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Autore: CamillaAngelotti    13/07/2014    0 recensioni
La ventiseienne Hannah rivive, attraverso pungenti ricordi, il proprio triste passato, cercando di capire cosa fare della propria vita e facendo luce sulla propria esistenza.
"Che senso ha vivere, se moriremo in ogni modo? Forse, immagino, è solo una scusa per passare il tempo in attesa della morte, il nostro unico, vero, grande scopo. Ma io non voglio essere ingannata. No, io non voglio cadere in quel solito tranello. Chiudo gli occhi, ascolto il rumore del vento, quel tagliente rumore infuocato, e subito capisco che no, io non voglio essere ingannata. Perchè la vita, io l’ho capito da molto, non è altro che una fregatura"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che emozione, che emozione vivere davvero.
Lo ricordo ancora.
E’ passato tanto tempo, eppure, se chiudo gli occhi, mi sembra di risentire quel dolce profumo di crema pasticcera aleggiare per la casa la domenica mattina, mi sembra ancora di ricordare i caldi raggi di sole accarezzarmi le guance rosse mentre cerco di ritardare il momento del risveglio, cullandomi in quel letto caldo e morbido.
Se ascolto bene, riesco ancora a sentire la risata candida e dolce di Ingrid, la mia sorellina, le parole calme e pacate di mia madre, i pungenti commenti politici di mio papà, mentre leggeva il giornale accanto a una tazza di caffè... eppure, dove sono io ora, c’è silenzio. C’è un silenzio così vuoto da togliermi il fiato, da spengere quelle ultime fiamme di vita e gioia che ancora, dopo più di dieci anni, mi affatico a far ardere, con quello stupido, insensato ottimismo che non mi ha mai portato a niente.
Ho smesso di essere felice da troppo tempo. E queste parole, lo ammetto, mi fanno rabbrividire, mi ghiacciano con la loro asprezza, mi lasciano duramente consapevole di tutto il buio dentro di me, di tutto quel vuoto che non riesco a colmare.
Il silenzio. Il silenzio mi fa paura, perché il silenzio fa pensare, perché fa vagare i miei pensieri senza tregua, perché mi punge con ogni singolo ricordo di una vita felice, ormai distrutta da tempo.
“Buongiorno, Hannah” borbottava ogni mattina mio padre, con il suo solito fare scorbutico “Rimani con noi, oggi?”
“No, esco” Troppe volte avevo risposto con quella freddezza... troppe. Perchè l’avevo fatto? Non capivo, ingenua, che un giorno mi sarei pentita? Dovevo apprezzare di più la mia famiglia, di questo sono certa: ma, d’altronde, è sempre così... ci rendiamo conto di ciò che avevamo solo quando lo perdiamo. Ed io l’ho perso.
Continuo a fissare davanti a me, attraverso quel cielo grigio e minaccioso, attraverso quelle nuvole nere e fredde, avvolta da un’aria gelida e ferma, immobile come tutto il resto intorno a me. Porto la sigaretta alla bocca, continuando a guardare il cielo davanti a me; sono sola. Sola come mai.
E me ne accorgo proprio quando il ricordo della mia vecchia famiglia riaffiora doloroso... chiudo gli occhi, ricordo il viso della mia povera mamma, soffro, e poi li riapro. E sono ancora lì, seduta sul ghiaino, circondata da alberi scuri e alti, che mi minacciano con le chiome ancora innevate.
Il mondo, da lassù, sembra diverso; mi viene da pensare che non sia poi così importante. Le persone, viste da là, non sono altro che insignificanti puntini, che si muovono senza uno scopo.
Che senso ha vivere, se moriremo in ogni modo? Forse, immagino, è solo una scusa per passare il tempo in attesa della morte, il nostro unico, vero, grande scopo. Ma io non voglio essere ingannata. No, io non voglio cadere in quel solito tranello. Chiudo gli occhi, ascolto il rumore del vento, quel tagliente rumore infuocato, e subito capisco che no, io non voglio essere ingannata. Perchè la vita, io l’ho capito da molto, non è altro che una fregatura.
C’è un profumo di montagna intorno a me, un profumo di neve fredda che mi circonda; ancora ricordo il viso di mia madre, quel viso così dolce, pieno di dolore, eppure di amore.
“Come si può essere tanto belli?” mi chiedevo. Ricordavo i suoi occhi e vedevo un amore infinito, una dolcezza esagerata, meravigliosa... mi assomigliava, forse. Almeno, così tutti dicevano. Abbasso lo sguardo sulle mie spalle e vedo i miei riccioli rossi: “come lei” penso “come lei” e poi sorrido.
“Tu e tua madre avete gli stessi occhi” diceva sempre papà con un velo di soddisfazione “E gli stessi capelli... rossi come...”
“Rossi come il fuoco” ripetei in un sussurro, serrando gli occhi doloranti. Di nuovo, porto la sigaretta alle labbra piene e rosse di vendetta, di odio, di dolore.
“Ti prometto, mamma, che andrà tutto bene” le avevo detto spesso, con una dolcezza che a volte non sapevo spiegarmi
“Lo so, lo so” ripeteva, accarezzandomi il viso. E che tenerezza mi faceva quando cercava di afferrare gli oggetti, e poi non ci riusciva... solo Dio può saperlo. Le sue mani tremavano nel tentativo di afferrare la bottiglia dell’acqua, e in tutta la famiglia cadeva un silenzio di imbarazzo, di sofferenza, finché mio papà non l’aiutava.
Io e Ingrid ci fissavamo come solo due sorelle possono fare, e non saprei neppure spiegare tutte le parole che i nostri occhi si dicevano.
“Com’è andata?” era la domanda che più mi terrorizzava, portatrice di dolori e sofferenze, ogni volta che mamma e papà tornavano dall’ospedale
“Bene. Bene” rispondeva lei, asciugandosi a stento le lacrime e fingendo un sorriso. Non era una grande attrice.
Io e Ingrid non chiedevamo altro, ma di nuovo ci guardavamo piene di angoscia, finché quello sguardo non diventava fin troppo scoperto, intimo, privato... e allora abbassavamo entrambe gli occhi, e fingevamo di pensare che non sarebbe successo nulla.
Ma prima, prima che la mamma si ammalasse, andava tutto fin troppo bene... e nessuno si sarebbe aspettato una tale sfortuna.
Credo di non aver mai chiaramente parlato della malattia della mamma con mia sorella, ma entrambi sapevamo bene che le cose non andavano bene
“Al giorno d’oggi ci sono molte cure per il Parkinson” diceva mio papà. Era un bugiardo. Io e Ingrid non rispondevamo neppure.
Ero ancora piccola, avevo appena sedici anni e per me il mondo non era altro che l’aspettativa di un futuro ricco di colori e sentimenti; non avevo preoccupazioni, né paure...  credevo di avere un sacco di tempo per crescere, per farmi una vita, per essere felice. Ma il tempo per crescere non c’è mai.
Da un momento all’altro, ci troviamo catapultati in un mondo adulto e triste, in un mondo troppo grande per noi, ma troppo piccolo secondo noi. E non siamo mai soddisfatti. Ci guardiamo intorno e ci facciamo un sacco di domande, ci chiediamo un sacco di stupidi “perché”. Non avremo una risposta.
Figurati se a sedici anni potevo pensare a una fine, a un annullamento delle mie aspettative! No, no... vedevo la vita come una lunga via, la cui fine è troppo lunga per essere vista.
Poi ho scoperto che la vita non è altro che un cerchio, che c’è un inizio, ma che una fine c’è sempre, e corrisponde con un nuovo inizio... ma, probabilmente, non il nostro. O sarebbe tutto troppo facile.
E so che questi pensieri sono vergognosi per una buona cristiana... ma, per la religione, io non ho tempo. Le persone religiose non si fanno domande, loro credono e basta.
Io, invece, mi sono sempre riempita di dubbi. Come quando, per la prima volta, vidi mia mamma scrivere una lettera sul tavolo di cucina, immersa nelle lacrime. Mi avvicinai in silenzio, scossa dalla solita dolorosa tenerezza, e lessi queste parole: “Figlie mie, quando leggerete questa lettere io...”
“Mamma!” la chiamai, soffrendo all’idea di leggere ancora. Avevo capito. Lei si girò di scatto, coprì la lettera con le mani, cercò di asciugarsi le lacrime e farfugliò parole confuse:
“Hannah... io... io non... cosa...”
“Va tutto bene, mamma” risposi in un sospiro, facendo un passo indietro. Sentii il respiro mancarmi. Perché non l’avevo abbracciata? Perché? Mi arresi al dolore, come una vera stupida... e non piansi. Rimasi pietrificata, immobile, incapace di capire. E fu da quel momento che iniziai a farmi troppe domande.
A Ingrid non dissi nulla. A papà non dissi nulla. Non accettai neppure io stessa di aver letto quelle parole. 

 
  
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