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Autore: Irish_Tribute    12/07/2014    1 recensioni
«Luke Hemmings»
Quel nome mi era rimasto impresso in mente dal momento in cui l'aveva pronunciato dalle sue labbra. Da quel giorno l'idea che mi facevo di lui non fece altro che cambiare.
Quando si presentò sorridente alla classe, pensai fosse simpatico. Quando non spiccicò neanche una parola per la prima settimana in cui era arrivato, pensai fosse timido. Quando lo vidi fare a botte con dei brutti ceffi tatuati, pensai fosse pericoloso.
* * * *
Vi informo che questa fanfiction su Luke Hemmings è stata scritta e ideata da me. La scrivo pure su wattpad e se vi va potete andare e leggerla. È una storia che vi appassionerà fino alla fine. Leggeta, non ve ne pentirete
Genere: Azione, Fluff, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
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A quest'ora del mattino le strade sono sempre deserte. Non che sia prestissimo, ma d'altronde questo non è un quartiere che la gente frequenta volentieri. Chatarik Avenue. L'angolo dei drogati, degli strafattoni. Dei rifiuti della società. Insomma:  chiamatelo come volete. Io peró sono comunque costretta a chiamarlo casa. Infatti viaggiando per le sporche strade del peggior quartiere della città, svoltando l'angolo del piccolo supermercato, si trova il St. Castle's Orphanage, meglio noto a me come casa. Gran bel posto dove far sorgere un orfanotrofio vero? Faccio un profondo respiro e continuo a camminare lungo il vialetto. Oggi sono uscita prima. Oggi è un giorno particolare. È il giorno in cui le coppiette di neo-sposini vanno all'orfanotrofio per adottare un bambino, per non rovinare i loro bei corpi da ventiquattrenni. Per la maggiorparte vengono adottati bambini dai due ai cinque anni. Ma se hai sedici anni come me hai solo una possibilità di essere adottata: essere bionda, avere la pelle pallida come porcellana ed avere gli occhi azzurri. Tutto il contrario di quello che sono io: capelli marroni e occhi del medesimo colore, ma soprattutto pelle olivastra. E questo vuol dire soltanto una cosa: resterò in quel posto per molto tempo. So per certo però che non sono sempre stata qua. Da quel che Katrina, la nostra tutrice, mi ha raccontato, io sono arrivata qua all'età di tre anni. Mi hanno trovato sugli scalini della porta principale traumatizzata, Katrina dice anche che non ho parlato fino all'età di sei anni, e questo è stato uno dei tanti motivi per cui mi prendono in giro. «Ritardata» dicevano, oppure «muta» . E nonostante io avessi cominciato a parlare hanno continuato. Appena esco dal vialetto della Chatarik Avenue, una corrente fresca mi colpisce. Ormai l'inverno è alle porte. Adoro l'inverno perchè il freddo ti fa rimanere dentro al sicuro, quindi non ho modo di sentire le urla degli ubriaconi. Una volta hanno lanciato una bottiglia alla finestra che sta sopra la mia testa e dopo di quello ho fatto fatica ad addormentarmi per almeno una settimana. Attraverso la strada e già comincio ad intravedere il giallo opaco che colora le mura del mio liceo. Stringo la spallina dello zaino. Nel farlo però mi accorgo che ho il mignolo intorpidito, così lo sfrego per riscaldarlo. Nonostante faccia freddo, io per coprirmi indosso solo un giacchetto di jeans, lo stesso gilet che mi accompagna ormai da quattro anni. Ormai è il mio marchio di fabbrica. Un altro motivo per il quale lo indosso in una giornata così fredda è che ieri Jasmine, ragazza bionda e occhi azzurri, ha preteso che le prestassi la giacca nuova che mi aveva regalato Katrina, dubito che la rivedrò. Sia Jasmine che la giacca. Quelle come lei vengono sempre adottate, le coppiette adorano le ragazze leziose dalle vocine fini e carine. Ragazze che a mio parere incarnano l'ideale della falsità. Se mi piacerebbe essere adottata? Be' ,come ho detto, odio le false, quindi dirò subito di sì. Ho sempre desiderato esserlo ma per tutta la vita mi sono solo sentita dire «Sei una ragazza dolcissima e spero che presto troverai una famiglia che ti sappia amare». Famiglie diverse, stessa frase. E questo ha fatto lentamente crescere in me un segno di inadeguatezza che è andato crescendo di pari passo con i rifiuti di essere adottata. Con le loro parole le coppiette mi hanno esplicitamente rifiutata e implicitamente detto che non ero quella giusta per loro, e col passare del tempo ho realizzato che non lo ero per nessuno. Svolto l'angolo del cancello ed entro nel cortile interno della scuola. Tutti dicono che dobbiamo essere tutti amici, che siamo uguali, ma, sapete una cosa? Non è quello che vedo. Perchè ora vedo solo la conferma di quanto questa società sia divisa secondo gruppi di studenti.È come se il cortile fosse diviso in zone: i popolari,  ricchi-ragazzi e ragazze carine, sulle panchine verniciate di verde accanto all'entrata. Il piccolo marciapiede davanti alle aiuole è il posti di ritrovo dei migliori amici, sempre intenti a trovare qualche argomento di cui discutere. Le mura laterali per gli sportivi, la zone centrale per la restante parte, che si divide tra malati dei computer, studiosi, musicisti. Io peró mi dirigo subito all'entrata. La monotonia mi annoia. E questa cosa delle gerarchie continuerà in eterno. Appena salgo il primo scalino la mia attenzione viene catturata da una voce proveniente dalle panchine dei popolari. «Hey, Shei-ma» dice Herika. Il mio vero nome è Sheila, anche se sono ufficialmente diventata Sheima da quando la "brillante"mente di Herika, compagna di classe, si è accorta del gioco di parile che poteva creare. La guardo per qualche secondo. Guardo pure i suoi amici sghignazzare. All'inizio, ai loro insulti mi chiudevo in bagno, e piangevo, poi ho deciso di farmi coraggio e cominciai a rispondere a tono, alla fine ho capito che rispondergli era solo una perdita di tempo. Lo facevani per provocarmi, le mie risposte gli davano solo il pretesto e la spinta per continuare. Cammino dritto verso la classe. Quando apro la porta la trovo deserta. Come ogni mattina . Perfortuna, dopo che Amber, altra ragazza popolare, si è rifiutata di essere mia compagna di banco dicendo «Sicuramente in quel posto in cui vive non le fanno fare neanche la doccia, puzzerà e magari mi attaccherà pure i pidocchi!». Io mi sono sentina in imbarazzo e ferita, anche se sapevo che comunque non era vero. Dopo quest' episodio i banchi sono disposti in quattro file da un banco. Io occupo il primo sotto la finestra. Mi siedo in attesa che i miei compagni entrino.                       *  *  * Rileggo ancora una volta il mio nome piazzato accanto a quello di Lucas Robert Hemmings sulla lavagna. No. Oggi non è proprio giornata. Sulla lavagna accanto, la consegna per sabato «A coppie lavorerete per ricostruire l'albero genealogico della vostra famiglia». Non potevano assegnarmi compito peggiore e compagni peggiore. Intanto il mio nome è ancora lì, fermo, scritto in bella grafia. Non ha intenzione di spostarsi. Sospiro e ripongo il materiale nello zaino. Intraprendo la strada per casa e sono così concentrata sul movimento dei miei piedi muoversi che non mi accorgo di aver appena sbattuto sulla schiena di qualcuno. Si gira e mi urla infastidito « E sta un po' attent ... Sheima?! ». Non ci posso credere, anche lui storpia il mio nome in quella maniera odiosa. «Sheila» lo correggo «Il mio nome è Sheila». «Si, sei la mia compagna nel progetto» dice ricordandomi del compito. L'avevo completamente dimenticato. Come faremo per il compito? «A proposito, inviami il tuo indirizzo di casa così vengo da te e facciamo la ricerca» aggiunge. Perchè proprio da me? « Non c'è bisogno, basta che svolti l'angolo e vai al St. Catles Orphanage. Io abito lì » dico sbrigativa. Anche perchè io non avevo il suo numero e non volevo fare brutte figure chiedendolo. «Luke, dice che è o al St. Patrick's Orphanage o al ... » la voce del ragazzo riccio dagli occhi verdi si spegne alla mia vista. Forse non voleva parlare con Luke davanti a me. «Ora io dovrei andare» stringo le labbra in un sorrisetto finto e svolto l'angolo. Improvvisamente però il laccio della spallina dello zaino si scioglie e quello cade a terra. Ora ti ci metti pure tu penso. Mi piego per terra e raccolgo lo zaino. Quando sento le voci di Luke e dell'altro ragazzo parlare. So che non dovrei, e che forse dovrei semplicemente alzarmi e andarmene, ma la curiosità ha la meglio sul buon senso e così mi trovo coi piedi piantati a terra e la schiena schiacciata al muro, ad origliare una conversazione tra Luke e una persona a me sconosciuta. «Chi era quella?» domanda il riccio. « Nessuno. Solo una compagna che abita nei paraggi». Poi si bisbigliano qualcosa ed esultano entrambi «Trai il più possibile informazioni... » la sua voce si abbassa di nuovo. « Penso proprio che quella ci sarà utile» dice sempre il riccio. «Ci siamo quasi Harry, finalmente, ci siamo quasi» dice sospirando Luke. Sento il suono di una portiera chiudersi. Decido comunque di non muovermi fino a che non sento la macchina sfrecciare via. Tiro un profondo respiro dopo aver assistito alla conversazione più ambigua che potessi mai sentire. Ciao a tutte, come vi sembra il primo capitolo di Chosen? Spero vi sia piaciuto. Commentate e votate. Grazie x.
  
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