il viso spaventato tuttavia eccitato di uno Stiles pallidissimo lo osservò di rimando. Senza esitazione camminò verso lo specchio, evitando i cocci sparsi per terra e, giunto di fronte ad esso, la sua espressione iraconda fu l’ultima cosa che rifletté prima di finire anch’esso in briciole sul pavimento.
Le labbra strette in una morsa amara, si massaggiò le nocche sanguinanti, sbuffando.
«Cosa mi aspettavo?» borbottò leccando dal dorso della mano un rivolo di sangue. Fece per succhiarne via un po’ dalle nocche stesse, quando si accorse che non c’era nulla da prendere. Le nocche erano in perfette condizioni.
“Ma che cosa…” pensò stranito. Aggrottò le sopracciglia, sentendo il suo stesso cervello cominciare a macinare ipotesi ad una velocità impressionante. Le sue nocche erano appena guarite; nessun preavviso, semplicemente un attimo prima erano ridotte a brandelli e quello dopo erano come nuove. E lui non era un licantropo. Com’era possibile, dunque?
Focalizzò la sua attenzione sui pezzi di vetro sparsi a terra e, chinandosi, ne raccolse uno. Sentì lo specchio tagliare il suo palmo, e per un secondo, una sensazione di paura e nausea gli artigliò lo stomaco. Tuttavia, strinse ancora di più la lama, chiudendo gli occhi e sentendo il sangue scivolare lento sotto le sue dita. Quando il dolore diventò troppo fastidioso aprì le dita, lasciando che il frammento cadesse a terra e producesse un suono acuto e raschiante che fece eco nella stanza vuota. Un taglio profondo e dolorante faceva sfoggio di sé sul palmo del ragazzo che, tremante aspettò che qualcosa succedesse.
E infatti, successe: la sua mano ritornò come prima in pochi secondi, dopo un processo di rimarginazione talmente veloce che se non l’avesse visto, Stiles avrebbe creduto che non ci fosse stato alcun taglio. Era stato come se un altro strato di pelle avesse coperto la ferita, portando con se il sangue e la carne. Il ragazzo si guardò il palmo, incredulo e incapace di muoversi o proferir parola; ma l’esaltazione non tardò ad arrivare, portandolo a correre come un forsennato verso la porta dello spogliatoio. Nonostante avesse ancora paura di quel nuovo potere che aveva scoperto suo, non esitò nel buttare giù la porta per uscire nel corridoio. Si guardò intorno prima di correre verso le scalee poi verso l’uscita.
Doveva raggiungere gli altri, doveva aiutarli. Doveva salvare suo padre e poi, magari, prendere a calci Derek per averlo intrappolato lì. Arrivò nel parcheggio e si accorse che la sua Jeep non c’era più. Imprecò contro il lupo, sapendo che l’aveva sicuramente presa lui, e decise allora di correre verso la stazione di polizia, sperando di non svenire a metà strada.
“Però” pensò, “se riesco a rimarginare le ferite e a spaccare lavandini, forse riesco a correre anche veloce.”
Esaltatissimo da un pensiero del genere, aumentò il passo, realizzando che sì, effettivamente stava correndo molto più veloce. Tuttavia, una vocina che sembrava orrendamente quella di Scott gli sussurrò preoccupata all’orecchio: «E se fosse la scarica di adrenalina prima della morte?»
Non sapeva perché lui dovesse star per morire, quindi ignorò il pensiero, e ignorò anche i ricordi di tutto il caos che aveva inondato le loro vite nuovamente nelle ultime settimane.
Dopotutto, lui era stato nel suo angolino, senza respirare e facendo finta che non esistesse, come al solito. Nulla di nuovo.
 
   
 
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