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Autore: Diamante93    30/08/2008    1 recensioni
La storia a come protagoniste due ragazze orfane, che si ritrovano a studiare nella scuola di Hogwarts, Una di loro ha come "tutore" Severus Piton in quanto non sa nulla della magia. Ci saranno varie sorprese
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Syrya, la direttrice ti vuole nel suo ufficio immediatamente!”, la solita vecchia suora venne a chiamarmi in camerata. Lascia lì i compiti e la segui. Ero sicura di non aver fatto nulla di sbagliato questa volta, perché mai voleva vedermi? Entrai titubante. “Syrya, siediti.” La direttrice stava bevendo del the, fumante e non sperai neanche che me ne offrisse un po’. “Mi..ha fatto chiamare?” “Si esattamente. Ormai ai 18 anni ed essendo maggiorenne nulla e nessuno può tenerti ancora in questo collegio contro la tua volontà. Non avendo i genitori sei libera di fare ciò che vuoi.” Sgranai gli occhi, allora quella tortura era finita davvero. Mi alzai di scatto. “Quando posso preparare le valige?”, ero decisamente euforica. “Quando vuoi, anche subito. Ah, avrai un tutore per un periodo, ti seguirà per un periodo poi potrai anche mandarlo via.”. Annui e corsi fuori per paura che mi dicesse, che fosse tutto uno scherzo e che in realtà dovevo restare lì. Andai in camerata , raccolsi la poca roba che avevo e uscì da quella “prigione”. Diciotto anni senza un amica, senza qualcuno con cui parlare, un vero e proprio inferno. Chissà se sarei stata capace di vivere da sola… I miei pensieri furono interrotti da un uomo che mi si avvicinò. “Signorina Syrya Kehana Leonild Lee?”, lo guardai per un momento, forse era il mio tutore. “Si…sono io.. lei invece?” “Piacere Hector Portman, sono il suo, diciamo… accompagnatore. Ho un contratto di minimo sei mesi, dopo vedremo il da farsi.”. Mi prese le valige guidandomi fino ad un piccolo appartamento al settimo piano di un palazzo in una via di Londra. Appena entrai mi diede l’idea di un posto abbastanza lugubre, Hector aprì una minuscola finestrella che dava sulla strada. La luce che entrò andò a proiettarsi su un divanetto verde smeraldo, che poi diventava un letto. Un muretto separava la sala dalla cucina, anch’essa piccola e una porta nascondeva un piccolo bagnetto. Come abitazione era davvero molto piccina, ma immaginavo, fosse una sistemazione temporanea. C’era di buono che era assolutamente tutta pulita. “Questa sono le chiavi di casa.. io abito nell’appartamento accanto. Se hai bisogno bussa la muro o suona al campanello. Non uscire e chiuditi dentro, mi raccomando.” Mi sorrise amichevolmente uscendo e lasciandomi sola. Dovevo fare mente locale su ciò che avrei dovuto fare. Guardai l’orologio che segnava le 18.00, avevo il tempo di sciacquarmi e riorganizzarmi le idee. Aprì l’acqua della vasca e mi ci immersi. Non so dire bene quando rimasi dentro, forse due ore. Il collegio c’erano le docce e dovevi aver finito di lavarti entro 20 minuti altrimenti erano guai. Quando mi misi davanti allo specchio per asciugarmi i capelli, rimasi a riflettere sulla mia immagine, cosa che mai ebbi il tempo di fare. I cambiamenti fatti da quando ero piccola non erano stati molti. Avevo sempre gli stessi capelli castani, sempre portati corti perché altrimenti uscivano dalla cuffia e non doveva succedere, gli occhi sfumati dal verde scuro al castano molto chiaro, la mia altezza era soddisfacente, 1.70. Assomigliavo ad una qualsiasi ragazza normale, credo. Lo avrei scoperto con il tempo. Indossai l’unico pigiama che avevo, tirai giù il mio letto e mi misi sotto le coperte. Sonno non ne avevo. iniziai a pensare. Non avevo nessuno in questa città e penso neanche in altre, altrimenti sarebbero venuti a prendermi prima. Da quel che ne sapevo i miei genitori erano morti, ed ero figlia unica, non ero del tutto convinta però. Nessuno mi disse mai i miei genitori di cosa morirono, avevo tutte le ragioni per credere che esistessero ancora e si fossero scordati di me. La mia domanda però era sempre una. Sempre la stessa. Perché mi avevano abbandonato in quel postaccio? Sapevano cosa pativo là dentro? E… perché si sono dimenticati di me? Non piansi. Le lacrime le avevo finite da un pezzo, come l’odio che provavo verso di loro. A dir la verità avevo smesso di sentire ogni forma di sentimento, a volte credevo che mi fosse stato messo un cuore artificiale incapace di provare alcun tipo di sentimento. Ma forse, stavo solo diventando apatica verso il mondo. Bella vita che mi attendeva.
  
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